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Il condominio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno e risponde, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini. Il criterio di imputazione della responsabilità ex art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente la dimostrazione del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito. Pertanto, il singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia stata danneggiata in dipendenza di difetti o vizi di manutenzione delle parti comuni, può agire in giudizio affinché il condominio sia condannato ad eseguire i lavori necessari per eliminare le cause dei danni riscontrati, oltre che al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti e provati. Il condominio non può limitarsi a provare la propria diligenza nella custodia, ma deve dimostrare che il danno sia derivato da caso fortuito per andare esente da responsabilità. Inoltre, il condominio è tenuto a risarcire il danno conseguente all'accertata impossibilità, per il condomino, di normale fruizione e godimento dell'immobile di sua proprietà, anche in forma di danno figurativo, determinato in base al valore locativo dell'immobile.
Il giudice ha il potere di annullare le delibere assembleari condominiali che violano l'obbligo di preventiva conoscenza degli argomenti da trattare, in quanto l'ordine del giorno assolve alla funzione di informare i condomini degli argomenti da discutere, al fine di consentire loro di partecipare consapevolmente e di esprimere un voto informato. Inoltre, il giudice può dichiarare la nullità di una delibera condominiale che leda i diritti soggettivi di un condomino, come nel caso in cui la decisione di collocare i bidoni della raccolta differenziata in prossimità del passo carrabile di accesso alla proprietà esclusiva di un condomino ne limiti grandemente l'utilizzo e ne riduca il valore. Il sindacato giudiziale sulle delibere assembleari non può estendersi al merito e alla discrezionalità dell'assemblea, ma deve limitarsi a un controllo di legittimità, potendo tuttavia rilevare l'eccesso di potere qualora la scelta assembleare risulti irragionevole e lesiva della cosa comune.
La presenza del condomino all'assemblea condominiale, senza contestare la regolarità della convocazione, sana eventuali vizi della stessa, formando acquiescenza sanante, in quanto la deliberazione assembleare è annullabile ex art. 66 disp. att. c.c. solo su istanza dei condomini dissenzienti o assenti per mancata rituale convocazione. Il condomino che partecipa all'assemblea senza far valere l'invalidità posta a tutela del suo interesse ad una consapevole partecipazione, dimostra con il suo comportamento univoco che l'inosservanza della disciplina legislativa non ha inciso su tale interesse, prestando così acquiescenza. Diversa è l'ipotesi in cui la comparizione del condomino sia volta precipuamente a far valere il vizio della convocazione, trattandosi in tal caso di condotta contraria all'acquiescenza che impedisce la sanatoria. Il principio della sanatoria per acquiescenza trova applicazione anche nell'ipotesi di omessa indicazione di un argomento, poi deliberato, nell'ordine del giorno dell'assemblea condominiale, non rilevabile dal condomino dissenziente nel merito se non abbia preliminarmente eccepito in quella sede l'irregolarità.
Il contratto di finanziamento, validamente provato dalla documentazione prodotta dalla parte creditrice, costituisce titolo idoneo a fondare il decreto ingiuntivo opposto, non essendo state fornite dall'opponente prove sufficienti a dimostrare fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito vantato. La disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori, la cui mancata ricomprensione nell'ambito del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali di cui all'art. 2, comma 1, della l. n. 108 del 1996, ove questi contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali. Pertanto, il tasso-soglia sarà dato dal TEGM, incrementato della maggiorazione media degli interessi moratori, moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l'aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal quarto comma dell'art. 2 sopra citato. L'indicatore sintetico di costo (ISC), detto anche tasso annuo effettivo globale (TAEG), svolge una funzione meramente informativa finalizzata a consentire al cliente di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento, senza costituire un requisito di validità del contratto. Pertanto, la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto l'erronea rappresentazione del suo costo complessivo. Il contratto di finanziamento, nel rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 125-bis, commi 8 e 9, del TUB, deve contenere in modo chiaro e sufficientemente determinato le informazioni e le condizioni essenziali del rapporto, senza che la mera mancata indicazione dell'ISC possa comportare la nullità del contratto stesso. Infine, l'onere probatorio nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo grava sulla parte opponente, la quale deve allegare e provare fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del credito vantato dalla parte creditrice, non essendo sufficiente una mera enunciazione generica e astratta di vizi o irregolarità contrattuali.
