Sentenze recenti Tribunale Parma

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  • Il contratto di leasing immobiliare non rientra nell'ambito di applicazione della mediazione obbligatoria prevista per i contratti bancari e finanziari, in quanto, pur presentando finalità di finanziamento, è specificamente funzionale all'acquisto o all'utilizzo del bene oggetto del contratto. Pertanto, l'eccezione di improcedibilità per mancato esperimento della mediazione obbligatoria deve essere respinta. La cessione del credito vantato dal locatore finanziario nei confronti del conduttore è validamente provata dalla pubblicazione degli avvisi sulla Gazzetta Ufficiale e dal riferimento al credito ceduto nell'elenco pubblicato sul sito internet, contenente gli elementi identificativi del contratto di leasing, noti al conduttore. Inoltre, il mandato conferito dal cedente al cessionario presenta i requisiti di determinatezza dell'oggetto richiesti dalla giurisprudenza. Tuttavia, il locatore finanziario, quale attore in senso sostanziale, non ha assolto all'onere probatorio circa la legittimità e la quantificazione di tutte le voci di credito richieste, diverse dai canoni di leasing scaduti e dagli interessi di mora. Pertanto, il decreto ingiuntivo deve essere revocato, condannando il conduttore al pagamento del solo importo accertato come dovuto per canoni scaduti e relativi interessi di mora, al netto delle note di credito emesse. La parziale soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali nella misura della metà.

  • La clausola di mediazione obbligatoria contenuta in un contratto tra imprenditori commerciali, validamente approvata e vincolante per le parti, preclude la possibilità di adire direttamente l'autorità giudiziaria per la risoluzione di controversie derivanti dal contratto stesso, imponendo previamente il tentativo di mediazione presso l'organo individuato dalle parti. La violazione di tale obbligo contrattuale rende improcedibile l'azione giudiziaria, anche se intrapresa in via monitoria, senza che la disciplina normativa sulla mediazione obbligatoria possa derogare alla volontà negoziale delle parti di anteporre la via conciliativa a qualsiasi iniziativa giudiziale. Pertanto, il giudice è tenuto a revocare il decreto ingiuntivo emesso in violazione della clausola di mediazione obbligatoria, dichiarando l'improponibilità della domanda, senza poter disporre la sospensione del procedimento per consentire il previo esperimento del tentativo di mediazione, in quanto ciò risulterebbe in contrasto con gli effetti vincolanti voluti dalle parti attraverso la pattuizione contrattuale.

  • Il pubblico ufficiale che, nell'ambito delle proprie funzioni istituzionali, fornisce valutazioni e informazioni all'autorità giudiziaria in merito a situazioni familiari e minorili, non risponde civilmente per i danni derivanti da provvedimenti giudiziali sfavorevoli, salvo che non abbia agito con dolo o mala fede, essendo la sua attività connotata da disinteresse e finalità di servizio, a fronte di risorse scarse e un elevato numero di casi da trattare quotidianamente. L'interesse tutelato è quello a che le decisioni giudiziarie che incidono sulla sfera familiare avvengano nel rispetto delle regole procedurali e senza indebite interferenze di terzi, ma tale interesse non è leso quando le valutazioni fornite, pur criticate o criticabili, non siano improntate a malafede, anche in presenza di un successivo intervento correttivo dell'autorità giudiziaria. Il pubblico ufficiale non è pertanto responsabile civilmente per i danni derivanti da provvedimenti giudiziali sfavorevoli, se non abbia agito con dolo o mala fede, in considerazione della natura disinteressata e di servizio della sua attività, svolta con risorse limitate a fronte di un elevato numero di casi.

