Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Rovigo SEZIONE SPECIALIZZATA AGRARIA Nella seguente composizione dott. Pier Francesco Bazzega - Presidente dott. Marco Pesoli - Giudice Relatore dott.ssa Benedetta Barbera - Giudice dott. Carlo Moretti - Esperto dott. Giorgio Salvalajo - Esperto Ha pronunciato e pubblicato mediante contestuale lettura del dispositivo e delle motivazioni la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n.. 1558/2022 R.a.c.c., TRA (...), CF e PI (...), in persona del Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore sig. (...), rappresentato e difeso come in atti dall'avv. (...) (rinunciatario al mandato in data (...)) OPPONENTE E (...), CF: (...), rappresentato e difeso come in atti dall'avv. (...) OGGETTO: Azione di condanna al pagamento di somme dovute per legge o per contratto ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. La motivazione è redatta secondo le regole prescritte dagli artt.132 n.4) e 118 disp. att. c.p.c., omesso lo svolgimento del processo. 2. La presente causa ha ad oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo n. 446/2022 emesso in data (...) dal Tribunale di Rovigo (n. 1115/2022 R.G.), notificato a mezzo PEC in data (...). L'opposizione è stata introdotta con ricorso depositato il (...), ed è pertanto tempestiva. 3. Il decreto ingiuntivo opposto ha ad oggetto il pagamento di Euro14.400,00 a titolo di canone di affitto del fondo sito nel Comune di (...) e (...), in adempimento di quanto previsto nel contratto di affitto agrario, stipulato in data (...) e registrato il (...) tra (...), odierno opposto, e la società (...) odierna opponente. Nell'originario ricorso monitorio, in particolare, l'opposto ha dedotto che in sede pattizia era stato concordato per la prima annata agraria un canone di affitto pari ad Euro14.400,00, da pagarsi in tre rate quadrimestrali di Euro4.800,00 l'una e scadenti, rispettivamente, il (...), il (...) e il (...), e che nessuna somma sarebbe stata tuttavia corrisposta (per le annate successive, che qui non rilevano, il canone era stato invece pattuito nella maggior somma di Euro18.000,00 annui; la riduzione per il primo anno era riconnessa alla necessità di svolgere talune opere di adeguamento del fondo). 4. Con atto di opposizione, la società opponente ha mosso contestazioni alle pretese attoree sotto profili di rito e di merito, e proposto domanda riconvenzionale. Nello specifico: a. In rito, è contestato che in sede di conciliazione dinanzi all (...), all'incontro del (...), (...) non era personalmente presente, e l'avv. (...) che ha partecipato all'incontro in sua vece, non era munita di procura idonea a integrare il potere di rappresentanza. Con conseguente improponibilità della domanda; b. Sempre in rito, è contestato che l'oggetto della controversia dedotta in sede di conciliazione dinanzi all'(...) è diverso dalla domanda svolta nel ricorso monitorio - in particolare, in sede (...) è stata richiesta la somma di Euro9.961,90, per due ratei di canone, mentre in sede monitoria è stata chiesta la maggior somma di Euro14.400,00, pari all'intero primo anno di canone. Con conseguente improponibilità, quantomeno parziale, della domanda; c. Nel merito, è chiesta l'imputazione a canoni - con conseguente compensazione - delle somme incassate dall'opposto a titolo di deposito cauzionale (Euro4.500,00) e di acconto (Euro1.200,00), per complessivi Euro5.700,00. d. Nel merito, è contesta l'effettuazione, da parte della società opponente, di lavori sul fondo condotto per complessivi Euro24.285,89, di cui Euro18.285,89 fatturati da ditte terze ed Euro6.000,00 svolti in economia; tali lavori avrebbero dovuto essere effettuati a cura della parte locatrice, con conseguente diritto dell'affittuario alla restituzione - chiesta in via riconvenzionale - di quanto anticipato, al netto degli importi da compensare con i canoni impagati. Nello specifico, l'opponente deduce che: - al momento della stipula del contratto, tutte le utenze dei fabbricati presenti sul fondo erano staccate, ciò che non rese immediatamente possibile verificare la funzionalità dei beni mobili posti a corredo, necessari allo svolgimento dell'attività di agriturismo, tanto è vero che in contratto, all'art. 6, la parte si riservava il diritto alla successiva verifica; - a seguito dell'immissione nel possesso del fondo erano emersi molteplici vizi occulti, specie nel fabbricato a uso locanda, tali da rendere inservibile la cucina; - a fronte della richiesta al locatore di provvedere alle necessarie riparazioni, e all'omesso intervento da parte di questi, il conduttore aveva provveduto in autonomia, onde evitare il fermo dell'attività e sostenendo in proprio costi che intende opporre in compensazione ai canoni oggetto di ingiunzione. - Più nel dettaglio, sono stati svolti interventi che hanno comportato i seguenti esborsi: Euro3.109,00 per la tinteggiatura dei locali (doc. 13/A) Euro3.929,00 per lavori relativi ad opere edilizie interne - riparazione porte; stuccatura e rifacimento del soffitto della cucina, ammalorato per umidità (doc. 13/B); Euro8.950,00 per riparazione impianto termico ed impianto idraulico, sostituzione sanitari, rifacimento impianto elettrico e riparazione di linee antenna e telefonica (doc. 13/C); Euro1.785,49 per riparazioni della cucina e della lavastoviglie (doc. 13/D); Euro512,40 per svuotamento e lavaggio della cisterna della cantina (doc. 13/E). Il tutto per complessivi Euro18.285,89. Sarebbero poi stata integralmente sostituita, con lavorazione svolta in economia, l'impermeabilizzazione del tetto dei fabbricati, al fine di risolvere un problema di infiltrazione d'acqua - lavorazioni il cui valore è stimato in Euro6.000,00 secondo la perizia di parte prodotta (doc. 14). e. - Da ultimo, è rilevata l'esistenza di ulteriori problematiche da risolvere, ciò che esiterebbe in ulteriori prevedibili esborsi (umidità di risalita in cucina; dissesto nella terrazza; fessurazioni nelle murature esterne; necessità di manutenzione nelle porte esterne, sia in legno che in acciaio; necessità di manutenzione straordinaria su tutte le finestre e i balconi; necessità di riparazioni nelle attrezzature della cantina) -come descritto nella già richiamata perizia sub doc. (...). Sulla base di tali circostanze, è opposta eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., con conseguente ritenuta inesigibilità dei canoni sino a integrale ripristino degli ambienti ad una condizione tale da consentire l'effettivo esercizio delle attività di agriturismo. In via istruttoria, l'opponente ha chiesto ammettersi prova per testi sui fatti di causa, come capitolati in calce al ricorso, e disporsi CTU volta all'accertamento della congruità dei corrispettivi pagati per l'effettuazione dei lavori svolti, sia fatturati, sia svolti in economia, nonché della sussistenza degli ulteriori vizi che ancora persisterebbero e dei costi da sostenere per porvi rimedio. 5. Si è costituito l'opposto, contestando in rito e in merito quanto dedotto da controparte e spiegando reconventio reconventionis. Quanto alle questioni di fatto, l'opposto ha dedotto: a. Che il contratto stipulato tra le parti, anche coerentemente con la proposta originariamente formulata dagli odierni opponenti, prevedeva che i conduttori si facessero carico di ogni opera di adeguamento del fondo, e quindi non solo del vigneto, di modo che la proprietà sarebbe stata tenuta esclusivamente per lavori che fossero divenuti in seguito obbligatori per sopravvenienze normative; b. che in vista della stipula del contratto de quo era stata effettuata una ricognizione completa della proprietà (docc. 3 e 4 opposto), comunicata all'opponente il (...); c. che alla stipula del preliminare, avvenuta il (...) (doc. 5) tutte le utenze erano funzionanti, e che nel contratto (art. 6) si dà conto dell'inventario e del fatto che l'affittuario ha verificato gli impianti, su cui nulla ha da eccepire, "salvo la verifica effettiva del funzionamento e la consegna delle dichiarazioni di conformità da effettuarsi alla stipula del definitivo", riserva comunque riferibile solo agli impianti e non al resto dei beni, accettati nello stato in cui si trovavano (art. 3); d. che dopo la stipula del definitivo, avvenuta il (...), l'affittuaria mai contestò il funzionamento degli impianti e prospettò l'esigenza di effettuare lavori, al che il locatore intimò per iscritto (doc. 6) di astenersi da qualunque lavorazione la parte non avesse ritenuto doversi effettuare con spese a proprio carico, come da contratto; e. che in ogni caso l'affittuaria ha esercitato sul fondo la propria attività agrituristica, il che si pone in contrasto con la prospettazione svilente che viene fatta del fondo nell'atto di opposizione; f. che l'opposto (...), all'atto della stipulazione della società creata ad hoc per la gestione del fondo - odierna opponente - accettò di assumere l'incarico di consigliere di CDA, così da garantire agli affittuari di non perdere benefici fiscali; per tale ragione fu poi chiamato a rispondere del debito per il mancato pagamento degli onorari del notaio rogante (doc. 9-11); g. che ad oggi l'affittuaria ha maturato debiti, per canoni impagati, di complessivi Euro20.400,00, oltre interessi di mora, non avendo peraltro mai consegnato la fideiussione bancaria a garanzia, né costituito il deposito in denaro, né effettuato interventi sul vigneto (il deposito sarebbe stato effettuato circa 10 mesi dopo il definitivo - pag. 16 comparsa); h. che mai, in sede di conciliazione presso l (...), l'opposto (...) ha manifestato assenso al riconoscimento di crediti altrui, come risulterebbe dal fatto di aver invece ricevuto Euro1.200,00 a titolo di acconto, e che analogamente non avrebbe accettato qualunque accordo di compensazione di canoni; i. che all'incontro presso l'(...) del (...) il procuratore dell'opposta ha riferito di aver appreso il giorno prima che (...) il (...) aveva ceduto le quote della società (...) odierna opponente, ed era cessato dalle funzioni di amministratore il (...) (doc. 16, visura CCIA), sicché era privo di poteri al momento del conferimento della delega al geometra (...). 