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Il mutamento imprevedibile e radicale della disciplina normativa relativa ai bonus fiscali, che ha reso di fatto impossibile per l'impresa appaltatrice lo sconto dei crediti fiscali ceduti dall'appaltante quale corrispettivo, costituisce un evento sopravvenuto che incide sulla possibilità di adempimento delle obbligazioni assunte e sull'equilibrio sinallagmatico del contratto di appalto, legittimando la risoluzione del contratto per inadempimento dell'appaltatore, ove questi non abbia fornito alcuna giustificazione alla sua inerzia nell'utilizzare i mezzi messi a disposizione dall'appaltante per consentire l'avvio e il completamento dei lavori. In tal caso, l'appaltante ha diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi in misura corrispondente alla chance perduta di usufruire del bonus fiscale, tenuto conto dei requisiti necessari per il suo riconoscimento e del concorso di colpa dell'appaltante per non aver tempestivamente sostituito l'appaltatore inadempiente.
Il condomino ha il diritto di ottenere dall'amministratore condominiale l'esibizione e l'estrazione di copia della documentazione condominiale, senza la necessità di specificare la ragione per la quale intende prenderne visione, purché l'esercizio di tale diritto non intralci l'attività amministrativa e non sia contrario ai principi di correttezza. L'unico onere economico legittimamente imponibile al condomino è costituito dalla spesa necessaria per riprodurre in copia la documentazione originale, essendo tale attività connessa e indispensabile allo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministratore, e pertanto da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta l'attività amministrativa di durata annuale. In caso di inadempimento dell'amministratore, il giudice può fissare una somma di denaro dovuta per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo di consegna della documentazione, quale strumento di coercizione indiretta previsto dall'art. 614-bis c.p.c.
La clausola di rinnovo tacito dell'adesione ad un'associazione non costituisce una clausola vessatoria, in quanto la partecipazione ad un'associazione presuppone una comunanza di interessi e di risorse finalizzati al raggiungimento degli scopi previsti dall'atto costitutivo, in funzione dei quali sono utilizzati tutti i mezzi disponibili. Pertanto, la disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. in materia di clausole vessatorie non trova applicazione nei confronti dei nuovi soci aderenti all'associazione, in quanto la comunanza di interessi tra l'associazione e l'aderente esclude la contrapposizione e il predominio di un contraente rispetto all'altro, così come la conoscenza dello statuto dell'ente, sul quale si basa l'atto di adesione, impedisce che il contraente si trovi vincolato da clausole da lui non conosciute o non adeguatamente valutate. Inoltre, la qualifica di "consumatore" non può essere riconosciuta all'aderente che si iscrive all'associazione e al relativo corso di formazione al fine di fruire di un servizio funzionale all'esercizio della propria attività professionale di amministratore di condominio, in quanto tale adesione avviene per uno scopo professionale e non per soddisfare esigenze di consumo privato. Pertanto, in caso di omesso pagamento della quota associativa, l'associazione ha diritto di ottenere il relativo importo, in quanto la clausola di rinnovo tacito è valida ed efficace.
Il Tribunale, rilevata la presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale contenuta nei contratti intercorsi tra le parti, dichiara la propria incompetenza a decidere la controversia, revocando il decreto ingiuntivo opposto e rimettendo le parti al giudizio del collegio arbitrale previsto dalla clausola. Ciò in quanto, pur essendo il giudice ordinario competente a emettere un decreto ingiuntivo anche in presenza di una clausola compromissoria, quest'ultima determina la cessazione di tale competenza qualora venga eccepita in sede di opposizione, dovendosi in tal caso rimettere la controversia agli arbitri. La presenza della clausola compromissoria, pertanto, comporta l'improponibilità della domanda dinanzi al giudice ordinario, rilevabile su eccezione di parte e non d'ufficio, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo emesso.