  • Il creditore che intende agire in revocatoria ordinaria ai sensi dell'art. 2901 c.c. ha l'onere di provare: 1) la propria posizione di creditore; 2) l'eventus damni, inteso come qualsiasi variazione, sia quantitativa che qualitativa, del patrimonio del debitore che renda più difficoltosa la futura esecuzione forzata; 3) il presupposto soggettivo, che si atteggia diversamente a seconda del momento in cui è stato posto in essere l'atto dispositivo. In particolare, se il credito è sorto prima dell'atto dispositivo, è sufficiente la conoscenza da parte del debitore che l'atto può nuocere alle ragioni del creditore (scientia damni), mentre se il credito è sorto successivamente, occorre la dimostrazione che l'atto dispositivo fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare le ragioni creditorie (consilium fraudis). Ove l'atto dispositivo sia a titolo oneroso, il creditore deve altresì provare che il terzo era a conoscenza del pregiudizio che l'atto poteva arrecare alle ragioni creditorie o, nel caso di atto anteriore all'insorgenza del credito, che il terzo fosse partecipe della dolosa preordinazione. L'eventus damni ricorre anche in caso di mero pericolo di danno, costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva, senza che sia necessaria la dimostrazione di un concreto pregiudizio alle ragioni del creditore. Inoltre, il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio, che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore. Infine, la costituzione del fondo patrimoniale, anche se effettuata da entrambi i coniugi, non integra di per sé adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti, sicché il requisito soggettivo in capo al terzo rileva unicamente in presenza di atti a titolo oneroso.

  • La violazione del dovere di fedeltà coniugale da parte di uno dei coniugi, costituendo una grave lesione dei doveri discendenti dal matrimonio, è idonea a giustificare la pronuncia di separazione personale con addebito a suo carico, in quanto tale condotta è in rapporto causale con la rottura del rapporto coniugale e rende intollerabile la prosecuzione della convivenza. Nell'accertare la sussistenza di tale violazione, grava sulla parte che richiede l'addebito l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale, mentre spetta all'altro coniuge dimostrare le circostanze che ne escludono l'efficacia. Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole, il giudice deve tenere conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, della differenza reddituale tra i coniugi, nonché della capacità di lavoro e delle condizioni di salute del richiedente, senza trascurare l'utilità economica derivante dall'assegnazione della casa familiare. L'assegno di mantenimento deve essere fissato in misura tale da consentire al coniuge economicamente più debole di mantenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto prima della separazione, ferma restando la necessità di contemperare tale esigenza con quella di consentire anche all'altro coniuge di conservare un tenore di vita adeguato.

  • L'assegno divorzile, di natura composita non meramente assistenziale, deve essere riconosciuto in applicazione del principio di solidarietà postconiugale, ispirato ai parametri costituzionali, tenendo conto dei criteri equiordinati previsti dalla legge, quali le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio e l'età dell'avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Nell'affidamento condiviso dei figli, il giudice deve determinare il contributo di mantenimento a carico del genitore non collocatario, tenendo conto dei parametri di legge, quali la maggior permanenza dei minori presso l'altro genitore, le rispettive risorse economiche, le esigenze attuali dei figli e il tenore di vita da loro goduto, applicando il principio di proporzionalità. Le spese straordinarie per i figli, salvo diverso accordo, devono essere ripartite tra i genitori secondo percentuali predeterminate, con previsione di modalità per la loro preventiva autorizzazione e per il rimborso.

  • Il dovere di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, stabilito dall'art. 147 c.c., obbliga i genitori a far fronte a una molteplicità di esigenze dei figli, non solo di carattere alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, fino a quando l'età del figlio lo richieda. In caso di separazione o divorzio, il contributo di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente deve essere determinato in misura proporzionale al reddito di ciascun genitore, tenendo conto del tenore di vita goduto in costanza di convivenza e della valenza economica dei compiti domestici e di cura svolti dai genitori. L'assegnazione della casa coniugale deve privilegiare l'interesse del figlio a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuto, per garantire il mantenimento delle sue consuetudini di vita e delle relazioni sociali. L'assegno divorzile, oltre a una funzione assistenziale volta a garantire l'autosufficienza economica dell'ex coniuge economicamente più debole, può avere anche una funzione compensativo-perequativa, qualora lo squilibrio economico-patrimoniale tra gli ex coniugi derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali di uno di essi, dipeso da scelte condivise e dall'assunzione di un ruolo teso al primario soddisfacimento delle esigenze familiari. La valutazione della capacità lavorativa del coniuge richiedente l'assegno divorzile deve essere compiuta in concreto, tenendo conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso, ivi comprese eventuali condizioni di disagio psicologico che rendano di fatto difficoltoso il reinserimento nel mondo del lavoro.