6. Tanto premesso in fatto, in diritto il convenuto opposto: a. In rito, contesta l'eccezione di improcedibilità del ricorso, richiamando precedente di legittimità in ordine alla possibilità di far valere in giudizio anche canoni ulteriori rispetto a quelli originariamente oggetto di conciliazione; contesta inoltre la ritenuta invalidità della sostituzione, in sede di mediazione della parte personalmente ad opera del procuratore costituito nell'odierno giudizio; b. Nel merito, quanto all'eccezione di pagamento di controparte, contesta che le somme versate a titolo di cauzione siano imputabili a canoni in assenza di un diverso accordo; rileva inoltre che della somma ricevuta a titolo di acconto in sede di mediazione AVEPA (Euro1.200,00) è stato tenuto conto nella formulazione del ricorso monitorio; c. In rito, quanto alle domande riconvenzionali di controparte, ne eccepisce l'improcedibilità per mancato esperimento della conciliazione obbligatoria; parte opponente avrebbe infatti notificato la relativa comanda di conciliazione solo dopo aver introdotto il giudizio, in data (...) (doc. 18); d. Nel merito, quanto alle domande riconvenzionali di controparte, ne eccepisce l'infondatezza: 1) per essere previsto in contratto che l'affittuario riceveva il fondo e i relativi beni su di esso insistenti così come erano, per averli previamente visionati e accettati; 2) per essere le spese asseritamente sostenute non imputabili al proprietario, trattandosi di manutenzione ordinaria; 3) per difetto di prova, essendo ormai impossibile verificare lo stato dei luoghi prima dell'intervento dell'opponente; 4) per inesigibilità, non essendo i lavori stati autorizzati dalla proprietà, come richiesto, anche per i miglioramenti, dagli artt. 16 e 17 L. n. 203 del 1982; e. Nel merito, formula contro-domanda riconvenzionale di risoluzione per grave inadempimento ai sensi dell'art. 1453 c.c., chiedendo conseguentemente il rilascio del fondo. La domanda si fonda anche sulla mancata sistemazione del vigneto e sul mancato rilascio della garanzia fideiussoria; f. Nel merito, conseguentemente, formula contro-domanda riconvenzionale, di risarcimento del danno, da quantificarsi in separato giudizio per essere ancora indeterminabile, in quanto la parte opposta aveva fatto conto sui redditi derivanti dal contratto di affitto per ripianare l'esposizione derivante da una transazione intercorsa con il precedente conduttore del fondo, verso il quale era rimasta esposta per una somma molto significativa (doc. 19). g. Formula istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, per non essere l'opposizione fondata su prova scritta o di pronta soluzione; h. Formula istanza ex art. 186-ter c.p.c. per gli ulteriori canoni maturati medio tempore, pari ad Euro6.000,00 oltre interessi, e per gli ulteriori canoni a scadere, non sussistendo contestazioni sull'an dei canoni, ma esclusivamente contro pretese a titolo risarcitorio; In via istruttoria, l'opposto ha chiesto il rigetto delle istanze avversarie ed ha chiesto ammettersi prova per testi su propri capitoli. 7. Nel corso del giudizio, all'udienza del (...), è emerso che il contratto di affitto agrario oggetto della presente controversia ha ad oggetto un fondo colpito da pignoramento immobiliare in data antecedente alla stipula del contratto stesso, e che detto contratto, dunque, appariva stipulato in assenza di autorizzazione ex art. 560 c.p.c. da parte del Giudice dell'esecuzione; sulla base di tale sopravvenuta circostanza, il Collegio ha disposto il rinvio della trattazione della causa per consentire alle parti di argomentare sulle conseguenze di tale fatto nuovo. Alla successiva udienza del (...), il procuratore di parte opposta ha poi dedotto ulteriori fatti nuovi, tali da incidere ancora sul quadro fattuale della presente controversia. In particolare, è stato documentato che le quote societarie della società affittuaria ed odierna opponente sono state oggetto di sequestro e successiva confisca di prevenzione, con decreto depositato in Cancelleria del Tribunale delle misure di prevenzione di Venezia in data (...); il relativo decreto è stato esibito in udienza e ne è stato ordinato il deposito in forma telematica; il procuratore della parte opposta ha inoltre riferito di aver saputo in via informale, pur non potendolo documentare, che tale decreto sarebbe divenuto definitivo per mancata impugnazione. Ha inoltre informato il Collegio e controparte che il contratto per cui è causa è stato ritenuto inopponibile dal Giudice dell'esecuzione, che ha emesso conseguentemente un ordine di liberazione, e che in seno alla medesima procedura il custode giudiziario ha rappresentato che sarà da lui effettuata insinuazione al passivo della procedura di prevenzione per l'equivalente economico dei canoni di locazione, a titolo di indennità per occupazione senza titolo. Sulla base di tali premesse, il procuratore di parte opposta ha dichiarato di rinunciare alle domande volte ad ottenere il rilascio e la condanna al pagamento dei canoni, dichiarando, tuttavia, di avere tuttora interesse a che sia accertato l'inadempimento contrattuale di controparte, al fine di ottenere un giudicato che possa essere in futuro utilizzato per contrastare eventuali pretese economiche della società opponente basate sulla stipulazione di un contratto inopponibile ai creditori pignoranti. All'esito dell'udienza del (...) il collegio ha ordinato l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'amministratore giudiziario, dott. (...) Questi, con nota fatta pervenire alla Cancelleria in data (...) , ha informato il Tribunale che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo, con conseguente cessazione delle proprie funzioni di amministratore e devoluzione di ogni questione gestoria alla (...) per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ((...)). All'udienza del (...), vista la richiesta di parte opposta di avere una pronuncia del Tribunale quantomeno in ordine all'inadempimento contrattuale da parte della società (...), da far eventualmente valere in futuro a fronte di eventuali contestazioni, il Collegio ha ordinato la discussione della causa e pronunciato, all'esito della camera di consiglio, il dispositivo di sentenza di cui ha dato lettura. 8. Può ora passarsi al merito della controversia, in cui saranno affrontate le domande proposte, nonostante la sopravvenuta impossibilità di pronunciare alcuna sentenza di condanna a favore dell'opposto, dovendosi comunque verificare, come richiesto, l'esistenza, o meno, di inadempimenti contrattuali. 9. In primo luogo, ritenuta l'infondatezza delle eccezioni preliminari svolte da parte opponente, va ritenuta la proponibilità della domanda di pagamento avanzata dall'opposta. Premesso che in sede di controversie agrarie introdotte mediante ricorso per decreto ingiuntivo grava sull'originario ricorrente l'onere di esperire il previo tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 11 comma 3 del D.Lgs. n. 150 del 2011 (cfr. Cass. n. 6839 del (...)), risulta documentalmente (cfr. doc. 6-9 parte opponente) il rituale svolgimento del tentativo di conciliazione, svoltosi dinanzi all (...) - sportello unico agricolo interprovinciale di e (...) (...) - sede di (...), definitosi negativamente con verbale del (...). 10.Con riguardo all'eccezione di improcedibilità (rectius, improponibilità della domanda) sub a), va richiamata la risalente, ma non smentita giurisprudenza di legittimità a mente della quale "la "ratio legis" dell'art. 46 della L. n. 203 del 1982 (tentativo obbligatorio di conciliazione in tema di controversie agrarie) non impone che, al previsto tentativo di conciliazione, sia presente la parte personalmente, risultando, all'uopo, sufficiente la presenza di un suo legale in qualità di rappresentante, ancorché sfornito di documentata procura, vertendosi, nella specie, in tema di conciliazione amministrativa e non giudiziale (con conseguente inapplicabilità delle norme dettate per quest'ultima fattispecie, quale quella di cui all'art. 420 cod. proc. civ.), e salva restando la facoltà, per la controparte, di richiedere al rappresentante la giustificazione dei suoi poteri, giusto disposto dell'art. 1393 cod. civ." (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11268 del (...)). Nel caso di specie, essendo il verbale stato sottoscritto dal procuratore alle liti della parte, non sussiste pertanto alcun vizio nell'espletamento del tentativo di conciliazione. L'eccezione va pertanto rigettata. 11.Con riguardo all'eccezione di parziale improcedibilità (rectius, improponibilità della domanda) sub b), formulata limitatamente alle somme eccedenti la somma di Euro9.961,90, pari ai due ratei di canone richiesti in sede di mediazione, va richiamata la condivisibile giurisprudenza di legittimità, a mente della quale "affinché sia rispettato l'onere prescritto dall'art. 11 del D.Lgs. n. 150 del 2011, non è necessaria una perfetta corrispondenza tra la richiesta a fini conciliativi e la domanda giudiziale, essendo invece sufficiente la puntuale individuazione, nella sede amministrativa, dei fatti costitutivi della pretesa che può anche essere avanzata, in sede giurisdizionale, con differenti conclusioni, sempreché ciò non determini l'alterazione dell'oggetto sostanziale dell'azione oppure l'introduzione di nuovi temi di indagine idonei a sconvolgere la difesa della controparte" (Sez. 3 - , Sentenza n. 6839 del (...) ). Poiché la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi, non comporta prospettazione di una nuova "causa petendi" e, quindi, una "mutatio libelli", integrando, invece, una mera "emendatio libelli", come tale ammissibile sia nel corso del giudizio di primo grado che in grado di appello, a maggior ragione deve ritenersi consentita, in tema di controversie agrarie, una tale modificazione con riferimento al rapporto intercorrente tra la richiesta come formulata nella raccomandata di cui all'art. 46, comma primo, della L. (...), n. 203, e la successiva articolazione della domanda come formulata in sede giudiziaria. Nel caso di specie, poiché l'unica differenza tra la domanda prospettata in sede di conciliazione e quella poi proposta con il ricorso monitorio riguarda il quantum, essendo medio tempore maturati nuovi canoni, il Tribunale ritiene non sussistano sostanziali differenze tali da esigere l'esperimento di un nuovo tentativo di conciliazione, stante la perfetta identità della causa petendi. L'eccezione va pertanto rigettata. 12.Nondimeno, va dichiarata la sopravvenuta improcedibilità della domanda, per essere intervenuta, come anticipato, confisca del patrimonio della società opponente, con conseguente attrazione di ogni domanda di accertamento del credito in seno alla procedura concorsuale, ai sensi dell'art. 52 e ss. del D.Lgs. n. 159 del 2011. Nondimeno, le ragioni poste a base della domanda dovranno essere esaminate dal Collegio al fine di vagliare l'esistenza o meno di un inadempimento contrattuale, stante la persistenza di una domanda di accertamento mero in tal senso. 