Il regolamento condominiale può validamente derogare alle disposizioni dell'art. 1102 c.c. e imporre il divieto di apportare modifiche o innovazioni alle parti comuni dell'edificio senza la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, al fine di tutelare il decoro architettonico e l'aspetto estetico complessivo del condominio. Tale divieto, quando presente nel regolamento, è cogente e non richiede un ulteriore accertamento giudiziale circa il rispetto del decoro architettonico, essendo sufficiente la mera inosservanza del divieto regolamentare per imporre la rimozione delle opere realizzate senza autorizzazione. Pertanto, i condomini che abbiano realizzato opere sulle parti comuni in violazione del divieto regolamentare, quali la costruzione di una tettoia o l'installazione di un grigliato, devono essere condannati alla loro rimozione, indipendentemente dalla valutazione circa il rispetto del decoro architettonico. Inoltre, il regolamento condominiale può vietare in modo tassativo l'occupazione degli spazi comuni con qualsiasi oggetto, materiale o mobile, imponendo ai condomini l'obbligo di rimuovere ogni elemento che violi tale divieto, come ad esempio vasi, piante e relativi portavasi posizionati sulle parti comuni. La violazione di tali divieti regolamentari non comporta, tuttavia, necessariamente il risarcimento del danno, in assenza di specifica prova del danno subito dalla parte attrice.
La revoca e la nomina dell'amministratore condominiale sono atti deliberativi legittimi se adottati con la maggioranza millesimale prevista dall'art. 1136, comma 2, cod. civ., a prescindere da eventuali vizi formali relativi alla convocazione di tutti i condomini, non rilevanti ai fini della validità della delibera quando gli attori siano comunque presenti in assemblea. L'offerta presentata dal nuovo amministratore designato, contenente i riferimenti essenziali alla sua individuazione e alla determinazione del compenso, consente una corretta valutazione da parte dell'assemblea condominiale ai fini della sua nomina.
La mancata o tardiva comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale ai singoli condomini, in quanto vizio procedimentale, comporta l'annullabilità della delibera assembleare adottata, legittimando il singolo condomino pretermesso a domandarne l'annullamento. Ai fini della prova del rispetto del termine dilatorio di cinque giorni previsto dall'art. 66 disp. att. c.c., è sufficiente che il condominio dimostri la data in cui l'avviso di convocazione è pervenuto all'indirizzo del destinatario, ex art. 1335 c.c., con l'ulteriore conseguenza che, in caso di invio a mezzo raccomandata non consegnata per assenza del destinatario, tale data coincide con quella di rilascio dell'avviso di giacenza presso l'ufficio postale. Ove il condominio non fornisca tale prova, la delibera assembleare è annullabile su istanza del condomino pretermesso. Le spese di lite, incluse quelle del procedimento di mediazione, seguono la soccombenza e sono poste a carico della parte soccombente.
L'assemblea condominiale non può delegare il potere decisionale sulla scelta della migliore offerta per l'incarico di perizia sull'impianto termico ad organi condominiali inesistenti o privi di specifica previsione regolamentare, in quanto tale delega esautorerebbe illegittimamente l'assemblea dalle sue competenze inderogabili. L'assemblea può istituire commissioni di condomini con l'incarico di esaminare i preventivi di spesa, ma le decisioni di tali commissioni sono vincolanti per tutti i condomini solo se rimesse all'approvazione dell'assemblea, le cui funzioni non sono delegabili ad un gruppo ristretto di condomini. Il consiglio di condominio, anche nella vigenza dell'art. 1130-bis c.c., non può sostituirsi all'assemblea nelle sue competenze inderogabili, in quanto la maggioranza espressa da un organo ristretto è comunque diversa dalla maggioranza effettiva dei partecipanti all'assemblea, su cui poggiano gli artt. 1135, 1136 e 1137 c.c. ai fini della costituzione dell'assemblea e della validità delle sue deliberazioni. L'interesse dei condomini a impugnare la delibera che ha illegittimamente delegato il potere decisionale sussiste anche in assenza di concreta attuazione della stessa, al fine di eliminare la situazione di obiettiva incertezza generata.
