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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CROTONE Sezione Civile, in composizione monocratica, in persona del giudice designato dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 344/2018 R.G., avente ad oggetto: responsabilità struttura medica, vertente tra Ri.Gi., cod. fisc. (...), in proprio ed in qualità di amministratore di sostegno di Ri.Em., cod. fisc. (...), Co.Ro., cod. fisc. (...), Ri.Ca., cod. fisc. (...), Ri.Fr., cod. fisc. (...), Ri.Sa., cod. fisc. (...), elettivamente domiciliati in Crotone, alla via (...), presso lo studio dell'avv. To.Ca., rappresentati e difesi dall'avv. Ed.Ca. (cod. fisc. (...) - pec: (...)), per mandato in calce al ricorso ex art. 702 bis c.p.c.; -Attori- E Azienda Sa., P. IVA (...), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata presso la sua sede in Crotone, alla via (...), Centro Direzionale "Il Granaio", rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Fe. (cod. fisc. (...) - pec: (...)) e dall'avv. Gi.La. (cod. fisc. (...) - pec: (...)), giusta procura in calce all'atto di costituzione di nuovo difensore; -Convenuta- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con atto di citazione ritualmente notificato Ri.Gi., in proprio ed in qualità di amministratore di sostegno della sorella Ri.Em., Co.Ro., Ri.Ca., Ri.Fr. e Ri.Sa. esponevano: che Ri.Em. in data 16.7.2010 era stata ricoverata presso il Dipartimento Materno Infantile dell'Ospedale di Crotone per partorire a seguito di gravidanza nella norma; che alle ore 8,43 del 17.7.2010 partoriva spontaneamente una bambina; che alle ore 16,45 erano registrate in cartella "crisi tonicocloniche", dopo che alle ore 16,00 la paziente aveva lamentato forte cefalea, trattata con paracetamolo, senza beneficio, e non era stata misurata la pressione arteriosa; che la paziente subiva ulteriori crisi convulsive nel corso del pomeriggio e della notte; che il giorno dopo alle ore 15,45 la paziente accusava un arresto respiratorio; che nei giorni successivi era sedata e al risveglio, effettuati altri esami, era ricoverata a Catanzaro in Rianimazione dal 28.7.2010 al 23.8.2010, poi presso l'Istituto S. Anna dal 23.8.2010 al 15.10.2010, dal 15.10.2010 al 2.3.2011 nell'U.G.C. e dal 2.3.2011 al 1.7.2011 presso l'Unità di Riabilitazione Integrata Cognitivo Comportamentale per gravi esiti motori e cognitivi comportamentali da pregressa anossia cerebrale; che in data 18.10.2011 la Ri. era riconosciuta invalida civile al 100% con indennità di accompagnamento e nel corso degli anni subiva ulteriori ricoveri; che la Ri. aveva subito un gravissimo danno neuromotorio, tetraparesi e grave deficit cognitivo, non era autonoma in alcuna delle attività della vita ed era costretta a letto o in carrozzina, con ridottissime capacità di recupero; che l'amministratore di sostegno nonché fratello Ri.Gi. aveva agito ex art. 696 bis c.p.c. per addivenire ad una soluzione transattiva; che la responsabilità per il grave danno subito dalla Ri. era addebitabile ai sanitari dell'Ospedale di Crotone, come anche riconosciuto dai cc.tt.uu. nominati nel procedimento di a.t.p.; che i parenti/attori, madre e fratelli, avevano subito un gravissimo danno ex art. 2059 c.c. dalla lesione del rapporto parentale. Chiedeva, quindi, di riconoscere la responsabilità dell'A.D.C. per i danni subiti e per l'effetto la sua condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, comprendente il danno biologico, morale ed esistenziale, e patrimoniali, sub specie di spese mediche sostenute, oltre al risarcimento dei danni da lesione del rapporto parentale ex art. 2059 c.c. in favore degli attori, oltre al pagamento delle spese di c.t.u., c.t.p. e legali del procedimento di a.t.p. 2. Si costituiva l'A. di C., con propria comparsa, depositata tardivamente il 24.10.2011, chiedendo il rigetto della domanda, in quanto il comportamento dei sanitari era stato conforme ai protocolli della scienza medica e le patologie della Ri. erano derivate dall'insorgere dell'eclampsia, patologia ad eziologia sconosciuta ed imprevedibile al momento del parto. Chiedeva inoltre il rigetto delle istanze di risarcimento dei danni formulate dagli altri attori, in quanto il risarcimento avrebbe potuto essere corrisposto solo per la perdita della sorella, che invece era in vita, e comunque non era stato dimostrato alcun danno a loro carico. 3. Dopo il mutamento del rito in ordinario e l'espletamento della c.t.u., la causa perveniva all'udienza del 12.6.2023, in cui, precisate le conclusioni (le parti si sono riportate alle conclusioni rassegnate nei propri atti e verbali di causa), era trattenuta per la decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE I. Nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini della decisione (artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. I.1. Risulta da allegazioni in fatto sostanzialmente incontestate o comunque incontrovertibilmente acclarate dalle produzioni di causa, che Ri.Em., nata nel (...), primigravida all'età di 17 anni, fu ricoverata il 16.7.2010 presso il Reparto di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale di Crotone. I cc.tt.uu. nominati hanno ricostruito i fatti accaduti dal ricovero della Ri. nel seguente modo. Dalla cartella clinica si evince che in data 17.7.2010 la paziente, nel primo pomeriggio, dopo il parto naturale avvenuto in mattinata, aveva manifestato cefalea trattata con paracetamolo senza beneficio. Alle ore 16,30 la paziente aveva manifestato crisi eclamptiche post partum, ed era stato eseguito TC encefalo negativo per eventi emorragici. Era stata quindi ricoverata in Rianimazione e posta in coma farmacologico. In data 19.7.2010 era stata eseguita una RMN che evidenziava molte strie di ipersegnale in sede cortico sottocorticale sparse in entrambi gli emisferi cerebrali più evidenti in sede temporo-occipitale a destra e parieto-occipitale bilaterale soprattutto frontale sinistra con zona di edema cortico e sotto corticale da verosimile encefalopatia ipertensiva. Erano segnalate bande di ipersegnale in corrispondenza di emtrambi i putamen da riferire ad edema citotossico per sofferenza acuta. In data 22.7.2010 era ripetuta RMN encefalo in cui si evidenziava anche l'interessamento del talamo bilateralmente. Veniva eseguita durante il ricovero tracheostomia e in data 28.7.2010 la Ri. era trasferita presso il Reparto di Rianimazione dell'Ospedale di Catanzaro. Seguivano ulteriori ricoveri e dimissioni nel corso del tempo. I cc.tt.uu. sottolineano inoltre che durante la gravidanza la Ri. si era sempre sottoposta a tutti gli esami di controllo ed alla misurazione della pressione arteriosa, che era sempre stata nella norma, alle ecografie, sempre con esito regolare. Tuttavia, al ricovero presso l'Ospedale di Crotone non risulta misurata la pressione arteriosa. Prima dell'arresto respiratorio del 18.7.2010 inoltre i cc.tt.uu. hanno segnalato che i sanitari non avevano ancora compreso, nonostante le crisi convulsive della paziente, che la stessa avesse subito una eclampsia post gravidica, ma sospettavano un problema oncologico o vascolare, anche se il 17.7.2010 avevano somministrato magnesio solfato in quantità insufficiente. I cc.tt.uu. hanno visitato la paziente, che si presenta allettata ed ha condizioni cliniche di gravissimo danno neuromotorio, tetraparesi e grave deficit cognitivo. La Ri. non è autonoma in nessuna delle attività quotidiane e le sue capacità di recupero appaiono ridottissime o nulle; il danno è permanente, al 100%. Quanto all'eziologia, i cc.tt.uu. precisano: che l'eclampsia è una malattia che dev'essere necessariamente conosciuta dai ginecologi in quanto se non correttamente trattata può determinare gravissimi danni alla donna ed al feto; specificano inoltre che "è impossibile e inescusabile che la comparsa di sintomi di allarme come la pressione alta, la cefalea, la proteinuria in gravidanza o durante il puerperio e ancora di più le crisi convulsive ripetute non facciano allertare i medici e fare diagnosi di una preeclampsia adottando delle misure di sorveglianza più ravvicinate con la misurazione dei parametri vitali che in questo caso non sono stati adottati e una terapia adeguata con il solfato di magnesio, unico farmaco in gravo di prevenire le successive crisi convulsive". I cc.tt.uu. hanno sottolineato che quello che "sconvolge" è che non vi sia stato per la Ri. un controllo iniziale, durante il ricovero per il parto, della pressione arteriosa e nemmeno successivamente si sia mai pensato ad una eclampsia post partum nonostante vi fossero segnali premonitori di preeclampsia (ipertensione 170/100 alle ore 16,45 e cefalea) "che avrebbero dovuto allertare i ginecologi mentre invece fu somministrato per la cefalea insorta il paracetamolo senza nemmeno ricontrollare la pressione. Diremo di più, nemmeno quando è comparsa la prima crisi tonico clonica si è pensato ad una crisi eclamptica nonostante le linee giuda per il managment della ipertensione in gravidanza affermi che "l'eclampsia può manifestarsi nel 44% dei casi dopo il parto. Ricordiamo che i segni e sintomi della preeclampsia sono: "ipertensione in una paziente non precedentemente ipertesa con valori superiori a 140/90 mmHg e proteinuria magg. Di 0,3 g nelle 24 ore". I sanitari avrebbero dovuto somministrare la profilassi con solfato di magnesio, unico farmaco in grado di ridurre il rischio di eclampsia con uno schema adeguato, indicato dai consulenti di ufficio. Soltanto dopo quattro crisi convulsive alla Ri. è stato somministrato il solfato di magnesio con uno schema di trattamento assolutamente inadeguato. I consulenti hanno concluso nel senso che "l'arresto cardiaco, verificato alle 15,45 del 18-07 è un evento preceduto da un arresto respiratorio (plausibilmente dovuto ad una crisi convulsiva non trattata che ha determinato asfissia acuta e conseguentemente arresto respiratorio e poi cardiaco). Ricordiamo che l'arresto cardiaco è avvenuto quando la paziente aveva la maschera di V. (che trasmette l'ossigeno ma non garantisce la pervietà delle vie respiratorie). L'arresto cardiaco è il nesso di causa con il danno anossico cerebrale permanente della R.. Sarebbe bastato una più assidua sorveglianza nel controllo delle vie aeree durante le crisi convulsive". Nella risposta ai quesiti, pertanto, i cc.tt.u. hanno riscontrato nei seguenti comportamenti le carenze dei sanitari dell'Ospedale di Crotone: "-Mancato controllo durante il puerperio dei parametri vitali (pressione, temperatura, frequenza cardiaca) da parte dei sanitari ostetriche, ginecologi, anestesisti; - Mancata diagnosi di eclampsia nonostante i segni (cefalea, ipertensione, proteinuria, crisi eclamptiche ripetute); -errata e tardiva terapia (solfato di Magnesio in dosaggio insufficiente per prevenire le crisi eclamptiche; - mancata sorveglianza nel controllo della pervietà delle vie aeree durante le crisi convulsive che ha determinato il danno anossico cerebrale da arresto respiratorio e successivamente cardiaco" ed hanno confermato il danno a carico della Ri. nella misura del 100%, come del resto già accertato dai cc.tt.uu. nominati in sede di a.t.p. I cc.tt.uu. hanno infine attestato che non risultano in atti documenti inerenti spese mediche di diagnosi, cura o ausili ma unicamente spese di consulenze e legali. In forza delle suddette circostanze di fatto, gli attori, assumendo che la responsabilità per i danni cagionati alla Ri. sia da ricondurre eziologicamente alla condotta dei sanitari dell'Ospedale di Crotone, hanno convenuto in giudizio l'A. di C. per responsabilità contrattuale, chiedendone la condanna a titolo di risarcimento dei danni subiti. La convenuta, dal canto suo, ha eccepito l'infondatezza di ogni avversa deduzione, atteso che nel corso del ricovero presso l'Ospedale di Crotone era stata adottata ogni misura idonea. II. Nel merito, deve premettersi, sulla scorta dell'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, la seguente regola generale idonea a fissare il fondamentale criterio decisionale delle cause di danno basate sulla responsabilità professionale del medico: l'obbligazione assunta dal medico nei confronti del paziente ha natura contrattuale, sicché incombe sul debitore provare che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; più specificamente, dimostrato dal paziente danneggiato il contratto (o il contatto sociale) nonché l'aggravamento della patologia sofferta o l'insorgenza di un'altra affezione e allegato dallo stesso l'inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno, compete a questi dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato o che esso, pur esistendo, è stato eziologicamente non rilevante o comunque a lui non imputabile. Dal che consegue che, in definitiva, spetta al medico provare l'inesistenza del nesso causale, e non al paziente l'esistenza dello stesso (tra le altre, Cass., sez. un., n. 577/2008; Cass., sez. III, n. 1538/2010 e n. 15993/2011). Tale regola vale anche quando l'intervento sia stato di speciale difficoltà (circostanza che, peraltro, rileva nella valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa), in quanto l'esonero di responsabilità di cui all'art. 2236 cod. civ. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova (Cass. n. 24791/2008). Sempre in termini generali, va altresì rimarcato, ancora una volta sulla scorta di ormai pacifici insegnamenti giurisprudenziali, che la responsabilità professionale per inadempimento della prestazione medica si estende certamente alla struttura sanitaria, pubblica o privata, presso la quale il medico stesso operava, la quale, proprio in ragione del complesso di obblighi scaturenti dal cosiddetto contratto di spedalità, risponde in relazione sia a propri fatti d'inadempimento sia ai comportamenti inadempienti direttamente posti in essere dal medico a norma dell'art. 1228 c.c., in forza del quale il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, è responsabile anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi (tra le molte, Cass. n. 13066/2004, n. 8826/2007 e n. 13953/2007). III. Ciò chiarito in via di inquadramento giuridico della fattispecie, deve rilevarsi che la domanda è fondata e deve essere accolta. Risulta, al riguardo, incontroversa la natura contrattuale del rapporto. In proposito, le risultanze documentali e quelle dell'istruttoria tecnica d'ufficio convergono nel ritenere che sussista nel caso di specie responsabilità professionale dell'A. convenuta. La consulenza espletata viene integralmente condivisa, in quanto congruamente e logicamente motivata, non essendovi dubbi in ordine agli accertamenti svolti dai cc.tt.uu. Si può quindi fare integrale ed espresso riferimento alla stessa, fondata su una rigorosa analisi della disciplina in materia e della documentazione allegata dalle parti, oltreché contenente valutazioni improntate a rigore scientifico e logico. Rientrava, dunque, nell'onere probatorio dell'A. convenuta allegare e dimostrare che nessun inadempimento si verificò o che comunque la condotta medica in esame non ebbe alcuna incidenza eziologica sul danno finale della paziente. Non emergono apprezzabili motivi per discostarsi dalle conclusioni convincenti e in alcun modo contraddittorie illustrate sul punto dai consulenti tecnici d'ufficio. Il suddetto quadro probatorio consente conclusivamente di ritenere provato il nesso di causalità tra condotte mediche della struttura e danni subiti dalla paziente. Una volta esclusa l'incidenza di decorsi causali alternativi, può senz'altro condividersi - alla stregua della regola di giudizio civilistica del "più probabile che non" - il percorso logico-valutativo che ha portato il c.t.u. ad ascrivere la responsabilità professionale ai sanitari della struttura convenuta. IV. Accertato l'an della responsabilità contrattuale, si deve procedere alla quantificazione della relativa obbligazione risarcitoria, da eseguirsi, in accordo con gli accertamenti peritali, muovendo dalla corretta perimetrazione del danno risarcibile in relazione alle peculiarità del caso di specie. Quanto al danno non patrimoniale, i cc.tt.uu. hanno quantificato nella misura del 100% il danno biologico subito dalla R.. Orbene, alla stregua delle osservazioni sin qui svolte, la liquidazione del danno non patrimoniale va compiuta utilizzando le note tabelle milanesi nell'ultima versione aggiornata (D.M. 20 giugno 2014), considerato che la giurisprudenza, sul punto, ritiene che al fine della liquidazione del danno biologico, occorre tener conto della evoluzione giurisprudenziale in tema di tabelle applicabili, in ossequio ad una concezione pluridimensionale comprensiva anche delle perdite esistenziali e relazionali; con la conseguenza che il giudice è tenuto ad adottare le tabelle vigenti al momento della decisione e non dell'evento dannoso (Cass., 29.10.2014, n. 284). La percentuale indicata è quella del 100%, che, partendo dal punto biologico rivalutato all'attualità, lo incrementa di un terzo, a titolo di integrazione con la componente morale (sofferenza soggettiva). Si condivide, in proposito, la stima peritale di 100 punti percentuali d'invalidità permanente. Il giudicante ritiene infatti adeguatamente dimostrato, oltre che chiaro, convincente e lineare, il percorso logico-argomentativo seguito sul punto dai cc.tt.uu. i quali si basano su studi accreditati nella comunità scientifica e recepiti nella normativa regolamentare. Pertanto, la liquidazione del danno biologico di Ri.Em., parametrata all'età della danneggiata al tempo dell'evento (17 anni), ascende a Euro 1.326.880,00. Al fine di procedere alla personalizzazione del danno, avendo riguardo alla sofferenza soggettiva della paziente, ai pregiudizi alla vita di relazione, ai riflessi negativi sulle abitudini di vita, si ritiene congruo l'aumento per personalizzazione già incluso nella quantificazione compiuta del 25%. Nessun rimborso delle spese mediche può essere riconosciuto, non essendo stata inserita negli atti di causa una nota spese, secondo la valutazione dei cc.tt.uu. Sulla somma liquidata a titolo di danno biologico non può applicarsi alcuna rivalutazione, trattandosi di liquidazione all'attualità; non spettano neppure gli interessi compensativi, pur astrattamente ascrivibili alla tutela risarcitoria dei debiti di valore, in quanto, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, fatta propria dal giudicante, "nei debiti di valore i cosiddetti interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno causato dal ritardato pagamento dell'equivalente monetario attuale della somma dovuta all'epoca dell'evento lesivo. Tale danno sussiste solo quando, dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe se (in ipotesi tempestivamente soddisfatto) avesse potuto utilizzare l'importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza ovvero in impieghi più remunerativi, la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima, solo in tal caso potendosi ravvisare un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche mediante il meccanismo degli interessi, mentre in ogni altro caso il danno va escluso. Il giudice del merito è tenuto a motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi solo quando sia stato espressamente sollecitato mediante l'allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del dannoda ritardo secondo il criterio sopra precisato" (Cass. n. 22347/2007). V. In conclusione, la domanda attorea, per quanto concerne la posizione della danneggiata Ri.Em., va dichiarata fondata; per l'effetto, l'A.D.C. va condannata al risarcimento dei danni non patrimoniali per la somma su indicata, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al pagamento. VI. Dev'essere ora analizzata la domanda risarcitoria formulata dai parenti della R., madre e fratelli. Deve rilevarsi che - a parte la posizione del fratello Ri.Gi., fratello e amministratore di sostegno della sorella - e della madre, per la quale gli attori hanno dichiarato che si prende cura e assiste la figlia, non risultano evidenziate le altre posizioni degli altri fratelli e sorelle della vittima in relazione agli specifici pregiudizi patiti. Tuttavia, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, in tema di pregiudizio derivante dalla perdita o dalla lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l'unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l'interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso (Cass., n. 28989 dell'11.11.2019). Il danno non patrimoniale da lesione o perdita del rapporto parentale non può pertanto ritenersi rigorosamente circoscritto ai familiari conviventi, poiché il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza. In particolare, nessun rilievo può essere attribuito, al fine di negare il riconoscimento di tale danno, all'unilateralità del rapporto di fratellanza ed all'assenza di vincolo di sangue, non incidendo essi negativamente sull'intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà (Cass., Ord. n. 24689 del 5.11.2020). In linea generale, deve pertanto presumersi che l'uccisione di una persona oppure, come nel caso di specie, l'aver provocato in capo ad una sorella poco più che adolescente gravissimi danni tali da rendere la ragazza incapace di comunicare con gli altri e di farla vivere quasi in stato vegetativo, fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori e ai fratelli della vittima, a nulla rilevando l'eventualità che la vittima ed il congiunto non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tal caso, grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e congiunto fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza i danni cagionati alla prima non abbiano causato pregiudizi non patrimoniali di sorta ai secondi (Cass., n. 22397 del 15.7.2022). In linea generale, peraltro, al di là del dato formale della convivenza, il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza, dato che l'esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. danno in re ipsa, che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione (Cass., n. 25541 del 30.8.2022). Sulla base delle suddette considerazioni, tenuto conto che gli attori non hanno dimostrato la sussistenza di particolari pregiudizi e che, dal canto suo, controparte non ha fornito alcuna prova contraria, deve ritenersi che la liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale possa essere compiuta nel caso di specie in modo equitativo, avvalendosi nel caso anche di presunzioni legate allo stretto vincolo che si presume, appunto, sussistente tra congiunti appartenenti alla famiglia nucleare (coniugi, genitori, figli, fratelli e sorelle), nucleo familiare minimo nell'ambito del quale l'effettività di detti rapporti costituisce la regola nell'attuale società, in base all'id quod plerumque accidit. Si ritiene equo, pertanto, stabilire un importo di Euro 50.000,00 per ciascuno degli attori congiunti della Ri. a titolo di risarcimento dei danni subiti, calcolato in via equitativa. VII. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza e le spese sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022; sono applicati nel caso di specie i valori medi della tariffa, opportunamente ridotti attesa la semplicità delle questioni giuridiche controverse, risolte in relazione ad un consolidato orientamento giurisprudenziale e sulla scorta di un accertamento tecnico, tenuto conto dell'importo di risarcimento danni riconosciuto. Sono calcolati e riconosciuti anche i compensi professionali per la fase di a.t.p. Analogamente, per quanto concerne le spese occorse per l'espletamento della c.t.u., e per l'espletamento della c.t.u. nel procedimento di a.t.p., che seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, nella suddetta composizione monocratica definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ri.Gi., cod. fisc. (...), in proprio ed in qualità di amministratore di sostegno di Ri.Em., cod. fisc. (...), Co.Ro., cod. fisc. (...), Ri.Ca., cod. fisc. (...), Ri.Fr., cod. fisc. (...), Ri.Sa., cod. fisc. (...)(R.G. n. 344/2018), contro l'Azienda Sa., in persona del legale rappresentante p.t., con atto di citazione ritualmente notificato, così provvede: 1) In accoglimento della domanda giudiziale, accerta la responsabilità dell'Azienda Sa. per colpa professionale e, per l'effetto, la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di Ri.Em. per la somma pari ad Euro 1.326.880,00, oltre interessi come per legge dalla data di pubblicazione della presente sentenza all'effettivo pagamento; 2) In accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da lesione del rapporto parentale, condanna l'Azienda S.P.D.C. al risarcimento dei danni subiti da Ri.Gi., Co.Ro., Ri.Ca., Ri.Fr., Ri.Sa., che quantifica equitativamente in Euro 50.000,00 per ciascuno, oltre interessi come per legge dalla data di pubblicazione della sentenza fino all'effettivo pagamento; 3) Condanna l'Azienda Sa. a rifondere agli attori le spese di lite del presente giudizio e del procedimento per a.t.p., che liquida in Euro 23.977,00 (di cui Euro 18.977,00 per il presente giudizio ed Euro 5.000,00 per il procedimento di a.t.p.) oltre compenso forfettario, I.V.A. e C.P.A. come per legge, oltre Euro 300,00 per esborsi, da corrispondersi direttamente in favore dell'avv. Ec., dichiaratosi anticipatario; 4) Condanna l'As. al rimborso delle spese sostenute nel procedimento di a.t.p. e nel presente per c.t.u. e cc.tt.pp., che quantifica in Euro 24.402,44,00 oltre interessi come per legge dalla data degli esborsi a quella di effettivo pagamento; 5) Pone definitivamente a carico della soccombente il compenso liquidato ai cc.tt.uu., come da separato decreto. Così deciso in Crotone il 16 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2023.
TRIBUNALE DI CROTONE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DI CROTONE dott. COLLAZZO Giuseppe, alla pubblica udienza del 17.07.2023, ha emesso la seguente SENTENZA nel procedimento a carico di (Omissis) nato a (Omissis) e residente in Via (Omissis) ove è elettivamente domiciliato, rappresentato e difeso, di fiducia, dall'Avv. (Omissis), del Foro di C; - libero, assente - (Omissis) nato (Omissis) ed ivi residente in (Omissis) elettivamente domiciliato presso la sede legale della (Omissis) rappresentato e difeso, di fiducia, dall'Avv. (Omissis), del Foro di C; - libero, presente - (Omissis) nato a (Omissis) residente a (Omissis) ove è elettivamente domiciliato, rappresentato e difeso, di fiducia, dall'Avv. (Omissis), del Foro di C; libero, assente - (Omissis) nato a (Omissis), ed ivi residente in (Omissis) ove è elettivamente domiciliato, rappresentato e difeso, dall'Avv. (Omissis), del Foro di C; IMPUTATI a) per il reato p.p. dagli artt 110 c.p., art 4 d.Lvo 74/2000, perché, in concorso tra loro, (Omissis) nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro-tempore della m nella sua qualità di Amministratore Unico pro-tempore della (Omissis) al fine di evadere le imposte sui redditi, indicavano nella dichiarazione annuale presentata per l'annualità d'imposta 2013 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo; in particolare non indicavano nella predetta dichiarazione elementi attivi per un importo pari ad Euro 1.509.852,98, il cui risultato è confluito nella dichiarazione del consolidato nazionale, con imposta evasa (IRES) pari ad Euro 415.209,57 e con ammontare degli elementi attivi sottratti superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati. Crotone, in data 25.9.2014 b) per il reato p.p. dagli artt 110 c.p., 4 del d.l.vo 74/2000, perché, in concorso tra loro, (Omissis) nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro-tempore della (Omissis) nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro-tempore della (Omissis) al fine di evadere le imposte sui redditi, indicavano nella dichiarazione annuale presentata per l'annualità d'imposta 2014, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo; in particolare non indicavano nella predetta dichiarazione elementi attivi per un importo pari ad Euro 2.397.342,90 il cui risultato è confluito nella dichiarazione del consolidato nazionale, con imposta evasa (IRES) pari ad Euro 659.269,30 e con ammontare degli elementi attivi sottratti superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati. In Crotone, in data 23.09.2015 (Omissis) c) per il reato p.p. dagli artt 110 c.p., art. 4 del d.l.vo 74/2000 perché, in concorso tra loro, (Omissis) nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro-tempore della nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione prò- tempore della (Omissis) al fine di evadere le imposte sui redditi, indicavano nella dichiarazione annuale presentata per l'annualità d'imposta 2015, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo; in particolare non indicavano nella predetta dichiarazione elementi attivi per un importo pari ad Euro 2.294.617,67 il cui risultato è confluito nella dichiarazione del consolidato nazionale, con imposta evasa (IRES) pari ad Euro 631.019,86 e con ammontare degli elementi attivi sottratti superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati. In Crotone, in data 27.09.2016 (Omissis) d) per il reato p.p. dagli arti 110 c.p. art 4 del d.Lvo 74/2000 perché, in concorso tra loro, (Omissis) sua qualità di Amministratore unico pro-tempore della (Omissis) nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro-tempore della (Omissis) al fine di evadere le imposte sui redditi, indicavano nella dichiarazione annuale presentata per l'annualità d'imposta 2016, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo; in particolare non indicavano nella predetta dichiarazione elementi attivi per un importo pari ad Euro 2.029.390,00 il cui risultato è confluito nella dichiarazione del consolidato nazionale, con imposta evasa (IRES) pari ad Euro 558.082,25 e con ammontare degli elementi attivi sottratti superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati. Crotone, in data 24.10.2017 (Omissis) e) per il reato p.p. dagli artt 110 cp., art 4 del d.Lvo 74/2000 perché, in concorso tra loro, (Omissis), nella sua qualità di Amministratore unico pro-tempore della(Omissis) e, nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione pro-tempore della (Omissis) al fine di evadere le imposte sui redditi (Omissis) dichiarazione annuale presentata per l'annualità d'imposta 2017, ai fini delle imposte sili redditi elementi attivi per un importo pari ad Euro 2.122.806,08, il cui risultato è confluito nella dichiarazione del consolidato nazionale, con imposta evasa (IRES) pari ad Euro 566.027,30 e con ammontare degli elementi attivi sottratti superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati. Crotone, 29.10.2018 Conclusioni delle parti: Pubblico Ministero: chiede emettersi sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, per tutti gli imputati e per ogni capo di imputazione. Difesa: emettersi una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, il fatto non costituisce reato, o perché il fatto non previsto come reato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal PM in sede il 18.01.2020 gli imputati (Omissis), venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati a loro compiutamente ascritti in rubrica. All'udienza del 4.06.2020, rilevata l'intempestività delle notifiche ex art 552, co. 5, c.p.p., veniva disposto il rinvio all'udienza del 12.11.2020 nel corso della quale, dichiarata l'assenza degli imputati, regolarmente citati e non comparsi senza addurre alcun legittimo impedimento, il Tribunale, in assenza di questioni preliminari, dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove come richieste dalle parti. Nella medesima occasione veniva escusso il teste (Omissis) ed il Pubblico Ministero rinunciava al teste (Omissis) la difesa degli imputati depositava verbale di contraddittorio del 21.07.2020 tra Agenzia delle Entrate e | con i conseguenti atti di adesione dell'Agenzia delle Entrate nn. 11401,11402,11403,11404, sentenza del TAR Calabria del 29.02.2020 di rigetto del ricorso per l'annullamento del budget dell'anno 2013. L'udienza dell'8.04.2021 veniva rinviata all'1.07.2021, al 7.10.2021 e, infine, al 10.03.2022 nel corso della quale si escuteva il consulente tecnico della difesa, il cui elaborato veniva acquisito al fascicolo. L'udienza del 26.05.2022 veniva rinviata al 30.06.2022 e poi, stante il trasferimento del giudice titolare, al 12.12.2022. All'udienza del 12.12.2022, la prima celebrata dal sottoscritto magistrato, mutata la persona fisica del giudicante, mutata la persona fisica del giudicante, venivano rinnovate le formalità e dichiarate utilizzabili ai fini della decisione le dichiarazioni dei testi escussi innanzi al Tribunale in diversa composizione, tramite lettura dei relativi verbali ex art. 511 c.p.p.; con ordinanza resa a verbale veniva, altresì, rigettata la richiesta difensiva volta alla rinnovazione dell'escussione del teste (Omissis) per le motivazioni espresse a cui si rimanda. Il difensore, inoltre, provvedeva al deposito del ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo depositato in favore degli imputati, nonché le Sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Crotone del 24.10.2022 e del 16.012023, relative alle contestazioni tributarie per gli anni 2015 e 2016, di cui ai capi c) e d) dell'imputazione, nonché corrispondenza con la Corte Europea dei diritti dell'Uomo. Il difensore, pertanto, chiedeva rinvio dell'udienza ed il Tribunale, previa sospensione dei termini di prescrizione, disponeva in conformità. All'udienza dell'8.05.2023 il Pubblico Ministero depositava il PVC e verbale di descrizione dei fatti del 18.12.2018, mentre il difensore depositava memoria difensiva; all'esito, previa sospensione dei termini di prescrizione, il Tribunale, su richiesta della difesa, rinviava al 17.07.2023. All'udienza del 17.07.2023, presente l'imputato la cui dichiarazione di assenza veniva revocata, esaurita l'istruttoria dibattimentale e dichiarato chiuso il dibattimento, il Tribunale invitava le parti a rassegnare le rispettive conclusioni, in epigrafe trascritte. All'esito della camera di consiglio, il Tribunale dava pubblica lettura del dispositivo di sentenza, riservando il deposito delle motivazioni nel termine di giorni novanta. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Tribunale che la contestazione mossa dall'Ufficio di Procura non abbia superato il vaglio dibattimentale e gli imputati, pertanto, vadano mandati assolti. Preliminarmente, è necessario ricostruire i fatti come emerse nel corso dell'istruttoria, partendo dalla ricostruzione operata dall'Ufficio di Procura con l'escussione del teste di Polizia Giudiziaria (Omissis), escusso all'udienza del 12.11.2020. Il teste (Omissis) (unico teste del Pubblico Ministero) riferiva che in seguito ad un accertamento (terminato il 18.12.2018, con PVC) eseguito presso la soc. erano state riscontrate delle irregolarità, rilevanti ex art. 4, D.Lgs. 74/2000, per gli anni 2013,2014,2015,2016 e 2017. In particolare, il meccanismo alla base delle contestazioni può essere ricostruito, ad un primo -semplicistico - approccio nei seguenti termini. La (Omissis) svolgeva attività di erogazione di prestazioni medico-sanitarie in regime di convenzione con l'ASP (prestazioni mediche di carattere specialistico o in regime ospedaliero): tale regime prevedeva che, annualmente, ad ogni centro medico convenzionato (quale il centro (Omissis)), venisse riconosciuto ed attribuito un budget di spesa, entro il quale poter erogare le prestazioni e rendicontarle, tramite fatturazione, all'ASP, che provvedeva poi alla loro liquidazione. Nelle annualità in contestazione, la soc. (Omissis) (società del gruppo consolidato della società (Omissis) (consolidante), nel cui bilancio consolidato andava a riversarsi il bilancio (Omissis) nel tempo amministrata dai diversi imputati, effettuava delle prestazioni sanitarie oltre il budget prefissato (perché, ormai esaurito dalle prestazioni già erogate, operazioni extrabudget, appunto) che fatturava all'ASP. La fatturazione di queste operazioni extra-budget, tuttavia, veniva disconosciuto dall'ASP, perché non coperta dall'accordo con la società (Omissis) e, pertanto, non veniva liquidata: in particolare, per le annualità sino al 2015, l'ASP richiedeva alla società una nota di credito, così che fosse possibile liquidare solo l'importo contrattualizzato e stornare la quota parte dell'extra-budget; successivamente, con l'introduzione della fatturazione elettronica, non risultava più necessaria l'emissione della nota di credito e dello storno, in quanto l'ASP, direttamente, provvedeva a rifiutare la fatturazione elettronica operata dalla società in convenzione (che conteneva, oltre, all'importo contrattuale, anche l'extra-budget), sì che la società o provvedeva a stornare l'importo o, consapevole del rifiuto, non indicava le somme in fatture. Questo il meccanismo riscontrato dalla Polizia Giudiziaria. Passando alle diverse annualità in contestazione, il teste riferiva che, ".... nel 2013 abbiamo 1 milione e 509 mila 852,98 di prestazioni rese dalla (Omissis) non pagate dalla A.S.P., non dichiarate dalla (Omissis) quindi secondo noi invece erano dei ricavi che dovevano essere ricavati e su questo abbiamo calcolato l'imposta evasa che risultava di 415 mila 209,57, quindi superava la soglia dei 50 mila euro, e 1 milione 509 mila euro circa di ricavi non dichiarati erano superiori al dieci per cento degli elementi attivi dichiarati che erano oltre 10 milioni di euro" (cfr. verb. ud. 12.11.2020, pag. 7) Per il 2014 "... è risultato un totale di ricavi non dichiarati di 2 milioni 397 mila 342, 90 e qua ci sono sia i ricavi relativi all'assistenza ospedaliera, stornati, che i ricavi relativi all'assistenza specialistica, di 2 milioni 43 mila 889 quella ospedaliera, e 53 mila 453 quella specialistica. P.M. - E quindi l'imposta evasa quanto risulta? TESTE (Omissis) L'imposta evasa, secondo... PM.- il secondo i vostri calcoli, diciamo? TESTE (Omissis) Secondo i nostri calcoli l'imposta evasa è risultata essere 659 mila 269,30, quindi superiore alla soglia di 50 mila, e i ricavi non dichiarati superiori al dieci per cento degli elementi attivi dichiarati che erano oltre 9 milioni e mezzo di euro." "Poi nel 2015 prestazioni di assistenza ospedaliera, viene stipulato il contratto con la A.S.P. il 21 settembre del 2015 con prestazioni di assistenza ospedaliera per 3 milioni 109 mila e 600, la (Omissis) (denominazione poi modificata in (Omissis)) invece - e la chiamiamo (Omissis) perché prima si chiamava così, adesso ha chiamato denominazione e è diventata (Omissis) ha fatturato prestazioni ospedaliere per 5 milioni 008 mila 136,44 e queste prestazioni sono ugualmente, come prima, contabilizzate sia tra i crediti che tra i ricavi. (Omissis) ha proceduto a stornare i ricavi per 1 milione 898 mila 533,44 attraverso l'emissione di note di credito o una imputazione in bilancio, diciamo nelle scritture contabili, che poi sarebbe la parte dell'extra budget," ed anche in tale annualità, acquisendo la relativa documentazione contabile presso l'ASP per incrociare i relativi dati, riscontravano un mancato pagamento pari ad Euro 2.280.098, non corrisposti dall'ASP e che la società non aveva provveduto ad inserire in dichiarazione. Da questa annualità, come riferisce il teste di Polizia Giudiziaria, la documentazione contabile della società posta a corredo del credito da extra-budget, poi oggetto, nelle precedenti annualità di note di credito, risulta diverso: con l'introduzione della fatturazione elettronica, infatti, la fattura della (Omissis) inviata all'ASP, contenente l'extra-budget, veniva rifiutata e, pertanto, il documento contabile non veniva ad esistenza, in quanto non risultava emessa. Stesso meccanismo riguardava anche la fatturazione delle prestazioni specialistiche e quelle ambulatoriali, che ricalcava - seppur, ovviamente, con dati numerici diversi - il medesimo modello operativo, sia per quanto riguarda l'approccio fiscale della società (fatturazione oltre a quanto previsto contrattualmente con l'ASP e conseguente nota di credito/rifiuto della fattura elettronica da parte dell'ASP, e mancato riconoscimento del credito), sia per quanto riguarda l'interpretazione da parte della Guardia di Finanza dell'oggettività tributaria quale fatto generatore dell'obbligo tributario. Tale l'entità negli anni di riferimento delle prestazioni rese dalla (Omissis) non riconosciute dall'ASP negli anni in contestazione: un totale di elementi attivi non indicati ammontanti ad Euro 10.354.009,63 circa, per un'imposta totale evasa (IRES) per tutte le annualità pari ad Euro 2.829.608,228 e con ammontare degli elementi attivi sottratti superiore al 10% degli elementi attivi dichiarati per ogni singola annualità. Negli anni di imposta successivi, invece, la fatturazione extra-budget avanzata negli anni precedenti dalla società (e non riconosciuta, e/o rifiutata, e comunque non liquidata dall'ASP) si assottiglia sino ad azzerarsi nel 2017, là dove la fatturazione inviata all'ASP è coincidente al budget riconosciuto, senza la presenza di alcun extra-budget. In sede di controesame della difesa, alcuni aspetti venivano meglio chiariti. Negli anni precedenti (2001-2006), la (Omissis) (vecchia denominazione della (Omissis)) aveva esperito diverse azioni giudiziarie vittoriose (sentenza del Tribunale di Crotone del n. 81/2017 del 30 gennaio del 2017 con la quale l'ASP veniva condannata a pagare alla (Omissis) poco più di 600 mila euro per le prestazioni extra-budget degli anni 2005 e 2006, a seguito dell'annullamento in via amministrativa della Delibera di GJR. di approvazione postuma del tetto di spesa per quegli anni), che le avevano riconosciuto le prestazioni erogate fuori budget, nonché una transazione con decreto del Dirigente generale della Regione, n. 377 del 4.09.2015 relativa all'extra-budget per gli anni 2002 e 2003. Per gli anni successivi (2014), se pur il teste riferiva essere a conoscenza dell'esistenza di contenzioni tra la (Omissis) e l'ASP per il riconoscimento di un aumento del budget, non era a conoscenza dell'esito (in argomento, cfr. sentenza TAR Calabria, del 29.02.2020, n. 361/2020", con la quale il TAR rigetta la domanda di (Omissis) di riconoscimento di un aumento del tetto di spesa, in atti, doc. depositato dalla difesa degli imputati). Il (Omissis) precisava, rispetto a quanto già evidenziato in sede di esame, che i crediti derivanti dall'extra-budget venivano indicati nel conto economico della società come crediti nei confronti dell'ASP in contestazione, inserendoli quali risconti passivi, così da, l'anno successive, tentare -nuovamente - di convertire i crediti in contestazione in crediti esigibili. Il nucleo centrale del ragionamento investigativo della guardia di Finanza, che, come si vedrà, non supera indenne il Rubicone dibattimentale e porta il medesimo ufficio di Procura a richiedere una sentenza assolutoria, poggia sulla considerazione per cui l'art. 109, D.P.R. 917/1986, che al primo comma precisa che "I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni", imponesse alla (Omissis) di portare in dichiarazione, con conseguente liquidazione dell'imposta, quei crediti derivanti dall'extra-budget, ancorché mai riscossi. L'art 109 del D.P.R. 917/1986 si pone l'obiettivo di specificare, in relazione all'imputazione temporale dei componenti del reddito d'impresa che, in termini generali, vale il criterio della competenza, come corretta dai sotto requisiti della certezza e della obiettiva determinabilità (co. 1 dell'art 109 del D.P.R. 917/1986), e che sussistono inoltre delle avvertenze specifiche per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi (co. 2 dell'art 109 del D.P.R. 917/1986). Orbene, secondo l'impostazione della Polizia Giudiziaria il fatto generatore del debito tributario è da individuarsi, secondo il criterio di competenza, con l'emissione del documento fiscale: nel momento dell'emissione sorge, in capo all'emittente, il dovere tributario, a prescindere dalla certezza della manifestazione finanziaria incorporata nel documento fiscale, alla sua determinatezza e/o determinabilità e, in definitiva, anche nell'ipotesi dell'emissione del documento fiscale nella consapevole convinzione che il relativo credito sia inesistente o annullato. Questo, nell'interpretazione dell'art 109 del DPR del TUTR, secondo la quale nelle prestazioni di servizi, come si possono qualificare le prestazioni rese dalla (Omissis) si intendono di competenza dell'esercizio al momento in cui sono concluse (con l'emissione del documento fiscale), a prescindere dalla manifestazione finanziaria e quindi a prescindere non solo dall'effettivo pagamento di quell'operazione economica sottostante, ma anche a prescindere dalla stessa certezza circa l'esistenza (e quindi, esigibilità) del credito portante. In particolare, anche se la (Omissis) (e per essa, ovviamente, i rispettivi legali rappresentanti pro tempore che si sono avvicendati, imputati ognuno per le relative omesse indicazioni del periodo di imposta in cui ricoprivano ruoli apicali ed erano responsabili del comportamento fiscale dell'azienda), come sembra emergere sin dall'escussione del teste di Polizia (Omissis) e poi ulteriormente confortate dalle successive acquisizioni istruttorie, avesse avuto la consapevolezza che l'extra-budget non sarebbe mai stati accettato, riconosciuto e liquidato, la mera emissione della fattura (che, evidentemente, aveva lo scopo di sollecitare l'ASP al riconoscimento/pagamento anche di quelle prestazioni ormai eseguite e non rientranti nell'accordo, così come poi azionato giudizialmente presso il giudice ordinario e quello amministrativo, senza risultati positivi), risulta fatto di per sé idoneo, e sufficiente, a far sorgere il debito tributario. L'omessa indicazione, pertanto, delle relative poste attive (come visto, non incamerate, ma messe in bilancio come crediti in contestazione) nella dichiarazione, rende la dichiarazione infedele (ex art. 4, D.Lgs. 74/2000) in considerazione dell'omessa indicazione degli elementi attivi (ancorché non riconosciuti e non liquidati), con conseguente omesso pagamento dell'imposta (IRES). Il consulente della difesa, Prof. (Omissis) criticava le conclusioni raggiunte dalla Guardi di Finanza, ritenendole non condivisibili, affermando - in estrema sintesi - che "... le prestazioni svolte dalla società in convenzione con l'ASP di Crotone, non hanno dato diritto per l'eccedenza ad essere remunerati e quindi, i ricavi non dovevano assolutamente essere dichiarati. Dal momento che i ricavi non dovevano essere dichiarati, non essendosi realizzati i presupposti previsti dall'ordinamento tributario e prima ancora civilistico, non sussiste il reato di dichiarazione infedele." (cfr. verb. ud. 10.03.2022, pagg. 3 e ss.). A corroborare la tesi, la consulenza (in atti) faceva riferimento all'introduzione (sin dal 1992) del ed. tetto di spesa (sopra chiamato anche budget), ovvero un limite predeterminato oltre il quale le prestazioni eventualmente rese non venivano riconosciute e liquidate, sì da contenere la spesa pubblica in ambito sanitario; da tale punto di vista, similmente a quanto evidenziato dalla Polizia Giudiziaria, le prestazioni eventualmente rese oltre il budget non rientravano nella convenzione che legava la struttura sanitaria in convenzione e l'ASP e non veniva liquidata. Pur partendo da premesse coincidenti, il prof. (Omissis) giunge a conclusioni diametralmente opposte a quelle a cui era giunta la Guardia di Finanza per la quale, come visto, tale fenomeno (della fatturazione extra-budget, ancorché non remunerata dall'ASP era in grado di far sorgere la relativa obbligazione tributaria): le prestazioni svolte dalla società in convenzione (Omissis) l'ASP oltre il tetto di spesa, non hanno dato diritto per l'eccedenza ad essere remunerati e quindi, i crediti non dovevano essere dichiarati, in quanto mai realizzati (né realizzabili); di conseguenza, tali ricavi non dovevano essere dichiarati, e l'omessa loro indicazione nelle dichiarazioni annuali non assume rilevanza penale. Il discrimen risulta essere, pertanto, il momento dell'obbligo di indicazione di siffatti ricavi con la nascita del relativo obbligo tributario (se al momento della fatturazione, e quindi esclusivamente per competenza, ovvero nel momento nel quale si realizza l'incremento patrimoniale, secondo il criterio per cassa. La norma di riferimento, già citata dal teste di PG (Omissis) risulta essere, anche nell'analisi di (Omissis) l'art. 109 TUIR, d.p.r. 917 del 1986. La norma, evidenzia il consulente, ".... disciplina il periodo di rilevanza dei componenti positivi e negativi di reddito e riaffermato nell'inci... nell'incipit il principio di competenza e quindi, della irrilevanza del momento dell'incasso del pagamento, dispone che; se tutta... se nel periodo di imposta di competenza il componente positivo o negativo non è certo nella sua esistenza o determinabile in modo obiettivo nell'ammontare, il componente positivo o negativo, deve essere rinviato nella sua rilevanza al periodo di imposta in cui queste condizioni si verificano e quindi, al periodo di imposta in cui un componente positivo o negativo sarà certo nell'esistenza o determinabile in modo obiettivo nell'ammontare...", ed indica - secondo il criterio di competenza - la nascita dell'obbligo di indicazione in dichiarazione, e la conseguente obbligazione tributaria, al momento di ultimazione della prestazione (secondo l'indicazione rinveniente anche dalla Guardia di Finanza, secondo cui l'emissione della fattura comporta l'obbligo dichiarativo e tributario), ma, prosegue il comma 1 dell'art 109, "...tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni." , in quanto l'elemento di reddito incerto nell'art e nel quantum non concorre alla formazione della base imponibile, fino a quando (per l'opposto principio di cassa) tale credito non diventi certo e determinato. Individuando, cosi, un sussidiario principio di cassa allorquando la manifestazione finanziaria dell'obbligazione di riferimento sia incerta o non determinabile in modo obiettivo, così come operato dalla (Omissis) che non ha indicato i crediti derivanti dall'extra-budget in dichiarazioni, bensì nel conto economico quali crediti in contestazione, per poi - eventualmente- spostarli nelle dichiarazioni in cui è avvenuto il pagamento (come avvenuto in relazione all'extra-budget degli anni precedenti, 2002-2006. Anche la prassi amministrativa (cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 165/E del 31.07.2003) esprime un orientamento (seppur in riferimento a fattispecie analoga, ma non identica, riguardando la fatturazione del rimanente 20% delle fatturazioni, incerte e non determinabile) coerente con la ricostruzione offerta. In conclusione, sulle valutazioni del consulente, le operazioni effettuate extra-budget dalla (Omissis) erano assolutamente incerte nell'art e nel quantum (tanto è vero che, nonostante le azioni giudiziarie intraprese dalla società, queste non sono state riconosciute, con il rigetto delle relative domande e la conferma l'impostazione contrattuale per la quale per tali prestazioni non sarebbero stato riconosciuto nulla all'erogatore "...né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo o risarcimento..." (cfr. art. 3 dell'accordo contrattuale tra ASP di Crotone (Omissis) tale ontologica incertezza comporta, ex art. 109 del TUIR, che la relativa posta attiva non dovesse essere oggetto di dichiarazione (e del conseguente obbligo tributario) se non quando (e se) il credito fosse divenuto certo e determinato, cosa mai avvenuta. Mancando l'obbligo dichiarativo di tali poste attive, la dichiarazione orfana di queste non risultava essere infedele. Orbene, prima di valutare compiutamente se la fattispecie concreta emersa dall'istruttoria possa, o meno, essere sussunta in quella stratta, occorre delineare - seppur brevemente - il perimetro di quest'ultima. Come risulta chiaramente dalla clausola di riserva che ne stabilisce l'applicabilità ("Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3..."), l'art. 4, D.Lgs. 74/2000 si pone quale norma residuale, venendo a punire fattispecie di falso in dichiarazione che non sono già regolate dai precedenti e più gravi delitti di dichiarazione fraudolenta (cfr. Cass. Sez. m, 17.01.2018, n. 41260). La condotta è data dall'indicazione, in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di una base imponibile in misura inferiore a quella effettiva attraverso l'esposizione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale o di elementi passivi inesistenti. Si tratta, all'evidenza, di un delitto di tipo commissivo e di mera condotta (cfr. Cass., sez. H 17.11/12.12.2003, n. 47701,) per la cui sussistenza è sufficiente la presentazione di ima dichiarazione infedele, in quanto non conforme alla realtà, dalla quale consegua un'evasione di imposta", senza che sia necessario, invece, alcun carattere ingannatorio della condotta posta in essere (Cass., sez. III, 7.11.2019/5.3.2020, n. 8969; Cass., sez. III, 22.3.2017, n. 30686), rilevando - in caso contrario - la più grave fattispecie di cui all'art 3, stesso decreto. Il delitto ha natura di reato istantaneo che si perfeziona e si consuma al momento della presentazione della dichiarazione annuale infedele relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto (Cass., sez. III, 8.4.2019, n. 23810; Cass., n. 47701/2003; Cass., n. 381/2023), momento dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione (Cass., sez. III, 3.6.1996, LARI). In questa fattispecie, a differenza di quanto avviene, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 158/2015, per le fattispecie di cui agli artt. 2, 3 e 5, continuano ad avere rilevanza unicamente le dichiarazioni annuali, non essendo stato eliminato l'esplicito riferimento unicamente ad esse contenuto nella norma (Cass., n. 23810/2019, che ha esplicitamente escluso la rilevanza della dichiarazione integrativa essendo rilevanti solo quelle annuali). Per quanto riguarda l'esposizione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello reale (rilevante nel caso di specie) si tratta di ima nozione che (tendenzialmente) non crea particolari difficoltà, facendosi con essa riferimento al caso classico del contribuente che non inserisce nella dichiarazione dei proventi che, invece, ha avuto. Al riguardo, l'art 1 lett. b) definisce come "elementi attivi quelle componenti espresse in cifra che concorrono in senso positivo alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto". Il fuoco della fattispecie concreta, invero, risulta essere, non già la sussistenza di poste attive non contabilizzate e dichiarate (con conseguente imposta non versata) la cui esistenza, in fatto, risulta pacificamente acclarata tra le parti e non in contestazione, bensì, e preliminarmente, l'obbligo, o meno, di portare quei particolari crediti (incerti e indeterminati, nonché poi definitivamente non riconosciuti) che la (Omissis) vantava nei confronti dell'ASP per le prestazioni rese in extrabudget, e che non ha portato in dichiarazione, ma in conto economico come crediti in contestazione: in definitiva, come emerso plasticamente nel corso dell'istruttoria, sulla rilevanza ed esclusività )o meno) del principio di competenza ex art. 109 TUIR. Come già anticipato, i crediti vantati non rientravano nelle previsioni contrattuali di spesa, perché oltre la previsione contrattuale di un tetto massimo di spesa, senza che venisse riconosciuto (anzi, esplicitamente escluso) alcun diritto a pretendere un corrispettivo per le prestazioni extra-budget. Infatti, in ordine alla previsione di un "tetto massimo" la documentazione offre sicuri riscontri: ex art. 3 dell'accordo contrattuale, per l'anno 2013, per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali, nonché di quello per l'erogazione di prestazioni ospedaliere, stipulato tra l'ASP di Crotone e la (Omissis) divenuta (Omissis) "l'Erogatore ha preso atto, e con il presente Contratto conferma, di accettare quale tetto massimo annuo 2013 delle Prestazioni Sanitarie da erogare per conto ed a carico del Servizio Sanitario Regionale l'importo di Euro 1.263380,05 (...) Tetto massimo annuo (...) che costituisce la somma dei corrispettivi spettanti all'Erogatore per l'anno 2013". Nello stesso senso si esprimono: l'art. 3 dell'accordo contrattuale per l'erogazione di prestazioni ambulatoriali, nonché di quello per l'erogazione di prestazioni ospedaliere, tra l'ASP di Crotone e la stipulato per l'anno 2014; l'art 4 del contratto per l'erogazione di prestazioni sanitarie tra l'ASP di Crotone e la (Omissis) stipulato per 1 l'anno 2015; l'art. 4 del contratto per l'erogazione di prestazioni sanitarie tra l'ASP di Crotone e la (Omissis) stipulato per l'anno 2016; l'art. 4 dei contratti per l'erogazione di prestazioni sanitarie tra l'ASP di Crotone e la (Omissis)(o (Omissis)) - stipulati per l'anno 2017. Per quanto riguarda, invece, il profilo dell'incertezza dell'an e nel quantum (ovvero, meglio, una vera e propria insussistenza del diritto, sotto qualsiasi forma di compenso, indennizzo o risarcimento per le prestazioni eventualmente erogate extra budget, come chiaramente desumibile dagli accordi indicati) i contratti stipulati tra le parti per le diverse annualità prevedono che (i corrispettivi per) le prestazioni extra budget non sono esigibili; cosi, tra gli altri, il già citato art 3 dell'accordo per l'anno 2013, al punto 3.3 dispone che "le Parti si danno atto che l'Erogatore dovrà programmare la propria attività per rispettare il tetto massimo annuo (...) le Parti convengono che nulla spetterà all'Erogatore né a titolo di compenso, né a titolo di indennizzo o risarcimento, per le prestazioni sanitarie che l'Erogatore medesimo abbia reso superando il seguente limite percentuale indicato in corrispondenza al relativo riferimento temporale: - il 90% del tetto massimo annuo alla data del 31 ottobre 2013; - il 100% del tetto massimo annuo alla data del 31 dicembre 2013..." chiarendo successivamente che tali prestazioni non sono remunerabili da parte dell'ASP "... e pertanto non sono esigibili. Il dato per cui la fatturazione extra-budget della società non avesse buone speranze di riuscita risulta acclarato, ancorché per le annualità precedenti (2002-2006) la (Omissis) sia riuscita ad ottenere il riconoscimento del pagamento: è questo il motivo (anche imprenditoriale) per cui la (Omissis) effettua la fatturazione anche delle prestazioni eseguiti in extra-budget, ovvero tentare (come accaduto anni prima) di vedersi riconoscere, nonostante l'accordo appaia chiaro nell'esclusione, dall'ASP quelle prestazioni o tramite un accordo novativo ovvero tramite azioni giudiziarie che annullino l'imposizione di un tetto e facciano entrare nell'area della remunerabilità anche tali prestazioni, prima escluse. Tuttavia, le azioni giudiziarie intraprese non hanno fatto altro che confermare la legittimità dell'imposizione del tetto massimo di spesa e la non remunerabilità di tali prestazioni, rendendo i crediti da "in contestazione", incerti e indeterminati a definitivamente inesistenti. Orbene, deve darsi atti dell'interpretazione della suprema Corte sul punto, là dove (invero, in ima fattispecie particolarmente simile alla presente, ancorché sul versante della responsabilità tributaria) secondo cui "....