13.Posto che il titolo contrattuale e la disponibilità del bene concesso in affitto non sono oggetto di contestazione, l'esame del Tribunale dovrà appuntarsi sulle voci economiche che la parte opponente intende far valere in compensazione contro il credito richiesto nei suoi confronti, onde accertare la sussistenza, o meno, di un inadempimento. A tal fine, e considerato che le deduzioni di parte opponente vengono formulate sotto forma di domanda riconvenzionale, è innanzitutto necessario prendere in esame l'eccezione di mancata previa mediazione su tali fatti, sollevata da parte opposta in sede di comparsa di costituzione. Va richiamato, al riguardo, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, a mente del quale "In materia agraria il tentativo di conciliazione deve essere sempre preventivo, attivato cioè prima dell'inizio di qualsiasi controversia agraria, atteso che la norma di cui all'art. 46 della L. n. 203 del 1982, inderogabile e imperativa, non consente che il filtro del tentativo di conciliazione possa essere posto in essere successivamente alla domanda giudiziale. Ne consegue che l'esperimento preventivo del tentativo di conciliazione di cui al citato articolo costituisce condizione di proponibilità della domanda la cui mancanza, rilevabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19436 del (...)). È stato inoltre chiarito che, "ai fini della proponibilità di una domanda riconvenzionale davanti alla sezione specializzata per le controversie agrarie, è necessario che, nel tentativo di conciliazione obbligatorio ex art. 46 della L. (...), n. 203, applicabile "ratione temporis", il difensore della parte non comparsa personalmente, nei confronti della quale si intenda proporre la domanda riconvenzionale, sia munito di uno specifico mandato relativo agli argomenti che di questa costituiscono oggetto, ulteriori e diversi rispetto a quelli della domanda principale, non potendo, altrimenti, la procedura conciliativa perseguire la finalità deflattiva cui è preordinata" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19501 del (...)). Nondimeno, è stato più recentemente precisato come, "qualora in una controversia agraria venga introdotta una domanda riconvenzionale fondata su un fatto che, oltre ad assumere carattere di fatto costitutivo di essa, assuma, rispetto al diritto fatto valere con la domanda principale, carattere di eccezione, cioè di fatto impeditivo, modificativo o estintivo, la circostanza che la domanda riconvenzionale risulti improponibile per il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell'art. 46 L. n. 203 del 1982, non esclude che quello stesso fatto debba essere valutato come eccezione e, dunque, ai soli fini della decisione della domanda principale" (Cass. civile , sez. III , (...), n. 13237) Nel caso di specie, va osservato che l'opposizione risulta depositata il (...), mentre l'istanza all (...) con cui vengono fatti valere i vizi dedotti in via riconvenzionale (doc. 18 opposto) è datata (...), con mandato datato (...). Ne consegue, pertanto, l'improponibilità ai sensi dell'art. 11, comma 3 del D.Lgs. n. 150 del 2011 della domanda riconvenzionale spiegata da parte opponente, ferma restando la necessità di esaminare i fatti ivi dedotti sotto il profilo dell'eccezione riconvenzione di compensazione. 14.Tanto premesso in rito, l'eccezione riconvenzionale di parte opponente, sotto tale esclusivo profilo esaminata la domanda riconvenzionale ritenuta improponibile, è infondata. Dall'esame della documentazione versata in atti, sulle contestazioni mosse da parte opponente appaiono prevalenti le deduzioni svolte da parte opposta in punto di piena conoscenza e accettazione dello stato dei luoghi al momento della stipulazione del contratto. Dalla lettura del contratto di affitto e del preliminare che lo ha preceduto, e in particolare degli artt. 3 e 6 (cfr. rispettivamente doc. 3 di parte opponente e doc. 5 di parte opposta), si legge testualmente quanto segue: "Art. 3 - il suddetto fondo rustico viene concesso in godimento a corpo e non a misura per la superficie censuaria sopra risultante, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con i diritti ed oneri che vi competono e che le parti dichiarano di ben conoscere" "Art. 6 - nel contratto sono compresi i fabbricati di pertinenza e i beni mobili che corredano il fondo, come già visionati dalla parte conduttrice ed elencati nell'inventario fotografico, sottoscritto dalle parti. La parte conduttrice dà altresì atto di aver prima d'ora verificato gli impianti a servizio dei fabbricati e di non aver nulla da eccepire al riguardo, salvo la verifica effettiva del funzionamento e la consegna delle dichiarazioni di conformità da effettuarsi a cura della parte concedente". Segue un inventario fotografico estremamente minuzioso (doc. 4 parte opposta), composto da 34 pagine ognuna delle quali reca 4 fotografie, dal che deve ritenersi ampiamente dimostrato che lo stato dei luoghi era ampiamente conosciuto e accettato dalle parti al momento della stipulazione, e che delle relative condizioni si sia tenuto conto in sede di pattuizione del relativo canone di affitto. Ne consegue che le doglianze di parte opponente non potranno trovare accoglimento, con conseguente rigetto della relativa eccezione. 15.Con riguardo poi alla richiesta imputazione a canoni - con conseguente compensazione - delle somme incassate dall'opposto a titolo di deposito cauzionale (Euro4.500,00) e di acconto (Euro1.200,00), per complessivi Euro5.700,00, si osserva quanto segue. Con riguardo al versamento di Euro1.200,00, del (...), l'opposta ha dichiarato che di esso la domanda di ingiunzione ha tenuto conto, facendo riferimento ai canoni fino a quel momento maturati e non pagati: (...) (Euro 4.500,00) + (...) (Euro 4.500,00) + (...) (Euro 6.000,00) - acconto (...) (Euro 1.200,00) = Euro 14.400,00. Tale fatto non è contestato. Con riguardo al versamento di Euro4.500,00 a titolo di deposito cauzionale, va osservato che lo stesso, unitamente ad altra garanzia fideiussoria, è stato previsto dall'art. 8 del contratto "a garanzia delle obbligazioni tutte assunte dal contratto di affitto", prevedendo che detta garanzia potrà essere escussa "in caso di inadempimento ? fino a concorrenza del debito complessivo maturato e garantito". Dall'esame della clausola contrattuale, emerge che il deposito cauzionale rappresenta una garanzia per il locatore, sia a fronte di inadempimenti all'obbligo del pagamento dei canoni, che per ogni altra violazione del contratto (come può essere l'obbligo di restituire la cosa nelle medesime condizioni in cui è stata concessa); posto che l'escussione della garanzia è una mera facoltà del locatore, deve dedursene, sul piano dell'ermeneutica contrattuale, che non sussista per il conduttore alcun diritto alla restituzione fintantoché persista il vincolo contrattuale, potendo egli solo al momento della risoluzione del contratto avanzare una pretesa restitutoria, allorquando il locatore non faccia valere ragioni per trattenerla dopo che sia avvenuto il rilascio (cfr. in argomento, su tale ultimo aspetto, Tribunale , Roma , sez. VI , (...), n. 13003). In definitiva, anche le eccezioni di pagamento parziale sollevate da parte opponente vanno disattese. 16.Al rigetto delle eccezioni, in rito e in merito, di parte opponente, conseguirebbe l'integrale conferma del decreto ingiuntivo opposto; per le ragioni esposte ai punti che precedono, tuttavia, andrà dichiarata l'improcedibilità della domanda di pagamento dei canoni e revocato il decreto ingiuntivo opposto, potendo esclusivamente accertarsi, senza alcuna conseguenza condannatoria, l'esatto adempimento di (...), da un lato, e il grave inadempimento di (...) dall'altro. Ciò è comunque possibile in quanto, come chiarito dalla Corte di legittimità, "in tema di azione di mero accertamento, l'interesse ad agire postula che colui che agisce si qualifichi titolare di diritti o di rapporti giuridici e non anche l'attualità della lesione del diritto poiché è sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, dovendosi ritenere che la rimozione di tale incertezza non rappresenti un interesse di mero fatto ma un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l'intervento del giudice" (Cass. sentenza n. 12893, Sez. III, del (...) ). Nel caso di specie, in particolare, il mero accertamento dell'inadempimento costituisce un minus rispetto alla domanda di pagamento, e può dunque ritenersi incorporato nella originaria domanda di condanna, di cui a ben vedere costituisce la premessa logica, e mantiene anche una sua autonomia dal punto di vista dell'interesse ad agire, avendo parte opposta chiarito di avere interesse, quantomeno, ad evitare che, in futuro, possano esserle mosse contestazioni in punto di costituzione e gestione del rapporto controverso, anche in relazione alla sua inopponibilità rispetto ai creditori precedentemente pignoranti gli immobili concessi in affitto in corso di esecuzione forzata. In definitiva, può pertanto accertarsi e dichiararsi, in sede di accertamento mero, che sussiste l'inadempimento contrattuale della società (...) al contratto di causa. 17.Può ora proseguirsi con l'esame delle ulteriori domande promosse da parte opposta in sede di comparsa di costituzione, quali reconventio reconventionis. 18.La domanda di condanna al pagamento della ulteriore somma di Euro6.000,00 a titolo di canoni maturati nelle more del giudizio non potrà che seguire le medesime sorti della domanda monitoria, sempre per le medesime ragioni. Ad ogni buon conto, e sempre ai soli fini dell'accertamento mero di cui sopra, può rilevarsi che, qualora non fosse intervenuta la confisca, la domanda sarebbe risultata accoglibile. Al riguardo, va premesso in diritto che, in materia locatizia, in deroga a quanto comunemente previsto con riguardo ai rapporti di durata a prestazioni periodiche, la Giurisprudenza di legittimità ammette la facoltà, per il creditore, di chiedere il pagamento dei canoni scaduti sino al momento del passaggio della causa in decisione, non operando la preclusione generale del momento dell'introduzione del giudizio. Ha infatti chiarito la Corte di legittimità che "in materia di locazione, è ammissibile la domanda di pagamento dei canoni e degli oneri accessori maturati in corso di causa, formulata in sede di precisazione delle conclusioni, risolvendosi essa in un ampliamento quantitativo della somma originariamente richiesta che, mantenendo inalterati i termini della contestazione, incide solo sul "petitum" mediato, relativo alla entità del bene da attribuire, e determina, quindi, soltanto una modifica (piuttosto che il mutamento) della originaria domanda, ammessa ai sensi del combinato disposto degli artt. 420 e 414 cod. proc. civ." (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2853 del (...); nel medesimo senso Sez. 3, Sentenza n. 14961 del (...). Tanto premesso in diritto, e considerato che parte opposta - attrice in riconvenzionale ha espressamente richiesto, sin dall'atto introduttivo, la condanna al pagamento di tutti i canoni a scadere in corso di causa, la domanda avrebbe in astratto potuto trovare accoglimento, tenuto conto che nulla è stato corrisposto in corso di causa. 