La pubblica amministrazione è tenuta a rispettare i doveri di correttezza, buona fede e protezione nei confronti dei privati, anche nell'ambito di procedimenti amministrativi e accordi di diritto pubblico. Pertanto, qualora la condotta della pubblica amministrazione ingeneri in capo al privato un affidamento incolpevole sulla possibilità di realizzare un determinato intervento, la successiva lesione di tale affidamento, senza adeguata motivazione e istruttoria, configura una responsabilità da "contatto sociale qualificato" che obbliga l'amministrazione al risarcimento del danno subito dal privato. Tale responsabilità sussiste anche quando l'amministrazione, pur avendo inizialmente riconosciuto al privato determinati diritti edificatori in via compensativa, successivamente ne impedisca la concreta attuazione per sopravvenute esigenze urbanistiche, senza offrire al privato una valida alternativa per la realizzazione dell'intervento. Tuttavia, il risarcimento del danno deve essere limitato alla perdita di valore del bene oggetto della cessione e alle spese accessorie sostenute dal privato in ragione dell'affidamento ingenerato, con esclusione del lucro cessante derivante dall'impossibilità di realizzare l'intervento, ove il privato non abbia diligentemente promosso le iniziative necessarie per la delocalizzazione dei diritti edificatori, come sollecitato dalla stessa amministrazione. In tal caso, il concorso di colpa del privato, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comporta una riduzione del risarcimento dovuto dalla pubblica amministrazione.
Il condominio può far valere le proprie ragioni creditorie relative al pagamento degli oneri condominiali esclusivamente nei confronti del condomino proprietario dell'unità immobiliare e non già nei riguardi del conduttore o di chi occupa l'appartamento senza esserne il proprietario, non avendo il condominio azioni dirette nei suoi confronti. Tuttavia, il proprietario può pretendere il versamento delle spese condominiali dall'inquilino che non vi abbia provveduto direttamente. Qualora il giudice attribuisca ad uno dei coniugi l'abitazione di proprietà dell'altro, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione medesima ma non si estende alle spese correlate a detto uso, ivi comprese quelle del genere delle spese condominiali, che riguardano la normale manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell'abitazione familiare, le quali sono a carico del coniuge assegnatario, in mancanza di un provvedimento espresso che ne accolli l'onere al coniuge proprietario. Le deliberazioni di riparto delle spese condominiali approvate dall'assemblea sono azionabili nei soli confronti di soggetti che, quali condomini e proprietari, abbiano un titolo che legittimi la loro partecipazione all'assemblea, e pertanto l'amministrazione ha diritto di riscuotere i contributi e le spese esclusivamente da ciascun condomino proprietario, senza che possa ipotizzarsi un'azione diretta verso i conduttori e/o assegnatari delle singole unità immobiliari, posta la totale estraneità di tali soggetti rispetto al condominio. Tuttavia, qualora le deliberazioni condominiali non siano private del loro carattere esecutivo a seguito di pronuncia interinale di sospensiva resa cautelarmente nell'ambito del procedimento di gravame avverso le delibere medesime, ovvero per effetto del ritiro dell'atto da parte del medesimo organo che l'aveva adottato, o a seguito di suo giudiziale annullamento o declaratoria di nullità, esse supportano validamente il provvedimento monitorio fatto oggetto di opposizione, essendo irrilevante la circostanza che l'opponente abbia o meno potuto godere del bene, dovendo al riguardo essere escluso un rapporto di sinallagmaticità fra prestazioni, con riferimento al pagamento degli oneri, trattandosi di obbligazione propter rem derivante dalla comproprietà.
Il condomino che partecipa all'assemblea condominiale, pur avendo preliminarmente contestato vizi nella convocazione, non può successivamente far valere tali irregolarità, avendo per facta concludentia prestato acquiescenza alla regolarità della costituzione dell'assemblea e alla discussione e votazione nel merito dei punti all'ordine del giorno. L'obbligo di preventiva informazione dei condomini sugli argomenti all'ordine del giorno dell'assemblea non richiede l'allegazione di preventivi o consuntivi dei bilanci, essendo sufficiente l'indicazione della materia su cui deve vertere la discussione e la votazione, mentre è onere del condomino interessato attivarsi per visionare la documentazione presso l'amministratore. L'accertamento della responsabilità dell'amministratore di condominio per atti di gestione irregolari può essere richiesto solo nei suoi confronti, in quanto unico soggetto contrattualmente debitore verso il condominio della propria prestazione professionale di mandatario e della prova della corretta amministrazione.