Il proprietario di un animale risponde dei danni cagionati dall'animale stesso, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. La responsabilità del proprietario è di natura oggettiva, prescindente dalla colpa, e si fonda sul mero rapporto intercorrente con l'animale e sul nesso causale tra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso. Pertanto, il proprietario è tenuto a risarcire i danni subiti dal danneggiato, a meno che non dimostri l'intervento di un elemento estraneo alla sua sfera soggettiva, avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità, idoneo ad interrompere il nesso di causalità. Il danneggiato ha l'onere di provare il verificarsi dell'evento dannoso e il nesso causale tra il comportamento dell'animale e le lesioni subite, mentre il proprietario ha l'onere di provare il caso fortuito. Il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione della salute ha natura unitaria e deve essere liquidato in una somma omnicomprensiva di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, senza alcuna automaticità parametrata al danno biologico.
Il condomino non può eseguire opere sulle parti comuni o sulla propria proprietà esclusiva che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio condominiale, senza il preventivo consenso dell'assemblea condominiale. Ciascun condomino è legittimato ad agire in giudizio per la tutela delle cose comuni, anche senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione, nei confronti di un singolo condomino che abbia realizzato opere in violazione di tale divieto. Il giudice, accertata la lesione del decoro architettonico dell'edificio, deve ordinare la rimozione delle opere abusive e il ripristino dello stato originario, senza che rilevi l'eventuale esistenza di un titolo abilitativo rilasciato dalla pubblica amministrazione, in quanto i rapporti tra privati sono regolati da norme diverse rispetto a quelle che disciplinano i rapporti tra privato e pubblica amministrazione. Tuttavia, la domanda di risarcimento del danno deve essere rigettata qualora il danneggiato non abbia allegato e provato l'esistenza e l'entità del pregiudizio economico subito, non essendo sufficiente la mera allegazione di una deminutio del proprio diritto di proprietà.
Il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, il risarcimento del danno o l'adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Tuttavia, in tema di vizi della cosa venduta, la disciplina generale pone a carico del compratore l'onere di provare la loro esistenza, le eventuali conseguenze dannose e il nesso causale, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente sul venditore, opera solo quando la controparte dimostri preventivamente l'effettiva sussistenza della sua denunciata inadempienza. Pertanto, il giudice, nell'accertare la responsabilità contrattuale, deve valutare attentamente la ripartizione dell'onere probatorio tra le parti, in modo da garantire un equo bilanciamento degli interessi in gioco e l'effettiva tutela del diritto leso, senza tuttavia spingersi fino alla risoluzione del contratto quando i vizi, pur sussistenti, non siano tali da inficiare del tutto la funzionalità dei beni o da renderli del tutto inidonei all'uso cui sono destinati, potendo in tal caso essere sufficiente il risarcimento del danno per l'eliminazione dei vizi stessi.
Il contratto di assicurazione contro i danni deve essere interpretato in modo da garantire la massima tutela dell'assicurato, in applicazione del principio di conservazione del contratto e di prevalenza della volontà delle parti. Pertanto, in caso di clausole ambigue o di dubbio interpretativo, deve essere privilegiata l'interpretazione più favorevole all'assicurato, in conformità all'obbligo di chiarezza e trasparenza imposto dalla normativa di settore. L'assicurato ha l'onere di provare soltanto l'esistenza del contratto assicurativo e il verificarsi dell'evento dannoso, mentre spetta all'assicuratore dimostrare l'applicabilità di eventuali esclusioni o limitazioni della copertura. Il risarcimento dovuto dall'assicuratore assume la natura di debito di valore, con conseguente diritto dell'assicurato al riconoscimento degli interessi moratori a decorrere dalla data di verificazione del sinistro, al fine di assicurare la piena reintegrazione del suo patrimonio.
La titolarità del diritto reale, quale presupposto per l'esercizio dell'azione di tutela, costituisce un fatto-diritto che deve essere provato dalla parte attrice mediante la produzione dei relativi titoli di proprietà. In assenza di tale prova, il giudice non può accertare la legittimazione attiva dell'attore né la legittimazione passiva dei convenuti, impedendo così la corretta instaurazione del contraddittorio e la decisione nel merito della controversia. Pertanto, la mancata allegazione e prova dei titoli di proprietà da parte dell'attore determina il rigetto della domanda, a prescindere dall'accertamento delle ulteriori questioni di merito, in applicazione del principio della ragione più liquida e degli oneri probatori di cui all'art. 2697 c.c.