19.Quanto alla ulteriore domanda di risoluzione per grave inadempimento, formulata in sede di comparsa di costituzione, essa è improponibile per mancato previo, integrale, esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, "in materia agraria, la necessità del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, secondo quanto previsto dall'art. 46 L. (...), n. 203, configura una condizione di proponibilità della domanda, la cui mancanza, rilevabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità. Diversamente, nella materia lavoristica, alla stregua di quanto stabilito dall'art. 412 bis c.p.c., l'esperimento del tentativo di conciliazione integra una condizione di procedibilità e la sua mancanza una improcedibilità sui generis, avuto riguardo al regime della sua rilevabilità e all'iter successivo a siffatto rilievo. Deriva da quanto precede, pertanto, che l'art. 412 bis c.p.c., anche se successivo all'anzidetto articolo 46 (siccome introdotto dall'art. 39 D.Lgs. (...), n. 80), giacché reca una disciplina peculiare del processo del lavoro, non può trovare applicazione nel processo agrario, il quale mantiene inalterata la propria diversa e autonoma regolamentazione positiva dettata dal citato art. 46" (Cassazione civile , sez. III , (...), n. 4452). Detto principio, a più riprese ribadito nel corso degli anni dalla Suprema Corte, pone al Tribunale una regola di giudizio per cui "Il giudice investito di una controversia in materia di contratti agrari, al fine di verificare se la domanda sottoposta al suo esame sia o meno proponibile, ossia di valutare se la parte attrice abbia adempiuto all'onere posto a suo carico dall'art. 46 della L. n. 203 del 1982, deve accertare, prescindendo da ogni altra indagine, che esista non solo perfetta coincidenza soggettiva fra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte, ma anche che le domande formulate dalla parte ricorrente (e da quella resistente in via riconvenzionale) siano le stesse intorno alle quali il tentativo medesimo si è svolto (o si sarebbe dovuto, comunque, svolgere ove avesse avuto luogo)" (Cassazione civile sez. III, (...), n.16281) Ebbene, proprio in ciò risiede la differenza strutturale tra la condizione di proponibilità e la condizione di procedibilità: mentre la seconda deve sussistere perché il giudizio possa proseguire, e può pertanto essere espletata anche in corso di giudizio, la condizione di proponibilità si atteggia a vero e proprio presupposto processuale, dovendo esistere sin dal momento della formulazione della domanda, non potendo essere integrata in un momento successivo. Tale è stata la scelta del legislatore nella materia de qua, con imposizione di un obbligo rigidissimo e inderogabile di previo esperimento di un tentativo di definizione bonaria ed extragiudiziale della vertenza, non potendo trovare albergo in sede giurisdizionale fatti o domande su cui non si sia previamente acclarata l'impossibilità di addivenire a una soluzione consensuale. Proprio la volontà di rendere concreto, reale ed effettivo tale filtro extragiudiziale rende necessario evitare che il tentativo di conciliazione si riduca a mero simulacro, a formale adempimento, proibendo a tal fine il legislatore l'accesso al giudice finché il tentativo di conciliazione non si sia definitivamente concluso. Nel caso concreto, emerge come la domanda di risoluzione per grave inadempimento non sia stata oggetto dell'originario tentativo di conciliazione, ma sia stata proposta solo in seguito, con un separato invito, comunicato via pec a parte opponente solo in data (...), ovverosia tre giorni prima del deposito della comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale. Deve ricavarsene che la condizione di proponibilità non si è realizzata, dovendo l'intera procedura svolgersi - e concludersi - prima dell'introduzione della domanda, e non dopo, venendo altrimenti meno lo stesso intento deflattivo voluto dal legislatore, che intende evitare innanzitutto che le parti introducano un giudizio (o domande ulteriori, come nel caso di specie) dinanzi al Tribunale, con aggravio di oneri evitabili per le parti e per la stessa Amministrazione della Giustizia. La domanda di risoluzione andrà pertanto dichiarata improponibile. Ad ogni buon conto, può osservarsi che il contratto de quo appare in ogni caso doversi ritenere risolto per impossibilità sopravvenuta di tipo assoluto, essendo documentato che il Giudice delle esecuzioni, con emissione di ordine di liberazione, ha ordinato il rilascio del fondo, che tale ordine non è stato tempestivamente opposto e che, conseguentemente, il custode giudiziario ha ottenuto l'immissione in possesso in data (...) (doc. 28 conv.). 20.Da ultimo, va esaminata la domanda con cui l'opposta chiede "condannarsi la società ricorrente a risarcire i danni conseguenti al proprio inadempimento, da liquidarsi in separato giudizio". Tale domanda è stata rinunciata. La domanda, in ogni caso, sarebbe risultata manifestamente improponibile, non solo in quanto connessa per dipendenza alla precedente domanda, già dichiarata improponibile, ma per il fatto di fondarsi su ragioni in fatto palesemente estranee all'oggetto del tentativo di conciliazione espletato (l'impossibilità, per parte opposta, di adempiere altre obbligazioni con i canoni che si attendeva di incassare in esecuzione del contratto per cui è causa). 21.L'esito complessivo della lite, nonché l'assoluta peculiarità della presente controversia, che ha visto l'emersione in corso di causa di numerose circostanze del tutto singolari, costituiscono elemento valutabile ai sensi dell'art. 92 c.p.c., così come risultante dall'intervento additivo della Corte Costituzionale, sentenza 77/2018, per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Rovigo, definitivamente pronunciando nel merito nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così provvede: 1. Dichiara la sopravvenuta improcedibilità delle domande di condanna al pagamento dei canoni formulate da (...) conseguentemente, revoca il decreto ingiuntivo opposto. 2. Dichiara improponibile la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. formulata da parte opposta. 3. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda riconvenzionale di condanna generica formulata da parte opposta. 4. Dichiara improponibili tutte le domande riconvenzionali formulate da parte opponente. 5. Accerta e dichiara il grave inadempimento di (...) in ordine al contratto di affitto agrario stipulato tra le parti in data (...) e registrato il (...) per l'intera annata agraria 2021, nonché per tutti i canoni maturati successivamente, avendo la stessa omesso integralmente il pagamento del canone di affitto. 6. Spese di lite compensate. Motivazione in giorni 15. Così deciso in Rovigo il 29 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.
Tribunale Ordinario di Rovigo riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati dott.ssa Federica Abiuso - Presidente relatore - dott. Nicola Del Vecchio - giudice - dott. Marco Pesoli - giudice - ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile di I grado n. .../2020 R.G. promosso da G.D. (C.F. (...)), con l'Avv...., come da procura in atti; -ricorrente- nei confronti di G.F. (C.F. (...)), con l'Avv...., come da procura in atti; -resistente- con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO -interveniente ex lege- Oggetto: Scioglimento matrimonio Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato il 30-6-2020 G.D. ha chiesto a questo Tribunale di dichiarare lo scioglimento del matrimonio contratto con G.F. a Villadose (RO) il 15-3-1974 con atto trascritto presso l'ufficio di stato civile di quel comune al n. 1, p.1, anno 1974, allegando che dall'unione coniugale erano nati i figli A. ((...)) e M. ((...)); che i coniugi si erano separati consensualmente presso il Tribunale di Rovigo in data 24-2-1997 con decreto Cron. n. 1028 - Rep. 1921 - R.G. n. 878/1994; che le condizioni della separazione avevano previsto l'assegnazione alla moglie della casa coniugale e la corresponsione da parte del marito, per il mantenimento della moglie e dei figli di un assegno mensile di L. 976.500; che la separazione si era protratta ininterrottamente per quasi trent'anni a far data dalla comparizione delle parti dinanzi al Presidente, senza che la comunione spirituale e materiale fra i coniugi si fosse ricostituita, sussistendo pertanto i presupposti per la dichiarazione di scioglimento del matrimonio. Il ricorrente ha da ultimo allegato di aver percepito nell'anno precedente all'instaurazione del presente procedimento redditi da pensione per Euro 34.865,00 e redditi da lavoro autonomo per Euro 9.101,00 affermando altresì che dal 1997 ad oggi le condizioni economiche e personali dei coniugi e dei figli sono notevolmente cambiate tanto da non essere più necessario il sostegno economico dallo stesso apportato. In ragione di quanto esposto, ha chiesto oltre allo scioglimento del matrimonio, la revoca dell'assegno di mantenimento per i figli; la revoca dell'assegnazione della casa coniugale alla moglie; la revoca dell'assegno di mantenimento per la moglie o in subordine la corresponsione dell'assegno divorzile in un'unica soluzione con trasferimento alla resistente del 50% della casa coniugale o, in ulteriore subordine, la previsione di un assegno divorzile per la moglie di Euro 300,00 mensili. Con comparsa di risposta del 2-10-2020 si è costituita ritualmente in giudizio la resistente G.F., lamentando in primo luogo una lesione del proprio diritto di difesa in quanto l'oggetto del presente giudizio non consisterebbe nello scioglimento del matrimonio ma nella modifica delle condizioni di separazione. La F. ha inoltre esposto che nel corso degli anni il marito ha puntualmente corrisposto quanto stabilito in sede di separazione e che la modifica della situazione patrimoniale, laddove verificatasi, è stata a vantaggio del ricorrente che può fare affidamento non solo su immobili di proprietà ma anche su redditi da pensione e da lavoro autonomo. D'altra parte, la resistente ha affermato di non avere mai prestato attività lavorativa durante la