è noto che le case di cura stipulano ogni anno una convenzione con l'Azienda Sanitaria Provinciale, in forza della quale è previsto un tetto di remunerazione massima per le prestazioni sanitarie rese ai pazienti nel corso dell'anno; Da ciò discende che le eventuali prestazioni eseguite in aggiunta a quelle suscettibili di essere regolarmente compensate in base a convenzione non possono essere remunerate, a meno che, secondo quanto stabilito dalla medesima convenzione o da atto successivo dell'Ente accreditante, non si verifichino particolari condizioni, suscettibili di far sorgere il diritto alla remunerazione delle prestazioni effettuate oltre il budget, a chiusura del procedimento funzionale ad accertare proprio il verificarsi di siffatte condizioni; D'altronde, l'art.109 del T. U.I.R., dopo aver stabilito al primo periodo del primo comma il principio generale secondo cui "i ricavi... concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza", contempla al secondo periodo del medesimo comma una deroga a tale principio, in forza della quale "i ricavi... di cui nell'esercizio di 6 competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni"; La deroga riportata - la quale esige l'esistenza certa e la determinabilità ctoiettiva (e non forfettaria) dei ricavi - è volta a rendere precisa ed inequivocabile l'allocazione temporale delle poste reddituali; In tal senso, se la certezza postula il venire in essere del titolo giuridico, quindi del presupposto di diritto, dal quale sorge l'obbligazione di pagamento dei corrispettivi, quindi il diritto della casa di cura ad ottenere una prestazione pecuniaria; la determinabilità dell'ammontare dei ricavi presuppone che alla fine dell'esercizio di riferimento l'elemento reddituale sia inequivocabilmente evincibile da atti o documenti probatori che accludano elementi adeguati e sufficienti alla sua quantificazione (cfr. Cass. Sez. Tributaria, Ordinanza n. 2602 del 2019). La decisione, citata anche dal consulente della difesa, evidenzia come per le somme legate alle prestazioni extra-budget, come nel caso di specie, manchi la certezza del credito, non sussistendo alcun titolo produttivo di effetti giuridici sulla base del quale poter ritenere le prestazioni oltre tetto massimo coperte dal budget assegnato, e superato. Ed infatti, le somme derivanti dalle prestazioni rese extra-budget contengono in nuce una obiettiva incertezza nell'art (perché unico titolo giuridico idoneo è la convenzione, che per come visto esclude qualsiasi riconoscimento, indennizzo e/o risarcimento) che rende una concreta prospettiva (quasi una sicurezza, soprattutto dopo il rigetto delle azioni giudiziarie) per (Omissis) quella di non vedersi riconoscere alcuna somma per quelle prestazione; è, altresì, un ricavo (nella definizione aleatoria di cui sopra) altamente indeterminato nell'ammontare, posto che la misura in cui potrebbero essere corrisposte le somme dipende da circostanze per nulla note al termine del periodo d'imposta (accordi con l'ASP della più varia natura, riconoscimento giudiziale parziale eh totale del diritto ad un indennizzo, al risarcimento, al pagamento integrale). "In buona sostanza, - prosegue la decisione citata della suprema Corte - la convenzione costituisce titolo giuridico idoneo a conferire il diritto a ricevere il corrispettivo delle sole prestazioni rese entro il budget assegnato, sicché una volta esaurite le prestazioni rientranti all'interno di quest'ultimo, la casa di cura è consapevole che sarà remunerata in base al contratto, quindi fino al "tetto" rappresentato dal budget; - Per contro, le somme richieste, quant'anche fatturate, per prestazioni eseguite fuori budget non possono essere considerate ricavi, in quanto è la stessa struttura sanitaria ad avere cognizione del fatto che, in forza del titolo giuridico convenzionale, non ha diritta a invocare, men che meno a pretendere, la relativa remunerazione: - Del resto, la convenzione può al più subordinare l'assegnazione di risorse aggiuntive al verificarsi di condizioni future ed incerte, ma detta previsione non assurge a fonte di un credito certo, men che meno delinea i presupposti per determinarlo, comportando, piuttosto, la necessità di attendere, affinché il credito sorga, il successivo ed eventuale provvedimento con cui l'ASP, conclusi i necessari controlli, riconosce alla casa di cura le remunerazioni aggiuntive, dando origine, sostanza, certezza e determinatezza ai ricavi della struttura". In definitiva sul punto, deve confermarsi il principio di diritto per cui quando, come nel caso di specie, i requisiti di certezza e determinabilità dei componenti di reddito siano esclusi dall'accordo contrattuale tra le parti e siano, nondimeno, nell'eventualità del tentativo di un loro riconoscimento da parte della società, condizionati (nella loro esistenza, oltre che nel quantum) a procedure amministrative, ovvero a contenziosi (poi, rigettati) o al tentativo di nuovi accori con l'ASP, i requisiti di certezze e determinabilità dei componenti attivi del reddito sono acquisiti (e, quindi, ex art. 109 TLJIR da indicare in dichiarazione, fondando il relativo obbligo tributario ai fini dell'imputazione del reddito ad un determinato esercizio di imposta) solo quando (e se) perviene un provvedimento (giurisdizionale e/o amministrativo) che ne verifichi i presupposti e ne liquidi l'ammontare (cfr. Cass. 12831/2002), ribadendosi la non remunerabilità del dato in sé che non rappresenta mi ricavo e nemmeno un diritto di credito nei confronti dell'ASF5. Tale ricostruzione, secondo la quale le prestazioni extra-budget effettuate dalla (Omissis) (e per esse, per quanto qui interessa, dagli imputati succedutisi quali legali rappresentanti) e non indicate in dichiarazione (con conseguente, secondo l'impostazione originaria dell'Ufficio di Procura, infedeltà della dichiarazione ed evasione dell'imposta dovuta), fosse aderente agli obblighi tributari è altresì confermata dalla produzione documentale della difesa e, in particolare, del verbale di contraddittorio del 21.07.2020 (relativo agli esercizi 2013-2014) e i conseguenti atti di adesione nn. 11401,11402 e 11403, nonché le decisioni gemelle della Corte di Giustizia Tributaria di IA grado di Crotone, in atti, n. 398/2022 (per l'anno 2015), n. 129/2023 (per l'anno 2016) che accoglieva i ricorsi della (Omissis) proprio argomentando in base all'art. 109 TUIR ed alla relativa certezza dell'an e del quantum. Coerentemente con quanto sin qui evidenziato, pertanto, deve concludersi come le contestate dichiarazioni non fossero infedeli perché quei ricavi (che tali non erano allo stato, e non Io sono mai iati, cfr. sent. TAR del TAR Calabria n. 361/2022 del 29.02.2020) erano (quantomeno) assolutamente incerti sia nell'an che nel quantum, tali da non fondare, da un lato, il relativo obbligo di dichiarazioni , dall'altro, il conseguente obbligo tributario, con imposta evasa. gli imputati devono (conformemente alle richieste conclusive del Pubblico Ministero), pertanto, essere mandati assolti dai reati a loro ascritti. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p. assolve (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) dal reato a loro rispettivamente ascritti in rubrica perché il fatto non sussiste. Motivazione entro giorni novanta. Così deciso in Crotone il 17 luglio 2023. Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE Sezione CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Sofia Nobile de Santis ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1003/2019 promossa da: Fe.Gr. (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. AL.LU., elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore avv. AL.LU. ATTORE/I contro Ba.Fr. (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. BR.RO., elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore avv. BR.RO. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1) Con atto di citazione ritualmente notificato, Fe.Gr. si è opposto al decreto ingiuntivo n. 255/2019, emesso in data 12.03.2019 dall'intestato Tribunale in favore della ditta individuale Ba.Fr., deducendo: - la prescrizione del credito azionato con la procedura monitoria, essendo la fattura fondante l'emissione del decreto ingiuntivo del 31.12.2005, mentre il decreto ingiuntivo è stato notificato in data 20.03.2019, a distanza di oltre 14 anni; - la mancata corresponsione di acconti pari ad Euro 200,00, nell'anno 2015, da parte di Fe.Gr. alla ditta Ba.Fr.; - la mancata indicazione, nel ricorso per decreto ingiuntivo, del tipo di merce oggetto del contratto sottostante alla fattura; - la mancanza degli elementi della certezza, liquidità ed esigibilità del credito ai sensi dell'art. 633 c.p.c. Chiedeva di accertare che la ditta Ba.Fr. non vanta alcun credito nei confronti dell'opponente a causa dell'intervenuta prescrizione e per l'effetto, revocare, annullare, dichiarare nullo o inefficace il decreto ingiuntivo opposto. 1).1 Si è costituita la Ditta Individuale Ba.Fr. chiedendo il rigetto dell'opposizione e deducendo che: - Fe.Gr., tramite l'esecuzione di alcuni pagamenti parziali, aveva più volte interrotto la prescrizione; - più precisamente, erano state versate da Fe.Gr. le seguenti somme: Euro 4.037,00 a saldo parziale della fattura n. (...); Euro 500,00 in data 31.10.2012 a saldo parziale della fattura n. (...), successivamente veniva effettuato un ulteriore versamento pari ad Euro 1.500,00 a saldo parziale della fattura oggetto del decreto ingiuntivo oggi opposto ed infine nel 2015 veniva versata la somma di Euro 200,00; - in data 06.10.2017 veniva inviata, tramite posta elettronica certificata alla pec di Fe.Gr., una scheda contabile, mai contestata dall'opponente, dove si faceva riferimento al residuo da pagare in virtù della fattura n. (...); - il pagamento delle predette somme da parte di Fe.Gr., oltre ad essere riconoscimento di debito, deve considerarsi atto interruttivo della prescrizione; - in ogni caso, Fe.Gr. non ha mai disconosciuto i pagamenti parziali dallo stesso effettuati. Chiedeva, nel merito, rigettare l'opposizione perché inammissibile, improponibile ed infondata in fatto e in diritto e per l'effetto, dichiarare l'efficacia del decreto ingiuntivo e la dovutezza della somma portata dallo stesso; con condanna dell'opponente al pagamento delle spese e competenze del giudizio. 1).2 All'udienza del 15.10.2019 il Giudice Istruttore rigettava l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ex art. 649 c.p.c. Successivamente alla concessione dei termini ex art. 183, c. 6 c.p.c., all'udienza del 19.03.2020 venivano rigettate le istanze istruttorie e la causa veniva ritenuta matura per la decisione. Dopo plurimi rinvii disposti per esigenze legate al carico di ruolo, la causa giungeva all'udienza del 16.02.2023, svoltasi davanti allo scrivente Giudice Istruttore (assegnatario della medesima a far data dal 30.11.2022). Alla predetta udienza la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. 2) Quanto all'eccezione di prescrizione sollevata dalla parte opponente si osserva quanto segue. Occorre preliminarmente ricordare che in materia di pagamenti in acconto di un debito la Cassazione ha più volte affermato che "il pagamento in acconto di un debito non implica necessariamente, di per sé, rinuncia alla prescrizione, ove maturata, sebbene possa essere interpretato dal giudice di merito, insieme agli altri elementi istruttori, alla stregua di un atto incompatibile con la volontà di avvalersene" (cfr. ex multis Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 41489 del 24/12/2021). Orbene, venendo alle risultanze istruttorie del presente giudizio, risultano versate in atti le quietanze relative all'incasso di due acconti imputati alla fattura n. (...) del 31.12.2005 (cfr. doc. 1 e 2 allegati alla memoria ex art. 183, c. 6, n. 2, c.p.c.), i cui versamenti risalgono alle date del 2.4.2011 (per Euro 1.500) nonché del 31.10.2012 (per Euro 500,00). Tali deduzioni istruttorie sono state ritualmente svolte dalla parte opposta con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., senza incorrere in alcuna preclusione né violazione del diritto al contraddittorio contrariamente a quanto sostenuto dalla parte opponente. Risulta versato in atti, altresì, un prospetto relativo agli acconti versati da Fe.Gr. nel corso degli anni; documento quest'ultimo non specificamente contestato dalla parte opponente che nel giudizio ha specificamente disconosciuto solo il versamento "nell'anno 2015 di acconti pari ad Euro 200,00 alla ditta Ba.Fr." (cfr. p. 2 atto di citazione). Parimenti, non risulta che parte opponente abbia mai mosso alcuna contestazione né in ordine alla conclusione del contratto, né in ordine all'avvenuta fornitura di merci da parte della Ditta Ba.Fr.. Sulla base dell'apprezzamento complessivo delle risultanze istruttorie, deve dunque ritenersi che i vari pagamenti eseguiti in acconto da Fe.Gr. abbiano avuto un effetto interruttivo della prescrizione. Priva di pregio, poi, è l'osservazione di parte opponente, secondo cui la pec versata in atti da parte opposta, del 6.10.2017 (cfr. doc. 3 allegato alla memoria ex art. 183, c. 6, n. 2), non sarebbe equiparabile ad una "messa in mora". Al contrario, deve ritenersi che l'invio della suddetta pec costituisca atto interruttivo della prescrizione, essendo pacifico che, ai fini dell'interruzione della prescrizione, è sufficiente la comunicazione del fatto costitutivo della pretesa - trattandosi di atto non soggetto a formule sacramentali - che assolva allo scopo di portare a conoscenza del debitore la volontà del creditore, chiaramente manifestata, di far valere il proprio diritto (ex multis Cass. 24054/2015). Nel caso di specie, la missiva inviata dalla ditta B. individuava l'importo richiesto in pagamento con la formulazione di una richiesta di adempimento, non potendo essere considerata quale semplice sollecitazione non diretta ad ottenere l'adempimento. Non sussistono dunque i presupposti per la revoca del decreto ingiuntivo, poiché il credito azionato con la procedura monitoria non risulta prescritto ed essendo formata la prova, sotto il profilo del titolo costitutivo della pretesa de qua, del contratto intervenuto tra le parti e della conseguente esecuzione della prestazione da cui origina il credito ingiunto. Del tutto generica appare, infine, la contestazione di parte opponente in merito alla mancanza degli elementi della certezza, liquidità ed esigibilità del credito ex art. 633 c.p.c. 3) Ne risulta assorbito ogni ulteriore profilo, anche istruttorio. 4) Le spese seguono la soccombenza e sono calcolate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022, con applicazione dei valori minimi. Pertanto, il Tribunale condanna Fe.Gr. a rifondere alla Ditta individuale Ba.Fr. le spese di lite sostenute per il presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 1.278,00 (scaglione da Euro 1.101,00 a 5.200,00), oltre a 15% rimborso spese generali, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. respinge l'opposizione e conferma il decreto ingiuntivo n. 255/2019 emesso dal Tribunale di Crotone in data 12.03.2019; 2. condanna Fe.Gr. a rifondere alla Ditta individuale Ba.Fr. le spese di lite sostenute per il presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 1.278,00, oltre 15% rimborso spese generali, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge. Così deciso in Crotone il 30 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CROTONE Il Tribunale di Crotone, sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 1727/2021 R.G. proposta da Ca.Em., nata a C. M. (K.) il (...) (cod. fisc.: (...)), Ca.Di., nato a S. (D.) il (...) (cod. fisc.: (...)), Ci.Ro., nato a M. il (...) (cod. fisc.: (...)), e Ca.An., nato a C. sul N. (M.) il (...) (cod. fisc. (...)), elettivamente domiciliati in Cirò Marina (KR), alla via (...), 206, A/2, presso lo studio dell'avv. Ro.Fa. (cod. fisc. (...), pec: (...)), che li rappresenta e difende, giusta procura in calce all'atto di citazione; - ATTORI - contro Ca.An., nato a C. M. (K.) il (...) (cod. fisc. (...)), elettivamente domiciliato in Cirò Marina (KR), alla Via (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Se. (cod. fisc. (...) - pec: (...)), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - CONVENUTO - nonchè Bo.Fr., nato a O. am M. (D.) il (...) (cod. fisc.: (...)); Le.Mi., nata a C. M. (K.) il (...) (cod. fisc.: (...); - CONVENUTI CONTUMACI- MOTIVI I.- Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusta il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riassumersi come segue. I.1.- Si controverte di una domanda giudiziale avente ad oggetto la declaratoria di nullità o inefficacia di un contratto di compravendita di bene ereditario, la restituzione alla massa, la condanna al pagamento di indennità di occupazione. I.2.- Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori Ca.Em., Ca.Di., Ci.Ro. e Ca.An. esponevano: di essere, unitamente al convenuto Ca.An., eredi legittimi di Ca.An. (nato a C. il (...) e deceduto in Crotone il 10.4.2009); che in successione di Ca.An. (classe 1918) avevano ereditato i diritti immobiliari per 2/8 (Ca.Em., Ca.Di. e Ca.An. - classe 1978-) e per 1/8 (Ci.Ro. e Ca.An.); che Ca.An. (classe 1978) aveva alienato - con atto del 3.1.2020 per notaio dott. Gi.Ca. - a Bo.Fr., al quale era coniugata Le.Mi. in comunione dei beni, l'appartamento sito in C. M. alla via G. snc (in Catasto Fabbricati del comune di Ci.Ma., al foglio n. (...), particella (...) sub. (...), cat. (...), classe (...), di vani 6,5, superficie catastale mq. 141, piano 1), nonché un vano deposito al piano terra del medesimo edificio, della superficie di circa 105 mq, sito in C. M. alla via G. snc (in Catasto Fabbricati del comune di Ci.Ma., al foglio n. (...), particella (...) sub. (...), cat. (...), classe (...)), facenti parte dell'asse ereditario; che tale vendita era avvenuta in spregio dei diritti successori degli odierni attori ed in quanto Ca.An. (classe 1978) si era dichiarato possessore ultraventennale dei predetti immobili; che avevano esperito senza alcun esito la procedura di mediazione obbligatoria; che il convenuto Ca.An. (classe 1978) e Bo.Fr. con Le.Mi. avrebbero dovuto corrispondere agli attori i frutti civili dal gennaio 2021 e fino al rilascio degli immobili. Chiedevano, pertanto, l'accertamento della nullità e/o inefficacia dell'atto di compravendita del 3.1.2020 dei beni descritti in citazione e per l'effetto l'ordine ai convenuti di restituire gli immobili alla massa ereditaria; la condanna dei convenuti al pagamento dell'indennità di occupazione in favore dei coeredi, quantificata in Euro 3.513,30 o nella somma di giustizia, oltre al pagamento delle spese di mediazione. I.3.- Si costituiva Ca.An. (classe 1978) con propria comparsa, deducendo: che gli immobili per cui è causa ed oggetto della compravendita del 2020 erano stati da sempre posseduti uti dominus da Ci.Gi., nato a C. il (...) e deceduto in Ci.Ma. il 3.8.2007; che l'odierno convenuto, figlio di Ci.Gi. e suo unico erede, stante la rinuncia all'eredità delle sorelle Ca.Em. e C.S., aveva posseduto gli immobili in continuità con il suo dante causa; che la moglie di Ci.Gi., Fo.Ta., aveva divorziato dal marito e pertanto non gli era succeduta; che gli altri eredi di Ca.An. (classe 1918) erano divenuti successori nel 2011, ma non avevano mai avuto il possesso dei beni per cui è causa e non avevano mai rivendicato gli stessi. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda. I.4.- I convenuti Bo.Fr. e Le.Mi., invece, non si costituivano nonostante la regolare notifica dell'atto di citazione e all'udienza del 7.2.2022 ne era dichiarata la contumacia. I.5.- Dopo lo svolgimento dell'istruttoria orale, all'udienza del 13.3.2023 la causa - sulle conclusioni delle parti, che si riportavano agli atti ed ai verbali di causa - è stata trattenuta indecisione, con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. * * * * II.1.- La fattispecie posta all'attenzione del Tribunale può essere ricostruita nel seguente modo. Al momento dell'apertura della successione di Ca.An. (nato a C. il (...) e deceduto in Crotone il 10.04.2009) come da dichiarazione di successione del 9.3.2011 presentata all'Agenzia delle Entrate, Ufficio territoriale di Crotone, in data 9.3.2011 al n.170 vol. 9990, non contestata, gli eredi del de cuius erano: Ca.Em., nata il (...) a Ci.Ma. (figlia), Ca.Di., nato il (...) in G., (figlio), Ca.An., nato il (...) a Ci.Ma. (nipote, in rappresentazione di Ci.Gi., nato il (...) a C., figlio, deceduto il 3.8.2007), Ci.Ro., nato il (...) a M., Ca.An., nato il (...) a C. sul N., (nipoti, in rappresentazione di Ci.Ma., nata il (...) a Ci.Ma., figlia, deceduta il 28.12.2003). Ca.Em., nata il (...) a C. e C.S., nata il (...) a C., nipoti, in rappresentazione di Ci.Gi., nato il (...) a C., figlio, deceduto, avevano invece rinunciato all'eredità. Ne consegue che, per successione mortis causa di Ca.An., Ca.Em., Ca.Di. e Ca.An. avevano acquistato i diritti immobiliari in ragione di 2/8 ciascuno e Ci.Ro. e Ca.An. i diritti immobiliari per la quota di 1/8 ciascuno sui seguenti beni: appartamento sito in C. M. alla via G. snc (in Catasto fabbricati del comune di Ci.Ma. al foglio n. (...), particella (...) sub. (...), cat. (...), classe (...) di vani 6,5, superficie catastale mq. 141 piano 1); vano deposito al piano terra del medesimo edificio, della superficie di circa 105 mq, sito in C. M. alla via G. snc (in catasto fabbricati del comune di Ci.Ma. al foglio n. (...), particella (...) sub. (...), cat. (...), classe (...)). In data 3.2.2020 il solo Ca.An. (classe 1978) ha alienato i predetti beni a Bo.Fr., odierno convenuto contumace, coniugato in regime di comunione di beni con Le.Mi., odierna convenuta contumace. Gli attori, sul presupposto dell'inefficacia o nullità della vendita dei beni ereditari, chiedono la condanna dei convenuti alla restituzione degli stessi alla massa ed al pagamento in favore dei coeredi dell'indennità di occupazione dal gennaio 2021. .II. 2.- Deve rilevarsi inoltre, ai fini della qualificazione giuridica della presente fattispecie, che la vendita compiuta da Ca.An. (classe 1978) può qualificarsi come vendita di bene parzialmente altui in comunione ereditaria. L'erede che vende un bene ereditario o parte di esso, prima ancora di divenirne esclusivo proprietario, stipula infatti un contratto di vendita di cosa (parzialmente) altrui. Egli, secondo quanto disposto dall'art. 1478 c.c., assume l'obbligo di procurare l'acquisto al proprietario. Il compratore, da parte sua, ha sul bene ereditario venduto solo un diritto di credito da fare valere nei confronti del reale erede assegnatario. F. che tale assegnazione non viene effettuata, il diritto dell'acquirente non può essere soddisfatto (Cass. ord. 19.2.2019: "La vendita, da parte di uno dei coeredi, di un bene rientrante nella comunione ereditaria ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene medesimo al coerede-venditore attraverso la divisione, giacché, sino a tale momento, il detto bene continua a fare parte della comunione e, finché quest'ultima perdura, il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa né, tantomeno, la quota ideale di uno specifico bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, essendo quest'ultimo titolare esclusivamente di una quota di eredità - intesa come universitas e, dunque, di per sé già alienabile - al cui interno non è certo che rientri, in occasione della divisione, la proprietà della res alienata"). Pertanto, è sempre consentito al coerede l'alienazione della sua quota ereditaria ancorché rispettando le regole dettate dall'art. 732 c.c. in tema di prelazione ereditaria, mentre per ormai pacifica giurisprudenza della Cassazione "la vendita di un bene, facente parte di una comunione ordinaria, da parte di uno solo dei comproprietari, ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia subordinata all'assegnazione del bene al venditore a seguito della divisione; pertanto, fino a tale momento, poiché il bene continua a far parte della comunione, l'acquirente può avvalersi solo dei diritti di cui all'art. 1113 c.c., e non è parte necessaria del giudizio di divisione e la sua mancata evocazione in giudizio comporta unicamente che la divisione non abbia effetto nei suoi confronti, ma non anche l'invalidità della sentenza pronunciata in sua assenza" (Cass. n. 4428 del 23.2.2018). Trattasi della c.d. vendita di quotina, con la quale il coerede, alienando un intero bene ereditario rispetto ad un asse composto da diversi cespiti, in realtà non trasferisce alcunché, poiché l'atto non produce effetti se non per i diritti spettanti all'alienante che sono costituiti da una quota indivisa pari al valore della sua partecipazione all'intero asse. L'atto in questione è, quindi, valido, ma privo di effetti traslativi poiché l'alienante non poteva cedere l'intero immobile, ma - al massimo - la sua quota. Fatta questa necessaria premessa, e precisato che nella fattispecie in esame non risulta che i coeredi abbiano compiuto operazioni di divisione dell'asse ereditario, deve rilevarsi che il convenuto coerede eccepisce di aver usucapito i beni oggetto di causa. La Corte di Cassazione ha chiarito che un coerede prima della divisione dell'asse può usucapire un cespite ereditario, e ciò senza alcuna interversio, ma per ottenere tale risultato egli deve porre in essere una condotta espansiva tale da precludere agli altri comproprietari qualsiasi utilizzo del bene medesimo e ciò deve fare in opposizione, ossia contro l'esplicita volontà dei comunisti. Se invece vi è il consenso degli altri comproprietari, anche tacito, ossia manifestatosi in una assenza di reazione all'utilizzo esclusivo, il comproprietario non usucapisce alcunché, poiché la disponibilità dell'intero cespite va imputata, per la quota astratta di sua pertinenza, alla sua posizione di comproprietario, e per le quote riferibili agli altri coeredi, ad una loro tolleranza e dunque ad una detenzione. Non è, infatti, ammissibile che il coerede usucapisca in danno degli altri comunisti la proprietà di un cespite ereditario in una situazione di mera tolleranza o disinteresse, poiché in tal modo si ammetterebbe un acquisto a titolo originario occulto, ossia non percepito dagli altri comproprietari che ad esso non avrebbero motivo di reagire avendo concesso l'utilizzo esclusivo per benevolenza o solidarietà familiare. Solo quando la condotta del comproprietario si ponga in evidente contrasto con quella degli altri comunisti, allora potrà aversi una situazione possessoria idonea a far decorrere i termini per l'acquisto a titolo originario. Rappresenta, peraltro, un orientamento oramai pacifico in giurisprudenza il principio in base al quale l'accertamento per via giudiziale dell'intervenuta usucapione ha solo natura dichiarativa e non costitutiva. In virtù di tale principio, il notaio può stipulare un atto di alienazione nel caso in cui il venditore abbia dichiarato di aver acquistato il bene per usucapione, anche prima ed indipendentemente dalla sentenza che accerta il diritto. Tuttavia, la circostanza che in un rogito notarile sia inserita una dichiarazione di tale natura discende dal fatto che il notaio rogante deve chiedere alla parte di indicargli i titoli di provenienza, sicché nel caso in esame il C., che era privo di tale titolo, ha semplicemente allegato di aver posseduto per il tempo sufficiente a maturare l'usucapione. Sul punto, la Corte di Cassazione, con sentenza 5.2.2007, n. 2485, ha ritenuto che "non incorre in responsabilità per negligenza professionale il notaio il quale, nell'ipotesi di vendita di terreni dei quali l'alienante assumeva di avere acquistato la proprietà per usucapione senza il relativo accertamento giudiziale, non abbia avvertito l'acquirente che l'acquisto poteva essere a rischio, ove nell'atto venga espressamente inserita una clausola dalla quale possa desumersi che l'acquirente era comunque consapevole di tale rischio" e che "non è nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un immobile sul quale il venditore abbia esercitato il possesso per un tempo sufficiente al compimento dell'usucapione, ancorché l'acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario". Secondo la Corte, pertanto, l'usucapione è un modo di acquisto a titolo originario che si produce autonomamente e che non richiede, per il suo verificarsi, alcun accertamento giudiziale, che ha solo natura dichiarativa. Il giudice, infatti, si limita a verificare che sussistano tutti gli elementi idonei all'effetto acquisitivo sicché la relativa pronunzia vale solo a rendere giudizialmente accertato l'evento. Un atto di tale natura non può comunque implicare un trasferimento del possesso, poiché il possesso non è mai trasferibile; esso può essere solo posto in essere dall'interessato in quanto ciascuno possiede per sé, avendo tale istituto un contenuto di mero fatto, risolvendosi in un comportamento. Un soggetto può o sfruttare il possesso altrui, o unire il proprio possesso a quello del proprio dante causa - accessione nel possesso in caso di morte, successione nel possesso tra vivi - senza che la situazione possessoria sia suscettibile di trasferimento. Ciò posto, un atto di vendita in cui l'alienante dichiari di essere titolare del diritto ceduto per usucapione si risolverà in una vendita a non domino se in sede giudiziale tale acquisto a titolo originario non venga confermato, senza che sia possibile sostenere che il venditore, con una dichiarazione unilaterale (anche se poi rivelatasi infondata), possa alterare gli oneri di prova che al contrario permangono immutati. Chi assume di aver acquistato per usucapione deve provare la circostanza. Quanto alla trascrizione, nel caso di atto notarile essa avviene solo a favore del compratore e contro l'alienante, non avendo quel carattere universale che la conservatoria riconosce ai soli accertamenti giudiziali che si svolgono nei confronti dei soggetti che, sulla base dei registri immobiliari, risultano titolari di diritti in contrasto con chi afferma il proprio acquisto a titolo originario. Ne deriva che l'atto notarile nel quale il titolo di provenienza sia un'usucapione contiene un'interruzione nella catena delle trascrizioni e se poi in sede giudiziale l'usucapione non viene accertata, come detto, l'acquisto sarà a non domino. II.3. Ebbene, sulla scorta delle circostanze di fatto come enunciate, della ricostruzione giuridica come compiuta e della documentazione allegata ai fascicoli di parte, oltre che in relazione all'esito delle prove orali, deve rilevarsi che la domanda di parte attrice è fondata e dev'essere accolta, risultando infondata l'eccezione di usucapione formulata dal convenuto. Ca.An. (classe 1978) non ha fornito la prova del possesso idoneo ad usucapire i beni immobili oggetto di causa. Il teste S.A., figlio dell'attrice Ca.Em., ha dichiarato che nel 2009 tra fine luglio e agosto i due immobili erano disabitati. Ha specificato che nel 2009, dopo la fine di una causa dinanzi al Tribunale di Crotone, di cui si dirà appresso, era stato inviato dalla madre (la quale aveva le chiavi dell'appartamento) a compiere un sopralluogo sugli immobili, a seguito del decesso del nonno Ca.An. (classe 1918) e della circostanza che la zia Fo.Ta., che prima occupava l'immobile, era andata via, ed ha dichiarato che gli immobili oltre che disabitati erano anche non abitabili in quanto "andava sistemato l'impianto elettrico, idrico, imbiancare e tutte quello che occorreva". Ha precisato che Ci.Gi., padre e dante causa del convenuto, che intende unire il proprio possesso a quello del padre, aveva abitato l'immobile dal 1992-1993 al 1998, quando, separatosi dalla moglie, si era trasferito nel retro del bar. Il teste P.D.M., che era stato incaricato da Ca.Em. in qualità di tecnico per le pratiche della successione paterna, ha dichiarato che aveva compiuto il sopralluogo alla presenza di tutti gli eredi, circostanza rilevantissima, idonea a dimostrare che in effetti tutti i coeredi erano d'accordo sull'inclusione nella comunione ereditaria dei beni odiernamente contesi. Quanto alle condizioni dell'immobile, egli ha dichiarato che "il piano terra era fatiscente perché non era agibile. L'interno era pieno di umidità. Gli intonaci non erano in condizioni da rendere abitabile il locale. Non ricordo se dentro c'era qualcosa", precisando che erano decorsi tredici anni dal sopralluogo alla data dell'escussione testimoniale. Evidentemente, pertanto, il bene era nella disponibilità materiale e giuridica di tutti i coeredi quantomeno sino all'epoca dell'avvio delle pratiche della successione di Ca.An.. I testi del convenuto non hanno reso dichiarazioni idonee a smentire quelle fondate sui menzionati elementi certi, rese dai testi degli attori. Il teste P.A., cugino delle parti, si è limitato a confermare che prima Ci.Gi. e poi Ca.An. (classe 1978) avevano abitato l'appartamento e che gli stessi avevano compiuto lavori di ristrutturazione negli anni. Ha inoltre dichiarato che il de cuius Ca.An. aveva destinato l'appartamento a Ci.Gi.. Anche la teste F.M., sorella di Fo.Ta. (ex moglie di Ci.Gi.) ha confermato che Ci.Gi. e la sua famiglia avevano da sempre abitato l'immobile. Ci.Gi., cugino delle parti, ha confermato anch'egli che l'immobile era stato destinato dal de cuius Ca.An. alla famiglia di Ci.Gi. e dalla stessa abitato, oltre che utilizzato, e ristrutturato negli anni. Tuttavia, le dichiarazioni sinora esaminate dei testi di parte convenuta sono meramente idonee a confermare che, con la tolleranza degli altri coeredi, Ca.An. (classe 1978) ha potuto utilizzare l'immobile, ma non sono sufficienti a ritenere che in suo capo si sia maturato alcun possesso valido per l'usucapione, anche perché dall'epoca del decesso del de cuius non è trascorso il termine ventennale per il maturarsi dei requisiti per l'usucapione. Anche la circostanza che il bene sia stato incluso tra quelli derivanti dalla successione paterna con il consenso di tutti gli eredi assume rilevanza, in quanto in effetti in quella sede Ca.An. (classe 1978) non aveva sostenuto di essere divenuto proprietario esclusivo dei beni oggetto della presente controversia, né aveva tentato di escludere i beni contesi vantando il suo possesso in unione con quello paterno. Assume inoltre rilevanza quanto statuito nella sentenza del Tribunale di Crotone, sez. dist. di Strongoli, emessa nel giudizio R.G: n. 241/2004, n. 244/2008, esibita dagli attori. Quel giudizio era stato instaurato da Fo.Ta. contro Ca.An. (classe 1918) ed aveva ad oggetto l'accertamento dell'usucapione maturata in suo capo contro il proprietario, ex suocero. La Figoli sosteneva di possedere l'immobile dal 18.9.1977 in modo continuo, pacifico e ininterrotto mentre Ca.An. aveva dichiarato di aver concesso provvisoriamente l'immobile ai coniugi Ci.Gi.