La garanzia autonoma, caratterizzata dal pagamento a prima richiesta e dall'estraneità del garante alle controversie tra creditore e debitore principale, è indipendente dal rapporto contrattuale sottostante e non consente al garante di opporre al creditore beneficiario le eccezioni relative a tale rapporto, salvo i casi di nullità del contratto di garanzia per contrarietà a norme imperative o di manifesta illiceità della causa, ovvero di prova liquida ed incontrovertibile di una condotta abusiva del creditore. Pertanto, il garante è tenuto al pagamento della somma garantita a semplice richiesta del creditore, senza poter eccepire l'inesistenza o l'invalidità dell'accertamento dei danni effettuato in assenza di contraddittorio, né la presunta infondatezza o illegittimità della pretesa del creditore, essendo tali questioni estranee al rapporto di garanzia. Il garante, tuttavia, conserva il diritto di agire in via di regresso e di rivalsa nei confronti del debitore principale e degli eventuali coobbligati, ai quali può essere imposta, in caso di inadempimento, una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento di liberazione.
Il socio di una società di persone non può esperire un'azione individuale di risarcimento del danno nei confronti dell'amministratore per condotte di mala gestio che abbiano determinato una diminuzione del patrimonio sociale, in quanto tale danno si configura come meramente riflesso sul patrimonio del socio. L'azione individuale di responsabilità del socio nei confronti dell'amministratore, di natura extracontrattuale, presuppone che il danno sia direttamente cagionato al socio come conseguenza immediata del comportamento dell'amministratore, e non sia solo il riflesso di danni arrecati al patrimonio sociale. Pertanto, il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per poter esperire l'azione individuale di responsabilità contro gli amministratori. Inoltre, la circostanza che i soci di una società di persone rispondano in modo solidale ed illimitato per le obbligazioni sociali non implica automaticamente il diritto del socio al risarcimento di un danno prospettato in termini ipotetici e futuri, derivante da un'eventuale escussione dei creditori sociali del patrimonio personale del socio. Infine, la mancata percezione degli utili di esercizio da parte del socio non costituisce di per sé un danno diretto risarcibile, in assenza di allegazioni circa la differenza tra l'utile di esercizio distribuibile e quanto effettivamente distribuito.
Il termine per proporre l'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. decorre dalla conoscenza di fatto dell'atto o del provvedimento viziato, a prescindere dalla formale notificazione, essendo sufficiente che il soggetto legittimato a proporre l'opposizione ne abbia avuto effettiva conoscenza, anche in corso di causa, attraverso l'allegazione documentale o la discussione orale. L'opposizione proposta oltre il termine di venti giorni dalla conoscenza di fatto dell'atto pregiudizievole deve essere dichiarata inammissibile, indipendentemente dalla sussistenza di eventuali vizi della vocatio in jus o di altri profili di nullità della procedura esecutiva, in quanto il termine per l'impugnazione è di natura decadenziale e non può essere superato neppure in presenza di gravi e irreparabili danni per il debitore esecutato. Il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità mira a garantire la certezza e la stabilità degli atti esecutivi, evitando che l'opposizione possa essere proposta in modo intempestivo e strumentale, a distanza di tempo dalla conoscenza dell'atto lesivo, al solo fine di paralizzare l'esecuzione forzata.
L'articolo 141 del Codice delle Assicurazioni Private, che consente al terzo trasportato di agire direttamente nei confronti dell'assicuratore del veicolo sul quale viaggiava, a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, non trova applicazione nel caso in cui nel sinistro risulti coinvolto il solo veicolo del vettore del trasportato. In tale ipotesi, il trasportato danneggiato può agire con azione diretta contro l'assicuratore del proprio veicolo, chiamando in causa anche il responsabile civile, con onere probatorio a proprio carico equivalente a quello previsto dall'art. 141 c.a.p., spettando al vettore la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, corrispondente all'esimente del caso fortuito. Inoltre, in caso di morte del danneggiato per causa diversa dalle lesioni riportate nell'incidente, il risarcimento dei danni permanenti non compete integralmente, ma deve essere determinato tenendo conto del periodo di concreta sopravvivenza rispetto alla durata media della vita, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza.