vita matrimoniale, per scelta condivisa con il coniuge e di essersi presa cura della famiglia e dei suoi genitori, alla morte dei quali, non avendo alcuna professionalità non è stata in grado di reperire alcuna occupazione. La resistente ha inoltre affermato che il figlio A. è ad oggi economicamente autosufficiente mentre il figlio M. è affetto da gravi problemi di salute causati da un regime alimentare disordinato che ben presto è sfociato in una condizione di obesità; tali sintomi si sono manifestati dal momento della separazione dei genitori ed hanno costretto M. a numerosi ricoveri in strutture ospedaliere, tanto che nel corso del procedimento la resistente ha allegato il verificarsi di un grave ed improvviso deterioramento delle condizioni di salute del figlio che il 30-12-2021 è stato colpito da una emorragia cerebrale e attualmente necessita di assistenza giornaliera continua (invalidità del 100%). In ragione di quanto esposto la F. ha chiesto il rigetto della domanda di scioglimento del matrimonio per indeterminatezza dell'oggetto e la corresponsione da parte del ricorrente di un assegno divorzile di Euro 500,00 oltre ad un assegno di Euro 209,05 a titolo di mantenimento per il figlio M., maggiorenne ma invalido e non economicamente autosufficiente. I coniugi sono comparsi dinanzi al Presidente il 13-10-2020, il quale, sentite le parti, ha esperito senza esito positivo il tentativo di conciliazione e ha disposto un accertamento delle condizioni di salute del figlio M.D. delegando prima i servizi sociali dell'U.P. e in seguito, su richiesta di parte ricorrente, incaricando i servizi sociali del Comune di Villadose (RO) di redigere una relazione sullo stato psico-fisico del figlio. In data 19-5-2021 il Presidente ha emesso l'ordinanza ex art. 4 L. n. 898 del 1970 ed ha altresì fissato l'udienza 183 c.p.c. assegnando alle parti i termini di rito per la prosecuzione del giudizio dinanzi al Giudice Istruttore. Istruita la causa mediante la produzione documentale delle parti, il Giudice Istruttore all'udienza dell'8-3-2023 dopo la precisazione delle conclusioni, si è riservato di riferire al Collegio per la decisione, assegnando i termini ex art. 190 c.p.c. di 40 giorni per il deposito di comparse conclusionali e 20 giorni per il deposito di memorie di replica. La domanda di scioglimento del matrimonio è fondata e merita accoglimento. Sul punto ritiene il Collegio che la ferma volontà del ricorrente di giungere all'odierna pronuncia, manifestata sin dagli atti introduttivi e confermata per tutto il corso del processo, rende evidente la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1 L. n. 898 del 1970 per la dichiarazione di scioglimento del matrimonio, con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 3 n. 2) lett. b), l. cit., dal momento che la separazione dei coniugi si è protratta ininterrottamente per oltre sei mesi a far tempo dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nel procedimento di separazione personale e fino alla proposizione della odierna domanda. Orbene, le questioni controverse attengono alla eventuale sussistenza del diritto del figlio M., nato il (...), al mantenimento a carico dei genitori, nonché al correlato diritto della resistente all'assegnazione della casa coniugale (cfr. Cass. civ. ord., sez. VI, 07-02-2018, n. 3015) e all'accertamento della insufficienza di mezzi della F., per provvedere al proprio mantenimento. Pertanto, occorre anzitutto esaminare le condizioni di salute del figlio M. che come allegato dalla resistente risulta essere invalido al 100%. Invero, il 24-9-2022 la commissione medica dell'INPS di Rovigo ha accertato, tenuto conto dei documenti sanitari, che M.D., è stato colpito da emorragia cerebrale in sede lenticolocapsulare; è inoltre affetto da microcitemia, ipertensione arteriosa, obesità, sindrome apnee ostruttive notturne. È stato dichiarato invalido totale, con permanente inabilità lavorativa al 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani (decorrenza dal 18-3-2023) e con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta (cfr. certificato invalidità INPS prodotto dalla convenuta il 30-9-2022). È necessario brevemente rammentare che l'art. 337septies dispone che, ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, si debbano applicare integralmente le disposizioni previste per i figli minorenni, e l'art. 337sexies c.p.c. prevede che l'assegnazione della casa familiare debba essere disposta a tutela della prole minore, o maggiorenne ma economicamente non autosufficiente. Nel caso di specie, il figlio M. è accudito e sostenuto soltanto dalla madre, con la quale non ha mai cessato di convivere, non essendo contestato dal padre che lo stesso si sia sostanzialmente disinteressato dal punto di vista affettivo, morale ed emotivo delle necessità del figlio, avendo rimesso alla madre l'integrale peso della gestione e dei compiti di cura dello stesso. Non vi è quindi, alcuna contestazione tra le parti circa la attuale e futura convivenza di M.D. con la madre, la quale lo assiste quotidianamente, coadiuvata dalla fidanzata di M., anch'ella con gli stessi, convivente. La grave situazione di salute di M., invalido al 100% e necessitante di supervisione e assistenza continua, determina quindi la necessità che lo stesso possa godere, unitamente alla madre, dell'habitat domestico costituito dalla ex casa familiare, con assegnazione della stessa alla resistente, in quanto genitore convivente con figlio maggiorenne portatore di handicap. In ordine al diritto di M.D. di percepire un assegno di mantenimento da parte del padre, occorre richiamare brevemente la giurisprudenza della suprema corte la quale ha recentemente stabilito che "Con riguardo al riconoscimento di un assegno di mantenimento ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, la cui condizione giuridica è equiparata, sotto tale profilo, a quella dei figli minori ex art. 337septies c.c., ma unicamente se sussista il presupposto ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 3, comma 3, richiamato dall'art. 37-bis disp. att. c.c., ossia se la minorazione, singola o plurima, della quale il medesimo sia portatore, abbia ridotto la sua autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione: essendo, in caso contrario, la condizione giuridica del figlio assimilabile non a quella dei minori bensì allo status giuridico dei figli maggiorenni (Cass. 29 luglio 2021, n. 21819). Occorre, invero, rammentare che, nella società attuale, anche chi è affetto da handicap o disabilità ha la possibilità di essere inserito nel mondo del lavoro, nei limiti a lui confacenti e secondo il contributo lavorativo che egli sia in grado di dare" (Cass. Civ. 18451/2022). Nel caso di specie, risulta di tutta evidenza che la situazione di handicap del figlio è connotata da gravità, proprio perché, come indicato nel certificato dell'INPS del 3-3-2022, lo stesso, necessita di continua assistenza per il compimento degli atti di vita quotidiani. Inoltre, l'invalidità è talmente grave, da ritenere verosimilmente che lo stesso non possa, allo stato attuale, accedere ad opportunità lavorative; vieppiù se si considera che, l'assistenza viene prestata unicamente dalla madre, con la conseguenza che tutti i costi non solo a livello di spese mediche, ma anche di vitto, alloggio, spese domestiche, sono a carico della F., svolgendo l'assegno di invalidità percepito dal figlio M., una funzione prettamente assistenziale e di sostegno rispetto alle dirette conseguenze di cura e accudimento, derivanti dalla sua disabilità. Il Collegio ritiene quindi di dover determinare in Euro 200,00 da rivalutarsi annualmente secondo l'indice ISTAT l'importo che G.D. è tenuto a corrispondere direttamente al figlio M. entro il giorno 5 di ogni mese, oltre alla quota del 50% delle spese straordinarie, dovendo per tali intendersi nel caso di specie le spese mediche non coperte dal SSN. Quanto alla domanda relativa alla corresponsione di un assegno divorzile formulata dalla resistente, In diritto, l'assegno di divorzio è riconosciuto, ai sensi dell'art. 5, comma 6 L. n. 898 del 1970, al coniuge che ne fa istanza "quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive". Le Sezioni Unite della Cassazione - investite della decisione sulla questione riguardante i presupposti e i criteri di determinazione dell'assegno divorzile - con la sentenza n.18287 dell'11 luglio 2018 hanno indicato i criteri sulla base dei quali deve essere riconosciuto il diritto all'assegno di divorzio e determinato il suo ammontare. Richiamando, sinteticamente, i contenuti della predetta pronuncia, la stessa, discostandosi dalla sentenza n. 11504/2017, ha precisato che: "Ai sensi dell'art. 5, co. 6 della L. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell'assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto" (cfr. S.U. Cass. n. 18287/2018). Tale pronuncia ha chiarito che l'assegno divorzile va riconosciuto quando si tratta di assicurare al coniuge economicamente più debole una tutela in chiave perequativa, ogni qual volta sussista una sensibile "disparità di condizioni economico-patrimoniali ancorché non dettate dalla radicale mancanza di autosufficienza economica ma piuttosto da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare", assumendo al tempo stesso una funzione compensativa, nella misura in cui tale assegno sia finalizzato a ristorare il coniuge che abbia sacrificato le proprie ambizioni personali di realizzazione lavorativa in ragione di scelte endo-familiari. La Suprema Corte ha valorizzato l'esigenza di evitare "rischi di locupletazione ingiustificata dell'ex coniuge richiedente in tutte quelle situazioni in cui egli possa godere comunque non solo di una posizione economica autonoma ma anche di una condizione di particolare agiatezza oppure quando non abbia significativamente contribuito alla formazione della posizione economico-patrimoniale dell'altro ex coniuge", ritenendo, anche per tale motivo, definitivamente superato il criterio del tenore di vita goduto o fruibile durante la vita matrimoniale. Per la decisione sulla domanda di assegno divorzile deve dunque, in primo luogo, essere accertato se sussista uno squilibrio tra le condizioni economiche delle parti; all'esito di tale preliminare e doveroso accertamento, sia nell'ipotesi in cui risulti che l'ex coniuge economicamente più debole sia privo di redditi (propri e da lavoro), sia nell'ipotesi in cui, invece, si evinca una sperequazione nella condizione economico-patrimoniale delle parti, che potrà essere di entità variabile, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l'accertamento