  • Il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso e del prenome anagrafico, nonché all'autorizzazione all'intervento chirurgico di riassegnazione del sesso, spetta anche al minore che manifesti una forte e persistente identificazione psicologica con il genere opposto a quello biologico di nascita, in assenza di patologie psichiatriche maggiori che possano inficiare la capacità di autodeterminazione, purché tale percezione identitaria sia accertata in sede giudiziale come seria, univoca e irreversibile. Il consenso a tali trattamenti è espressione della volontà sia del minore, valutata in relazione alla sua età e maturità, sia dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, senza che sia necessario l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari, essendo sufficiente l'acquisizione di una nuova identità di genere come frutto di un processo individuale.

  • L'amministratore di sostegno, nell'esercizio del suo incarico, ha il dovere di diligenza e di tutela degli interessi del beneficiario, ivi compreso l'obbligo di promuovere tempestivamente le iniziative necessarie per ottenere i benefici economici e assistenziali cui il beneficiario ha diritto. Tuttavia, qualora l'ente pubblico competente sia a conoscenza della condizione di non autosufficienza economica del beneficiario e della mancata presentazione della domanda di integrazione della retta da parte dell'amministratore di sostegno, il mancato avvio d'ufficio della procedura per il riconoscimento dell'integrazione economica da parte dell'ente pubblico esclude il nesso causale tra la condotta omissiva dell'amministratore di sostegno e il danno lamentato dal terzo gestore della struttura di ricovero, non potendosi addebitare all'amministratore di sostegno la responsabilità per il mancato pagamento delle rette. Pertanto, in assenza del nesso causale, l'azione risarcitoria proposta dal terzo gestore nei confronti dell'amministratore di sostegno deve essere rigettata.

  • Il legittimario che propone l'azione di riduzione per lesione della quota di riserva ha l'onere di indicare e comprovare tutti gli elementi necessari per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota, salvo il caso in cui il de cuius abbia integralmente esaurito in vita il proprio patrimonio con donazioni, poiché in tale ipotesi la compiuta denuncia della lesione è già implicita nella deduzione della manifesta insufficienza del relictum. Inoltre, la quota di legittima, riservata dalla legge, non può essere modificata dalla rinuncia effettuata dagli altri eredi, in quanto il principio di invariabilità delle quote di riserva esclude l'operatività dell'accrescimento in favore del legittimario non rinunciante. Pertanto, la quota riservata al coniuge che concorre con un solo figlio che abbia rinunciato all'eredità, è e resta pari a 1/3 del patrimonio ereditario del de cuius, anche in presenza della rinuncia all'eredità dell'unico figlio. Qualora il beneficiario della disposizione lesiva della legittima abbia alienato a terzi il bene, il legittimario ha l'onere di esperire, nei confronti dello stesso beneficiario della disposizione lesiva, l'azione di restituzione per equivalente, ossia di chiedere al beneficiario il tantundem, cioè una somma di denaro che rappresenti il valore del bene, determinato con riferimento alla data dell'apertura della successione.