-Fo.Ta. in comodato gratuito. Il Tribunale ha accertato che l'immobile era stato concesso provvisoriamente a Ci.Gi. ed alla moglie Fo.Ta. in comodato gratuito, essendo giunto ad una siffatta pronuncia all'esito dell'istruttoria compiuta per testi. Tale sentenza, sebbene emessa tra parti diverse, costituisce comunque un elemento utilizzabile al fine di escludere che in capo a Ci.Gi. si fosse configurata una situazione di possesso tutelabile ad usucapionem. Quanto alla domanda principale, rigettata l'eccezione di usucapione, la stessa dev'essere pertanto accolta; considerato, tuttavia, che il contratto di compravendita concluso da Ca.An. (classe 1978) non è invalido, ma inefficace, con la presente sentenza il Tribunale si limiterà a dare atto che il contratto di compravendita del 2020 è inefficace ed a disporre a carico dei convenuti, in solido, l'ordine di restituzione dell'immobile alla massa ereditaria. Non può essere, infine, accolta la domanda di corresponsione di un'indennità di occupazione in favore degli attori, proprio in quanto il contratto di compravendita del 2020 è inefficace ab origine e non ha prodotto alcun effetto in capo ai convenuti B. e L.. Non è stato inoltre dimostrato che i beni compravenduti siano nel possesso esclusivo dei convenuti, motivo ulteriore per il quale non può essere disposta alcuna corresponsione di indennità di occupazione. III. Le spese seguono la soccombenza. Tenuto conto della mancata costituzione dei convenuti B. e L., il Tribunale ritiene opportuno compensare le spese di lite tra le altre parti e i convenuti B. e L.. Il convenuto Ca.An. dev'essere invece condannato al pagamento delle spese sostenute da parte attrice, tenuto conto del valore della causa, come indicato dagli attori, in applicazione dei valori medi di cui alle tariffe del D.M. n. 55 del 2014, come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022, opportunamente ridotti per la semplicità delle questioni giuridiche controverse. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa R.G. n. 1727/2021, instaurata da Ca.Em., nata a C. M. (K.) il (...) (cod. fisc.: (...)), Ca.Di., nato a S. (D.) il (...) (cod. fisc.: (...)), Ci.Ro., nato a M. il (...) (cod. fisc.: (...)), e Ca.An., nato a C. sul N. (M.) il (...) (cod. fisc. (...)), contro B., nato a O. am M. (D.) il (...) (cod. fisc.: (...)) e Le.Mi., nata a C. M. (K.) il (...) (cod. fisc.: (...), così provvede: a) In accoglimento della domanda attorea, dà atto dell'inefficacia in favore della massa ereditaria del de cuius Ca.An. (nato a C. il (...) e deceduto in Crotone il 10.4.2009) del contratto di compravendita stipulato tra Ca.An. (classe 1978) e Bo.Fr. con atto del 3.1.2020 per notaio dott. Gi.Ca., ed avente ad oggetto l'appartamento sito in C. M. alla via G. snc (in Catasto fabbricati del comune di Ci.Ma. al foglio n. (...), particella (...) sub. (...), cat. (...), classe (...) di vani 6,5, superficie catastale mq. 141 piano 1), nonché il vano deposito al piano terra del medesimo edificio, della superficie di circa 105 mq, sito in C. M. alla via G. snc (in Catasto fabbricati del comune di Ci.Ma. al foglio n. (...), particella (...) sub. (...), cat. (...), classe (...)), e per l'effetto: a1) Dispone la restituzione alla massa ereditaria dei beni oggetto di compravendita; b) Rigetta la domanda degli attori di corresponsione dell'indennità di occupazione; c) Compensa le spese di lite tra le parti e Bo.Fr. e Le.Mi.; d) Condanna il convenuto Ca.An. al pagamento delle spese di lite sostenute da parte attrice, che liquida in Euro 759,00 per esborsi ed Euro 7.052,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Così deciso in Crotone il 28 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 28 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CROTONE SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona del Giudice Valentina Tumedei ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta a ruolo al n. 888/2020 R.G. promossa da: (...), nato a Petilia Policastro (KR) il (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. An.Ie., presso lo studio del quale, sito in Petilia Policastro alla via V., ha eletto domicilio PARTE ATTOREA contro: (...), nato a Petilia Policastro (KR) il (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. Gi.Sc., presso lo studio del quale, sito in Petilia Policastro alla via A., ha eletto domicilio PARTE CONVENUTA Oggetto: vendita di cose immobili. Conclusioni: come da note scritte ritualmente depositate ex art. 127 ter cod. proc. civ. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), dedotto che in data 25.03.2019 ha stipulato con (...) un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto l'immobile sito in Petilia Policastro alla via C., identificato al catasto fabbricati del predetto Comune al foglio .., particella .., sub B, che per l'acquisto è stato pattuito il prezzo di Euro 27.000,00, di cui Euro 300,00 versati al momento della sottoscrizione ed Euro 10.000,00 corrisposti in data 02.04.2019, che solo alla fine del mese di giugno, dopo aver ricevuto le chiavi del predetto immobile, ha scoperto che il bene è affetto da vizi consistenti in "fuoriuscite di acqua dalla parete frontale dell'immobile, addirittura incanalate tramite apposito canale costruito dal sig. (...) e non visibili al momento della stipula del contratto preliminare di compravendita e quindi al momento del primo sopralluogo, perché occultate da una scaffalatura montata sulla parete viziata", ha chiesto all'intestato Tribunale, previo accertamento dell'esistenza dei vizi allegati, di dichiarare la risoluzione del contratto, con condanna di controparte alla restituzione delle somme percepite nonché al risarcimento del danno da quantificarsi in Euro 5.000.00 o nella diversa somma, maggiore o minore, che sarà accertata in corso di causa. 2. Si è tempestivamente costituito in giudizio (...), il quale, dedotto che è inapplicabile la disciplina in materia di vendita, che non vi è la prova di un inadempimento imputabile grave, che controparte ha sottoscritto il preliminare accettando l'immobile "nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, come visto e piaciuto" e comunque è perfettamente idoneo all'uso cui è destinato, che controparte è inadempiente rispetto all'obbligo di concludere il contratto definitivo e la somma corrispostagli dal promissario acquirente è stata versata a titolo di caparra confirmatoria, ha chiesto di rigettare la domanda avversaria nonché di accertare il suo diritto a trattenere la caparra confirmatoria ex art. 1385 co. 2 cod. civ. 3. Concessi i termini di cui all'art. 183 co. 6 cod. proc. civ., la causa è stata istruita, oltre che documentalmente, mediante prova orale e CTU a firma dell'ing. (...). Con ordinanza ex art. 127 ter cod. proc. civ. depositata in data 15.02.2023 la causa è stata trattenuta in decisione con la concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 cod. proc. civ. nella misura massima di legge. 4. La domanda di parte attorea è fondata e merita accoglimento. 4.1. Preliminarmente, in punto di diritto, si evidenzia che "In caso di preliminare di immobile con consegna anticipata, la consegna dell'immobile oggetto dell'accordo effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti né, comunque di quello di prescrizione, perché l'onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto. In caso di preliminare di vendita non trovano, dunque, applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, -norme che hanno come loro presupposto l'avvenuto trasferimento della proprietà del bene -, in quanto il contratto in esame è caratterizzato, come è noto, tra l'altro, proprio dalla mancanza dell'effetto traslativo. Piuttosto, prima della stipula dell'atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita il promissario acquirente - senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 1495 cod. civ., per la denuncia dei vizi della cosa venduta - ad opporre la exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo, e lo abilita, altresì, a chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore, ovvero la condanna di quest'ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa" (così Cass. civ., sez. II, sentenza n. 3028 del 16.02.2015). Sul piano generale, nell'interpretazione del combinato disposto di cui agli artt. 1453 e 1455 cod. civ., deve poi rammentarsi che "In tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale" (così Cass. civ., sez. II, sentenza n. 10995 del 27.05.2015): nello specifico, secondo gli insegnamenti della Corte di Cassazione, "il giudice deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità." (così Cass. civ., sez. III, sentenza n. 22346 del 22.10.2014). Ed invero, ha aggiunto la giurisprudenza di legittimità, "La gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c. va commisurata all'interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza, per detta parte, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all'adempimento" (in tal senso cfr. Cass. civ., sez. III, ordinanza n. 4022 del 20.02.2018): ciò sulla scorta degli insegnamenti giurisprudenziali secondo cui "il principio, sancito dall'art. 1455 cod. civ., secondo cui il contratto non può essere risolto se l'inadempimento ha scarsa importanza in relazione all'interesse dell'altra parte, va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale. Pertanto, la gravità dell'inadempimento di una delle parti contraenti non va commisurata all'entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell'altra parte all'esatta e tempestiva prestazione" (cfr. Cass. civ., sez. III, sentenza n. 15363 del 28.06.2010). 4.2. Nel caso di specie, dall'istruttoria compiuta è emerso che l'immobile oggetto di preliminare di vendita presenta dei vizi strutturali, dal momento che l'esistenza di fori di drenaggio sulla parete lunga, di fronte alla porta di ingresso, ha consentito la verificazione di fenomeni infiltrativi che, seppur non in atto al momento delle indagini peritali compiute dal nominato CTU, si sono palesati negli anni causando l'ammaloramento dell'intonaco, così come documentato in atti. Ed invero, dagli accertamenti compiuti dal CTU, alle cui conclusioni tecniche l'intestato Tribunale aderisce atteso che l'elaborato peritale, reso nel contraddittorio delle parti, risulta dettagliato, adeguatamente motivato, nonché sorretto da argomentazioni logiche convincenti ed aderenti allo stato dei luoghi ed alla documentazione versata in atti, emerge che il locale per cui è causa è stato sicuramente interessato da infiltrazioni di acqua pregresse (come dimostrato dalle macchie di umidità preesistenti) causate dai fori presenti sul muro, verosimilmente, relativi a tubi di drenaggio del terrapieno, posto a tergo dello stesso muro; il CTU ha chiarito che tali fenomeni infiltrativi risultano possibili "per effetto dell'acqua piovana recepita da griglie di raccolta poste a monte del fabbricato, che, in caso di eventi di pioggia particolarmente intensi, imbibiscono il terreno sottostante le fondazioni del fabbricato, fuoriuscendo, in parte, dai fori presenti all'interno del magazzino." (così si legge a pag. 8 della relazione peritale), aggiungendo altresì che il collettore di colore arancione, coperto successivamente con boiacca di cemento, rappresenta solo una servitù di condotta che non provoca danni da infiltrazione all'interno del locale, salvo il caso di una sua rottura (così si legge a pag. 14 della relazione peritale), non ricorrente in ispecie. Ciò posto, si ritiene che la presenza dei predetti fori (e la loro propensione a provocare fenomeni infiltrativi) sia suscettibile di integrare un vizio dell'immobile idoneo a giustificare la chiesta risoluzione del preliminare di vendita sottoscritto dalle parti. Nel caso di preliminare di compravendita, l'obbligo assunto dal promittente venditore è quello di trasferire l'immobile esente da vizi che lo rendano inidoneo o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (in tal senso si veda Cass. civ., sez. II, sentenza n. 3383 del 15.02.2007); nel caso in esame, i vizi riscontrati sul locale promesso in vendita integrano un inadempimento grave rispetto alla suindicata obbligazione atteso che l'immobile non è idoneo all'uso convenuto e il valore dello stesso è ridotto in modo apprezzabile. Ed invero, non solo è stato accertato che i difetti dell'immobile, peraltro non emendabili, sono tali da deprezzarlo del 30% (cfr. pag. 11 dell'elaborato peritale), vieppiù, si osserva che, a differenza di quanto sostenuto dal CTU sul punto, il locale non può essere realmente destinato a magazzino/deposito atteso che, quantunque, in astratto, possa essere impiegato per la collocazione di beni, lo stesso, in concreto, è esposto al rischio di fenomeni infiltrativi e con esso, quanto ivi riposto. Non rileva dunque che in sede di accertamento peritale le infiltrazioni non fossero in atto; anche solo la possibilità, peraltro financo troppo remota, di frequenti bagnamenti della parete in questione già è sufficiente a rendere l'immobile per cui è causa inadeguato rispetto alla finalità perseguita dal rapporto. La differenza tra il prezzo pattuito e la diminuzione di valore dell'immobile, la circostanza che l'immobile non ha l'attitudine a realizzare la destinazione che gli è propria e l'ineliminabilità dei vizi accertati, comportano un sensibile squilibrio del sinallagma contrattuale in esame. Ed invero, è evidente che le condizioni in cui versa l'immobile, si ribadisce esposto al rischio di ammaloramenti, colate di acqua ed insalubrità, non consentono a parte attorea di soddisfare l'interesse che lo ha determinato alla conclusione del contratto, ossia individuare un locale dove riporre in modo sicuro i propri effetti ed oggetti. Né può giungersi a diverse conclusioni argomentando sulla scorta del fatto che parte attorea, con la sottoscrizione del contratto preliminare, ha manifestato il proprio consenso all'acquisto del bene "nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, come visto e piaciuto", dunque, secondo la prospettazione difensiva di parte convenuta, nella consapevolezza dei vizi e/o difetti, atteso che la prova testimoniale assunta ha consentito di riscontrare quanto dedotto da (...) ossia che allorquando le parti sono addivenute alla stipula del contratto per cui è causa l'immobile era pieno di scaffalature e materiale, pertanto la condizione delle pareti dell'immobile non era visibile né verificabile, quindi i vizi erano, se non occultati, quanto meno occulti. Alla stregua delle considerazioni che precedono, pertanto, deve essere dichiarata la risoluzione del contratto preliminare stipulato tra le parti per grave inadempimento del promittente alienante rispetto all'obbligazione di trasferire un immobile esente da vizi. Al venir meno del vincolo contrattuale consegue il diritto di parte attorea, ex art. 1458 cod. civ., di ottenere la restituzione di quanto corrisposto a parte resistente, pacificamente pari ad Euro 10.300,00, oltre interessi legali dalla data del versamento sino al saldo (ciò trattandosi di debito di valuta, in termini Cass. civ., sez. III, sentenza n. 5639 del 12.03.2014). Diversamente, non può trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno avanzata da parte attorea atteso che genericamente allegata e comunque indimostrata. 5. Ogni ulteriore questione è assorbita. 6. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo d'ufficio (stante l'assenza di nota spese) in favore di parte attorea, alla stregua dei parametri di cui al D.M. 55/2014 (così come aggiornato dal D.M. 147/2022), tenuto conto del decisum e dei valori medi previsti per ciascuna fase. Alla stessa stregua, le spese di CTU, così come liquidate in corso di causa, sono integralmente poste a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, in composizione monocratica, nel contraddittorio delle parti, ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa e/o assorbita così provvede: - accerta e dichiara la risoluzione del contratto preliminare stipulato tra le parti in data 25.03.2019 per grave inadempimento di (...) e per l'effetto ordina a parte convenuta di restituire a parte attorea la somma di Euro 10.300,00, oltre interessi legali come indicato in parte motiva; - condanna (...) al pagamento delle spese processuali che liquida in favore di parte attorea, in Euro 264,00 per esborsi, in Euro 5.077,00 per compensi, oltre 15% spese generali, IVA e CPA, se dovuti, come per legge; - pone definitivamente le spese di CTU, così come liquidate in corso di causa, a carico di parte convenuta. Così deciso in Crotone il 27 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1257/2022 promossa da: AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CROTONE (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. FE.GI. elettivamente domiciliato in VIA (...), CROTONE presso l'Ufficio legale aziendale ATTORE/I contro (...) S RL. (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. PR.RO. elettivamente domiciliato in CORSO (...) CROTONE presso lo studio dell'avv. PR.RO. CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da note scritte depositate telematicamente ex art. 127 ter c.p.c., con scadenza in data 5.7.2023. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, l'ASP di Crotone ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 358/2022 con cui il Tribunale di Crotone ha ingiunto, in favore di (...) s.r.l., il pagamento della somma di Euro 139.996,01, oltre interessi e spese del monitorio. Ha dedotto l'infondatezza del credito ingiunto in ragione della mancata esecuzione delle prestazioni oggetto di regime di accreditamento per gli anni oggetto di causa (i.e. 2020/2021) e in ogni caso l'insussistenza del diritto fatto valere in ragione della formulazione letterale delle norme invocate da parte creditrice che prevederebbero una mera "possibilità" di ristoro ad opera della Pubblica Amministrazione. Si è costituita in giudizio (...) s.r.l. chiedendo la conferma del decreto opposto in ragione del fatto che il credito in oggetto discenderebbe dalle norme straordinarie richiamate che prevedono, in ragione dell'emergenza COVID-19, un ristoro dei costi sostenuti in rapporto alla prestazioni sanitarie non erogate a cau della situazione epidemiologica. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna ex art. 281 sexies c.p.c., a seguito di deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. La domanda di parte opposta è inammissibile, dovendosi ritenere sussistente il difetto di giurisdizione del giudice adito. Al fine di individuare il giudice competente a decidere la controversia occorre primariamente partire dal tenore letterale delle norme invocate dall'odierno opposto che hanno introdotto i relativi ristori per gli anni di riferimento, i.e. l'art. 19 ter d.l. 137/2020 e l'art. 1 co. 495 della L. n. 178/2020. Entrambe le norme, rispettivamente per l'anno 2020 e per l'anno 2021, hanno statuito che "Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che, in funzione dell'andamento dell'emergenza da COVID-19, hanno sospeso, anche per il tramite dei propri enti, le attività ordinarie possono riconoscere alle strutture private accreditate destinatarie di apposito budget per l'anno 2021 fino a un massimo del 90 per cento del budget assegnato nell'ambito degli accordi e dei contratti di cui all'articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, stipulati per l'anno (2020 o 2021)". Orbene, secondo l'insegnamento di recente statuito con pronuncia n. 18/2023 del Consiglio di Stato, alla stregua del tenore letterale della disposizione in questione, "la norma non attribuisce un diritto soggettivo al ristoro prevedendo (...) la 1possibilità' delle Regioni e delle Provincie autonome di Trento e di Bolzano di riconoscerlor salvaguardando la garanzia dell'equilibrio economico del Servizio Sanitario Regionale. L'Amministrazione è quindi titolare di un potere discrezionale di valutare il se del ristoro e, ove ammesso, il quantum, con la conseguenza che la struttura accreditata ha un mero interesse legittimo a vedersi riconoscere fino a un massimo del 90% del budget assegnato nell'ambito degli accordi e dei contratti di cui all'art. 8-quinquiesr D.lgs 30 Dicembre 1992f n. 502". La ratio sottesa all'inequivoco tenore letterale della norma e alla conseguente interpretazione giurisprudenziale fornita dalla giurisdizione amministrativa trova fondamento nel fatto che il suddetto ristoro non costituisce il corrispettivo economico dell'esecuzione delle prestazioni accreditate in forza del contratto specificamente sottoscritto per l'anno in corso, giacché, in tal caso, si rientrerebbe nell'ambito degli ordinari strumenti civilistici di tutela contrattualistica espressamente riconosciuti nel nostro ordinamento. Di contro tale ristoro trova origine "in un provvedimento autoritativo della Pubblica amministrazioner e non direttamente nella legge, che fa salvo un margine di discrezionalità in capo alla Regione che deve riconoscere il ristoro dei costi fissi comunque sostenuti ed iscritti a bilancio 2020 nel periodo di crisi Covid-19, quando le entrate per prestazioni sanitarie avevano subito una contrazione per effetto della sospensione delle attività" (Cons. st. cit.) Ne consegue che, in questo quadro normativo e giuridico, la situazione giuridica soggettiva della struttura accreditata è declassata al rango di mero interesse legittimo con conseguente devoluzione della cognizione di tale pretesa economica al giudice amministrativo in forza dell'art. 7 c.p.a. ai sensi del quale "Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni". Sul piano delle conseguenze, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, allorquando sia stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito, si determina una improseguibilità del giudizio di merito, con conseguente nullità del decreto monitorio. La novità della questione e il sopravvenuto intervento giurisprudenziale sul punto giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - Dichiara il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice amministrativo e, per l'effetto, dichiara nullo il decreto ingiuntivo opposto - Spese compensate Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata ex art. 127 ter c.p.c.. Così deciso in Crotone il 5 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2023.
Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Il Tribunale di Crotone Sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause civili riunite iscritte ai nn. 1633/2021, 1634/2021 e 2289/2021, proposte da (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., C.F. (...), elettivamente domiciliata in Crotone, alla via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende per mandato in calce all'atto di citazione; - attrice nei giudizi R.G. 1633/2021 e R.G. 1634/2021 e convenuta nel giudizio R.G. 2289/2021 - contro (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., C.F./P.IVA (...), elettivamente domiciliata in Milano, alla via (...), presso lo studio degli avv.ti (...), che la rappresentano e difendono per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - convenuta nei giudizi R.G. n. 1633/2021 e R.G. n. 1634/2021 e attrice nel giudizio R.G. n. 2289/2021 - CONCLUSIONI All'udienza del 25.1.2023, le parti hanno precisato le conclusioni, riportandosi agli atti ed ai verbali di causa e hanno chiesto la decisione, con i termini. MOTIVI I.- Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusta il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riassumersi come segue. I.1.- Con atto di citazione ritualmente notificato (...) s.r.l. esponeva: di essere amministrata, con poteri disgiunti, da (...) e (...), unici soci al 50%; che la convenuta (...) s.r.l., nata a seguito di scissione, nel 2014, di (...), aveva come soci anche (...), figli di (...); che, come da progetto di scissione, elaborato nel 2013, a (...) era stato trasferito, tra l'altro, il fabbricato sito in Crotone, alla via (...), loc. Zigari (in Catasto al Foglio (...), part. (...), sub 2, 3, 4, 5 e 6); che tale immobile aveva sempre ospitato la sede sociale di (...); che nel 2015 era stato stabilito dai soci-amministratori di conferire due rami d'azienda a due nuove società, (...) Nord e Sud, per dividere tra i due la società principale; che, intendendo dividere la società in due parti, nel 2015 i soci avevano anche stabilito l'obbligo del "non fare" per la (...); che il (...) aveva eseguito tale progetto cedendo le sue quote, mentre il (...) non l'aveva mai fatto; che in realtà il (...) aveva continuato ad operare con la (...) ad insaputa del (...); che il (...) aveva appreso per caso dell'esistenza di un contratto con il quale (...) aveva preso in locazione da (...) l'immobile succitato per il canone annuo di Euro 60.000,00, nel quale aveva sempre avuto la sede; che trattavasi di un contratto concluso in conflitto di interessi (e sottoscritto dal (...) per entrambe le società) e per l'esercizio di un'attività che (...) si era impegnata a non svolgere sin dal 2015; che il contratto riguardava un grande edificio nel quale avevano sede cinque diverse aziende, tanto che non era chiaro a quale parte dell'edificio afferisse; che il contratto era stato registrato il 24.12.2019 ma era datato (o retrodatato) 3.1.2018 con decorrenza 1.1.2018; che il (...) aveva poi dichiarato, quando il (...) gliene aveva parlato, che avrebbe trasformato il contratto con decorrenza maggio 2021 in comodato d'uso gratuito; che per il periodo dicembre 2019-febbraio 2021 (...) aveva emesso fatture per Euro 191.285,15 a titolo di canoni di locazione dovuti, che avrebbero dovuto essere annullate. Chiedeva, pertanto, l'accertamento che il contratto di locazione era stato stipulato in conflitto di interessi e l'annullamento del contratto; la condanna di (...) alla restituzione degli eventuali canoni incassati e/o a stornare il credito nascente dal rapporto per cui è causa, con conseguente obbligo di annullamento delle fatture. Il giudizio assumeva il n. R.G. 1633/2021. Si costituiva (...) s.r.l. con propria comparsa, deducendo: che gli accordi presi nel 2015 dai soci amministratori di (...) non erano stati eseguiti dagli stessi, tanto da venir meno; che sussisteva difetto di interesse ad agire in capo a (...) in quanto quest'ultima aveva agito per l'annullamento di un contatto già risolto il 1.5.2021; che (...) non aveva mai incassato alcuna somma di denaro da (...) in forza del contratto di locazione; che comunque il (...) non aveva agito in conflitto di interessi, avendo concluso un contratto utile per entrambe le parti. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea. I.2.- Con separato atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...), esponendo le medesime premesse in fatto del primo giudizio, ed esponendo: che il (...), dal giugno 2016 al settembre 2017, utilizzando i fondi e i conti della (...), aveva effettuato bonifici in favore di (...) per Euro 96.483,84 complessivi, con causale "pagamento debiti da scissione", mentre in realtà alcun debito sussisteva; che successivamente era stata restituita la somma di Euro 15.000,00; che nelle date 29.6.2016 e 28.6.2017 il (...) aveva versato il complessivo importo di Euro 36.979,68 a (...), definendo tale operazione come "giroconto" o "girofondi"; che il (...) aveva provveduto al pagamento, con risorse della (...), di spese che riguardavano la sola (...) (polizze RC auto di veicoli della (...)), somme poi restituite, oltre che di altre spese, dettagliate negli allegati, tanto da potersi quantificare la somma ancora da restituire in Euro 20.839,02. Chiedeva, pertanto, l'accertamento che i pagamenti indicati erano stati compiuti senza causa e ricevuti dalla convenuta in ingiustificato arricchimento; la condanna a carico di (...) di restituire la somma complessiva di Euro 139.302,54. Il giudizio assumeva il n. R.G. 1634/2021. Si costituiva in tale giudizio (...) s.r.l., deducendo: che, in esecuzione del progetto di scissione, (...) avrebbe dovuto procedere alla voltura, in favore di (...), della convenzione già stipulata con il GSE, ma che tale conferimento era avvenuto solo nel 2017, tanto che nonostante gli accordi dalla scissione del 2015 al 2017 gli incassi del GSE, per oltre Euro 616.000,00 e per oltre Euro 74.000,00, erano stati percepiti da (...); che i controtrasferimenti eseguiti da (...) a (...) ammontavano ad Euro 25.000,00 e non 15.000,00 come sostenuto dall'attrice; che pertanto i trasferimenti di Euro 71.483,84 non erano privi di causa giustificativa, ma riguardavano crediti preesistenti e successivi alla scissione verso il GSE e verso (...); che anche i bonifici del giugno 2016 e del giugno 2017 erano giustificati dalla medesima logica perequativa; che i pagamenti successivamente elencati in citazione non erano di competenza di (...) ma riguardavano debiti propri di (...). Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda. 1.3.