Il locatore che agisce in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore nel pagamento degli oneri condominiali, ha l'onere di provare l'esistenza, l'ammontare e i criteri di ripartizione delle spese condominiali richieste, non essendo sufficiente la mera indicazione di un credito per spese condominiali. In assenza di tale prova, la domanda di risoluzione del contratto deve essere rigettata, non potendosi considerare liquido ed esigibile il credito pecuniario. Inoltre, il contratto di locazione abitativa agevolata, stipulato per una durata superiore al minimo di 3 anni previsto dalla legge, è valido ed efficace per il periodo concordato tra le parti, in assenza di vizi della volontà del locatore nella determinazione della durata contrattuale.
Il subentro automatico dell'affittuario d'azienda nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa, ai sensi dell'art. 2558 c.c., opera anche in relazione ai contratti di somministrazione di servizi pubblici essenziali, come il servizio idrico integrato, senza necessità di una formale voltura o disdetta da parte del cedente. Pertanto, l'affittuario subentra nella titolarità del rapporto contrattuale e diviene il soggetto passivo della pretesa creditoria del gestore del servizio idrico per i consumi maturati durante il periodo di affitto, a prescindere dalla circostanza che il servizio sia stato materialmente utilizzato dal cedente. Tale principio trova applicazione in virtù della naturale ed oggettiva inerenza al complesso aziendale di tutti i rapporti che attengono alla gestione dell'azienda e potenzialmente incidono sul suo avviamento, in attuazione della concezione della continuità ed unitarietà dell'azienda anche nelle vicende successorie, a tutela dell'attività di impresa al cui esercizio essa è finalizzata. Le forme di pubblicità previste per l'affitto d'azienda, quali l'iscrizione nel Registro delle Imprese e la registrazione del contratto, consentono inoltre al gestore del servizio di avere conoscenza dell'eventuale trasferimento a terzi del rapporto, a cui rivolgere le proprie pretese, senza che possa rilevare l'affidamento ingenerato dalla mancata voltura o disdetta del contratto da parte del cedente.
Il creditore che agisce per l'inadempimento contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c. deve provare la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi all'allegazione dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Tuttavia, affinché il creditore possa validamente esercitare l'azione di risoluzione per inadempimento, è necessario che l'inadempimento sia di non scarsa importanza in relazione all'economia complessiva del contratto, non essendo sufficiente il mero riferimento generico a tutti gli obblighi contrattuali in una clausola risolutiva espressa. Pertanto, il giudice deve accertare la gravità dell'inadempimento e la permanenza dell'interesse della parte all'esatto e tempestivo adempimento, non potendosi ritenere sufficiente la sola diffida ad adempiere e il decorso del termine ivi indicato. Inoltre, l'onere di provare l'inadempimento e il diritto alla restituzione di somme indebitamente corrisposte grava sul creditore, non potendosi considerare prova del pagamento la mera nota di debito.
Il Tribunale, nel dichiarare la nullità della delibera di approvazione del bilancio consuntivo 2020 del Consorzio, afferma il seguente principio di diritto: La gestione economico-finanziaria di un centro commerciale strutturato sia come condominio che come consorzio deve prevedere la separazione tra bilancio consortile e bilancio condominiale, con la convocazione di distinte assemblee per l'approvazione, in quanto le regole convenzionali del consorzio non sono sic et sempliciter mutuabili nella materia condominiale, qualora non siano rispettose di principi imperativi inderogabili relativi alla gestione della res comune e non rispettino l'iter procedimentale di approvazione da parte dell'Assemblea prevista per il condominio dalla normativa di settore. L'applicazione di disposizioni statutarie consortili che prevedono l'indifferenziata partecipazione con diritto di voto di proprietari, affittuari ed esercenti l'attività commerciale, nonché l'esclusione dal voto dei soggetti morosi nel pagamento degli oneri consortili, comporta un radicale e genetico vizio della volontà assembleare, sotto il profilo della nullità, in quanto la partecipazione di soggetti non legittimati e l'esclusione di soggetti legittimati a partecipare travalica i confini di un vizio di legittimità per difetto di calcolo del quorum strutturale della delibera, ponendosi in diretto contrasto con norme imperative in materia condominiale. Pertanto, l'unicità del bilancio, da considerarsi come un atto unico ed inscindibile, non consente di operare alcuna distinzione ai fini della validità delle determinazioni assunte, tra gestione economico-finanziaria consortile e condominiale, atteso che i vizi citati, in ragione della natura collegiale dell'atto di approvazione, travolgono nella sua interezza la delibera.