La clausola del regolamento condominiale che stabilisce un foro convenzionale per ogni controversia relativa al regolamento medesimo è valida ed efficace, derogando così al foro esclusivo previsto dall'art. 23 c.p.c. per le cause condominiali. Tale accordo è applicabile a tutte le cause a qualsiasi titolo connesse con l'operatività del regolamento di condominio, il quale, in senso proprio, è l'atto di autorganizzazione a contenuto tipico normativo, approvato dall'assemblea con la maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2 c.c., che contiene le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione. Pertanto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo tale sindacato riservato al giudice davanti al quale dette delibere sono state impugnate. Tuttavia, il giudice può sindacare sia la nullità dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio della deliberazione assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione, sia l'annullabilità di tale deliberazione, a condizione che quest'ultima sia dedotta in via d'azione, mediante apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell'atto di citazione, ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., nel termine perentorio ivi previsto, e non in via di eccezione.
Il rendiconto condominiale annuale, una volta approvato dall'assemblea, costituisce titolo valido per l'esazione dei crediti condominiali, anche se relativi ad annualità pregresse non pagate dai singoli condomini. Tali crediti, infatti, vengono riportati nei successivi rendiconti come poste di debito permanenti a carico dei condomini morosi, senza che possa invocarsi la prescrizione, in applicazione del principio di continuità della gestione condominiale. L'approvazione del rendiconto annuale, pertanto, legittima il condominio a richiedere il pagamento delle somme dovute da ciascun partecipante, senza che l'assemblea debba procedere a una nuova deliberazione per il recupero di tali crediti pregressi. La delibera assembleare che approva il rendiconto può essere impugnata solo per motivi di legittimità e non di merito, entro il termine previsto dall'art. 1137 c.c.
Il credito dell'amministratore condominiale per il recupero delle somme anticipate nell'interesse del condominio si fonda sul contratto di mandato con rappresentanza e grava pertanto sull'amministratore l'onere di provare gli esborsi effettuati con denaro proprio, mentre spetta ai condomini dimostrare di aver adempiuto all'obbligo di tenere indenne l'amministratore da ogni diminuzione patrimoniale subita. In assenza di idonea prova da parte dell'amministratore circa l'effettivo sostenimento delle spese, il condominio può richiedere la restituzione delle somme non giustificate, fermo restando che le eventuali ragioni di credito del condominio a titolo di risarcimento danni per mala gestio devono essere adeguatamente provate. Le spese processuali, ivi comprese quelle relative alla consulenza tecnica d'ufficio, seguono la soccombenza dell'amministratore condominiale.
Il rapporto di lavoro subordinato del portiere condominiale comporta il diritto di godimento dell'alloggio di servizio, quale prestazione accessoria funzionalmente collegata al contratto di lavoro. Alla cessazione del rapporto di lavoro per qualsiasi causa, ivi compreso il raggiungimento del limite di età, consegue automaticamente la perdita del diritto di godimento dell'alloggio, con l'obbligo per il lavoratore di rilasciarlo al condominio proprietario, senza che sia necessaria la stipulazione di un autonomo contratto di locazione. Il condominio, in tale ipotesi, può agire in giudizio per ottenere il rilascio dell'immobile, senza che il giudice debba pronunciarsi sulla mancata conclusione di un successivo contratto di locazione, atteso che tale questione esuli dalla competenza funzionale del giudice del lavoro, il quale è chiamato unicamente ad accertare la cessazione del rapporto di lavoro e il conseguente venir meno del diritto di godimento dell'alloggio da parte del lavoratore. Pertanto, il condominio proprietario dell'immobile ha diritto di ottenere il rilascio dello stesso, libero e vuoto da persone e cose, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro del portiere, senza che sia necessaria la stipulazione di un autonomo contratto di locazione.