- Con successivo atto di citazione, ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...), formulando opposizione al decreto ingiuntivo n. 612/2021 emesso dal Tribunale di Crotone il 31.8.2021, R.G. n. 974/2021, esponendo: che il decreto ingiuntivo era stato emesso in favore di (...) per la somma di Euro 756.954,81 oltre interessi e spese; che in realtà (...) non era creditrice di (...); che, infatti, (...) aveva incassato nel periodo 2013-2017 somme attinenti all'attività del fotovoltaico di spettanza (...) per Euro 74.591,38 per energia immessa in rete ed Euro 616.501,54 per incentivi; che (...) aveva trasferito a (...) nel medesimo periodo la somma di Euro 25.000,00 con bonifici. Chiedeva, pertanto, la revoca del decreto ingiuntivo con la precisazione che nulla era dovuto da (...) a (...). Il giudizio assumeva il n. 2289/2021 di R.G. Si costituiva (...) con propria comparsa, smentendo la ricostruzione di parte attrice e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo. 1.4.- All'udienza del 7.3.2022 i due giudizi erano riuniti. 1.5.- Dopo il rigetto dell'istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, era svolta una limitata attività istruttoria. 1.6.- All'udienza del 25.1.2023 le parti precisavano le conclusioni, riportandosi agli atti ed ai verbali di causa, e chiedevano la decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. II.- La fattispecie posta all'attenzione del Tribunale può essere ricostruita nel seguente modo, sulla scorta delle deduzioni di parte e della documentazione dalle stesse esibita. Con "progetto di scissione parziale della società (...) s.r.l. ex art. 2506 bis c.c." dell'11.11.2013, in atti, (...), in qualità di amministratore unico di (...), approvava, appunto, il progetto, che prevedeva la scissione parziale in favore della costituenda società (...) "al fine di separare il compendio immobiliare/fotovoltaico dal compendio commerciale e di gestione degli appalti", avente ad oggetto l'attribuzione in proprietà a (...) di alcuni beni. In particolare, era ricompreso l'immobile per il quale sussisteva il contratto di locazione di cui al fascicolo R.G. n. 1633/2021 ed era previsto il trasferimento del comparto immobiliare fotovoltaico con il conseguente trasferimento della titolarità della convenzione con il GSE. Con successivo "atto di scissione con costituzione di società a responsabilità limitata" stipulato dinanzi al notaio dott. (...) il 14.4.2014, (...) e (...), in qualità di unici soci e amministratori della (...), dato atto del deposito e iscrizione del progetto di scissione e del verbale assembleare di approvazione dello stesso dell'11.12.2013 nel Registro delle Imprese, creavano (...) s.r.l. mediante scissione della (...) s.r.l. con attribuzione di parte del patrimonio, come descritto nel progetto e nell'atto notarile di scissione. Nell'atto si precisava che i trasferimenti previsti erano compiuti al momento della stipula dell'atto stesso. Era altresì previsto che la società di nuova costituzione ((...)) avrebbe esercitato attività immobiliare e di produzione di energia elettrica mentre la scissa ((...)) avrebbe continuato la propria attività industriale. Era espressamente previsto che "con il trasferimento del comparto immobiliare/fotovoltaico, alla società beneficiaria verrà conseguentemente trasferita anche la titolarità della convenzione stipulata dalla società scissa con il Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A., n.C03F23448707, per il riconoscimento delle tariffe incentivanti della produzione di energia elettrica da impianti foto-voltaici e n. RID 027654 per il ritiro dedicato dell'energia prodotta" e che alla (...) sarebbero stati trasferiti il "credito nei confronti del GSE relativamente al riconoscimento della tariffa incentivante" e i crediti erariali relativi alle ritenute d'acconto fiscali sugli incassi GSE. La voltura della convenzione, nonostante l'espressa previsione contrattuale, fu compiuta solo nel 2017. Con "verbale di assemblea generare dei soci della (...) s.r.l. del 7.3.2015" i soci (...) e (...) deliberavano di conferire i due rami d'azienda (...) Nord e (...) Sud in due distinte società, da attribuirsi la prima al socio (...) e la seconda al socio (...), in cui dividere in pari misura la società esistente. Le parti stabilivano anche a non sottoscrivere accordi, contratti o altro che implicassero assunzioni di obblighi di fare. Gli accordi, come poi specificati, furono riversati nel verbale dell'8.10.2015. In data 23.12.2015, con scrittura privata, (...) cedeva la sua quota di partecipazione in esecuzione degli accordi. Ebbene, il presente procedimento, che consta di tre giudizi riuniti, tutti avviati in sostanza da (...) (due atti di citazione ed un ricorso per decreto ingiuntivo, opposto da (...)), originano dagli atti sinteticamente indicati nei paragrafi precedenti. A fronte delle citate operazioni, e sostenendo che il (...) da una parte non avesse adempiuto agli obblighi assunti, e dall'altra avesse operato come amministratore di entrambe le società (...) e (...) all'insaputa del (...), la (...) chiede l'annullamento di un contratto di locazione, la restituzione di somme corrisposte da (...) a (...), la restituzione di somme pagate da (...) per conto di (...). Le questioni saranno separatamente trattate nei paragrafi seguenti. II.1- Nell'originario giudizio R.G. n. 1633/2021 (...) chiede la pronuncia di annullamento del contratto con il quale (...) ha concesso in locazione a (...) l'immobile sito in Crotone, alla via (...), in quanto lo stesso sarebbe stato concluso in conflitto d'interessi dall'amministratore (...), che aveva agito in qualità di legale rappresentante di entrambe le società. Il contratto sarebbe stato concluso anche in spregio alla situazione nella quale la società era, in quanto la stessa - per concorde volontà dei soci - dal 2015 aveva cessato ogni attività e non aveva bisogno di prendere in locazione un immobile nel quale - peraltro - aveva sempre avuto la sede e che era stato oggetto della scissione e dell'assegnazione a (...). Infine, nel contratto sarebbe stato previsto un corrispettivo spropositato rispetto ai valori di mercato e per spazi non necessari alla (...). Quest'ultima valorizza, inoltre, la circostanza per cui dal maggio 2021 il (...) avrebbe trasformato il contratto da oneroso in comodato ad uso gratuito. Con le successive memorie, in ragione del tenore degli atti di controparte, (...) rinuncia alla domanda restitutoria insistendo nella domanda di annullamento del contratto e delle fatture emesse. Dal canto suo, (...) eccepisce che il contratto del quale si chiede l'annullamento era già risolto all'epoca di introduzione del giudizio e che a titolo di corrispettivi nulla era stato riscosso, tanto da dover essere rigettata anche la domanda di restituzione di somme. (...) insiste nella richiesta di annullamento del contratto, nonostante lo stesso sia stato risolto nel 2021, per cautelarsi da eventuali richieste di pagamento per il periodo pregresso, considerato che per tale periodo erano state emesse le fatture indicate in atti. Tuttavia, le somme di cui alle fatture non sono mai state richieste e (...) nei propri atti ha espressamente dichiarato di non intendere di richiederle, vantando soltanto il "valore" dell'operazione, che aveva consentito a (...) di utilizzare la sede a titolo gratuito. In ogni caso non si ravvisa il lamentato conflitto di interessi in quanto è indubbio che l'immobile era stato trasferito da (...) a (...) e che lo stesso è stato utilizzato sempre da (...) nel periodo successivo. Il canone di Euro 60.000,00 all'anno, ossia di Euro 5.000,00 al mese, non appare inoltre sproporzionato, tenuto conto delle tabelle Omi dell'Agenzia del Territorio allegate da (...), applicando le quali per un immobile di circa 3000 mq potrebbe concordarsi un canone anche superiore rispetto a quello fissato nel contratto. Non assumono alcun rilievo le valutazioni sulla circostanza che tale contratto sarebbe stato concluso dal (...) all'insaputa del (...), considerato che il (...) ha sempre manutenuto la carica di amministratore, potendo esercitare i suoi poteri e potendo in tempo reale rendersi conto delle operazioni che compiva l'altro amministratore (...). In sostanza, pertanto, non sussistono i presupposti perché possa pronunciarsi l'annullamento del contratto di locazione. Il conflitto di interessi di cui all'art. 1394 c.c. postula un rapporto d'incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti, rapporto che va riscontrato non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento al singolo atto, di modo che è ravvisabile esclusivamente rispetto al contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano l'utile di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell'altro. La Corte di Cassazione sul punto ha recentemente precisato che sussiste conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato qualora il terzo persegua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato, cosicché all'utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante o dal terzo corrisponda o possa corrispondere il danno del rappresentato. L'accertamento dell'esistenza del conflitto deve essere, peraltro, condotto sulla base del contenuto e delle modalità dell'operazione, prescindendo da una contestazione di formale contrapposizione di posizioni, che può valere come semplice elemento presuntivo di conflitto (Cass., 13.3.2023, n. 7279). Nella fattispecie in esame il conflitto di interessi è enunciato soltanto in astratto; in concreto invece non si ravvisa alcun danno a carico di (...) derivato dalla conclusione del contratto, come su esplicitato. II.2- Le questioni relative ai giudizi R.G. 1634/2021 e 2289/2021 saranno esaminate congiuntamente. Nell'originario giudizio R.G. n. 1634/2021, (...) agiva per ottenere una pronuncia di accertamento dell'illegittimità di alcuni bonifici (con causale "pagamento debiti da scissione", per Euro 81.483,84, con causale "girotondo" o "giroconto" per Euro 36.979,68) ed altre operazioni economiche (pagamenti di spese relative a debiti di (...), per Euro 20.839,02) compiuti da (...) in favore di (...), ad opera del solo amministratore (...), indicati in atti, che sarebbero privi di giustificazione e chiede la ripetizione di quanto illegittimamente versato. Dal canto suo, (...) sostiene che le spese sostenute da (...), anche alla luce della scissione del 2014, sarebbero riferibili alla sola (...) e che la convenzione con il GSE è stata trasferita in realtà a (...) solo dal 2017. Nell'originario giudizio R.G. n. 2289/2021 (...) ha formulato un'opposizione al decreto ingiuntivo n. 612/2021 emesso, su istanza di (...), dal Tribunale di Crotone (R.G. n. 974/2021) il 31.8.2021 e volto ad ottenere il rimborso di spese (relative alla scissione per Euro 10.688,00 ed alle rate del mutuo (...) per Euro 211.499,12 e del mutuo (...) per Euro 505.135,24). (...) ha eccepito che nel medesimo periodo (...) aveva incassato i proventi delle concessioni del GSE per Euro 616.501,54 ed Euro 74.591,38 al posto di (...) e quest'ultima aveva eseguito trasferimenti per Euro 25.000,00 oltre ad aver elargito benefici tra cui la fideiussione (...) ed il godimento gratuito dell'immobile in via (...) per Euro 360.000,00 circa. Secondo le previsioni surrichiamate dell'atto di scissione, (...), dall'epoca della scissione, avrebbe dovuto pagare le rate dei mutui (...) e (...), e avrebbe dovuto svolgere l'attività relativa al comparto fotovoltaico, intrattenere i rapporti con il GSE e incassare i corrispettivi previsti dalla convenzione. Tuttavia, come detto, mentre l'impianto fotovoltaico è stato trasferito a (...) con la scissione, la convenzione con il GSE è stata formalmente volturata nel 2017, tanto che fino al 2017 (...) ha mantenuto la titolarità della convenzione, ha incassato incentivi e corrispettivi e ha pagato le rate dei mutui. Ebbene, a questo punto, mentre (...) sostiene che gli incentivi e i corrispettivi GSE avrebbero dovuti essere incassati da (...) solo dopo l'effettiva voltura della convenzione, avvenuta nel 2017, (...) - con una prospettazione condivisibile in quanto fondata sull'espresso dato previsto dall'atto di scissione e sulla valutazione dei comportamenti tenuti successivamente - sostiene che nei rapporti interni le parti avevano dato corso alle previsioni della scissione mediante operazioni di conguaglio e perequazioni che dopo un certo tempo (...) ha deciso irragionevolmente di contestare. La lettera dell'atto di scissione è chiarissima nel prevedere espressamente che "la costituita società subentra in ogni rapporto attivo e passivo, in ogni ragione ed azione della società scissa e in tutti i contratti ed autorizzazioni inerenti al complesso immobiliare trasferitole" (pag. 4 atto di scissione) e che "alla società beneficiaria vengono assegnati gli elementi patrimoniali attivi e passivi meglio descritto nel progetto di scissione" (pag. 5) tra cui "impianto fotovoltaico insistente sul lastrico (...) del capannone sopra descritto, di circa 280 kW, unitamente al quale impianto viene trasferita la titolarità della convenzione n. CO3F23448707- pratica/impianto 231768, per il riconoscimento delle tariffe incentivanti della produzione dell'energia elettrica da impianti fotovoltaici e n. RID 027654 per il ritiro dedicato dell'energia prodotta; convenzione stipulata dalla società scissa con il GSE. Unitamente alla titolarità di tale convenzione vengono altresì trasferite tutte le ragioni di credito nei confronti del predetto ente al quale, a tal fine il presente atto verrà comunicato" (pag. 8). Come esplicato da (...) nei propri atti, e come dimostrato dalla documentazione allegata, dopo aver completato gli adempimenti burocratici con il GSE, la convenzione è stata volturata in favore di (...) ed è stato conseguentemente estinto il conto corrente presso il (...); da quel momento (...) ha iniziato a pagare le rate del mutuo. Prima del trasferimento a (...) della convenzione, nel periodo comunque coperto dalla vigenza dell'atto di scissione, (...) ha dimostrato che (...) ha percepito nel periodo 2013-2017 dal GSE Euro 74.591,38 per ritiro dedicato energia immessa in rete ed Euro 616.501,54 per incentivi conto energia. (...) ha inoltre eseguito in favore di (...) alcuni versamenti di somme (Euro 10.000,00 il 4.1.2018, Euro 10.000,00 l'11.2.2019, Euro 5.000,00 il 30.4.2019), per un importo complessivo di Euro 25.000,00. Deve rilevarsi inoltre che assume rilevanza anche la circostanza che (...) abbia mantenuto la fideiussione concessa a (...) per l'esposizione debitoria di (...), come dimostrato da (...), e che l'immobile di Via (...) sia stato in sostanza concesso a titolo gratuito per l'intero periodo dal 2013 al 2017. Quanto alle singole voci richieste come da decreto ingiuntivo, deve rilevarsi che le stesse riguardano per Euro 10.688,00, le spese relative alla scissione e le successive formalità e per il resto le rate del mutuo (...) (pagate da (...) dal gennaio 2013 al giugno 2016, per complessivi Euro 211.499,12) e del mutuo (...) (pagate da (...) dal gennaio 2013 al luglio 2017, per complessivi Euro 534.767,69). Ebbene, non è condivisibile la tesi sostenuta da (...) secondo la quale (...) sarebbe debitrice di somme di denaro nei confronti di (...). L'art. III dell'atto di scissione prevedeva che "le spese, imposte e tasse, comunque relative alla scissione e successive formalità, sono ad esclusivo carico della società beneficiaria "(...) s.r.l.", comprese quelle del presente atto e si indicano approssimativamente in euro 3.900,00 (tremilanovecento virgola zero zero)", previsione alla quale (...) ha adempiuto, corrispondendo al notaio gli onorari e le imposte. La fattura del dott. (...) della quale invece (...) richiede il pagamento reca una data antecedente alla scissione (31.3.2014 a fronte della data del 14.4.2014 della scissione), è intestata a (...) e dalla stessa è stata pagata il 27.3.2014, della stessa non è mai stato richiesto il pagamento a (...) prima dell'emissione del decreto ingiuntivo e non è chiaro a quali prestazioni risulti collegata, tanto da non potersi rinvenire alcuna giustificazione per cui la fattura dovrebbe essere addebitata a (...) o riguarderebbe crediti di (...) verso (...). Quanto alle voci relative al pagamento dei mutui, deve rilevarsi che le rate pagate nel 2014 ammontano ad Euro 117.139,70 e non ad Euro 146.781,04 come riferito da (...), in quanto i pagamenti di marzo 2014 (per Euro 29.641,34, per Euro 16.537,36 e per Euro 13.106,984) non rientrano evidentemente nella scissione e comunque uno dei tre pagamenti risulta stornato dalla Banca, come dimostrato da (...). Pertanto, a fronte di pagamenti dei mutui per Euro 716.625,47, (...) ha trattenuto i corrispettivi e gli incentivi ricevuti dal GSE, tanto da non esservi alcuna ragione creditoria di (...) nei confronti di (...). Anche i pagamenti di Euro 71.483,84 trovano la causa giustificativa nelle obbligazioni tra le parti relative alla scissione (crediti GSE e crediti erariali relativi alle ritenute d'acconto fiscali sugli incassi GSE), così come i bonifici a titolo di girofondo e giroconto. Trattasi di conguagli tra le parti relativi alle operazioni concordate che non possono essere messi in discussione in un'epoca nella quale ancora non può dirsi completato il procedimento già concordato tra le parti e messo in esecuzione poco per volta. Tutti i trasferimenti di denaro compiuti costituiscono l'esecuzione, parziale e progressiva, del programma di scissione, attuato poco per volta. (...) non ha fornito alcuna prova contraria rispetto alla prospettazione di (...), né può dirsi che trattavasi di trasferimenti privi di causa giustificativa. Allo stesso modo, i pagamenti di Euro 20.839,02 per spese asseritamente incombenti su (...) riguardano debiti di (...), come dimostrato da (...). I pagamenti sub nn. 1, 4, 5, 8,12, 13 e 16 del doc. 19 di (...) (causale "C.S.I. - manutenzione industriale") attengono a debiti ante scissione di (...) (proprietaria, all'epoca, dell'immobile di via (...)) verso il C.S.I. per forniture di acqua e illuminazione stradale e, per altra parte, a spese direttamente inerenti (...) quale utilizzatrice (conduttrice/comodataria) dell'immobile dopo la scissione. Tale circostanza è stata confermata anche dalla teste Condemi, impiegata (...), che ha confermato che i pagamenti suindicati attenevano a forniture d'acqua e illuminazione stradale dell'immobile in via (...). La teste ha anche confermato che i pagamenti sub nn. 2, 3, 6, 7, 9, 10, 11, 14, 15 e 18 del medesimo doc. 19 riguardavano spese, ossia polizze assicurative, servizio di giardiniere, utenze, riguardanti (...) quale utilizzatrice del medesimo immobile. I pagamenti sub 19, 22 e 25 del medesimo doc. 19, restituiti in parte, in realtà, come dimostrato da (...), riguardano spese relative a coperture assicurative di (...) (RCA del veicolo IVECO Daily di proprietà (...) e la polizza RC Impresa Sicura, intestata a (...). Il pagamento sub n. 17 del doc. 19 attiene a lavori di manutenzione eseguiti presso l'immobile sito in via (...), pagamento rimborsato dalla ditta (...) (utilizzatrice del medesimo immobile) come dimostrato doc. 13 esibito da (...) oltre che confermato dalla teste (...) che ha dichiarato che "il pagamento della fattura (...) (di cui al doc. 22 di (...)) è stato anticipato da (...) e poi rimborsato dalla ditta (...) (anch'essa utilizzatrice del medesimo immobile. Il pagamento sub. 20 del doc. 19 riguarda emolumenti di un dipendente (...) (sig. (...)), mentre il pagamento sub 21 del doc. 19 riguarda materiali utilizzati da (...) per lavori, come attestato dal doc. 11 di (...); tale circostanza è stata altresì confermata dalla teste (...), anche se la stessa sul punto ha espresso una sua valutazione. I pagamenti nn. 23 e 24 del doc. 19 risultano rimborsati da (...) e il pagamento n. 26 del doc. 19 riguarda una sanzione irrogata da Agenzia delle Dogane a (...). La prospettazione su compiuta trova conferma nella documentazione esibita da (...) e dai bilanci di entrambe le società, in atti. Deve anche rilevarsi che, oltre a non fornire prova contraria, l'amministratore di (...) non si è presentato a rendere l'interrogatorio formale, così consentendo al giudice di trarre un ulteriore elemento probatorio in favore di (...). III.- In conclusione, le domande dei fascicoli 1633/2021 e 1634/2021 vanno rigettate, mentre va accolta l'opposizione a decreto ingiuntivo formulata da (...) nel fascicolo 2289/2021. IV. Le spese seguono la soccombenza. I compensi professionali vanno liquidati, a carico di (...) s.r.l. ed in favore di (...) s.r.l., ai sensi del D.M. n. 55/2014, come aggiornato dal D.M. n. 147/2022, tenuto conto dello scaglione per il valore della controversia, in applicazione dei valori medi di tariffa, ridotti del 50% tenuto conto della semplicità delle questioni giuridiche controverse. P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinte, sulle domande dei giudizi riuniti recanti R.G. n. 1633/2021, 1634/2021 e 2289/2021, nelle controversie instaurate tra (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., C.F. (...) contro (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., C.F./P.IVA (...), e nell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (...) s.r.l. contro (...) s.r.l., contrariis rejectis: a) Rigetta la domanda formulata nel fascicolo R.G. n. 1633/2021 di annullamento del contratto; b) Rigetta la domanda formulata nel fascicolo R.G. n. 1634/2021 di restituzione somme; c) Accoglie l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta nel giudizio originariamente distinto dal n. 2289/2021 e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 612/2021 emesso dal Tribunale di Crotone il 31.8.2021, R.G. n. 974/2021; d) Condanna (...) s.r.l. al pagamento delle spese di lite in favore di (...) s.r.l., che si quantificano in Euro 7.052,00 per il procedimento R.G. n. 1633/2021, Euro 7.052,00 per il procedimento R.G. n. 1634/2021, Euro 14.598,00 per il procedimento R.G. n. 2289/2021, oltre compenso forfettario del 15%, IVA e CPA come per legge, oltre esborsi per Euro 843,00. Così deciso in Crotone, il 20 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE Prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 473/2019 promossa da: (...) (C.F. (...) ), (...) (C.F. ), (...) (C.F. ) e (...) (C.F. ) rappresentato e difeso dall'avv. PI.MA. elettivamente domiciliato in VIA (...) ISOLA DI CAPO RIZZUTO presso lo studio dell'avv. PI.MA. ATTORE/I contro (...) SPA (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. FE.SE. elettivamente domiciliato in VIA (...) 87100 COSENZA presso lo studio dell'avv. FE.SE. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), (...), (...) e (...) hanno convenuto in giudizio l'(...) S.p.A. al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del sinistro occorso ad (...). Hanno dedotto, in fatto, che, in data 23.06.2009 (...) è rimasto coinvolto in un incidente stradale, a cui ha fatto seguito, pochi giorni dopo, il decesso dello stesso. 1.1. Hanno dedotto, in particolare, che, all'uscita dal tratto stradale curvilineo, (...) ha urtato violentemente contro il guard-rail posto sul margine della carreggiata. 1.2. Hanno pertanto ritenuto, in diritto, sussistenti tutti gli elementi fondanti la responsabilità dell'(...) S.p.A., quale ente gestore del tratto stradale in questione, ai sensi dell'art. 2051 c.c., con conseguente domanda, da parte degli stessi familiari, di risarcimento per i danni patiti in conseguenza della morte di (...). 2. Si è costituita in giudizio l'(...) S.p.A. contestando quanto ex adverso dedotto. 2.1. Ha ritenuto nel merito infondata la pretesa risarcitoria in ragione della sussistenza, nel caso di specie, di un comportamento colposo del danneggiato idoneo ad integrare l'esimente del caso fortuito. 2.2. Ha poi contestato nel quantum l'importo richiesto, in ragione dell'indeterminatezza della richiesta formulata. 3. La causa è stata istruita tramite CTU tecnico-modale ed è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.. La domanda è parzialmente fondata per i motivi di seguito indicati. 1. Qualificazione giuridica della fattispecie Preliminarmente, in relazione alla qualificazione giuridica della domanda, si osserva che i profili di responsabilità addebitati all'ente convenuto sono astrattamente suscettibili di essere inquadrati nell'ambito di applicabilità dell'art. 2051 c.c.. Ed invero, la responsabilità gravante sul custode ai sensi della citata norma è ormai pacificamente applicabile anche alla pubblica amministrazione e agli enti pubblici incaricati della cura dei luoghi, come nel caso di specie l'(...) S.p.A.. Secondo il più recente orientamento della Suprema Corte, la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. opera anche laddove la res oggetto di custodia sia adibita ad un uso generalizzato e diretto della collettività e si presenti di notevole estensione, rilevando tali caratteristiche come circostanze idonee a concretizzare ulteriormente le ipotesi del caso fortuito e, quindi, ad escludere la responsabilità della p.a., una volta dimostrata l'esistenza del nesso causale (ex multis C. 19653/2004; C. 3651/2006). 1.1. Nesso di causalità tra il danno e la res Tanto premesso per quel che concerne la qualificazione giuridica della fattispecie, In tema di onere probatorio l'attore è tenuto a dimostrare che l'evento lesivo si sia verificato quale conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa in ragione di un processo in atto o una situazione determinatasi, ancorché provocata da elementi esterni (ex multis C. 22787/2014; C. 4277/2014). Ciò implica, conseguentemente, che laddove la res oggetto del giudizio sia un bene pubblico, è necessaria la prova dell'omessa o incompleta manutenzione da cui sia derivato il danno (C. 7937/2012). In applicazione dei suddetti principi generali in tema di onere della prova, è stato precisato che, laddove si tratti di cosa di per sé statica ed inerte che richieda che l'agire umano (e in particolare del danneggiato) si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (ex multis C. 22787/2014; C. 6306/2013). Tali peculiarità potenzialmente dannose non si limitano, per quel che concerne la custodia esercitata dal gestore della strada, ai soli aspetti intrinseci alla carreggiata (quali avvallamenti, buche ecc..) ma si estendono anche agli elementi accessori o pertinenze delle strade stesse, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale (C. 9547/2015), di talché può ben essere affermata al responsabilità per danni che conseguono all'assenza o all'inadeguatezza di tali elementi di protezione (ex multis C. 6306/2013; C. 24529/2009; C. 15723/2011). Nel caso di specie, è stato allegato dagli odierni attori la derivazione causale dell'evento lesivo di (...) all'inadeguatezza delle barriere laterali (e in particolare del guard-rail) a contenere le conseguenze dannose derivanti dall'urto del veicolo condotto dalla vittima avverso le stesse, con conseguente imputabilità dell'evento morte all'inadempimento degli obblighi manutentivi gravanti sull'ente convenuto nel tratto di strada interessato. Sul piano della dinamica del sinistro è infatti emerso, come da rapporto degli agenti intervenuti sul posto, che il conducente "il 23.06.2019 verso le ore 18.20 il sig. (...) percorreva la ss 106 con direzione di marcia Taranto-Catanzaro alla guida della autovettura opel corsa targata (...) ... Giunto in prossimità del Km 230+100 della ss 106 ... in uscita da curva destrorsa, a causa della velocità non particolarmente moderata in relazione all'asfalto reso bagnati e viscido dalla pioggia in atto, il sig. (...) perdeva il controllo della Oper e dopo aver invaso la corsia di marcia opposta alla propria, impattava violentemente col fianco sinistro della vettura la cuspide del guard-rail adiacente quest'ultima corsia. L'impatto violentissimo avveniva tra la opel appunto e la cuspide del guard-rail". Orbene, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte (Cass. civ., 27.10.2008, n. 25842; Cass. civ., 9.09.2008, n. 22662; Cass. civ., 20.03.2007, n. 6565; Cass. civ., 28.04.2006, n. 9919; Cass. civ., 15.02.2006, n. 3282; cass. civ., 1.07.2005, n. 14038; Cass. civ., 8.06.2005), il rapporto di polizia, pur costituendo piena prova, fino a querela di falso, delle sole dichiarazioni delle parti e dei soli altri fatti che il pubblico ufficiale abbia attestato come avvenuti in sua presenza, per quel che concerne "le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell'indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, ..., per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un'attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria". Nel caso di specie la suddetta ricostruzione, oltre che incontestata da parte convenuta, appare corroborata dagli ulteriori rilievi tecnici compiuti sullo stato dei luoghi e riportati, a livello grafico, dalle planimetrie in atti, oltre che dalla documentazione fotografica in atti. Tale documentazione, infine, è stata posta alla visione dell'ausiliario tecnico nominato dallo scrivente Giudice che ha potuto constatare come "la fiancata sinistra della vettura coinvolta, all'altezza della portiera anteriore sinistra, sia arrivata all'urto contro il guardrail in corrispondenza del punto in cui detto dispositivo (i.e. il guardarail) si interrompe nettamente, onde permettere l'ingresso alla stradina interpoderale, i cui lamierati ondulati penetravano all'interno della stessa vettura". Orbene rispetto ai danni causati dall'urto con i lamierati sporgenti del guard-rail in questione è stato accertato dal CTU l'inidoneità delle barriere laterali, così come esistenti al momento di verificazione del sinistro, a fungere da contenimento e reindirizzamento in caso di fuoriuscita dei veicoli. É stato infatti opportunamente evidenziato che "con il Decreto 21 giugno 2004 vengono ufficialmente recepite le norme UNI EN 1317, nelle parti 1, 2, 3 e 4, che stabiliscono le modalità di prova e di certificazione dei dispositivi. Nella norma UNI EN 1317 parte 4, al paragrafo 5.5 vengono rappresentati quelli che sono i criteri di accettazione della prova d'urto e nel sottoparagrafo 5.5.2 viene riferito quello che deve essere il comportamento dei terminali, che coincidono con dei dispositivi di ritenuta posti all'estremità dei una barriera di sicurezza e aventi il fine di ridurre la pericolosità degli urti frontali o laterali Infatti, gli elementi iniziali e finali di una barriera di sicurezza, se non opportunamente protetti, costituiscono, in caso di urto di un veicolo, un potenziale pericolo per gli occupanti del veicolo stesso, con conseguenze anche drammatiche a seguito della penetrazione di tali estremità all'interno del veicolo. Onde evitare tali circostanze di oggettivo pericolo che possono portare anche a drammatiche conseguenze, come di contro si è materializzato nell'evento per cui è causa, la norma UNI EN 1317 parte 4, recepita con il Decreto 21 giugno 2004, quindi, recepita cinque anni prima la materializzazione del sinistro, al sottoparagrafo 5.5.2 prescrive testualmente: "Gli elementi del terminale non devono penetrare nell'abitacolo del veicolo. Non sono ammesse deformazioni o intrusioni nell'abitacolo che possano causare lesioni gravi agli occupanti ... omissis ..." Onde rispettare tale prescrizione i vari produttori hanno adottato due diversi tipi di soluzioni, riportate nei rapporti di prova e note come terminali interrati e terminali non interrati. I terminali interrati presentano la lama principale inclinata e infissa nel terreno e portata all'esterno rispetto alla direzione dell'installazione principale. I terminali non interrati prevedono l'installazione di un elemento terminale della lama principale sagomato, "a manina" o "a tubo" di talché Per quanto fin qui sintetizzato si intuisce, anche in maniera chiara che, alla data dei fatti, il terminale interessato dall'urto nel sinistro in trattazione non rispettava quanto previsto dalla UNI EN 1317 parte 4 e, quindi, non rispettava quanto previsto dal Decreto 21 giugno 2004. Tali considerazioni appaiono condivisibili in quanto esenti da vizi logici e motivazionale oltre che supportate da un adeguato percorso scientifico/motivazionale, avendo l'ausiliario incaricato provveduto al corretto richiamo delle norme rilevanti nel caso di specie oltre che della disamina delle tipologie praticate al fine di adeguarsi alla suddetta normativa. Logica conseguenza e conclusione di tale ragionamento, supportato da dati matematici, è che "il penetramento del guardrail all'interno del veicolo coinvolto abbia avuto un'effettiva efficienza causale nella determinazione dell'evento lesivo". Deve pertanto ritenersi formata la prova, gravante sugli odierni attori, di sussistenza del nesso di causalità tra i danni patiti da (...) e le potenzialità dannose conseguenti all'omessa manutenzione delle barriere laterali. Ed invero si rammenta, come di recente statuito dalla Suprema Corte, che "la funzione della predisposizione della barriera laterale è quella di diminuire la pericolosità del tratto stradale ove essa è collocata: questa funzione si esplica delimitandone prima di tutto visivamente il bordo, offrendo una resistenza all'eventuale impatto dei veicoli ed offrendo anche una protezione ai corpi dei malcapitati utenti della strada che, siano essi pedoni, ciclisti, motociclisti o automobilisti, si trovino per i più svariati accadimenti ad essere proiettati verso un bordo strada al di là del quale c'è il vuoto o una scarpata, proteggendoli dalle più gravi conseguenze di una caduta. Quindi, in generale nella funzione protettiva delle barriere laterali è compresa anche quella di diminuire il rischio che un corpo umano possa venire sbalzato nel vuoto" (C. 22801/2017). Tale essendo la ratio sottesa alla predisposizione delle barre laterali, all'ente gestore è imposto un onere di manutenzione al fine di garantire la conservazione dell'efficacia di tali strumenti nel tempo con la conseguenza, ribadita sempre dalla Suprema Corte, che è ravvisabile la potenzialità dannosa della res oggetto di custodia, ove lo stesso ente, pur avendo collocato una barriera laterale di contenimento, "non curi di verificare che la stessa, per il passaggio del tempo o per l'azione degli agenti naturali o anche per l'impatto con veicoli, non abbia assunto una conformazione o non presenti delle asperità tali da costituire un pericolo per gli utenti della strada, ed ometta di intervenire con adeguati interventi manutentivi al fine di ripristinarne le condizioni di sicurezza, viola non solo le norme specifiche che le impongono di collocare barriere stradali volte al contenimento dei veicoli che rispettino determinati standard di sicurezza (sul tema di recente Cass. n. 10916 del 2017), ma i principi generali in tema di responsabilità civile" (C. 22801/2017). In ragione di quanto testé dedotto, deve ritenersi adempiuto l'onere probatorio gravante sugli odierni attori in merito al nesso di causalità tra l'evento morte e la res in custodia, ai sensi dell'art. 2051 c.c., in ragione dell'intrinseca pericolosità del tratto stradale ingenerata dallo stato del guard-rail, inadeguato a fungere da barriera di contenimento nel caso di specie. 