Il medico ginecologo che, nel seguire la gravidanza di una paziente, ometta di diagnosticare una grave malformazione congenita del feto in esito all'esame ecografico morfologico, non risponde dei danni derivanti dalla nascita del bambino malformato, ove non sia provato che la gestante, se tempestivamente informata, avrebbe esercitato il diritto di interruzione volontaria della gravidanza ai sensi della legge n. 194/1978. Infatti, la mancata diagnosi prenatale della malformazione, pur impedendo alla madre di esercitare tale diritto, non determina di per sé un danno risarcibile, atteso che la nascita del bambino malformato non può essere considerata un danno in sé, in assenza di prova che la gestante avrebbe effettivamente interrotto la gravidanza. Inoltre, il medico non risponde nemmeno dei danni morali e psicologici derivanti dall'impreparazione dei genitori alla nascita del bambino malformato, qualora la malformazione sia stata accertata in una successiva ecografia morfologica eseguita in prossimità del parto, in quanto tale condotta autonoma ed indipendente della seconda omissione diagnostica assorbe, sotto il profilo causale, i pregiudizi dedotti. Pertanto, la domanda risarcitoria proposta dai genitori nei confronti del medico ginecologo è destinata al rigetto per carenza di prova del nesso di causalità tra la condotta omissiva del sanitario e i danni lamentati.
Il proprietario o il custode di un bene immobile risponde in via oggettiva, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni cagionati da infiltrazioni d'acqua provenienti dal bene stesso, salvo che dimostri che il danno sia stato determinato da caso fortuito, ovvero da un fatto del danneggiato avente efficacia causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. Pertanto, il proprietario o il custode del bene immobile è tenuto a risarcire i danni derivanti da infiltrazioni d'acqua, a meno che non provi che il danno sia stato causato da un evento imprevedibile e inevitabile, oppure da un comportamento del danneggiato che abbia interrotto o concorso a determinare il nesso causale tra il bene e il danno. La responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c. prescinde dall'accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua natura intrinseca, sia per l'insorgenza in essa di agenti dannosi. Tuttavia, qualora il danno sia stato determinato in misura prevalente da un fatto imputabile al danneggiato, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., la responsabilità del proprietario o custode sarà limitata in proporzione al grado di incidenza causale del fatto del danneggiato. In particolare, nel caso di infiltrazioni d'acqua provenienti da un lastrico solare o da un terrazzo di uso esclusivo di un condomino, la responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c. grava sul condominio o sul singolo condomino, a seconda che il lastrico o il terrazzo siano beni comuni ovvero di uso esclusivo. Pertanto, il condominio o il singolo condomino proprietario o custode del lastrico solare o del terrazzo da cui provengono le infiltrazioni è tenuto a risarcire i danni causati, salvo che dimostri che il danno sia stato determinato da caso fortuito o da un fatto del danneggiato avente efficacia causale tale da interrompere o concorrere a determinare il nesso eziologico.