  • Il comodatario ha diritto di agire in giudizio contro il comodante per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla privazione illecita della disponibilità del bene oggetto del comodato, nonché il rimborso delle spese straordinarie urgenti sostenute per la conservazione della cosa. Tuttavia, il comodante non è obbligato a eseguire o sostenere i costi per i lavori di manutenzione straordinaria necessari a rendere agibile l'immobile, salvo che tali interventi siano stati preventivamente concordati o si tratti di spese urgenti e indifferibili per la conservazione del bene. Il comodatario ha diritto di ottenere la restituzione dei beni mobili presenti nell'immobile al momento della privazione della disponibilità, mentre le spese di trasloco per il recupero di tali beni vanno computate in sede di esecuzione in forma specifica del provvedimento di reintegrazione nel possesso. Il giudice, nel valutare le domande risarcitorie, deve tenere conto della condotta illecita del comodante che ha alterato lo stato dei luoghi, rendendo impossibile l'uso precedentemente concesso, nonché del disagio morale ed esistenziale subito dal comodatario per la privazione di un bene essenziale per la prosecuzione di un regime di vita accettabile e dignitoso.

  • Il dipendente che, abusando dei poteri e delle facoltà connessi alla propria posizione di responsabilità all'interno dell'azienda, si appropria indebitamente di somme di denaro di spettanza del datore di lavoro, realizza un illecito civile di appropriazione indebita, che comporta l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente sottratte, oltre al risarcimento degli interessi maturati dalla data di ogni singola appropriazione. Tale condotta, ove posta in essere in concorso con altri soggetti che rivestono analoghe posizioni di responsabilità, integra gli estremi del concorso di persone nell'illecito, essendo sufficiente, ai fini dell'accertamento della responsabilità, la prova del nesso di causalità tra la condotta dei concorrenti e l'evento dannoso, senza che rilevi l'eventuale sussistenza di comportamenti colposi omissivi. L'onere di provare l'esclusione di fattori alternativi e interruttivi del nesso causale grava sul convenuto, mentre il danneggiato è tenuto a fornire gli elementi idonei a dimostrare l'ipotesi sul nesso di condizionamento. La documentazione prodotta in giudizio, anche in forma di copia fotostatica, ha piena efficacia probatoria, salvo che la parte contro la quale è prodotta non ne contesti specificamente la conformità all'originale, senza che sia necessaria l'istanza di verificazione.

  • Il depositario di beni mobili è tenuto a custodirli con la diligenza del buon padre di famiglia e risponde dei danni ad essi arrecati, salvo che provi il caso fortuito. Tuttavia, il carattere eccezionale di un evento atmosferico, pur se imprevedibile, non è di per sé sufficiente a configurare il caso fortuito, essendo necessario che tale evento abbia un'efficacia tale da interrompere totalmente il nesso causale tra la condotta del depositario e il danno. Pertanto, il depositario risponde dei danni ai beni in custodia, a meno che non dimostri di avere adottato tutte le misure idonee a prevenirli, anche in presenza di un evento atmosferico straordinario. Inoltre, il proprietario dell'immobile in cui i beni sono custoditi risponde dei danni derivanti da vizi o difetti delle strutture murarie o degli impianti, a meno che non provi di avere adempiuto agli obblighi di manutenzione straordinaria. In tal caso, il proprietario è tenuto a manlevare il depositario dalle conseguenze del danno.

  • Il diritto dell'INPS al recupero delle prestazioni pensionistiche indebitamente erogate è disciplinato dall'art. 13 della L. n. 412 del 1991. Il comma 1 di tale norma prevede che l'omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, non conosciuti dall'ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite, indipendentemente dalla prova del dolo o della mala fede dell'accipiens. Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che l'INPS procede annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l'anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza. Pertanto, se in conseguenza della verifica annuale della situazione reddituale venga accertato un indebito pensionistico, l'Istituto deve notificare, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello nel quale è stata resa la dichiarazione reddituale, l'indebita erogazione delle somme non spettanti nei periodi ai quali si riferisce la dichiarazione reddituale e nei periodi successivi. Qualora la notifica dell'indebito non sia effettuata nel termine di cui sopra, le somme erogate indebitamente non sono ripetibili. Inoltre, la ripetizione dell'indebito deve essere effettuata al netto e non al lordo delle trattenute per acconto d'imposta già versate dall'Istituto all'erario, non potendo l'INPS addossare al privato l'onere di un eventuale, correlativo, recupero dell'indebito tributario, per la cui attivazione e conseguimento è indispensabile la collaborazione attiva dell'amministrazione in quanto erogatrice del reddito soggetto a trattenuta. Infine, in presenza di questioni giuridiche complesse e di un mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, sussistono gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