2. Sul comportamento del danneggiato Resta da esaminare il comportamento del danneggiato e la sua eventuale incidenza nella determinazione dell'evento morte. Si rammenta infatti, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, che il fatto colposo del danneggiato può integrare il caso fortuito, quale esimente della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. (ex multis C. 18317/2015; C. 12895/2016). Affinché ciò avvenga, è necessario che la condotta del danneggiato si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione dell'evento lesivo, ascrivibile con efficacia causale autonoma e sufficiente alla condotta del danneggiato. Laddove la suddetta condotta non assuma i caratteri del fortuito, quale fattore interruttivo del nesso causale tra la cosa ed il danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo ai sensi dell'art. 1227 c.c., applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2056 c.c. 2.1. il caso fortuito Orbene, se elemento comune ad entrambe le ipotesi (caso fortuito e concorso causale) è l'inosservanza del dovere di cautela del soggetto danneggiato nell'entrare in contatto con la res (con conseguente profilo colposo allo stesso ascrivibile), affinché la condotta del danneggiato produca efficacia liberatoria totale del custode, è necessario che la stessa "si atteggi - sulla base di tutti gli elementi della fattispecie concreta - in termini di autonomia, eccezionalità, imprevedibilità ed inevitabilità, così da risultare in definitiva idoneo a produrre da solo l'evento lesivo, cioè escludendo fattori causali concorrenti" (ex multis C. 18317/2015; C. 11016/2011; C. 25029/2008; C. 11227/2008). Pertanto l'elemento caratterizzante il caso fortuito attiene alla disamina del concetto di prevedibilità, intesa come possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo. La suddetta possibilità deve essere concreta, ossia, come detto sopra, parametrata alla situazione di pericolo concretamente esistente nella fattispecie oggetto del giudizio, di talché tanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista (e pertanto superata) attraverso l'adozione delle normali cautele, tanto più incidente deve considerarsi l'efficacia causale del comportamento imprudente del danneggiato nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile l'interruzione totale del nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso. Orbene, nel caso di specie, la situazione di pericolo sopra evidenziata (barriere laterali non adeguate al grado di sicurezza e agli standard moderni) non può considerarsi visibile al danneggiato che pertanto, impegnando la curva sul finire del pomeriggio (alle ore 18 circa), ha fatto legittimamente affidamento sulla funzione contenitiva e protettivia delle barriere laterali regolarmente posizionate (ancorché non a norma). Inoltre difetta, nel caso di specie, l'ulteriore carattere di eccezionalità, atteso che l'incidente è avvenuto all'esito di un tratto caratterizzato da una curva destrorsa, rispetto alla quale, sussisteva segnale di pericolo e obbligo di rallentare, di talché la possibilità di uno sbandamento (soprattutto in condizioni di pioggia e/o umidità dell'asfalto, per come avvenuto nel caso di specie) costituisce un'eventualità non connotata dal carattere, appunto, di eccezionalità, stante l'elevata pericolosità del tratto in questione. Alla luce di quanto testé dedotto, deve condividersi la statuizione della Suprema Corte, secondo la quale "ove il sinistro sia riconducibile - anche in parte all'assenza o all'inadeguatezza di barriere di protezione, non vale ad interrompere il rapporto di derivazione causale e ad integrare il fortuito la mera circostanza che a determinare il sinistro abbia contribuito la condotta colposa dell'utente" (C. 9547/2015). 2.2. il concorso colposo del danneggiato Orbene, tanto premesso in merito al caso fortuito, deve tuttavia ritenersi che il decesso del conducente della vettura sia da ascrivere in via prevalente anche al comportamento colposo di quest'ultimo che, pertanto, ha concorso nella causazione dell'evento morte ai sensi dell'art. 1227 c.c. Il rapporto degli organi accertatori ha infatti evidenziato, nel ricostruire la dinamica del sinistro, che (...) ha perso il controllo del veicolo "a causa della velocità non particolarmente moderata in relazione all'asfalto reso bagnato e viscido da pioggia in atto". Tali rilievi sono stati poi confermati in sede di relazione peritale dallo stesso CTU che ha evidenziato che "l'eccess di velocità può appalesarsi come la causa più probabile della perdita del controllo del veicolo da parte del conducente, per come sostenuto anche dagli Agenti della Polizia Stradale intervenuti". In questo contesto, priva di pregio, al fine di escludere i profili di responsabilità ascrivibili allo stesso conducente, la circostanza evidenziata dagli odierni attori secondo cui, in ogni caso, come da relazione peritale, la sua velocità non sarebbe rilevabile con precisione, in difetto di elementi certi sul punto. Si rammenta, infatti, che, ai sensi dell'art. 141 c.d.s., a carico dell'agente sussiste l'obbligo di regolare la velocità in relazione alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni circostanza di qualsiasi natura. La ratio sottesa alla citata norma è quella di assicurare il controllo del veicolo da parte del conducente in qualsiasi circostanza in modo da scongiurare pericoli per la sicurezza delle persone e delle cose, indipendentemente dai prescritti limiti di velocità. Orbene, nel caso di specie, come da rilievi effettuati sia dalla polizia che dal CTU, l'urto si è verificato, nel tardo pomeriggio, alle ore 18.20, all'uscita da una curva destrorsa di un tratto stradale bagnato per le condizioni climatiche di pioggia. In un tale contesto, appare evidente il profilo colposo (discendente dal citato art. 141 c.d.s.) a carico del conducente che avrebbe dovuto ulteriormente adeguare la velocità alle condizioni climatiche e alle condizioni dello stato dei luoghi per come sopra descritte, in modo da ridurre al minimo le potenzialità di pericolo. Tale condotta sarebbe stata esigibile allo stesso conducente deceduto in considerazione anche della segnaletica presente al momento della verificazione dell'evento dannoso, essendo il tratto di strada in questione connotato da "striscia longitudinale continua", con "limite di velocità di 70 km/h con segnale di pericolo corredato da pannello integrativo "rallentare" e da un segnale di pericolo indicante una curva pericolosa a destra". Ne consegue che, tenuto conto della elevata pericolosità del tratto interessato, per come sopra rilevato, e della sua piena percepibilità nella fattispecie concreta (tenuto conto sia delle condizioni metereologiche che della segnaletica presente), lo sbandamento del veicolo è da imputare in via prevalente alla condotta colposa del conducente (...) che non ha adeguato la velocità di guida alle condizioni sopra descritte, pur avendone, in concreto, la possibilità. Deve pertanto riconoscersi a carico del conducente un concorso colposo nella causazione del danno (rappresentato dall'evento morte) nella misura del 60%, in considerazione della piena percebilità dello stato dei luoghi da parte del conducente in considerazione dell'elevata pericolosità del tratto di strada in questione. Si rammenta infatti che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, che, al fine di valutare se la condotta del danneggiato sia giuridicamente rilevante ai sensi dell'art. 1227 c.c., occorre esaminare la sua interazione con la res di talché "quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro" (ex multis C. 2480/2018). 3. il quantum debeatur Sotto il profilo del quantum, per quel che concerne il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale lamentato dagli odierni attori, si rammenta, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, che "in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ognuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione inclusiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima ed a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e dimostrare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazione che compromettono l'unità la continuità e l'intensità del rapporto familiare" (C. 14655/2017). Per quanto concerne l'onere della prova del danno da perdita del rapporto parentale, pertanto, l'evoluzione giurisprudenziale in materia ha portato a richiedere la sussistenza di un duplice presupposto: il primo, di diritto, consistente nell'esistenza di un vincolo riconosciuto dall'ordinamento giuridico tra la vittima e l'attore e, il secondo, di fatto, rappresentato dalla sussistenza di un vincolo affettivo tra gli stessi. Orbene, da un lato, il presupposto di diritto è certamente integrato con riferimento a tutti gli attori atteso che costituisce circostanza incontestata e documentalmente provata che gli attori siano rispettivamente genitori e fratelli del deceduto. Dall'altro lato, deve ritenersi altresì presuntivamente provato anche la sussistenza del suddetto presupposto di fatto con riguardo a ciascuno degli attori. Si rammenta, infatti, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, che tale pregiudizio "va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vito basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e sulla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è collegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost. Nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti, danno che può presumersi allorquando costoro siano legati da uno stretto vincolo di parentela, ipotesi in cui la perdita lede il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare" (ex multis C. 29784/2018; C. 4253/2012; C. 12146/2016; C. 3764/2018). Ne consegue, in ragione di quanto testé dedotto, che il dato legalmente rilevante della parentela stretta all'interno della famiglia nucleare costituisce elemento presuntivo idoneo ad inferire, secondo un elevato grado di probabilità logica, dal fatto noto, rappresentato dalla morte di un prossimo congiunto, il fatto ignoto che i familiari stretti dello scomparso, in quanto privati di un valore non economico ma personale rappresentato dal godimento della presenza del congiunto, abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un'alterazione della loro vita di relazione che, nel caso di detto legame parentale stretto, proprio per l'intensità del vincolo, "prescinde già in sé dalla convivenza" che "non può rilevare al fine di escludere o limitare il pregiudizio" (C. cit.). Ne consegue che "anche la semplice lontananza non è una circostanza di per sé idonea a far presumere l'indifferenza dei familiari - madre, padre, fratelli - alla morte del congiunto - figlio, fratello - trattandosi di elemento neutro" (ex multis C. 29784/2018; C. 3767/2018). Nell'ambito della liquidazione equitativa riconosciuta in forza dei suddetti principi giurisprudenziale, tuttavia, non si ravvisa alcuna ragione per personalizzare il risarcimento dovuto nella misura prossima ad un valore prossimo al massimo previsto dalle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, non avendo gli odierni attori allegato, né tantomeno inteso articolare prove, il benché minimo elemento che consentisse, nell'ottica di un adeguamento del risarcimento del danno alla fattispecie concreta, una valutazione presuntiva della unità, continuità e profondità del rapporto familiare in questione. Infine, sempre ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale patito iure proprio dai familiari della vittima primaria dell'illecito, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, la relativa liquidazione deve essere ridotta in misura corrispondente alla parte di danno cagionato da quest'ultimo a se stesso (alla stregua della percentuale sopra indicata). Ciò non in quanto l'art. 1227, comma primo, c.c. si applichi direttamente, bensì in quanto la lesione del diritto alla vita, colposamente cagionata da chi la vita la perde, non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell'altra per mancanza del requisito dell'ingiustizia del danno (C. 9349/2017). Alla luce di tutto quanto testé dedotto, tenuto conto della mancanza di elementi di personalizzazione del pregiudizio patito e tenuto presente che la responsabilità del sinistro deve essere ascritta per il 60% a (...) e che quindi, per i motivi sopra esposti, il risarcimento va ridotto nella misura corrispondente. Alla luce di tutto quanto testé dedotto, tenuto conto della mancanza di elementi di personalizzazione del pregiudizio patito, applicando il sistema a punti determinato dalla Tabelle di Milano aggiornate all'anno 2022, che prevede il valore punto pari a 3.365,00 euro, andranno così determinati i parametri previsti: a) età della vittima primaria, 5 punti (su un massimo di 28, in considerazione del fatto che non è stata fornita da parte attrice, nel proprio atto di citazione, l'età della vittima) b) età della vittima secondaria: - (...): 14 punti (età al momento dell'illecito: 51 anni) - (...): 17 punti (età al momento dell'illecito: 21 anni) - (...): 18 punti (età al momento dell'illecito: 20 anni) c) convivenza: 5 punti per i genitori e 0 punti per i figli (in difetto di allegazioni entro il limite del maturare delle preclusioni assertive ed essendo stato fatto solo riferimento alla convivenza con i genitori a pag. 6 dell'atto di citazione) d) sopravvivenza di altri soggetti del nucleo familiare: 0 punti (in difetto di specifiche e puntuali allegazioni sul punto) e) qualità è intensità della relazione affettiva: 10 punti (ossia il valore medio tra il minimo, 0, e il massimo, 30, in difetto di allegazioni specifiche ulteriori) Il danno risarcibile subito dagli attori, in quanto genitori del de cuius, pertanto, è astrattamente quantificabile, per (...) e (...), ciascuno nella somma finale di Euro 114.410,00, somma già attualizzata secondo le vigenti Tabelle di Milano, oltre interessi al tasso di legge sulla somma devalutata alla data dell'illecito e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo; parimenti quello subito da (...) e (...), fratelli del de cuius, deve essere astrattamente quantificato rispettivamente in Euro 107.680,00 e Euro 111.045,00, somma già attualizzata secondo le vigenti Tabelle di Milano, oltre interessi al tasso di legge sulla somma devalutata alla data dell'illecito e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo. Infine, sempre ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale patito iure proprio dai familiari della vittima primaria dell'illecito, la relativa liquidazione andrà ridotta alla stregua della percentuale sopra indicata in punto di causalità giuridica per le ragioni sopra esposte. Alla luce di tutto quanto testé dedotto, tenuto conto della mancanza di elementi di personalizzazione del pregiudizio patito e tenuto presente della decurtazione del 60% delle conseguenze dannose risarcibili in seguito all'evento morte, con conseguente riduzione nella misura corrispondente, il danno risarcibile subito da (...) e (...), in quanto genitori di (...), deve essere quantificato nella somma finale di Euro 45.764,00 (pari cioè al 40% dell'importo complessivo risarcibile), somma già attualizzata secondo le vigenti Tabelle di Milano, oltre interessi al tasso di legge sulla somma devalutata alla data dell'illecito e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo; parimenti quello subito da (...) e (...), fratelli di (...), deve essere quantificato in Euro 43.072,00 e Euro 44.418,00, per ciascuno dei fratelli, somma già attualizzata secondo le vigenti Tabelle di Milano, oltre interessi al tasso di legge sulla somma devalutata alla data dell'illecito e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo. Non meritevole di accoglimento deve ritenersi la domanda risarcitoria avanzata dagli attori con riguardo al danno biologico terminale. Con riferimento a quest'ultimo pregiudizio, si rammenta che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (che ha ricevuto conferma anche dalla sentenza n. 372/1994 della Corte costituzionale), perché possa riconoscersi il danno biologico della vittima di un evento letale (con conseguente trasmissione del relativo diritto patrimoniale in capo agli eredi), è necessario che tra la lesione del bene salute e la lesione del bene vita sia intercorso "un tempo apprezzabile che consenta di configurare un'effettiva ripercussione delle lesioni sulla sua (della vittima) complessiva qualità della vita" con la conseguenza che l'esito letale "intervenuto immediatamente o a breve distanza - di tempo dall'evento lesivo" non è suscettibile di determinare oltre alla soppressione del bene vita anche un danno biologico, inteso quest'ultimo come modificazione peggiorativa dello "stato" somato - psichico ed esistenziale del soggetto antecedente il sinistro (comprensivo di tutte le funzioni vitali, culturali, sessuali, ricreative, estetiche volte all'esplicazione della personalità umana negli ambienti sociali in cui l'individuo opera) indipendente da un effettivo pregiudizio alla capacità, di guadagno: Corte cost. 14/7/1986 n. 184; Cass. III sez. 13/1/1993 n. 357. Tale orientamento (cfr. ex multis: Cass. III sez. 29/9/1995 n. 10271; id. 12/10/1995 n. 10628; id. 28/11/1995 n. 12299; id. 14/3/1996 n. 2117; id. 29/5/1996 n. 4991 e Cass. III sez. 25/8/1997 n. 7975 che correlano esplicitamente il danno biologico all'elemento della "apprezzabilità" della durata temporale tra la lesione e la morte che non può rinvenirsi in "quell'intervallo di tempo che pur sempre, anche se minimo e se comporta sofferenza per l'individuo, intercorre tra la causa della morte e la morte stessa"; id. 25/2/1997 n. 1704; id. 30/6/1998 n. 6404; id. 10/2/1999 n. 1131; id. 25/2/2000 n. 2134) non sembra sia stato oggetto di revisione da parte della sentenza della Cass. III sez. 2/4/2001 n. 4783 che, in relazione alla sussistenza, di uno "spatium vivendi" come indispensabile presupposto per l'accertamento del danno biologico patito dal soggetto poi deceduto, non ha inteso riconoscere sempre e comunque il diritto della vittima al risarcimento di tale voce di danno ma ha voluto piuttosto richiamare l'esigenza di una motivazione "sulla rilevanza ed incidenza del fatto - durata in ordine alla valutazione dell'esistenza (an) e della consistenza (quantum) del danno", precisando che solo se detta valutazione è positiva può riconoscersi la trasmissibilità "iure hereditatis" del credito risarcitorio. Tanto premesso nel caso di specie gli odierni attori, entro il limite del maturare delle preclusioni assertive, non hanno neanche allegato la causa concreta del decesso occorso alla vittima pochi giorni dopo l'evento, precludendo, così, allo scrivente Giudice, una valutazione anche solo presuntiva che il decesso sia stato conseguenza delle lesioni subite né tantomeno è stato indicato il decorso clinico del de cuius nel periodo in cui successivo al sinistro occorso. L'accoglimento parziale delle domande formulate, giustifica la compensazione al 50% delle spese di lite, con conseguente condannare per la quota residua della parte soccombente. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - Accertato il concorso di (...) nella misura del 60% per il sinistro occorsogli in data 23.06.2009, condanna (...) S.p.A. a pagare, a titolo risarcitorio: - a (...) la somma complessiva di Euro 45.764,00, già attualizzata, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo - a (...) somma complessiva di Euro 45.764,00, già attualizzata, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo - a (...) la somma complessiva di Euro 44.418,00, già attualizzata, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo - a (...) la somma complessiva di Euro 43.072,00, già attualizzata, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del sinistro e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo - condanna (...) S.p.A. a rifondere agli odierni attori le spese di lite, nella misura del 50%, corrispondente a Euro 6.500,00, oltre rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge, oltre esborsi, compensando per il residuo le spese tra le parti processuali - pone le spese di CTU definitivamente a carico delle parti ciascuno per la quota del 50% Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c.. Così deciso in Crotone il 7 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 1430/2022 promossa da: (...) e (...), in qualità di genitori esercenti la potestà sul minore MO.RA., rappresentati e difesi dall'avv. PO.SA. e dall'avv. VO.MA. elettivamente domiciliati in VIA (...) B CROTONE presso lo studio dell'avv. PO.SA. ATTORE/I contro AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CROTONE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. LA.GI. e dell'avv. FE.GI. (...) C/O UFFICIO LEGALE AZIENDALE VIA (...) - (...) CROTONE;, elettivamente domiciliato in VIA (...) CENTRO DIREZIONELE IL GRANAIO null. 88900 CROTONE presso il difensore avv. LA.GI. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio l'Asp di Crotone al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'evento occorso. Hanno dedotto, in fatto, di essere stati sottoposti a tampone rinofaringeo, nel marzo 2020, con conseguente accertata positività al Covid-19. Hanno dedotto che, in conseguenza del suddetto evento, è stata diffusa sui circuiti social la lista di soggetti risultati positività. Hanno pertanto ritenuto, in diritto, violata la normativa speciale a tutela della privacy, con conseguente fondatezza della domanda risarcitoria formulata per la sofferenza morale patita in conseguenza dell'evento occorso. Si è costituito in giudizio l'ASP di Crotone contestando quanto ex adverso dedotto in ragione della mancata ascrivibilità del danno-evento all'operato dell'azienda ospedaliera e in ordine al difetto di prova del danno-conseguenza patito. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione della causa disposta con le modalità di cui all'art. 127 ter c.p.c. e con deposito, fino alla data odierna, delle note scritte ad opera delle parti in causa. La domanda di parte attrice è del tutto infondata. Ai fini della risarcibilità del danno ex art. 1223 c.c., in relazione all'art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare, in relazione a specifici fatti concreti di cui deve essere fornita la prova, non solo l'altrui inadempimento ovvero allegare e provare l'altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l'esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005). In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l'ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l'evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/2008). Tale consolidato orientamento trova applicazione anche allorquando il fatto lesivo coincida con la lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti. Ciò appare, del resto, conforme alla funzione che innerva il sistema della responsabilità civile, atteso che il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo "non è riconosciuto dall'ordinamento con finalità meramente punitive ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso ed, al contempo, lo stesso ordinamento non consente l'arricchimento ove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro (nemo locupletari potest cum aliena iactura), anche nelle ipotesi per le quali il danno sia ritenuto in re ipsa e trovi la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dalla controparte la presunzione attiene alla sola possibilità della sussistenza del danno ma non alla sua effettiva sussistenza e, tanto meno, alla sua entità materiale" (C. 16202/2002). In ragione di quanto testé dedotto, l'insegnamento consolidato della Suprema Corte è concorde nell'affermare il principio secondo cui il danno - conseguenza (distino dal c.d. danno-evento) non può mai essere ritenuto in re ipsa ma deve essere oggetto di puntuale allegazione e prova atteso che "il danno non patrimoniale anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di danno evento" (ex multis C. S.U. 26972/2008; C. 8827 e 8828/2003). Tale principio trova applicazione anche in caso di danno non patrimoniale derivante da reato (C. 8421/2011) atteso che il danno risarcibile ai sensi dell'art. 185 c.p. costituisce pur sempre conseguenza del reato e non si identifica con esso. Orbene, nel caso di specie, parte attrice, per quel che concerne il danno non patrimoniale, si è limitata ad allegazioni tese a identificare l'illiceità del fatto ascritto a parte convenuta, senza fornire il benché minimo elemento presuntivo idoneo a poter inferire, secondo un elevato grado di probabilità logica, che i fatti allegati abbiano ingenerato una ripercussione "dolorosa" nella sfera dei soggetti lesi. Ed invero non è chiaro da dove siano concretamente derivate "le gravi sofferenze morali e il patema d'animo" asseritamente patite posto che sono gli stessi ricorrenti a riconoscere la loro derivazione, in primo luogo, dalla stessa constatazione della loro positività al coronavirus. In tale contesto, non appare seriamente e concretamente distinguibile tale suddetto pregiudizio rispetto a quello, altrettanto contestuale, a livello cronologico, "della divulgazione a migliaia di personale della notizia della loro positività", non avendo parte ricorrente fornito elementi distinguibili tra il pregiudizio morale discendente dalla positività e quello invece discendente dall'illecito lamentato nei confronti di parte resistente. Con riferimento alle settimane successive alla diffusione della lista dei positivi, inoltre, non costituisce valido elemento indiziario l'altrettanto generica allegazione circa la presunta emarginazione sociale dei soggetti lesi, in un contesto di forti restrizioni comportamentali e di necessaria adozione di cautele connotate, tra le altre cose, dal distanziamento sociale, proprio nei mesi successivi a Marzo 2020, rilevanti nel caso di specie, non può seriamente inferirsi che la mera osservanza di condotte volte ad evitare contatti fisici di ogni genere sia strettamente derivante dall'illecito lamentato piuttosto che dal grave ed eccezionale stato epidemiologico riscontrabile a livello globale, tale da imporre cautele e restrizioni a prescindere dalla conosciuta positività delle singole persone. Le carenze sul piano assertivo non appaiono neppure sopperite da quadro probatorio in atti atteso che l'articolo di giornale prodotto non reca alcuna divulgazione dei nominativi da cui poter desumere concretamente una lesione morale conseguente alla stessa; inoltre gli stessi soggetti destinatari dei messaggi whatsapp contenenti la lista dei positivi, per come documentato, non rientrano nella cerchia dei soggetti indicati da parte ricorrente, come "amici" o colleghi di lavoro della stessa (...) che avrebbero tenuto i comportamenti indicati da parte ricorrente come causalmente ed eziologicamente riconducibili all'illecito lamentato. Né tantomeno i capitoli di prova si appalesano specifici e quindi ammissibili al fine di provare i fatti denunciati, per come già motivato con ordinanza del 23.02.2023. Ne consegue che anche sul piano probatorio non è dato desumere elementi indiziari gravi precisi e concordanti tali da poter far derivare strettamente e specificamente dalla divulgazione della notizia della positività dei soggetti lesi un comportamento della collettività e, nello specifico, dei soggetti individuati come facenti parte della cerchia dei ricorrenti, teso ad emarginare i ricorrenti stessi. In sostanza, parte attrice non ha allegato alcun elemento concreto realmente idoneo a comprovare non già la mera potenzialità diffusiva astratta della vicenda dedotta ma la sua concreta incidenza nel contesto sociale di riferimento dell'attore. Né tantomeno la lesione morale è evincibile dall'eco mediatica che la presunta vicenda occorsa a parte ricorrente avrebbe avuto, non avendo parte attrice fornito la benché minima prova sul punto, per come sopra osservato. Tale difetto totale di allegazione e prova in punto di causalità tra il pregiudizio asseritamente patito e la condotta di parte convenuta preclude nel modo più assoluto una qualsivoglia liquidazione del danno non patrimoniale in merito alla circostanza che la condotta di parte convenuta abbia profondamente, e nel concreto, alterato la tranquillità di parte ricorrente nel proprio contesto lavorativo e nel contesto sociale crotonese in generale. Inoltre, quanto alla richiesta di liquidazione equitativa, si ribadisce che la riscontrata lacuna in ordine all'allegazione e prova di precisi elementi oggettivi, da cui desumere l'esistenza stessa del danno risarcibile, non può essere colmata ricorrendo all'equità, che infatti non può mai equivalere ad arbitrio da parte del Giudice: l'equità soccorre quando è difficile o impossibile l'esatta monetizzazione del danno, ma presuppone pur sempre la prova, in base a conferente allegazione, degli elementi costitutivi del danno stesso, oltre che dell'altrui responsabilità; quindi l'esistenza e la derivazione causale dei danni integrano il fatto costitutivo della pretesa al risarcimento e la loro sussistenza va provata da chi la allega (cfr. Cass. 13288/2007; Cass. 10607/2010; Cass. 27447/2011; Cass. 8213/2013; Cass. 20889/2016; Cass. 4534/2017). Ne consegue, alla luce del suddetto consolidato orientamento giurisprudenziale, che la pretesa risarcitoria risulta del tutto carente di allegazione oltre che di prova circa la necessaria verificazione nel caso concreto del danno-conseguenza asseritamente subito dall'odierno attore a fronte del danno-evento dedotto in causa e del nesso di causalità con la condotta di parte convenuta. La liquidazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - Rigetta la domanda proposta da (...) e (...) - Condanna i ricorrenti a rifondere a parte resistente le spese di lite che liquida in Euro 3809,00, oltre rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c.. Così deciso in Crotone il 10 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2023.
Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Tribunale di Crotone Il Tribunale di Crotone, sezione civile, in composizione monocratica, in funzione di giudice d'appello, nella persona del giudice dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1227/2021 r.g. proposta da (...) - (P.IVA (...)) in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Crotone, alla (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende giusta procura posta a margine dell'atto di citazione in appello; -appellante- contro (...) (cod. fisc. (...)), nato a Cariati il (...), elettivamente domiciliato in Cirò Marina, alla via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende giusta procura posta in calce all'atto di citazione; - appellato - nonché (...) (...) - appellati contumaci- Oggetto: riforma e/o annullamento della sentenza n. 89/2021 emessa dal Giudice di Pace di Cirò - dott.ssa Carolina Dell'Aquila - depositata in data 18.5.2021 - R.G. n. 463/2021. CONCLUSIONI All'udienza del 14.12.2022 la causa è stata trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. sulle conclusioni rassegnate dai difensori delle parti costituite. MOTIVI I.- Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusto il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riassumersi come segue. I.1.- Con atto di citazione in appello, ritualmente notificato, (...) esponeva: che (...) aveva convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Cirò l'(...), il conducente e la proprietaria del mezzo investitore, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni subiti in quanto in data 28.3.2016, alle ore 17,00 circa, il motociclo Piaggio sul quale era terzo trasportato era stato urtato dal veicolo Fiat Stilo il cui conducente non si era fermato al segnale di stop; che con sentenza n. 89/2021 depositata il 18.5.2021 il Giudice di Pace adito aveva condannato i convenuti, in solido, al pagamento della somma di Euro 735,15 a titolo risarcitorio, oltre alle spese di lite; che la sentenza era da riformare in quanto era stata accertata la sussistenza di postumi permanenti, nella misura dell'1%, a seguito di c.t.u., mentre la c.t.p. effettuata in prossimità dell'evento non aveva accertato alcun postumo permanente e, comunque, in via stragiudiziale, l'(...) aveva già corrisposto l'importo di Euro 970,27, accettato dal (...) a titolo di acconto; che la sentenza era errata anche in quanto il convenuto contumace (...) non era stato correttamente evocato in giudizio, in quanto l'atto di citazione era stato notificato presso l'(...) e non presso la sua residenza ma il Santoro era stato condannato ex art. 2054 c.c. essendo stata proposta cumulativamente l'azione diretta ex artt. 144 e 126 cod. ass e l'azione aquiliana ex art. 2054 c.c.. Chiedeva, pertanto, la declaratoria di nullità e improcedibilità dell'atto di citazione in primo grado e dell'azione come promossa, il rigetto della domanda formulata dal (...) in primo grado, la condanna di controparte al pagamento delle spese del doppio grado. 1.2.- Dopo la rinnovazione della notifica, si costituiva in giudizio con propria comparsa (...), deducendo: che non aveva in primo grado esercitato azione diretta contro l'(...) e aquiliana contro i responsabili civili, ma esclusivamente azione diretta contro l'(...), tanto che la notifica dell'atto di citazione al Santoro presso l'(...) doveva ritenersi correttamente compiuta ed idonea a provocare l'instaurazione del contraddittorio ex art. 126 co. 2 lett. c. cod. ass.ni; che correttamente il Giudice di Pace aveva deciso in conformità con le valutazioni compiute dal c.t.u. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado. 1.3.- Gli appellati contumaci non si costituivano, nonostante la regolare notifica dell'atto di appello. 1.4.- In assenza di attività istruttoria, la causa perveniva all'udienza del 14.12.2022 nella quale le parti costituite precisavano le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. II. Deve essere preliminarmente dichiarata la contumacia degli appellati (...) e (...), regolarmente convenuti in giudizio ma non costituitisi. III. Nel merito l'appello è infondato e deve essere rigettato. E' infatti infondato il motivo di appello con il quale l'(...) contesta la sentenza di primo grado in quanto le risultanze della c.t.u., che ha accertato la sussistenza di postumi permanenti, nella misura dell'1%, a carico del (...), sarebbero erronee, poiché in realtà il (...) era stato visitato poco dopo il sinistro mediante perizia di parte ed il consulente non aveva riscontrato la sussistenza di alcuna lesione di tipo permanente. In realtà, la sentenza di primo grado sul punto è congruamente motivata, essendosi fondata sull'accertamento di postumi permanenti compiuto dal c.t.u. nominato, in modo rigoroso e fondato sull'accertamento concreto delle condizioni del danneggiato. In applicazione del principio generale, espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale in materia di risarcimento del danno alla salute, l'esistenza e la derivazione causale di postumi permanenti integrano il fatto costitutivo della pretesa al risarcimento e la loro sussistenza va provata da chi la allega, senza nessuna possibilità per il giudice di ricorrere all'equità, atteso che in via equitativa può determinarsi la misura del risarcimento del danno, non l'esistenza dello stesso (Cass., 4.11.2014, n. 23425), deve rilevarsi che il giudice di primo grado non ha utilizzato un metro equitativo oppure generico nella valutazione del danno, ma ha semplicemente recepito le valutazioni medico legali compiute dal c.t.u. nominato, liquidando una somma a titolo risarcitorio che tenesse conto della valutazione medica compiuta, sottraendo peraltro dall'importo liquidato a titolo risarcitorio le somme già corrisposte dall'(...), prima del giudizio, a titolo di risarcimento. Nessuna censura può pertanto rivolgersi sul punto al giudice di prime cure. E' inoltre infondato il motivo di appello con il quale l'(...) sostiene che in primo grado non era stato correttamente evocato in giudizio il convenuto (...) in quanto la notifica era stata compiuta presso l'(...) e non presso l'indirizzo di residenza. Nei sinistri stradali provocati da soggetti con veicoli immatricolati all'estero, qualora l'attore intenda proporre, oltre all'azione diretta nei confronti dell'(...), anche quella ai sensi dell'art. 2054 c.c. nei confronti del convenuto "straniero", la notifica a quest'ultimo deve essere eseguita ai sensi dell'art. 142 c.p.c. e non nel domicilio eletto ai sensi dell'art. 126 comma 2 lett. b) c. assicur., presso l'ufficio centrale italiano (cfr. Trib. Milano, sez. XI, 27.10.2010, n. 8346). In materia di danni ex art. 2054 c.c., una volta intervenuta la notificazione ai responsabili stranieri secondo le norme del codice di rito e delle convenzioni internazionali, ai fini della domanda di risarcimento del danno, essa esplica tutti i suoi effetti anche ai fini della citazione dei medesimi soggetti quali litisconsorti necessari, a norma dell'art. 143, comma 3 c.p.c. e ciò perché la domiciliazione legale prevista dall'art. 126, comma 2 lett. b) cod. ass. non costituisce eccezione alla piena efficacia delle notificazioni eseguite secondo le norme generali, ma risponde alla ratio di costituire una semplificazione all'esercizio dell'azione diretta cosicché, in tali casi, imporre una doppia notifica ai convenuti stranieri, una secondo le norme generali, per la domanda di risarcimento dei danni ed una presso l'(...) (ufficio Centrale Italiano) quale domiciliatario legale, per la citazione dei litisconsorti necessari nell'azione diretta, finisce col tradire in modo palese la ratio della domiciliazione legale, configurando un'inutile ulteriore formalità. Nel caso di specie, dalla mera disamina dell'atto di citazione in primo grado può evincersi che il danneggiato aveva esercitato azione diretta contro l'(...). Tra l'altro tanto è specificato anche nella comparsa di costituzione depositata dal convenuto (...), che ha esplicato chiaramente che l'azione era stata esercitata ex art. 126 co. 2 lett. c. cod. ass. In ogni caso, sono condivisibili le deduzioni di parte appellata (...) anche in merito alla carenza di interesse dell'(...) alla riforma della sentenza in parte qua o alla declaratoria della nullità della stessa in quanto anche ove si dovesse accertare l'inesistenza della notifica nei confronti del Santoro, in ogni caso - considerato che in caso di cumulo di domande nei confronti dell'(...) e dei responsabili civili trattasi di cause scindibili - la domanda proposta nei confronti dell'(...) sarebbe salva. Ne deriva il complessivo rigetto dell'appello. IV. Al rigetto dell'appello segue la condanna dell'appellante al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti dell'appellato costituito nella misura liquidata in dispositivo. V. Le spese sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55/2014, come aggiornato dal D.M. n. 147/2022, con applicazione dei valori medi di tariffa professionale, ridotti del 50% tenuto conto dell'estrema semplicità della questione e dell'assenza della fase istruttoria. VI. Sussistono, peraltro, i presupposti per il versamento da parte dell'appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato. Infatti, l'art. 1 comma 17, L. 24.12.2012, n. 228 (c.d. legge di stabilità) ha introdotto, in seno all'art. 13 del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, il nuovo comma 1quater, in cui è previsto che "quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis". In queste ipotesi, "il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposto di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso" e che le nuove disposizioni "si applicano ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge" (art. 1 comma 18) (procedimenti iniziati dalla data del 31.1.2013). P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, definitivamente pronunciando sull'atto di appello avverso la sentenza n. 89/2021 emessa dal Giudice di Pace di Cirò - dott.ssa Carolina Dell'Aquila - depositata in data 18.5.2021 - R.G. n. 463/2021, proposto da (...) - (P.IVA (...)) in persona del legale rappresentante p.t., contro (...) (cod. fisc. (...)), nato a Cariati il 7(...), (...) e (...), così provvede: - rigetta l'appello proposto; - condanna l'appellante al pagamento in favore di (...) delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 232,00, oltre I.V.A. e C.P.A. e compenso forfettario come per legge; - dà atto della sussistenza dei presupposti, a carico dell'appellante, dell'obbligo di cui all'art. 13 co. 1 quater d.P.R. 115/2002 e manda la cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Crotone, il 22 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.489/2019 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. CA.PI. Ricorrente nei confronti di (...) s.r.l., con l'avv. SA.FE. Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE Deve preliminarmente essere rigettata l'eccezione di intervenuta decadenza dall'azione giudiziaria sollevata dalla parte resistente, perché l'art.32, L. n. 183 del 2010 non riguarda i contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (non ravvisandosi nella disposizione in parola alcun elemento che deponga in senso contrario), in relazione ai quali l'ordinamento giuridico non prevede invece alcun termine decadenziale per la loro impugnativa. Tanto premesso e venendo al merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto per le seguenti ragioni. La parte ricorrente ha infatti assolto all'onere ex art.2697 (co.1) c.c. di fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto di credito fatto valere in giudizio, dimostrando di aver prestato attività lavorativa di natura subordinata alle dipendenze della parte resistente con le mansioni, nel periodo, nei giorni e negli orari indicati in ricorso. La parte ricorrente ha in particolare provato la sussistenza degli elementi sintomatici del lavoro subordinato (così smentendo la qualificazione formale del rapporto lavorativo attribuita dal datore di lavoro), come la soggezione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (vedi, al riguardo, quanto riferito dal teste (...) - all'epoca dei fatti di causa collega della parte ricorrente - nell'udienza del 7/10/2021, il quale ha confermato che (...) e tale (...), in qualità di "Team Leaders", provvedevano alla gestione dei turni del personale, all'assegnazione dei compiti da svolgere quotidianamente e dall'indicazione delle postazioni da occupare per svolgere l'attività di call center,accordando i giorni di permesso e di malattia e pretendendo che venissero loro comunicati eventuali ritardi ed assenze), la continuità della prestazione lavorativa (atteso che dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa in atti emerge che gli stessi si sono susseguiti sostanzialmente senza alcuna soluzione di continuità dal 30/7/2012 al 30/6/2015), l'osservanza di un orario di lavoro prestabilito (dal lunedì al venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 21.00 ed il sabato, dalle ore 11.00 alle ore 18.00: vedi, al riguardo, le dichiarazioni rese dal teste (...) - all'epoca dei fatti di causa collega della parte ricorrente - nell'udienza del 7/10/2021) ed il versamento di una retribuzione a cadenze fisse (vedi contratti di collaborazione coordinata e continuativa in atti). Non vi sono ragioni per dubitare dell'attendibilità di tali dichiarazioni (tra l'altro coerenti con quanto narrato dal teste (...) nell'udienza del 5/3/2020), in quanto (...) ha sì riferito di avere instaurato una vertenza lavorativa nei confronti della parte resistente, ma ha altresì aggiunto di avere già stipulato un accordo transattivo per porre fine alla medesima. Appare per contro poco credibile quanto riferito nell'udienza dell'8/10/2020 dal teste (...), il quale ha dichiarato di aver espletato all'epoca dei fatti di causa la mansione di "Team Leader", aggiungendo quanto segue: ?... io mi occupavo della sede, controllavo l'ambiente di lavoro e garantivo l'ordine ed il codice etico, nel senso di non buttare carta per terra etc. .... Trattasi di una ricostruzione degli eventi evidentemente inverosimile, essendo alquanto improbabile che la parte resistente avesse reclutato delle figure qualificate quali quelle dei "Team Leaders" al fine di evitare, ad esempio, che gli operatori buttassero le carte per terra. Questo Giudice ritiene invece più credibile che i "Team Leaders" impartissero delle vere e proprie direttive alla parte ricorrente ed esercitassero altresì un potere disciplinare nei suoi confronti, circostanza narrata dal teste (...) della cui attendibilità non vi sono motivi di dubitare per le ragioni di cui si è detto sopra. Quanto alle dichiarazioni rilasciate da (...) (tra l'altro ancora dipendente della parte resistente, elemento che contribuisce ad inficiare la genuinità della deposizione), trattasi di un testimone che ha riferito di aver lavorato in un ufficio sito al primo piano della sede di lavoro ove era addetta la parte ricorrente, la quale lavorava invece al piano terra, con la conseguenza che il teste in argomento non poteva evidentemente sapere con certezza se ci fosse o meno qualcuno che esercitasse un potere direttivo o disciplinare nei confronti della parte ricorrente o se quest'ultima osservasse un orario di lavoro prestabilito (essendosi limitato a narrare di essere capitato ?nell'"open space" dove lavorava la parte ricorrente, senza tra l'altro precisare con quale cadenza ciò sia accaduto). Per quanto esposto, deve ritenersi dimostrato lo svolgimento di un rapporto lavorativo subordinato ex art.2094 c.c. con le mansioni, nel periodo, nei giorni e negli orari indicati in ricorso, sussistendo nel caso di specie vari indici rivelatori della subordinazione, come la soggezione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, la continuità della prestazione lavorativa, l'osservanza di un orario di lavoro prestabilito ed il versamento di una retribuzione a cadenze fisse. Su tali basi, è stata disposta CTU con la formulazione del seguente quesito: "Accerti il CTU le differenze retributive (anche a titolo di TFR) eventualmente spettanti alla parte ricorrente per le causali indicate nel ricorso ..., con le seguenti precisazioni: periodo lavorativo dal 30/7/2012 al 30/6/2015; livello di inquadramento: terzo livello del CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione; orario di lavoro: dal lunedì al venerdì (dalle 15.00 alle 21.00) ed il sabato (dalle 11.00 alle 18.00); percepito (come da buste paga prodotte dal lavoratore per i mesi in cui vi sono in atti, come da ricorso e conteggi allegati per i restanti mesi)". Il CTU ha risposto al quesito quantificando in Euro 62.817,54 la somma complessiva spettante alla parte ricorrente per differenze retributive (anche a titolo di TFR): non vi sono motivi per discostarsi da tali conclusioni, che non sono state contraddette da sufficienti deduzioni di segno contrario. Il CTU ha infatti risposto adeguatamente (con argomentazioni integralmente condivise da questo Giudice) alle osservazioni della parte resistente sulla relazione di consulenza tecnica. Da tale importo deve però essere scomputata la somma di Euro 6.178,03 a titolo di indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti, trattandosi di una causale che non è indicata nel ricorso e che, per l'effetto, il CTU non avrebbe dovuto considerare, alla luce del quesito formulato da questo Giudice (come correttamente rilevato dalla parte resistente nelle osservazioni sulla relazione di consulenza tecnica). Ne consegue che l'importo complessivo dovuto in favore della parte ricorrente deve essere ridotto ad Euro 56.639,51. La parte ricorrente ha dunque assolto all'onere di dimostrare i fatti costitutivi del diritto azionato: la parte resistente, per contro, non ha provato la sussistenza di eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito fatto valere in giudizio dalla controparte (non dimostrando, ad esempio, di aver versato in favore della parte ricorrente somme di denaro, a titolo di retribuzione per l'attività lavorativa subordinata svolta, ulteriori rispetto a quelle indicate nei conteggi allegati al ricorso e nelle buste paga sottoscritte dal lavoratore in atti). Ne consegue che la parte resistente deve essere condannata alla corresponsione, in favore della parte ricorrente, della somma complessiva di Euro 56.639,51 a titolo di differenze retributive (di cui Euro 4.119,24 per TFR), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo. È infine infondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla parte resistente, stante la messa in mora intervenuta con missiva in atti inviata in data 24/7/2015 e la successiva proposizione del ricorso giudiziario intervenuta nel 2019. Dalla condanna discende l'obbligo della parte resistente di procedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa della parte ricorrente presso i competenti enti previdenziali. Le spese di lite sono poste a carico della parte resistente (in omaggio al principio della soccombenza) e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. 1) Accerta e dichiara che la parte ricorrente ha lavorato a tempo pieno (con l'orario e con le mansioni indicati in ricorso) alle dipendenze della parte resistente dal 30/7/2012 al 30/6/2015 con inquadramento nel terzo livello del "CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione" e, per l'effetto, converte i contratti a progetto indicati in ricorso in contratti di lavoro subordinato. 2) Per l'effetto, condanna la parte resistente alla corresponsione, in favore della parte ricorrente, della somma complessiva di Euro 56.639,51 a titolo di differenze retributive (di cui Euro 4.119,24 per TFR), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo, nonché alla regolarizzazione della posizione previdenziale della parte ricorrente. 3) Condanna la parte resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre contributo unificato (se dovuto e versato), spese generali, IVA e CPA come per legge (con distrazione). 4) Pone definitivamente le spese della CTU (liquidate con separato decreto), nei rapporti interni tra le parti, a carico della parte resistente. Così deciso in Crotone il 13 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 1939/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ) rappresentato e difeso dall'avv. CU.DA. elettivamente domiciliato in VIA (...) CASABONA presso lo studio dell'avv. CU.DA. ATTORE/I contro (...) SPA (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. PE.MA.elettivamente domiciliato in VIA (...) (C/O AVV. EL.CO.) 46 REGGIO CALABRIA presso lo studio dell'avv. CO.EL. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 504/2021 con cui il Tribunale di Crotone ha ingiunto in favore di (...) S.p.A. il pagamento della somma di Euro 38859,86, oltre interessi e spese del monitorio. Ha dedotto l'infondatezza del credito ingiunto in ragione della carenza dei requisiti di prova scritta di cui all'art. 633 c.p.c. e dell'indeterminatezza, sul piano probatorio, dell'importo ingiunto,. Ha altresì contestato l'illegittima applicazione degli interessi usurari. Si è costituita in giudizio I. S.p.A. contestando quanto ex adverso dedotto in ragione della completezza della documentazione prodotta e della piena prova del credito ingiunto anche sotto il profilo del quantum. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. L'opposizione è infondata per i motivi di seguito indicati. Con riferimento alla prestazione principale, oggetto del decreto monitorio opposto, occorre innanzitutto rammentare che, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, il creditore che agisce in giudizio per l'esatto adempimento di una prestazione contrattuale (come nel caso di specie), deve fornire la prova del titolo costitutivo del suo diritto, limitandosi ad allegare l'inadempimento e/o l'inesatta esecuzione della prestazione ad opera della controparte, su cui incombe l'onere di dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento e/o dall'esatta esecuzione delle prestazione resa (ex multis C. 13533/2001; C. 10261/2000). Nel caso di specie, deve ritenersi formata la prova della sussistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, avendo parte opposta prodotto copia del contratto con cui è stato concesso il finanziamento in oggetto e la correlata documentazione (condizioni generali del contratto e documento di sintesi). Sotto questo profilo, deve essere disattesa l'eccezione sollevata da parte opponente in ordine alla inidoneità della documentazione prodotta da parte opposta a supporto del ricorso monitorio al fine di ottenere il decreto ingiuntivo oggi opposto in relazione all'importo di cui al contratto in oggetto. Si evidenzia, infatti, secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato, che, ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, in caso di contratto di finanziamento, è sufficiente, a tal fine, unitamente al contratto di finanziamento, la produzione del piano di ammortamento o della scheda contabile o di documentazione equivalente (ex multis Tribunale Cassino, 18.07.2018, Tribunale Bari, sez IV, 22.03.2012). Tale documentazione è ritenuta sufficiente in quanto, in caso di estinzione del contratto anteriormente alla sua naturale scadenza, la stessa è ritenuta necessaria e sufficiente ai fini del calcolo delle somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale ovvero al pagamento degli interessi (ex multis C. 23972/2010; Tribunale Foggia, 339/2017). Tanto premesso, nel caso di specie, parte opposta, in sede monitoria, ha prodotto, a supporto delle proprie pretese, oltre al contratto di finanziamento anche l'estratto conto della situazione debitoria relativa al finanziamento in oggetto. Ne consegue che la deduzione di parte opponente è destituita di fondamento giuridico. Inoltre l'odierno opponente non ha contestato l'effettiva sussistenza di un rapporto di finanziamento con l'istituto cedente né che quest'ultima abbia effettivamente erogato la somma oggetto di affidamento, così come è incontestato, oltre che documentalmente provato, il versamento parziale dei canoni ad opera dello stesso opponente. Ne consegue che, a prescindere dalla produzione documentale in atti, deve ritenersi formata la prova circa la sussistenza del titolo costitutivo alla base della pretesa in atti e dell'effettiva esecuzione della prestazione posta a carico di parte opposta, non avendo parte opponente in alcun modo allegato deduzioni idonee ad assurgere a fatti estintivi e/o impeditivi dell'inadempimento oggetto del contendere. In tale quadro assertivo e probatorio, è altresì da ritenersi priva di pregio l'eccezione di inosservanza del disposto di cui all'art. 633 c.p.c. a giustificazione dell'emissione del decreto opposto. Occorre infatti rammentare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/05; Cass. 15186/03; Cass. 6663/02); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 20613/11). Orbene, nel caso di specie, la produzione documentale in atti (contratto e documento di sintesi), a cui si aggiunge l'estratto conto prodotto in fase di opposizione, e l'operatività, con riferimenti ai fatti dedotti nel ricorso monitorio, del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., consente di ritenere in ogni caso provato il credito ingiunto all'odierno opponente, di talché è da ritenersi priva di pregio ogni doglianza in punto di legittimità dell'emissione del decreto opposto. In questo contesto, nessun profilo di illiceità per asserita violazione degli obblighi informativi è rilevabile nel caso di specie né tantomeno di nullità. Tali doglianze, infatti, risultano smentite dalla stessa documentazione in atti prodotta dalle parti in causa, attestante la specifica sottoscrizione, da parte dell'odierno opponente, nel contratto in oggetto della clausola con cui lo stesso contraente ha espressamente dichiarato "di aver ritirato copia dell'Informativa ai sensi dell'art. 13 D.Lgs. n. 196 del 2003, dell'Avviso "Principali Norme di Trasparenza", del Foglio Informativo, del Documento di Sintesi, nonché del Contratto e delle Condizioni Generali di Contratto", nonché "di aver esaminato le "Condizioni Generali di Contratto", che tutte dichiara di accettare" e "di aver letto e di accettare integralmente tutte le clausole delle Condizioni Generali di Contratto ed in particolare, anche ad ogni effetto degli artt. 1341 e 1342 c.c., di approvare espressamente quelle al (...) n. 10 (ritardato o mancato pagamento delle rate relative ai Finanziamenti Specifici), (...) n. 23 (decadenza dal beneficio del termine, interessi di mora e penali); n. 24 (oneri e spese accessorie)" (cfr. p. 1 DOC. 3 fascicolo monitorio). Tali clausole appaiono idonee, da un lato, ad attestare l'assolvimento dei doveri informativi ad opera della compagnia resistente e, dall'altro, a ritenere superata la presunzione di vessatorietà discendente dalla lett. l) dell'art. 33 co. 2 del codice del consumo che prevede che "si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di prevedere l'estensione dell'adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto". Ed invero si rammenta che, secondo l'insegnamento costante della Suprema Corte, Il richiamo, in forza di espresso patto contrattuale, di una disciplina fissata in un distinto documento, sulla premessa della piena conoscenza di tale documento e al fine della integrazione del rapporto negoziale per tutto ciò che non sia diversamente regolamentato, si traduce in una scelta idonea ad assegnare alle singole previsioni di quella disciplina la portata di clausole concordate (ex multis Cass. n. 3479/1997; Cass. n. 7403/2016; Cass. n. 9392/1992). Ed invero l'atto esterno viene fatto proprio dagli stipulanti, con il meccanismo della "relatio perfecta", e messo su un piano di parità rispetto all'atto direttamente compilato e sottoscritto (cfr. Cass. n. 9753 del 26 settembre 1990); ne consegue che il