La delibera assembleare di una comunione che attribuisce all'amministratore il potere di non consegnare le chiavi dell'unità immobiliare ai proprietari o ai loro ospiti che non rispettino il divieto di tenere animali domestici è illecita e nulla, in quanto: 1. La comunione non può deliberare sanzioni non previste dal regolamento contrattuale o dalla legge, essendo precluso all'assemblea sostituirsi all'autorità giudiziaria nell'irrogare sanzioni privative del diritto di godimento della proprietà. 2. La modifica del regolamento condominiale o della comunione che stabilisce obblighi o limitazioni a carico dei comproprietari deve essere approvata all'unanimità, non essendo sufficiente la semplice maggioranza assembleare. 3. Il regolamento condominiale o della comunione non può prevedere sanzioni diverse da quelle pecuniarie, essendo in contrasto con i principi generali dell'ordinamento che non conferiscono al privato, se non eccezionalmente, il diritto di autotutela. Pertanto, la delibera assembleare che autorizza l'amministratore a negare la consegna delle chiavi ai proprietari o ai loro ospiti per la mancata osservanza del divieto di tenere animali domestici è da ritenersi illecita e nulla, in quanto lesiva del diritto di godimento della proprietà e in violazione dei principi di cui agli artt. 832 c.c. e 42 Cost.
La convocazione dell'assemblea condominiale mediante semplice posta elettronica, senza il previo consenso espresso dei condomini, viola il requisito di forma previsto dalla legge e dal regolamento condominiale, che impongono l'invio dell'avviso di convocazione a mezzo di lettera raccomandata o consegna a mano con ricevuta, almeno quindici giorni prima della data fissata per l'assemblea. Tale vizio formale della convocazione comporta l'annullabilità della delibera assembleare impugnata, a prescindere dalla partecipazione all'assemblea di alcuni dei condomini convocati per posta elettronica, in quanto l'onere di provare la regolare convocazione di tutti gli aventi diritto grava sul condominio, senza che possa rilevare l'eventuale conoscenza di fatto della convocazione da parte dei singoli condomini. Pertanto, la massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: La convocazione dell'assemblea condominiale mediante semplice posta elettronica, senza il previo consenso espresso dei condomini, viola il requisito di forma previsto dalla legge e dal regolamento condominiale, che impongono l'invio dell'avviso di convocazione a mezzo di lettera raccomandata o consegna a mano con ricevuta, almeno quindici giorni prima della data fissata per l'assemblea. Tale vizio formale della convocazione comporta l'annullabilità della delibera assembleare impugnata, a prescindere dalla partecipazione all'assemblea di alcuni dei condomini convocati per posta elettronica, in quanto l'onere di provare la regolare convocazione di tutti gli aventi diritto grava sul condominio, senza che possa rilevare l'eventuale conoscenza di fatto della convocazione da parte dei singoli condomini. La violazione del requisito di forma della convocazione, previsto dalla legge e dal regolamento condominiale, costituisce un vizio che determina l'annullabilità della delibera assembleare, indipendentemente dalla partecipazione di alcuni condomini e dall'eventuale conoscenza di fatto della convocazione, in quanto l'onere di provare la regolare convocazione di tutti gli aventi diritto grava sul condominio.
Il verbale di assemblea condominiale, munito della sottoscrizione del presidente e del segretario, ha natura di scrittura privata e costituisce prova legale della provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori, ma non si estende al contenuto della stessa, il quale può essere contestato con ogni mezzo di prova. Pertanto, il condomino che impugna una delibera assembleare per vizi di legittimità ha l'onere di provare le circostanze lamentate, dimostrando che la delibera è contraria ai principi di legge disciplinanti la materia. L'amministratore condominiale cessato dall'incarico è tenuto a restituire tutta la documentazione in suo possesso afferente alla gestione condominiale, mediante riconsegna all'amministratore subentrante o al singolo condomino che ne faccia richiesta, non legittimando la mancata nomina del nuovo amministratore uno "ius retinendi" della documentazione né un esonero dal rendiconto. La domanda di revoca giudiziale dell'amministratore è inammissibile, in quanto tale provvedimento può essere adottato solo dalla maggioranza dei condomini o, in via suppletiva, dal Tribunale in sede di volontaria giurisdizione. Il condomino ha il diritto di ottenere l'esibizione dei registri e documenti contabili condominiali in qualsiasi tempo, sempreché l'esercizio di tale diritto non si risolva in un intralcio all'amministrazione, ponendosi in contrasto con il principio di correttezza. Le richieste risarcitorie per danni derivanti dalla gestione condominiale devono essere adeguatamente provate nell'an e nel quantum debeatur.