  • Il contratto di agenzia, ai sensi dell'art. 1742 c.c., è caratterizzato dalla stabilità e continuità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell'ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo, con quest'ultimo, una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo. Pur essendo il contratto di agenzia soggetto alla forma scritta ad probationem ai sensi dell'art. 1742, comma 2, c.c., la mancanza di tale forma non ne inficia la validità ed efficacia, essendo ammissibili altre forme di prova, quali l'esecuzione volontaria, la conferma e la ricognizione del contratto, nonché la confessione e il giuramento, con esclusione della sola prova testimoniale e per presunzioni, salvo che per dimostrare la perdita incolpevole del documento. Pertanto, in caso di contestazione dell'esistenza del rapporto di agenzia, incombe sull'agente l'onere di provare i fatti costitutivi del proprio diritto, mentre grava sul preponente l'onere di dimostrare l'esatto adempimento o l'impossibilità sopravvenuta non imputabile. Ai sensi dell'art. 1748, comma 1, c.c., l'agente ha diritto alla provvigione per tutti gli affari conclusi durante il contratto per effetto del suo intervento, anche in assenza di una specifica pattuizione scritta sui criteri di calcolo, potendosi in tal caso procedere a una liquidazione equitativa ai sensi dell'art. 432 c.p.c.

  • Il requisito dell'inabilità al lavoro, prescritto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità o indiretta in favore del figlio maggiorenne vivente a carico del genitore pensionato o assicurato al momento del decesso di quest'ultimo, deve essere valutato con riferimento a tale momento, non essendo sufficiente il mero accertamento di una invalidità totale ai sensi della legge n. 118 del 1971. Infatti, la nozione di inabilità di cui all'art. 8 della legge n. 222 del 1984 è più restrittiva, richiedendo l'accertamento dell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, a prescindere dalle concrete mansioni svolte o dalla possibilità di impiego in lavori protetti. Pertanto, il figlio maggiorenne non può far valere il diritto alla pensione di reversibilità sulla base del solo riconoscimento di una invalidità totale, dovendo dimostrare, con idonei mezzi di prova, di trovarsi, al momento del decesso del genitore, in condizioni di assoluta e permanente inabilità lavorativa. Inoltre, il requisito della "vivenza a carico" del genitore deceduto, necessario ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità, non può essere provato con meri elementi indiziari, ma richiede la dimostrazione che il genitore provvedesse, in via continuativa e in misura prevalente, al mantenimento dell'interessato.

  • Il datore di lavoro, in caso di trasferimento di azienda, è tenuto ad applicare ai lavoratori ceduti il contratto collettivo da esso già applicato prima del trasferimento, salvo che non venga sostituito, prima della sua naturale scadenza, da altro contratto collettivo applicabile all'impresa del cessionario, purché di pari livello. Tale sostituzione opera automaticamente, senza necessità di specifici accordi sindacali, in virtù del principio di successione nel tempo dei contratti collettivi. Tuttavia, il lavoratore ceduto conserva il diritto di percepire la retribuzione minima prevista dal contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria, qualora tale trattamento risulti più favorevole rispetto a quello previsto dal contratto collettivo applicato dal cessionario. Inoltre, il datore di lavoro che procede al licenziamento per giustificato motivo oggettivo è tenuto a dimostrare di aver esperito ogni possibile tentativo di ricollocazione del lavoratore in altre posizioni lavorative analoghe a quella soppressa, in considerazione della sua professionalità e delle mansioni svolte, anche in posizioni di livello inferiore, in ossequio al principio di buona fede e al carattere effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale. In mancanza di tale prova, il licenziamento deve essere dichiarato illegittimo.