contratto così predisposto non può in alcun modo qualificarsi come contratto per adesione a condizioni predisposte da uno dei contraenti, perché tali non sono qualificabili le condizioni che siano frutto, ancorché con il sistema del rinvio, di una scelta concordata, senza che possa opporsi l'unilateralità della formazione del documento recepito, trattandosi di connotazione che viene meno quando le parti, di comune accordo, si approprino del suo contenuto (Cass. n. 9393/1992). Sulla base di tali principi consolidati, la Suprema Corte ha ritenuto valide le clausole contrattuali laddove, nella polizza di assicurazione, sia inserita la dichiarazione dell'assicurato di aver preso visione delle condizioni generali espressamente richiamate (Cass. n. 3479/1997). La considerazione che le clausole così predisposte siano da considerarsi concordate tra le parti, infatti, consente di farle rientrare nella "possibilità" che la parte contraente debole abbia avuto di conoscerle (secondo la formulazione della lettera l) dell'art. 33 co. 2 c.d.c.). Alla luce di quanto testé dedotto deve ritenersi che, nel caso di specie, come ricavabile dalla documentazione in atti, (...) abbia avuto la possibilità di conoscere tali clausole, atteso che, sono state oggetto di specifica approvazione per iscritto (tramite sottoscrizione) in calce al contratto, e dall'altra, lo stesso opponente ha sottoscritto che tali documenti costituiscono parte integrante del presente rapporto contrattuale. La pluralità di tali elementi consente, pertanto, di ritenere superata la presunzione di vessatorietà di cui alla lettera l). La clausola de qua consente, altresì, come sopra detto, di ritenere correttamente assolti i doveri di informazione a carico della società creditrice atteso che la chiarezza e l'inequivocità del tenore letterale delle clausole specificamente sottoscritte di cui sopra induce, alla stregua dei canoni di cui all'art. 1362 c.c., a ritenere che l'odierno opponente, alla data della sottoscrizione del contratto, avesse effettiva contezza delle condizioni del contratto, o quantomeno fosse stato posto nelle condizioni di effettivamente avere tale contezza mediante richiesta (mai avvenuta nel caso di specie) e conseguente materiale consegna dei modelli in oggetto, in ossequio al dovere di diligenza gravante anche sulla parte contraente debole ai sensi dell'art. 1341 co. 1 c.c. Tanto premesso sotto il profilo formale dell'assolvimento degli oneri di informazione gravanti sulla compagnia assicurativa contraente, si evidenzia che la documentazione in atti (in particolare il fascicolo informativo, le condizioni generali e il documento di sintesi) sia idoneo, anche sotto il profilo sostanziale, a ritenere che l'odierno opponente sia stato adeguatamente informato sugli elementi essenziali del contratto stipulato, sotto tutti i profili lamentati nel presente giudizio. Si rammenta, infatti, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, che l'obbligo di buona fede, da cui discende l'esigenza di una informazione esaustiva, implica che la controparte sia informata su tutte le circostanze relative all'affare (ex multis C. 6526/2012; C. 5297/1998; C. 5920/1985), usando espressioni chiare ed intelligibili (C. 8412/2015). Nel caso di specie, la documentazione in atti, sopra richiamata, con cui l'odierno opposto, per come sopra detto, ha inteso assolvere ai propri obblighi di informazione, appare rispettosa dei canoni suddetti, atteso che risultano espressamente indicate e chiaramente delineate le rate da pagare, il tasso di interessi pattuito nonché le spese correlate alla conclusione ed esecuzione del contratto e le condizioni per l'erogazione delle stesse, oltre che la durata complessiva del contratto. In ogni caso, sotto quest'ultimo profilo, si rammenta che, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, "unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile, ove non altrimenti stabilito dalla legge, di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità" di talché "la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti" (C. 8462/2014). Pertanto, alla luce di tutto quanto testé dedotto, accertata la consegna della documentazione sopra richiamata, alla luce della specifica sottoscrizione apposta dallo stesso contraente alle clausole indicate, deve ritenersi, da un lato, esclusa qualsivoglia nullità discendente dalla presunta vessatorietà delle stesse ex art. 1341 c.c. ed ex art. 33 cod. cons. e, dall'altro lato, esclusa, in assenza di una esplicita previsione normativa, che la violazione dei menzionati doveri di comportamento, abbia determinato, anche a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del contratto o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso. Prive di pregio appaiono altresì le censure in tema di asseriti addebiti illegittimi avanzate da parte opponente, per la genericità delle suddette contestazioni. Sotto questo profilo, in particolare, si rileva che più volte è stato statuito, secondo orientamento consolidato, che "qualora ? il cliente contesta l'illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale, delle commissioni di massimo scoperto, nonché di interessi usurari ? limitandosi ad una generica contestazione di tali modalità di svolgimento del rapporto contrattuale, senza indicare, nemmeno approssimativamente, l'entità delle somme esatte, né producendo documenti idonei a colmare la lacuna, la domanda non può essere accolta" (tra le tante Trib. Monza 20.10.2006). Ed invero, è onere della parte che invoca l'illegittima applicazione interessi indicare i precisi fatti su cui tale deduzione viene formulata, "non essendo sufficiente sollevare l'eccezione con la contestuale richiesta di consulenza tecnica, in quanto quest'ultima avrebbe carattere meramente esplorativo. Né potrà pretendersi che la nullità venga rilevata ex officio dal Giudice, in quanto questi deve limitarsi a rilevare, cioè constatare, ciò che già risulta dagli elementi probatori disponibili e rite et recte acquisiti" (Trib. Monza, Sez. III, 16.04.2008). Nel caso di specie non è stata compiuta nessuna analisi concreta delle clausole contrattuali che consentisse, tramite conteggi analitici, di ritenere specificamente allegata l'asserita illegittimità dei costi sostenuti né tantomeno l'asserito superamento del tasso soglia degli stessi interessi pattuiti, di talché la relativa eccezione risulta sfornita sia di allegazione specifica che di prova in ordine alla sua effettiva verificazione. Ne consegue, per tutte le ragioni sopra esposte, l'infondatezza dell'opposizione proposta. La liquidazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta da (...) e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 504/2021, di cui dichiara l'esecutorietà - condanna parte opponente a rifondere a parte opposta le spese di lite che liquida in Euro 3.809,00, oltre a rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Crotone il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.60/2022 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. BU.GI. Ricorrente nei confronti di MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO, con la dott.ssa (...) Convenuto CONCLUSIONI DELLE PARTI E MOTIVI DELLA DECISIONE La parte ricorrente, in possesso di diploma di ragioniere e perito commerciale, di tecnico dei servizi turistici e di tecnico delle attività alberghiere, dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche e dei 36 mesi di servizio, avendo presentato domanda di inserimento nelle graduatorie provinciali per le supplenze ((...)) del personale docente ed educativo per il biennio scolastico 2020-2021 e 2021-2022 e nelle graduatorie di istituto del personale docente ed educativo, formulava istanza di inserimento nella prima fascia delle (...) e nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, in virtù del valore di abilitazione all'insegnamento che l'art.5, D.Lgs. n. 59 del 2017 attribuirebbe al possesso della laurea (o, per i posti di insegnante tecnico pratico e fino all'anno scolastico 2024/2025, del diploma) e dei 24 CFU o dei 36 mesi di servizio di cui sopra. A seguito del mancato riconoscimento di tale valore abilitante, ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio. Il Ministero dell'Istruzione ha chiesto il rigetto delle avverse pretese, sostenendo che (in assenza di una specifica disposizione legislativa) il possesso della laurea e dei 24 CFU o dei 36 mesi di servizio non sia equiparabile, agli effetti dell'accesso alla prima fascia delle (...) ed alla seconda fascia delle graduatorie di istituto, al possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le seguenti ragioni. A mente dell'art.1 (co.110) L. n. 107 del 2015, "a decorrere dal concorso pubblico di cui al comma 114, per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto possono accedere alle procedure concorsuali per titoli ed esami, di cui all'articolo 400 del testo unico di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 113 del presente articolo, esclusivamente i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all'insegnamento ...". Ai sensi dell'art.5, D.Lgs. n. 59 del 2017, "costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di docente di cui all'articolo 3, comma 4, lettera a), il possesso dell'abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 crediti formativi universitari o accademici, di seguito denominati CFU/CFA, acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche. Costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di insegnante tecnico-pratico, il possesso dell'abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea, oppure diploma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica di primo livello, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 CFU/CFA acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra-curricolare nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche ...". Dal tenore letterale di tali disposizioni emerge che il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento è cosa ben diversa dal possesso congiunto della laurea magistrale o a ciclo unico (ovvero del diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica) e dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche: ciò si evince dal termine "oppure" contenuto nell'art.5, D.Lgs. n. 59 del 2017, il quale evidenzia la diversità tra due elementi che sono equiparati dalla normativa in parola solo in relazione ad un profilo (cioè, perché costituiscono entrambi titoli di accesso alle procedure concorsuali, per titoli ed esami, di cui all'art.400, D.Lgs. n. 297 del 1994). Né può ritenersi, in mancanza di una specifica previsione legislativa, che tale equiparazione operi (oltre che ai fini della partecipazione alle predette procedure concorsuali) anche nel senso di consentire l'inserimento nella prima fascia delle (...) e nella seconda fascia delle graduatorie di istituto di un soggetto privo del titolo di abilitazione all'insegnamento (ma in possesso, congiuntamente, della laurea magistrale o a ciclo unico - ovvero del diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica - e dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche). Ciò in quanto: 1) l'accesso alla prima fascia delle (...) è riservato dall'art.3 dell'ordinanza del Ministero dell'Istruzione n.60/2020 (relativa alle "procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all'articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della L. 3 maggio 1999, n. 124 e di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo") esclusivamente ai "soggetti in possesso dello specifico titolo di abilitazione", mentre il possesso dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche rileva soltanto (unitamente alla presenza di ulteriori requisiti), sempre a mente dell'art.3 dell'ordinanza ministeriale di cui sopra, ai fini della collocazione nella seconda fascia delle (...). Né tale ordinanza ministeriale appare in contrasto con la normativa di rango primario di cui al comb. disp. degli artt.1 (co.110) L. n. 107 del 2015 e 5, D.Lgs. n. 59 del 2017, interpretata nei termini di cui si è detto sopra; 2) l'accesso alla seconda fascia delle graduatorie di istituto è riservato dall'art.11 dell'ordinanza del Ministero dell'Istruzione n.60/2020 esclusivamente agli "aspiranti presenti in (...) di prima fascia che presentano il modello di scelta delle sedi per la suddetta fascia contestualmente alla domanda di inserimento nelle (...) ai sensi del comma 4", mentre il possesso dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche non rileva ai fini della collocazione nella seconda fascia delle graduatorie di istituto. Né tale ordinanza ministeriale appare in contrasto con la normativa di rango primario di cui al comb. disp. degli artt.1 (co.110) L. n. 107 del 2015 e 5, D.Lgs. n. 59 del 2017, interpretata nei termini di cui si è detto sopra. Ritiene questo Giudice di aderire all'orientamento espresso in materia dalla sentenza n.656/2021 pronunciata dal Tribunale di Crotone, qui richiamata ex art.118 disp. att. c.p.c. e di cui si riporta di seguito uno stralcio: "Merita, quindi, di essere condiviso l'orientamento espresso da questo Tribunale con ordinanza n.7517/2020, come anche da recente giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR Lazio 10945/2019; Tar Lazio n.7152/2019, che ha puntualmente osservato: "Premesso che per l'iscrizione nella II fascia delle citate graduatorie è necessario il conseguimento del titolo abilitativo, per quanto concerne il semplice possesso di laurea ovvero il titolo didottore di ricerca ovvero ancora lo svolgimento di 24 cfu, in conformità all'orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. n.2264 del 2018), deve ritenersi che non sia equiparabile al titolo di abilitazione all'insegnamento" (nello stesso senso, fra gli altri: Trib. Milano n.466/2020, Trib. Roma n.1755/220; Trib. Taranto n.632/2020)". Tale orientamento è stato recentemente confermato anche dalla Corte di Appello di Catanzaro con la sentenza n.844 del 24/6/2021 (qui richiamata ex art.118 disp. att. c.p.c.), con cui la Corte ha riformato una pronuncia del Tribunale di Crotone, ritenendo non condivisibile la tesi secondo cui "l'individuazione dei c.d. 24 CFU come titolo equipollente all'abilitazione ai fini dell'ammissione al concorso disciplinato dal D.Lgs. n. 59 del 2017 dovrebbe condurre di per sé alla configurazione degli stessi come utili anche per l'inserimento nella II fascia delle graduatorie di istituto e nella prima fascia delle GPS". Alle medesime conclusioni è pervenuto il Tar Lazio con riferimento alla questione dei 36 mesi di servizio, statuendo nei seguenti termini: "Il Tribunale e la prevalente giurisprudenza amministrativa si è costantemente orientata nel senso della non equiparabilità della laurea, dei 24 CFU e dei 36 mesi di esperienza professionale - anche congiuntamente posseduti - al conseguimento del titolo abilitativo" (Tar Lazio, n.9914/2020, sentenza qui richiamata ex art. 118 disp. att. c.p.c.). Deve inoltre rilevarsi che appare manifestamente infondata la questione di incostituzionalità della normativa in discorso sollevata dalla parte ricorrente, atteso che è configurabile una violazione dell'art.3 Cost. solo allorquando il legislatore tratti in maniera diversa situazioni uguali, mentre nella fattispecie in esame non è ravvisabile alcuna disparità di trattamento tra situazioni identiche. Ciò in quanto l'equiparazione del possesso della laurea e dei 24 CFU al possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, ai soli effetti della partecipazione alle procedure concorsuali, per titoli ed esami, di cui all'art.400, D.Lgs. n. 297 del 1994 (e non anche ai fini dell'inserimento nella prima fascia delle (...) e nella seconda fascia delle graduatorie di istituto), costituisce una disparità di trattamento tra situazioni diverse (e non uguali), con la conseguenza che la differenziazione effettuata dal legislatore non appare in contrasto con la Costituzione. Quanto infine all'asserita incompatibilità delle disposizioni interne con il diritto unionale, questo Giudice condivide i principi di diritto enunciati da Cons. di St., n. 5556/2021 (qui richiamati ex art.118 disp. att. c.p.c.), secondo cui "quanto alla doglianza incentrata sulla violazione del principio di libera circolazione e della direttiva 2005/36/CE, essa è già stata respinta da questa Sezione (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 12 marzo 2018, n.1524). La normativa europea evocata - che ha ad oggetto il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente - è irrilevante rispetto alla disciplina applicabile in questa sede, in cui si tratta della validità da riconoscere in Italia ad un titolo professionale formato per intero nell'ordinamento interno". La mancanza di consolidati orientamenti giurisprudenziali in ordine alle questioni oggetto del presente giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Spese compensate. Così deciso in Crotone il 9 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.
TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE Sezione civile Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Maria Vittoria Marchianò - Presidente dott.ssa Alessandra Angiuli - Giudice dott.ssa Sofia Nobile de Santis - Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. ..../2021 tra: R.S. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. ...ed ivi domiciliata presso il suo studio in Catanzaro, alla via .. RICORRENTE.... E M.C. (C.F. (...)) RESISTENTE CONTUMACE e con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO. Oggetto: interdizione. Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 5.12.2021, R.S. ha chiesto dichiararsi l'interdizione di M.C. rappresentando lo stato di abituale e persistente infermità mentale di quest'ultima, con conseguente incapacità di provvedere in autonomia agli atti quotidiani della vita. Verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, svolta l'istruttoria anche attraverso espletamento di CTU, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione all'udienza del 7.12.2022. Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia di M.C., regolarmente evocata in giudizio e non costituita. Nel merito, la domanda di interdizione deve essere rigettata. La disciplina contenuta nella L. n. 6 del 2004, che ha introdotto l'istituto dell'amministrazione di sostegno, affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all'incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l'inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l'interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria (Corte Cost. 440/2005). L'interdizione è divenuta, dunque, nell'ambito delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, un provvedimento di portata residuale, occorrendo perseguire, nella individuazione della misura più conforme alle esigenze dell'interessato, l'obiettivo della minore limitazione possibile della sua capacità di agire (cfr. Cass. 4866/2010). In particolare, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Nell'applicazione di tale criterio deve tenersi conto in via prioritaria del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, nel senso che ad un'attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto - vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l'attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti - corrisponderà l'amministrazione di sostegno, mentre si potrà ricorrere all'interdizione quando si tratta di gestire un'attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l'esterno (cfr. Cass. 22332/11, 13584/06). Nel caso di specie, non emerge dalle allegazioni della ricorrente, né dall'istruttoria espletata, che la convenuta possa trovarsi, a cagione della condizione psico-fisica in cui si trova, in situazioni pericolose per la propria persona, né per il proprio patrimonio (essendo ella percettrice della sola indennità di accompagnamento). Sulla scorta di tali considerazioni, ritiene il Tribunale che non ricorrano i presupposti per l'interdizione, ben potendo la meno invasiva misura dell'amministrazione di sostegno rispondere alle esigenze di cura e di tutela di M.C.. La domanda deve pertanto essere rigettata. Gli atti devono essere trasmessi al giudice tutelare in sede affinché valuti l'opportunità di provvedere alla nomina di amministratore di sostegno in favore di M.C.. Nulla sulle spese (neppure su quelle di c.t.u., dal momento che non è pervenuta domanda di liquidazione nel termine - fissato dall'art. 71, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002 - di cento giorni dal deposito della relazione peritale; in tal senso, Cass., sez. II Civile, sentenza n. 4373/15). P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, nella superiore composizione collegiale, ogni ulteriore istanza, deduzione ed eccezione disattesa e/o assorbita così provvede: - rigetta la domanda di interdizione; - dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare in sede affinché valuti l'opportunità di provvedere alla nomina di amministratore di sostegno in favore di M.C. (C.F. (...)). Conclusione Così deciso in Crotone, nella camera di consiglio del 7 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.
TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Caterina Neri, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 252/2021 promossa da: V.C. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in ...presso il difensore avv. PARTE RICORRENTE contro ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA SOCIALE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv.., elettivamente domiciliato presso l'avvocatura Inps di Crotone. PARTE RESISTENTE Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso iscritto in data 16.2.2021 il ricorrente, avendo presentato domanda di assegno sociale in data 19.11.2020 respinta il 20.11.2020 in ragione della mancata allegazione del verbale di separazione con gli accordi presi chiedeva accertare e dichiarare il diritto all'assegno sociale condannando l'Inps al pagamento dei relativi ratei, con vittoria delle spese di lite. Sosteneva di aver allegato l'accordo di separazione al ricorso amministrativo avverso il provvedimento di diniego del 3.2.2021. Si costituiva tempestivamente l'Inps contestando la spettanza del diritto all'assegno sociale attesa la natura sussidiaria della prestazione assistenziale, che spetta solo in mancanza di altre concrete e possibili fonti di reddito, nel caso di specie oggetto di rinuncia, come si evince dall'accordo di separazione in cui non era stato previsto alcun assegno di mantenimento a suo favore, con conseguente simulazione di un disagio economico "autoprocurato" ed insussistenza dello stato di bisogno. Concludeva dunque per il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite. La causa, di natura documentale, è così decisa. Il ricorso è infondato e dev'essere respinto. L'assegno sociale è la prestazione assistenziale introdotta dall'art. 3, commi 6 e 7, della L. n. 335 del 1995, per le persone ultrasessantacinquenni con redditi di importo inferiore a quello dell'assegno stesso, che dal 1 gennaio 1996 sostituisce la pensione sociale. Al pari della pensione sociale, ai fini del diritto all'assegno sociale, si prescinde dall'esistenza di un rapporto assicurativo e contributivo ma è necessario possedere determinati requisiti di natura reddituale e di cittadinanza. Tali requisiti sono: a) compimento del 65. anno di età; b) cittadinanza italiana; c) residenza in I.; d) reddito non superiore all'importo annuo dell'assegno se il richiedente non è coniugato; e) reddito cumulato con quello del coniuge non superiore a due volte l'importo annuo dell'assegno se il richiedente è coniugato. Nel caso in cui il reddito del richiedente o quello del coniuge o la loro somma siano inferiori ai limiti di legge (condizione necessaria per fruire della prestazione), l'assegno viene erogato in un importo ridotto pari alla differenza tra l'importo intero annuale dell'assegno sociale corrente e l'ammontare del reddito annuale. Per quanto, più in particolare, concerne la determinazione del limite di reddito ostativo alla concessione dell'assegno sociale previsto dalla L. n. 335 del 1995, il secondo alinea dell'art. 3, comma 6, così recita: "il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali, conseguibili nell'anno solare di riferimento. L'assegno è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposta norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell'art. 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente a un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale". Sotto tale ultimo profilo, la Corte di Cassazione ha, in generale, affermato che: "in ogni caso di tutela previdenziale rapportata al limite di reddito, ai fini della determinazione di questo deve essere presa in considerazione qualsiasi attuale disponibilità di redditi, sempre che essi non siano stati esclusi dalla legge". Rileva pertanto, secondo quanto espressamente previsto dalla norma in esame, oltre al reddito effettivamente percepito, anche quello "conseguibile" nell'anno di riferimento, il cui onere probatorio incombe sull'interessato secondo il generale criterio di riparto desumibile dall'art. 2697 c.c. (si veda, sul punto, Cass. Sent. n. 23477/2010, "In tema di assegno sociale, ai sensi dell'art. 3, comma 6, della L. n. 335 del 1995 spetta all'interessato che ne abbia fatto istanza l'onere di dimostrare il possesso del requisito reddituale, determinato in base ai rigorosi criteri richiesti dalla legge speciale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva negato la spettanza dell'assegno sociale al richiedente, in quanto titolare di una attività artigiana che lasciava presumere la sussistenza di un reddito, ancorché di carattere indeterminato). Nel caso di specie, nessuno dei predetti elementi costitutivi del diritto è stato allegato in ricorso con la conseguenza che, in mancanza di allegazione - e quindi, anche di prova - degli elementi costitutivi del diritto azionato, il cui onere incombe sul ricorrente ex art. 2697 c.c., il ricorso dev'essere respinto. Peraltro, la natura sussidiaria dell'istituto impone dunque un accertamento serio e rigoroso del requisito reddituale. Come ha condivisibilmente ritenuto la Corte d'Appello di Torino nella sentenza n. 293/2008 e sentenza n. 596/2018 la nozione di reddito cui il legislatore ha fatto riferimento è notevolmente più ampia di quella del linguaggio corrente (secondo cui costituisce reddito soltanto il corrispettivo ricevuto per lo svolgimento di una determinata attività o per la prestazione di un servizio): se così non fosse, si dovrebbero ritenere escluse dal concetto di reddito tutte le prestazioni a carattere pensionistico o assistenziale, che sono invece sicuramente rilevanti ai fini dell'applicazione della norma di cui all'art. 3, c. 6, L. n. 335 del 1995, come è del resto confermato dal fatto che il legislatore ha sentito la necessità di escludere espressamente le pensioni, nella misura di un terzo. L'ampia formula usata dal legislatore (redditi di qualsiasi natura), e anche la non coincidenza con la nozione di reddito fiscale (dimostrata dal fatto che il l'art. 3 cit. espressamente ricomprende anche i redditi esenti da imposte) porta a ritenere che l'assegno sociale sia prestazione assistenziale attribuibile solo a favore dei soggetti che versino in stato di bisogno e, pertanto, che lo stesso non possa riconoscersi in presenza di entrate patrimoniali, attuali o concretamente possibili (fatta solo eccezione per le entrate espressamente escluse), che escludano l'esistenza della predetta situazione di bisogno. Nello stesso senso si è pronunciata la Corte d'Appello di Trieste con la decisione del 08.06.2017 secondo cui quest'ultima soluzione è quella che appare più corretta, in base al testo della norma, che attribuisce rilievo ai redditi "di qualsiasi natura"; e soprattutto alla sua ratio: non si deve dimenticare infatti che l'assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale, finalizzata a sovvenire ai bisogni essenziali di vita di chi si trovi in uno stato di disagio economico, e quindi si deve ritenere per sua natura incompatibile con la titolarità di un patrimonio tale da consentire alla persona di procurarsi i necessari mezzi di sostentamento. Anche secondo Tribunale Bergamo sez. lav., 25/02/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 25/02/2019), n.101 "Tale rigorosa interpretazione in senso sostanziale dei requisiti reddituali previsti dalla legge, d'altronde, è l'unica coerente con il citato disposto dell'art. 38 della Costituzione, laddove aggancia il diritto al mantenimento da parte dello Stato all'essere sprovvisto dei mezzi necessari per vivere". Nello stesso senso anche la Corte d'Appello di Napoli che, con sentenza n. 1615/2019, sulla scorta di quanto precisato dalla Cassazione nella pronuncia n. 6570/2010 in cui, pur evidenziando il rilevo dei redditi effettivamente percepiti, era stata ritenuta incompatibile con la percezione dell'assegno sociale la mancata attivazione per la riscossione dell'assegno di mantenimento in caso di separazione legale o di assegno divorzile, occorrendo l'impossibilità di ottenerlo, aveva ritenuto: "Qualora il soggetto che chiede l'assegno sociale risulti titolare di una posizione giuridica astrattamente idonea a produrre reddito, occorre dimostrare che ad essa non corrisponde alcuna concreta prospettiva di poterlo percepire", Così anche Corte d'Appello di Salerno sentenza n. 649/2019, Tribunale di Busto Arsizio n. 98/2019, Tribunale di Catanzaro n. 850/2017 Tribunale di Napoli 4294/2017 secondo cui: "La scelta, da parte del coniuge più debole, di rinunciare all'assegno di mantenimento optando per una separazione consensuale senza obbligo di alimenti a carico dell'altro coniuge che sia titolare di un reddito (seppur minimo) mette in luce l'intento elusivo dei principi a sostegno dell'assegno sociale nonché una presunzione di possesso di altri redditi, ostativi all'accesso alla prestazione sociale". L'assolvimento dell'onere probatorio, dunque, va necessariamente valutato alla luce della situazione concreta, tenendo conto di ogni elemento che consenta di ricostruire la concreta situazione economica dell'interessato e l'effettiva sussistenza dello stato di bisogno, nel caso di specie non provato, pur a fronte della specifica contestazione dell'Inps. Per le ragioni sopra esposte il ricorso dev'essere respinto, ritenute assorbite le questioni non espressamente trattate. Si compensano integralmente le spese di lite ex art. 152 disp. att. c.p.c. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: Respinge il ricorso; Compensa le spese di lite. Sentenza resa ex art. 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Conclusione Così deciso in Crotone, il 28 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2021.
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