del diritto ha natura composita e il giudice deve tenere conto, innanzitutto, della funzione perequativo-compensativa dello stesso, procedendo dalla valutazione del contributo che effettivamente il coniuge economicamente più debole ha fornito - in forza di una scelta familiare - alla formazione del patrimonio comune e del profilo economico patrimoniale dell'altra parte. Viceversa, qualora nessuno dei coniugi si sia sacrificato a tal fine (ad esempio, nel caso in cui non vi sono state rinunce delle parti allo sviluppo della propria professionalità per favorire la crescita della famiglia), non vi sarà spazio per il riconoscimento di un assegno divorzile. Se, infatti, deve essere attribuita rilevanza centrale alla funzione compensativa, la quale mira a compensare i sacrifici fatti dai coniugi nel matrimonio, allora non vi può essere spazio per l'attribuzione dell'assegno quando i sacrifici non siano stati effettuati. A maggiore specificazione, prendendo in considerazione il modello familiare prescelto e condiviso nel caso concreto, occorre verificare, alla luce di tutti gli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, se la disparità della situazione economica - patrimoniale dei coniugi all'atto di scioglimento del vincolo "sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell'altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione alla età del coniuge e alla conformazione del mercato del lavoro". De iure, solo in tale prospettiva il giudizio di adeguatezza, che trova nella prima parte della norma i criteri a cui ancorarsi, assume quella dimensione composita e comparativa tale da collegarsi al principio di solidarietà, diretta espressione della pari dignità dei coniugi, e da abbracciare le complessità di una pluralità di modelli di conduzione della vita coniugale. Pertanto, la funzione di riequilibrio dell'assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale. In relazione alla ripartizione dell'onere probatorio, ciò comporta per il coniuge che richiede l'assegno la rigorosa prova, da fornire anche mediante presunzioni, non solo dei fatti posti alla base della disparità economico - patrimoniale ma anche del nesso causale tra modello adottato e disparità economico - reddituale prodotta e ad esso eziologicamente riconducibile. Operate tali doverose premesse, per ciò che concerne la fattispecie oggetto di giudizio, è sufficiente precisare che la F., potendo contare solo sull'assegno di mantenimento previsto a suo favore in sede di sentenza di separazione e non avendo mai svolto attività lavorativa in costanza di matrimonio e neppure successivamente, dal momento che, in accordo con il ricorrente, si è sempre occupata della cura e della gestione della famiglia, risulta priva di sufficienti mezzi di sostentamento, risultando in modo evidente impossibilitata a reperire all'età di 70 anni una diversa ed autonoma fonte reddituale, e dovendosi considerare anche il fatto che la stessa si dedica in forma costante all'assistenza del figlio invalido. È necessario inoltre evidenziare che la F., ha sempre potuto fare puntuale affidamento per circa 29 anni sull'assegno di mantenimento corrisposto dal marito, oltre ai 20 anni di matrimonio durante i quali risulta incontestabile il contributo che la resistente ha fornito al marito e alla vita familiare, e quindi alla formazione del patrimonio non solo familiare, ma anche del marito stesso. Dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi è emerso che il D. nel corso del 2021 (dichiarazione 2022) ha percepito redditi da lavoro autonomo e redditi da pensione per un ammontare complessivo di Euro 46.053,00, in linea con quanto dichiarato negli anni precedenti. Ritiene il Collegio che occorra fare applicazione del principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella sentenza a S.U. 18287/2018, in base al quale, nel caso in cui le cause dello squilibrio reddituale tra i coniugi siano da rinvenire in una situazione incolpevole e non addebitabile alla parte più debole, occorre riconoscere a favore della stessa un contributo al suo sostentamento. Peraltro, la medesima pronuncia sottolinea come, al fine del calcolo dell'assegno di divorzio di cui all'articolo 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, occorre tenere in considerazione non il tenore di vita, ma diversi fattori, attraverso un criterio c.d. "composito" che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall'ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all'età dell'avente diritto. Nel caso di specie, lo squilibrio reddituale tra i coniugi risulta evidente, e la F. non potrà reinserirsi nel mondo del lavoro, anche e soprattutto in considerazione dell'età avanzata (70 anni) e della mancata pregressa acquisizione di competenze professionali, visto l'esclusivo dedicarsi ai bisogni di cura della famiglia. Risulta quindi provata in giudizio la carenza di adeguati mezzi di sostentamento in capo alla resistente e l'impossibilità per la stessa di procurarseli per ragioni oggettive ed alla stessa non imputabili. La considerazione complessiva di tutti gli indici indicati dalla Suprema Corte per la valutazione della disponibilità in capo alla F. di mezzi adeguati conduce, quindi, il Tribunale a concludere che la stessa non può certo ritenersi "indipendente economicamente", con necessario riconoscimento a favore della stessa di un assegno di divorzio. Riconosciuto, quindi, il diritto della resistente di ricevere un assegno divorzile, deve ora procedersi alla quantificazione del medesimo tenuto conto dei parametri indicati dall'art. 5 della L. n. 898 del 1970. Difatti, deve considerarsi la capacità reddituale del D. che non risulta affatto ridimensionata rispetto al passato, mentre risulta un deterioramento delle condizioni di vita della F., la quale deve fare fronte a tutte le spese relative alla casa, alla sussistenza e alle spese mediche del figlio invalido. Alla luce dei criteri previsti dall'articolo 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898 e della situazione patrimoniale e reddituale di entrambe le parti, si stima equo prevedere a carico di G.D. un assegno divorzile pari ad Euro 500,00 che dovrà corrispondere alla resistente entro il giorno 5 di ogni mese da rivalutarsi annualmente secondo l'indice ISTAT. La regolamentazione delle spese di lite segue la soccombenza e le stesse sono liquidate come in dispositivo secondo i parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 147 del 2022 per le cause di valore indeterminabile. Il resistente è tenuto al pagamento del relativo importo a favore dell'Erario, data l'ammissione di G.F. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale di Rovigo definitivamente pronunciando nel procedimento R.G. 1289/2020, promosso da G.D. nei confronti di G.F. con l'intervento del Pubblico Ministero, così provvede: - DICHIARA lo scioglimento del matrimonio contratto da G.D. e G.F. a Villadose (RO) il 15-3-1974 (con atto trascritto presso l'ufficio di stato civile di quel comune al n. 1, p.1, anno 1974); - MANDA alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 10 L. n. 898 del 1970; - ASSEGNA la casa coniugale, sita in V. (R.), viale G. M. n. 9, con gli arredi ivi esistenti, a G.F., in quanto convivente con il figlio M., maggiorenne e portatore di handicap; - DICHIARA G.D. tenuto a corrispondere a G.F., a titolo di contributo al mantenimento del figlio M., entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di 200,00 Euro, oltre la quota del 50% delle spese straordinarie non coperte del SSN da rivalutarsi annualmente secondo l'indice ISTAT; - DICHIARA G.D. tenuto a corrispondere a G.F., entro il giorno 5 di ogni mese a titolo di assegno divorzile, la somma di 500,00 Euro, da rivalutarsi annualmente secondo l'indice ISTAT; - CONDANNA G.D. al pagamento delle spese di lite in favore dell'Erario che si liquidano in Euro 3.900,00 per onorari, oltre al rimborso forfettario del 15% e agli oneri fiscali e previdenziali. Così deciso in Rovigo nella camera di consiglio tenutasi il 18 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati dott.ssa Federica Abiuso - Presidente Rel. dott. Nicola Del Vecchio - Giudice dott. Marco Pesoli - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G. 2854/2019 promossa da (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. CA.SU., come da procura in atti; PARTE ATTRICE Nei confronti di (...) (C.F. (...) ), rappresentato e difeso dall'avv. BE.MA., come da procura in atti; PARTE CONVENUTA Pubblico Ministero- Parte intervenuta MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso del 04.12.2019, notificato unitamente al decreto di fissazione udienza il 08.01.2020, la sig.ra (...) chiedeva all'intestato Tribunale di pronunciare la separazione personale dal marito (...) - con il quale si era unita in matrimonio il 04.01.2012 regolarmente trascritto in Italia e dalla cui unione è nato il (...) il figlio (...) - con domanda di addebito allo stesso, atteso il comportamento gravemente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio che questi aveva mantenuto durante la convivenza. Chiedeva, inoltre, di ottenere l'affido esclusivo del figlio minore e l'assegnazione della casa familiare a sé medesima nonché condanna del resistente a versare un assegno di mantenimento per il figlio di Euro 800,00 mensili oltre al contributo per le spese straordinarie. A sostegno delle proprie domande, la ricorrente ha allegato che: -dal matrimonio il 12.07.2013 nasceva a (...) (P.) il figlio della coppia (...), precisando che la (...) ha altri due figli avuti da precedenti relazioni: (...) (nata a (...) (R. D.) il (...)) e (...) (nato a (...) (R. D.) il (...)), dei quali il sig. (...) era al corrente e che pure vivevano con la famiglia in Italia; -la stessa era venuta a conoscenza soltanto dopo il matrimonio dei plurimi vizi di dipendenza del marito (alcol, droghe, slot machine, pornografia), oltre alla partecipazione dello stesso ad episodi delittuosi commessi in passato, quali rapina, che comportò la detenzione in carcere per un anno del (...); -che il (...) spesso rientrava a casa con fare alterato e rivolgeva insulti alla moglie e ai figli, o in loro presenza; -che il (...) aveva anche usato violenza fisica verso la moglie, che aveva sporto nei suoi confronti una querela, trovando dapprima accoglienza in un centro anti-violenza, procedendo in seguito a ricostituire con il marito un'unione familiare, e accudendolo nel momento in cui il (...) aveva scoperto di essere affetto da tumore, e determinando quindi la ripresa della convivenza dell'intero nucleo familiare; -che dopo un periodo di relativa serenità, il (...) tornava