Il Tribunale, nell'esaminare la domanda di accertamento dell'inadempimento contrattuale e di risarcimento danni proposta dalla società attrice nei confronti della società convenuta, ha rilevato che la fattispecie in esame rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 1497 c.c. in materia di mancanza di qualità promesse, e non già nell'ipotesi della vendita di aliud pro alio. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che, pur trattandosi di piante appartenenti al medesimo genere merceologico (kiwi), la società convenuta aveva fornito piante di una varietà (Summer) diversa da quella espressamente richiesta dalla società attrice (Hayward). Pertanto, la questione controversa attiene alla mancanza di qualità promesse, e non alla consegna di un bene del tutto diverso da quello pattuito. Ciò premesso, il Tribunale ha rilevato che, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta, l'onere di provare l'esistenza dei vizi, ivi compresa la mancanza di qualità promesse, grava sul compratore che agisce in giudizio. Nella fattispecie, la società attrice non ha fornito adeguata prova della difformità della varietà delle piante consegnate rispetto a quelle promesse, né ha dimostrato l'entità del danno subito a causa di tale inadempimento. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che: - l'ordine di acquisto del 10.5.2006 non conteneva alcuna specifica indicazione circa la necessità che le piante di kiwi dovessero appartenere alla varietà Hayward; - la documentazione relativa alla consegna delle piante (bolle di accompagnamento e fatture) non recava alcuna menzione della varietà Hayward, ma si limitava a indicare genericamente "Actinidia"; - le testimonianze assunte non hanno fornito elementi probatori sufficienti a dimostrare che la società convenuta avesse assicurato la consegna di piante di varietà Hayward; - la società attrice non ha provato in modo certo l'entità del danno subito, non avendo fornito alcuna documentazione contabile idonea a dimostrare la contrazione del fatturato e della produzione a causa dell'utilizzo delle piante non conformi. Pertanto, in assenza della prova dei presupposti per l'accoglimento della domanda, il Tribunale ha rigettato integralmente le richieste della società attrice, condannandola al pagamento delle spese di lite.
La nullità della delibera assembleare di condominio che approva nuove tabelle millesimali affette da gravi errori di calcolo, in violazione delle disposizioni di legge, può essere fatta valere dal condomino che non abbia partecipato all'assemblea o che, pur essendovi presente, abbia espresso il proprio dissenso. L'errore che, ai sensi dell'art. 69, comma 2, n. 1, delle disposizioni di attuazione del codice civile, giustifica la rettifica o modifica delle tabelle millesimali è determinato dall'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito, in quanto la legge è la fonte immediata dell'obbligo contributivo e di riparto delle spese, non l'atto di approvazione tabellare dell'assemblea. Pertanto, la delibera assembleare che approva tabelle millesimali viziate da errori di calcolo, con l'applicazione di coefficienti divergenti dal dettato legislativo, integra la fattispecie di violazione di legge e, conseguentemente, è affetta da nullità. Diversamente, la mancata convocazione di tutti i comproprietari, pur configurando un vizio di annullabilità della delibera, può essere sanata dalla presunzione di conoscenza della convocazione da parte del comproprietario non formalmente convocato, qualora risulti che il comproprietario convocato abbia reso edotto l'altro, in assenza di conflittualità tra le parti.
Il pagamento effettuato dal debitore in buona fede al rappresentante apparente libera il debitore, a condizione che il debitore provi di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente e che il suo erroneo convincimento sia stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel debitore una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell'accipiens. Tuttavia, il debitore che effettua un pagamento in contanti di rilevante importo in favore di un soggetto privo di legittimazione ad incassare per conto del creditore, agisce quanto meno in modo gravemente imprudente, sicché non può invocare l'effetto liberatorio del pagamento, salvo che non dimostri l'esistenza di una prassi pregressa di pagamenti in contanti accettati e "ratificati" dal creditore. Inoltre, la concessione di una dilazione di pagamento implica una spendita di potere negoziale per conto del creditore che esula dalla mera facoltà di incasso, potere che il debitore avrebbe dovuto verificare, soprattutto in ragione del pagamento in contanti di tali somme. Infine, la comunicazione del creditore circa la revoca dell'incarico al soggetto che aveva ricevuto il pagamento in contanti e il conferimento ad altro referente della delega agli incassi, non prova il legittimo affidamento del debitore in merito all'efficacia liberatoria di pagamenti in contanti effettuati precedentemente in favore del soggetto revocato, atteso che tale comunicazione non riconosce espressamente la legittimità di tali incassi pregressi.