  • Il demansionamento del dirigente, pur non integrando gli estremi della giusta causa di licenziamento, può costituire giustificato motivo di recesso datoriale, in quanto la peculiare posizione del dirigente e il relativo vincolo fiduciario consentono al datore di lavoro di risolvere il rapporto anche per motivi diversi dalla grave inadempienza, purché siano comunque idonei a turbare il rapporto di fiducia. Tuttavia, il giudice è tenuto a valutare la condotta del dirigente nella sua oggettività e soggettività, al fine di accertare se essa sia di gravità tale da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. Pertanto, ove il demansionamento non sia di entità tale da compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, il licenziamento del dirigente, pur essendo giustificato, non legittima il riconoscimento dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, dovendosi in tal caso limitare il datore di lavoro al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso.

  • Il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dal Testo Integrato Conciliazione (TICO) e dalla Legge n. 481/1995, costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie tra clienti finali di energia elettrica e gas e gli operatori o gestori del servizio, a prescindere dal fatto che il procedimento sia stato instaurato su iniziativa del fornitore con decreto ingiuntivo opposto dal cliente. L'omissione di tale tentativo di conciliazione da parte del cliente finale determina l'improcedibilità della sua opposizione al decreto ingiuntivo, con conseguente conferma dello stesso. Tale obbligo non è escluso dalle norme che prevedono specifiche ipotesi di esclusione dalla procedura di conciliazione obbligatoria, le quali non contemplano il caso di opposizione a decreto ingiuntivo. Inoltre, il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui l'onere di attivare la mediazione obbligatoria grava sulla parte opposta, si riferisce alla diversa procedura di mediazione disciplinata dal D.Lgs. n. 28/2010 e non trova applicazione nell'ambito del Testo Integrato Conciliazione.

  • Il coniuge economicamente più debole, in caso di divorzio, ha diritto a un assegno divorzile in funzione assistenziale qualora non sia economicamente autosufficiente, nonché in funzione compensativo-perequativa qualora il matrimonio abbia comportato un significativo sacrificio economico a suo carico, con rinuncia a opportunità reddituali, a vantaggio dell'altro coniuge. L'assegno divorzile non è vincolato agli accordi raggiunti in sede di separazione, essendo il divorzio un istituto autonomo con presupposti e finalità diverse rispetto alla separazione. Il giudice, nel determinare l'assegno, deve tenere conto della situazione economico-patrimoniale delle parti, della durata del matrimonio, del contributo fornito alla vita familiare e di ogni altro elemento rilevante, senza limitarsi al mero confronto tra i redditi, ma valutando complessivamente le condizioni di vita e le prospettive future degli ex coniugi. L'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti economicamente cessa quando gli stessi, pur avendo ultimato il percorso formativo, non si siano adoperati attivamente per rendersi autonomi, senza giustificato motivo.

  • Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria o delegata ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010, l'onere di promuovere il procedimento di mediazione grava sulla parte convenuta opposta, in quanto attore in senso sostanziale, anche nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. La mancata instaurazione del procedimento di mediazione da parte della parte convenuta opposta determina, quale conseguenza della pronuncia di improcedibilità, la revoca del decreto ingiuntivo opposto, senza precludere l'esame nel merito di eventuali ulteriori domande proposte in via riconvenzionale dall'opponente. Tuttavia, ove la domanda riconvenzionale risulti sfornita di adeguato supporto probatorio e caratterizzata da incongruenze, essa deve essere rigettata per infondatezza. In tali ipotesi, sussistono giustificate ragioni per la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti, in considerazione dell'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione posta a fondamento della pronuncia di improcedibilità e del rigetto della domanda riconvenzionale.