ad assumere condotte e toni di offesa e di aggressione, non solo verso la moglie, ma verso il figlio della stessa, (...), rendendo necessario l'intervento dei carabinieri; - in seguito, nell'anno 2019, il resistente proponeva alla ricorrente un viaggio nella sua terra d'origine per tutta la famiglia e la stessa accettava, felice di rivedere i parenti. Il (...) prometteva sarebbe cambiato se fossero tornati insieme ma chiedeva alla moglie di lasciare il figlio (...) con la nonna in Repubblica Dominicana. La ricorrente accettava a malincuore, per salvaguardare il figlio. (...) in Italia, la famiglia si ritrovava senza dimora, poiché il (...) aveva disdetto l'appartamento condotto in locazione che era stato la casa famigliare e non aveva provveduto a reperire una nuova sistemazione, né a saldare le utenze. Così la moglie trovava un appartamento e il resistente tornava a vivere dai genitori, trascorrendo i fine settimana con il figlio (...); -anche dopo la separazione di fatto dei coniugi le tensioni non si riducevano, con frequenti ipotesi di intervento delle forze dell'ordine. La ricorrente, da ultimo, ha specificato di lavorare saltuariamente come collaboratrice domestica, e che il (...) lavorava come dipendente, con reddito mensile di 1.800,00 Euro. Si è costituito in giudizio (...), chiedendo l'addebito della separazione alla moglie, l'affidamento condiviso del figlio e il collocamento prevalente del minore presso di sé. Lo stesso ha allegato: - di aver conosciuto la moglie tramite un sito d'incontri, di essersi recato in Repubblica Dominicana appositamente per incontrarla e di aver acconsentito, dopo il matrimonio, a che la stessa portasse con sé in Italia i figli avuti da precedenti relazioni; -che la coppia spesso discuteva, poiché la ricorrente era refrattaria alle regole, non lavorava e faceva leva sul figlio (...) per ottenere denaro dal marito, ma il (...) sopportava per il bene della famiglia, essendo i frequenti litigi dovuti dalla presunta condotta poco consona del figlio maggiore della ricorrente, (...); -confermava il viaggio svolto dalla famiglia in Repubblica Dominicana, specificando, tuttavia, che al rientro la ricorrente non aveva accettato di trasferirsi con il marito e il figlio presso l'abitazione dei genitori del marito; -che la moglie, quindi, procedeva a recarsi in Spagna con la figlia, dove rimaneva per due mesi, lasciando il figlio minore (...) alle cure del padre; -che dopo qualche mese, la ricorrente chiedeva aiuto al marito, affermando di essere nei guai perché ricercata da narcotrafficanti in seguito alla perdita di una partita di droga e chiedeva di poter tornare, promettendo di lasciare il figlio (...) alla madre in Repubblica Dominicana. Una volta rientrata in Italia e ottenuta la cittadinanza, tuttavia, la (...) faceva tornare anche il figlio maggiore (...), non ben voluto dal (...); -che l'intero nucleo familiare era già stato seguito dai servizi sociali competenti. Svolta l'udienza di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente in data 30.06.2020, e adottati con ordinanza del 7.07.2020 i provvedimenti provvisori ed urgenti, con affidamento del minore (...) ai servizi sociali della (...), il Presidente ha nominato sé medesimo giudice istruttore. Svolta l'udienza ex art. 183 c.p.c., la causa è stata istruita mediante deposito di documenti, assegnazione dei termini ex art. 183, 6 co. c.p.c., delega ai servizi sociali di svolgere plurime relazioni di aggiornamento sulla situazione del nucleo familiare e ammissione di una Consulenza tecnica d'ufficio. Il Giudice disponeva altresì il deposito della documentazione reddituale delle parti e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni con trattazione scritta mediante scambio di note all'udienza del 30.11.2022. Con nota del 10.11.2022 i servizi sociali depositavano relazione di aggiornamento. Con nota del 15.11.2022 il SERD depositava relazione relativa al resistente. Le parti provvedevano al prescritto deposito della documentazione reddituale e, precisate le rispettive conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali dirette e di replica. Tutto ciò premesso, si osserva quanto segue. Preliminarmente, alla luce dell'istruttoria compiuta, delle plurime relazioni depositate dai servizi sociali, e delle reciproche allegazioni delle parti, oltre che non contestazioni, si rigettano le istanze istruttorie avanzate dalle parti, da ritenersi superflue, generiche, valutative e non rilevanti ai fini del giudizio. La domanda di separazione giudiziale è fondata e merita, pertanto, accoglimento. Le risultanze processuali hanno ampiamente comprovato una crisi del rapporto coniugale di tale gravità da escludere, secondo ogni ragionevole previsione, la possibilità di ricostituzione di quell'armonica comunione di intenti e di sentimenti che di quel rapporto costituisce l'indispensabile presupposto. In particolare, la gravità delle accuse che un coniuge ha rivolto all'altro, l'indifferenza ad ogni sollecitazione verso una conciliazione, che pure avrebbe dovuto palesarsi opportuna, nonché la perdurante cessazione della convivenza, sono tutti elementi che lasciano agevolmente presumere che tra i coniugi sia cessato ogni interesse, con il conseguente venire meno di ogni forma di comunione materiale e spirituale. Entrambe le parti hanno proposto, reciprocamente, domanda di addebito della separazione all'altro coniuge. La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che l'irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, e cioè, che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (Cass. civ., Sez. I, 27 giugno 2006, n. 14840). Inoltre, ai fini dell'addebitabilità della separazione, l'indagine sull'intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell'uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell'altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass. civ., Sez. I, 14 novembre 2001, n. 14162). Ai fini dell'addebito della separazione, in altri termini, deve risultare che la frattura del rapporto coniugale - intesa come crisi della unione tra i coniugi, siano riconducibili alle violazioni degli obblighi nascenti dal matrimonio oggetto di contestazione (v. obblighi di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione, di coabitazione, ecc.), quali indefettibili conseguenze della condotta trasgressiva di uno o di entrambi i coniugi. Deve quindi emergere dagli atti la presenza di un autentico rapporto di causalità tra questo comportamento ed il verificarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza, fino ad allora inesistente. Solo nel caso in cui si raggiunga la prova che la inosservanza di tali obblighi sia stata la causa (esclusiva o prevalente) della frattura del rapporto, e non che questa sia avvenuta quando era già maturata una situazione di crisi del vincolo coniugale o per effetto di essa, dovrà pronunciarsi la separazione con addebito, non avendo alcuna rilevanza le condotte trasgressive successive, o comunque conseguenti, al verificarsi di una situazione di insostenibilità della convivenza in atto. Nel caso di specie, le gravi allegazioni reciproche compiute dai coniugi nell'ambito del presente procedimento, e la complessiva, strutturata e radicata situazione di crisi del nucleo familiare, già sorta e stabilizzatasi a partire dall'anno 2015, quindi dopo soli tre anni dal matrimonio del 2012, non consentono di attribuire in via esclusiva ad uno solo dei coniugi, la responsabilità nella causazione della rottura del vincolo coniugale. Difatti, la stessa ricorrente descrive una dinamica familiare che fin dall'anno 2015 8si badi dopo soli tre anni dal matrimonio del 2012), era connotata da crisi, litigi e incomprensioni. In ogni caso, l'allegata scoperta da parte della moglie nel corso del matrimonio (non avendo specificato la ricorrente il momento esatto in cui sarebbe avvenuta tale scoperta) degli smodati vizi del marito, e dell'inserimento dello stesso in passato in una comunità di recupero dall'abuso di alcol e stupefacenti, non ha comportato, da parte della ricorrente, una immediata interruzione della convivenza familiare, proseguendo la stessa nella conduzione della vita familiare con il (...), il figlio minore avuto dallo stesso, e gli altri due figli della stessa, avuti da precedenti relazioni, ed inizialmente accettati come parte della famiglia anche dal T.. Le allegazioni operate sul punto dalla ricorrente, dal tenore generico, non hanno consentito di individuare, nella scoperta del passato del (...), la causa determinante della rottura della comunione familiare. Ancora, a fronte della querela sporta dalla ricorrente verso il resistente e risalente al 20.03.2015, la stessa ha ammesso in prima persona, in seguito, di aver tentato e dato corso più volte alla ripresa dalla convivenza e alla ricostruzione della serenità familiare, procedendo ad accudire il (...) durante il periodo di malattia dello stesso (successivo alla predetta querela), svolgendo con lo stesso e l'intera famiglia nel novembre 2018 un viaggio nel suo paese d'origine, la Repubblica Dominicana, e procedendo a condurre in locazione un appartamento ove dimorare con il marito e i figli. Inoltre, la ricorrente non ha dato conto dell'avviamento di eventuali procedimenti o condanne penali a carico del (...), ed in conseguenza delle querele dalla stessa sporte verso lo stesso. Da ultimo, per quanto attiene alle condotte tenute dal (...) successivamente alla data di deposito del ricorso per separazione giudiziale, ossia il 5.12.2019, come noto le stesse non possono essere tenute in considerazione ai fini della verifica di addebitabilità della separazione al marito. Si ripete che, nel complesso della complicata e grave situazione familiare della coppia, non si individua nella condotta del (...), come descritta dalla ricorrente, l'unica ed esclusiva causa della crisi familiare, anche tenendo in considerazione le condotte della ricorrente, la quale in prima persona ha allegato "Nel marzo- aprile 2019 la ricorrente peraltro dopo un ulteriore periodo di riavvicinamento, trovava un appartamento a (...) (PD) ed ivi andava a vivere con i figli", indicando, quindi come, anche in seguito alle condotte descritte negli anni del matrimonio dal (...), la stessa nell'anno 2019 aveva accettato e proceduto ad un'ulteriore periodo di riavvicinamento al marito, accettando anche di svolgere con lo stesso un viaggio nel suo paese d'origine nell'anno 2018. Da ultimo, la ricorrente non ha contestato di essersi allontanata per un paio di mesi con la figlia (...), sempre nell'anno 2019, recandosi dalla sorella in Spagna, e lasciando il minore (...) alle cure