Il diritto alla provvigione spetta al mediatore che, pur senza un preventivo conferimento di incarico, abbia messo in relazione le parti e il cui intervento abbia costituito l'antecedente indispensabile per la conclusione dell'affare, anche qualora questo sia stato perfezionato successivamente in modo diretto tra le parti o con l'intervento di un altro mediatore, purché vi sia un nesso di causalità adeguata tra l'attività di intermediazione e la conclusione del contratto. In caso di pluralità di mediatori, ciascuno di essi ha diritto ad una quota della provvigione, da ripartirsi in parti uguali, salvo prova di un diverso apporto causale, senza che sia necessaria la solidarietà dell'obbligazione dal lato attivo, essendo sufficiente che i mediatori abbiano agito anche in modo autonomo ma giovandosi l'uno dell'utile apporto degli altri. Il diritto alla provvigione sorge indipendentemente dall'esistenza di un preventivo conferimento di incarico, essendo sufficiente che la parte abbia accettato l'attività del mediatore avvantaggiandosene, anche solo tacitamente, e non richiede necessariamente la sottoscrizione di un accordo sulla misura della provvigione, potendosi fare riferimento alle tariffe professionali e agli usi in materia.
Il diritto del condominio di ottenere il pagamento dei contributi condominiali mediante decreto ingiuntivo non è condizionato all'approvazione del relativo stato di ripartizione da parte dell'assemblea, essendo sufficiente l'esistenza di una delibera assembleare che approvi le tabelle millesimali, in base alle quali le spese condominiali si ripartiscono tra i condomini ai sensi dell'art. 1123 c.c. Pertanto, la mancata approvazione dello stato di ripartizione non costituisce motivo di revoca dell'ingiunzione, atteso che il diritto di credito del condominio sorge dalla gestione dei beni e servizi comuni, indipendentemente dall'approvazione del riparto. Inoltre, l'espressione "uso esclusivo" di cui all'art. 1126 c.c. in tema di ripartizione delle spese per il rifacimento del lastrico solare, si riferisce alla mera potenzialità o facoltà dell'uso, a prescindere dal concreto modo di utilizzazione del bene, essendo sufficiente che il lastrico solare sia di proprietà esclusiva del condomino, anche se non ne faccia un uso effettivo.
Il testamento olografo è nullo e non può essere confermato ai sensi dell'art. 590 c.c. quando sia accertato che le sottoscrizioni apposte sulla scheda testamentaria non appartengono alla mano del testatore, in quanto la finalità della sottoscrizione è quella di assicurare l'inequivocabile paternità e responsabilità del testatore, senza la quale viene meno il requisito essenziale di riferibilità dell'atto di ultima volontà alla persona del de cuius. In tal caso, la nullità del testamento per difetto di sottoscrizione non può essere sanata dalla conferma o dall'esecuzione volontaria da parte degli eredi, in quanto l'art. 590 c.c. presuppone l'oggettiva esistenza di una disposizione testamentaria che sia comunque frutto della volontà del testatore. L'accertamento della falsità delle sottoscrizioni apposte sulla scheda testamentaria, effettuato mediante consulenza tecnica grafologica, comporta la declaratoria di apertura della successione legittima con devoluzione dei beni ereditari agli eredi ab intestato, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei creditori iscritti sui beni ereditari, in quanto tale integrazione costituisce un onere per i compartecipi alla divisione, al fine di rendere opponibile la decisione ai creditori, senza però rappresentare una condizione di validità della divisione stessa.
Il giudice ordinario è competente a conoscere della controversia promossa per ottenere l'annullamento del provvedimento di revoca di un finanziamento pubblico, quando l'amministrazione abbia inteso far valere la decadenza del beneficiario dal contributo in ragione della mancata osservanza, da parte sua, di obblighi al cui adempimento la legge o il provvedimento condizionano l'erogazione, senza esercitare poteri di autotutela per vizi di legittimità o contrasto originario con l'interesse pubblico. In tal caso, il soggetto finanziato vanta una posizione di diritto soggettivo, non di interesse legittimo. Tuttavia, il giudice ordinario non può sostituire la propria valutazione a quella dell'amministrazione in ordine alla correttezza dell'esercizio della discrezionalità tecnica riservata all'ente pubblico in sede di valutazione dei progetti presentati per l'ottenimento di finanziamenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, potendo censurare tali provvedimenti solo in caso di macroscopiche illogicità, omissioni o evidenti errori di fatto. Pertanto, la revoca del contributo concesso per la realizzazione di interventi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è legittima qualora il beneficiario non abbia rispettato il termine, anche prorogato, previsto dal bando per la rendicontazione delle spese sostenute, essendo tale adempimento essenziale ai fini dell'erogazione del finanziamento pubblico e non meramente accessorio rispetto al sinallagma contrattuale. Ciò anche ove il beneficiario abbia comunque realizzato il progetto in conformità alle previsioni del bando, atteso che il rispetto dei termini di rendicontazione rientra tra gli obblighi cui il soggetto selezionato si impegna in quanto assegnatario del contributo in luogo di altri partecipanti esclusi.