  • Il mancato adempimento dell'obbligo di comunicazione preventiva di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato, unitamente alla sussistenza degli elementi costitutivi essenziali del lavoro subordinato, quali la sottoposizione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, la continuità della prestazione e la collaborazione offerta all'impresa dietro versamento della retribuzione, integrano la fattispecie sanzionabile ai sensi dell'art. 22, comma 1, del D.Lgs. n. 151 del 2015, che prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo variabile in relazione alla durata del rapporto di lavoro irregolare. Il giudice dell'opposizione all'ordinanza-ingiunzione è chiamato ad accertare la sussistenza dell'illecito amministrativo contestato, con l'onere probatorio a carico dell'amministrazione procedente, fermo restando che i fatti attestati dal pubblico ufficiale nel verbale ispettivo fanno piena prova fino a querela di falso. L'omessa notifica del verbale di primo accesso ispettivo non comporta, di per sé, la nullità dell'ordinanza-ingiunzione, qualora il destinatario abbia comunque avuto effettiva conoscenza dell'avvio del procedimento e la possibilità di esercitare i propri diritti partecipativi.

  • La violazione della procedura di licenziamento collettivo prevista dalla legge n. 223 del 1991 comporta l'applicazione di una tutela indennitaria, e non reintegratoria, a favore del lavoratore licenziato, salvo i casi in cui sia accertata la natura fittizia della cessazione dell'attività d'impresa o la necessità di mantenere in servizio una parte del personale per lo svolgimento delle operazioni di liquidazione. In tali ipotesi, trova applicazione la tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 18, comma 4, dello Statuto dei Lavoratori. Al di fuori di tali casi, la totale omissione della procedura di licenziamento collettivo è equiparabile alla violazione dell'obbligo procedurale di cui all'art. 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991, con conseguente applicazione della tutela indennitaria compresa tra 12 e 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Il computo della consistenza occupazionale ai fini dell'applicabilità della disciplina dei licenziamenti collettivi deve essere effettuato con riferimento all'ultimo semestre precedente la cessazione definitiva dell'attività d'impresa, e non alla data di comunicazione dei licenziamenti, al fine di evitare applicazioni elusive della normativa.

  • Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è illegittimo qualora la contestazione disciplinare e la lettera di licenziamento siano prive di una specifica e dettagliata descrizione del fatto addebitato al lavoratore, in quanto tale genericità impedisce l'identificazione della condotta che, nella prospettiva datoriale, avrebbe giustificato il recesso, con la conseguenza che il fatto contestato deve ritenersi insussistente. Ciò comporta che il licenziamento debba essere dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto contestato, senza che rilevi la mera compromissione del diritto di difesa del lavoratore nell'ambito del procedimento disciplinare. Inoltre, l'onere della prova dell'intento ritorsivo a fondamento del licenziamento grava sul lavoratore, il quale deve fornire elementi di prova sufficienti a dimostrare che tale intento abbia costituito il motivo unico e determinante del recesso. Infine, in caso di assegnazione a mansioni superiori rispetto a quelle previste in contratto, il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, con l'inquadramento che diviene definitivo, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

  • Il diritto all'assegno divorzile richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale, nonché della durata del matrimonio e dell'età dell'avente diritto. L'assegno divorzile ha una funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, non finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla gestione del menage familiare e alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale. In assenza di una significativa disparità economica tra le parti, tale da incidere sulle rispettive capacità di autosufficienza, non sussistono i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile. L'affidamento condiviso della prole, con collocazione prevalente presso un genitore e un regime di frequentazione con l'altro, mira a garantire il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, nell'interesse superiore del minore, anche attraverso il coinvolgimento dei Servizi Sociali per la vigilanza sull'applicazione del calendario di visita e lo svolgimento di una funzione di coordinamento genitoriale. Il contributo di mantenimento per il figlio minore deve essere determinato in base ai redditi e alle condizioni economiche delle parti, tenendo conto delle spese straordinarie necessarie per il suo sviluppo psico-fisico.

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