Il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 3 del Testo Integrato Conciliazione (TICO) approvato dall'Autorità per l'Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico, costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale proposta dal cliente finale di energia elettrica o gas avverso il fornitore, con la conseguente declaratoria di improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo e la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Tale onere di attivazione della procedura conciliativa grava esclusivamente sul cliente finale, in quanto soggetto attivo della controversia, e non può essere assolto dal fornitore, neppure in caso di instaurazione del procedimento monitorio su iniziativa di quest'ultimo. La mancata tempestiva riattivazione della procedura di conciliazione, a seguito della sua archiviazione per incompletezza della domanda, entro la data dell'udienza di rinvio fissata per la verifica dell'esperimento del tentativo obbligatorio, determina parimenti l'improcedibilità dell'opposizione, a prescindere dalla natura perentoria o meno del termine originariamente assegnato per l'attivazione della procedura.
Il lodo arbitrale irrituale, in quanto espressione della volontà negoziale delle parti, può costituire valido titolo per l'emissione di un decreto ingiuntivo, senza che sia necessario il previo esperimento della procedura di exequatur. Infatti, a differenza dell'arbitrato rituale, il cui lodo è suscettibile di essere reso esecutivo ai sensi dell'art. 825 c.p.c., l'arbitrato irrituale si configura come mero strumento negoziale di composizione della controversia, la cui attuazione è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti. Pertanto, la mancata richiesta di esecutività del lodo arbitrale irrituale non preclude alla parte vittoriosa la possibilità di ricorrere alla tutela monitoria per ottenere il soddisfacimento del proprio credito. Ciò in quanto il lodo irrituale, pur non essendo suscettibile di esecuzione forzata, costituisce comunque un titolo negoziale idoneo a supportare la domanda di decreto ingiuntivo. Né la contumacia di una parte nel procedimento arbitrale irrituale può essere equiparata alla contumacia in senso tecnico, attesa l'assenza di un meccanismo processuale analogo a quello previsto dall'art. 290 c.p.c. per il giudizio ordinario. Pertanto, il disinteresse della parte per la procedura arbitrale non vale come rinuncia alla volontà, espressa con la sottoscrizione della clausola compromissoria, di affidare all'arbitro la soluzione della controversia attraverso il mero strumento negoziale. In tale contesto, i vizi del lodo arbitrale irrituale possono essere fatti valere solo attraverso l'impugnazione per i vizi del consenso ex art. 1427 c.c., senza che la mera diversa valutazione della vicenda contrattuale da parte dell'opponente sia idonea a inficiare la determinazione degli arbitri.
Il giudice, nel valutare la gravità dell'inadempimento contrattuale ai fini della risoluzione del contratto, deve considerare non solo criteri oggettivi relativi all'incidenza dell'inadempimento sull'economia complessiva del rapporto, ma anche elementi di carattere soggettivo, come il comportamento delle parti, l'eventuale incolpevolezza o tempestiva riparazione dell'inadempiente, nonché la scarsa rilevanza dell'inadempimento stesso. Pertanto, il ritardo nel pagamento dei canoni di locazione, dovuto a giustificati motivi e seguito dal successivo integrale adempimento, non integra una morosità in senso stretto tale da giustificare la risoluzione del contratto, in assenza di un pregiudizio apprezzabile per il locatore e di un significativo squilibrio del sinallagma contrattuale.
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