Il contratto di fideiussione, anche se prevede il pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni", non priva il fideiussore della possibilità di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale, salvo che non vi sia un'espressa rinuncia ai sensi dell'art. 1945 c.c. o una chiara qualificazione del negozio come contratto autonomo di garanzia. Pertanto, il fideiussore può sollevare eccezioni relative alla nullità del contratto-base per contrarietà a norme imperative o illiceità della causa, come quelle in materia di usura. L'accertamento dell'eventuale carattere usurario degli interessi corrispettivi e moratori deve essere effettuato con riferimento ai tassi soglia antiusura vigenti al momento della stipula del contratto, escludendo dal calcolo del TEGM i costi per l'estinzione anticipata del mutuo, in quanto non costituiscono né interessi né penale. Ove gli interessi di mora risultino usurari, la sanzione della gratuità del contratto si applica limitatamente alla parte di interessi che abbia superato la soglia, essendo comunque dovuti gli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti. La mancata allegazione del piano di ammortamento non consente di verificare la corretta applicazione delle condizioni contrattuali, non integrando tale omissione un presupposto per l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. Infine, la differenza tra il tasso annuo nominale (TAN) e il tasso annuo effettivo (TAE) applicati al rapporto, nonché l'eventuale divergenza tra il valore contrattuale del TAEG e quello effettivamente applicato, non incidono sulla determinatezza o determinabilità dell'oggetto contrattuale, essendo il TAEG un mero indicatore del costo complessivo del finanziamento.
Il possesso continuativo, pacifico e pubblico di un bene immobile appartenente al patrimonio disponibile di un ente pubblico, accompagnato dall'animus domini e protratto per il termine di legge, consente l'acquisto della proprietà del bene per usucapione, anche in assenza di un titolo formale, a condizione che il bene non sia gravato da vincoli di inalienabilità o di uso civico. Il decorso del termine utile per l'usucapione decorre dalla data in cui il bene è stato definitivamente escluso dal regime degli usi civici, anche in assenza di un formale accertamento della cessazione di tale vincolo, qualora la legge istitutiva del comune abbia previsto l'estinzione generalizzata di tutti i diritti di uso civico gravanti sui terreni compresi nel suo territorio. L'attività materiale di possesso, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, accompagnata da univoci indizi che consentano di presumere che essa è svolta uti dominus, è sufficiente a provare l'elemento soggettivo necessario ai fini dell'usucapione, anche in assenza di un formale titolo di acquisto, purché il possesso sia continuato per il termine di legge. La prova testimoniale, pur non essendo decisiva ai fini della valutazione complessiva degli elementi di prova, può concorrere a corroborare gli altri elementi di fatto e documentali che dimostrino il possesso continuativo, pacifico e pubblico del bene da parte dell'usucapiente.
Il danneggiato che agisce in giudizio per il risarcimento del danno, sia esso di natura patrimoniale o non patrimoniale, ha l'onere di allegare e provare non solo l'altrui condotta illecita, ma anche l'esistenza e l'entità del pregiudizio subito, il nesso di causalità tra il fatto lesivo e il danno, nonché i criteri di quantificazione dello stesso. In assenza di tale prova, la domanda risarcitoria deve essere rigettata, non potendosi procedere a una liquidazione equitativa del danno ai sensi dell'art. 1226 c.c. in mancanza dell'accertamento della sua sussistenza ontologica. Inoltre, il danno non patrimoniale non è di per sé risarcibile in re ipsa, ma richiede la dimostrazione della gravità della lesione e della non futilità del pregiudizio, salvo il caso di illegittima segnalazione a sofferenza presso la Centrale dei Rischi, in cui la prova del danno non patrimoniale può essere agevolata dal congegno presuntivo. Infine, la consulenza tecnica d'ufficio non può supplire all'inadempimento dell'onere probatorio gravante sulla parte, né può avere funzione esplorativa, essendo uno strumento di ausilio al giudice nell'esame di questioni che richiedono speciale competenza tecnica.
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