del padre. Per quanto riguarda, per contro, la domanda di addebito della separazione alla moglie, proposta dal resistente (...), la stessa risulta del tutto destituita di fondamento, innanzitutto in quanto esposta in via generica. Inoltre, occorre considerare che la condotta della ricorrente di allontanamento dalla casa familiare della primavera 2019, per recarsi dalla sorella in Spagna, si inserisce un radicato e complessivo clima di profonda crisi familiare, ammesso dallo stesso (...); ancora, lo stesso resistente ha confermato di aver più volte tentato in prima persona di ricostituire l'unione coniugale, proponendo egli stesso alla moglie di svolgere un viaggio all'estero nell'anno 2018, e proponendo alla ricorrente di condurre un nuovo appartamento in locazione, oppure di recarsi insieme a vivere dai suoi genitori. Inoltre, e tanto appare dirimente, nessuna delle condotte violative contestate appare - alla stregua di quanto precede - munita della necessaria efficacia dal punto di vista causale. In effetti, dall'istruttoria espletata non emergono adeguati riscontri circa l'effettiva riconducibilità della riscontrata crisi coniugale ai comportamenti della ricorrente, tenuto conto anche delle contestazioni che la stessa ha formulato nei propri scritti difensivi. Le reciproche domande, di addebito della separazione all'altro coniuge, non meritano quindi accoglimento. Nel merito delle questioni afferenti all'affidamento, al collocamento e alle visite verso il figlio minore (...), occorre porre in evidenza le risultanze delle plurime relazioni depositate dai servizi sociali del Comune di Stanghella e della (...), nel corso del presente procedimento, oltre alle valutazioni svolte dal Consulente tecnico incaricato di valutare la condizione del minore, unitamente a quella dei genitori. In particolare, i servizi sociali hanno evidenziato quanto segue. Nella relazione del 27.11.2020 e del 1.12.2020, è stata constatata un'elevata conflittualità fra i genitori e la necessità per (...) di seguire una dieta adeguata, data la sua condizione di sovrappeso, tendente all'obesità. Nella relazione del 15.01.2021, gli operatori hanno evidenziato l'elevatissima conflittualità fra i genitori, sfociata - anche in presenza degli stessi operatori - in liti furibonde. (...) spesso descrive negativamente il contesto famigliare materno, usando espressioni non genuine. Il (...) svaluta la moglie e tende a dipingere sé stesso come vittima, dimostrandosi inconsapevole delle proprie responsabilità come padre e incapace di proteggere il figlio dall'elevata conflittualità con la madre. La (...) riferisce un'infanzia difficile e relazioni sfortunate. Gli operatori, quindi, hanno indicato come opportuno il mantenimento dell'affidamento del piccolo (...) ai servizi sociali. Nella relazione del 9.02.2021 viene esposto che gli insegnanti della scuola primaria riferiscono che il rendimento di (...) è complessivamente buono, talvolta risulta agitato, distratto e disordinato, ma svolge puntualmente i compiti per casa e dimostra interesse per tutte le materie. Il padre cerca un appoggio nei servizi sociali, cui non perde occasione di elencare le rimostranze verso la madre, anche in presenza del figlio. La (...) appare premurosa ma talvolta incapace di fornire a (...) il supporto necessario, specie per i compiti scolastici. Nella relazione del 17.04.2021, gli operatori hanno dimostrato una elevata preoccupazione per la salute psico-fisica del bambino che, da un lato, nonostante le raccomandazioni dei professionisti, fra le reciproche accuse dei genitori, non segue una dieta adeguata e continua ad aumentare di peso (42 kg a 7 anni), dall'altro, viene "sessualizzato" e narra di avere accesso a materiale pornografico sui cellulari della madre e del fratello maggiore, nonché di sentire questi ultimi praticare attività sessuali. A quel punto, i servizi sociali hanno ritenuto necessario indagare se i racconti di (...) fossero reali o soltanto frutto del condizionamento paterno. Inoltre, durante gli incontri con l'educatrice, il (...) ha costantemente ribadito l'inadeguatezza materna; la (...), dal canto suo, ha riferito che il (...) è ossessionato, le manda continuamente messaggi e attribuisce a lei e al figlio (...) comportamenti sbagliati solo per metterli in cattiva luce con (...) e con l'autorità, così da ottenere l'affidamento esclusivo del bambino e compiere una vendetta amorosa nei suoi confronti. In particolare, nella relazione dei servizi sociali del 1.02.2022, gli operatori avevano indicato l'opportunità di valutare la necessità di collocare (...) al di fuori del contesto famigliare. I genitori, infatti, non risultavano capaci di mettere da parte le questioni personali per il bene del figlio e non trovavano un accordo, neanche quando si trattava di stabilirne la dieta, lo sport o le cure dentistiche, con inevitabile ripercussione sulla salute psico-fisica del minore. Ancora, nell'aggiornamento del 10.11.2022, i servizi sociali del Comune di Stanghella hanno evidenziato che il (...) li ha contattati ripetutamente per mezzo di telefonate ed e-mail, allo scopo di svilire la madre di suo figlio e contesta la mancanza di reale interesse da parte degli operatori nei confronti di (...), minacciando di denunciare chiunque. L'andamento scolastico di (...) risulta complessivamente buono, il bambino è interessato a tutte le materie e si impegna nello svolgimento dei compiti a casa. La dieta non viene ancora seguita in modo puntuale. In data 14.11.2022, il SERD presso la (...), dipartimento dipendenze, ha depositato una relazione di aggiornamento, esponendo la situazione in essere con riferimento al resistente (...), ossia indicando che alla data l'8.05.2017 il (...) risultava in fase di remissione con riguardo all'uso di sostanze stupefacenti, mentre alla data del 28.01.2021, il medico di riferimento dott. (...), ha dichiarato che negli ultimi quattro anni non risultavano da parte del (...) ricadute, mantenendo il contatto con il SERD per fornire gli psicofarmaci necessari per il disturbo di personalità che allora risultava nel (...) in condizione di compenso. In data 10.10.2022 il (...) ha chiesto la prescrizione del farmaco Disulfirma (avversivante), che ha detto di assumere "al bisogno" come profilassi da una ricaduta con l'alcol, in quanto "gli dava un senso di sicurezza". A questo punto, occorre illustrare le valutazioni compiute dal Consulente tecnico d'ufficio, incaricato nel corso del procedimento, le cui conclusioni verranno recepite dal Collegio, essendo adeguatamente motivate, approfondite e prive di vizi logici o motivazionali. Il CTU, con riferimento al (...), ha esposto che: "E' talmente orientato a "denunciare" le inadeguatezze della moglie e a portare avanti il suo intento rivendicativo che sembra ignorare, nella sostanza, il principale motivo per cui il giudice ha disposto CTU, inconsapevole del fatto che il suo atteggiamento potrebbe legittimare e avvallare l'indicazione dei servizi sociali di un affidamento extra-familiare. (...) La capacità di ascolto del punto di vista altrui è pressoché inesistente. Il pensiero è debordante e logorroico. Dal punto di vista del contenuto emerge una spiccata tendenza interpretativa a valenza persecutoria e rivendicativa, incentrata prevalentemente sugli aspetti della sessualità e diretta nella fattispecie contro la sig.ra (...) e il figlio (...), investiti di un tale rancore da diventare il fulcro di ogni suo pensiero e il fine ultimo di ogni sua azione; il livore che si coglie nei loro confronti è "irreparabile" e i pensieri ad esso sottesi sono inscalfibili e "fuori discussione", asserviti unicamente allo scopo di ottenere giustizia". In particolare, nel corso della CTU, e dei colloqui del consulente con il minore (...), lo stesso ha riferito quando segue: "E.: "io voglio andare dalla mamma". CTU: "tu vuoi andare dalla mamma, beh... dopo mi spieghi cosa vuol dire anche con questa cosa qua, però ecco ad esempio tu dici "voglio andare dalla mamma" cosa vuol dire per te stare con la mamma?" (...) (...): "vuol dire... vuol dire... secondo me vuol dire... vuol dire che io voglio stare con lei perché io le voglio tanto bene e mio papà fa delle cose che a me non piacciono...". CTU: "chi? Non ho capito chi fa delle cose che a te non piacciono". (...): "mio papà". CTU: "cioè cosa fa?". (...): "eh tipo a volte si ubriaca, tipo la scorsa settimana si è ubriacato, è andato a prendermi a (...) e ha girato tantissime volte" (...). (...): "vuole sapere di tutto... ma tua mamma è tranquilla o nervosa.... e mi dice anche di dire cose false, un anno fa mi ha fatto vedere un film brutto e ha detto di dire che questo lo fa la mamma, quando sono andato alle visite scorse, cioè come questa scorsa, hai capito?". (...), inoltre, ha riferito alla CTU che alcuni mesi addietro, il padre, ha gettato via un cappello, le scarpe da calcio e un vestito che erano state acquistate al minore dalla madre, dicendogli che avrebbe dovuto cambiarsi e mettersi altri vestiti, non conoscendo il motivo per cui il padre avesse compiuto un tale gesto. Il minore, in particolare, ha riferito che vorrebbe passare la maggior parte del tempo con la madre, anche se non vorrebbe troncare definitivamente il rapporto con il padre, che vorrebbe vedere una volta a settimana. Infatti, ha riferito "eh dillo al giudice...che io voglio stare dalla mamma punto e basta", poi aggiunge che lui non "l'ha mia vista ubriaca" se non un a volta per colpa di suo papà, in quanto "mio papà gli ha dato qualcosa e si è ubriacata per colpa sua". In seguito, ripete più volte che non vuole stare dal padre, né vuole essere mandato in casa-famiglia dove ci è stato da piccolo e pur non essendosi fatto un'idea della struttura, lo definisce un "posto di cacca" anche influenzato dai racconti del padre che gli ha descritto la casa-famiglia come un luogo dove si viene picchiati e maltrattati. Sempre per quanto riguarda l'esame della condizione del padre del minore, il CTU evidenzia che la maestra di (...), lo descrive come un bambino "molto dolce" ed "educato", riferendo che ci sono periodi in cui è stato più disordinato, distratto, con qualche difficoltà nella gestione dei materiali, ma "né piu né meno di altri bambini"; aggiunge che nell'apprendimento non ha mai dimostrato spiccate problematiche che potessero far pensare ad una situazione famigliare particolarmente preoccupante. Ad oggi (...) "sta bene" ed "è proprio contento di stare a scuola", "è bravo" e "si fa interrogare", partecipa sempre molto e alza spesso la mano; è diventato molto più autonomo e anche responsabile; quando gli capita di non aver fatto un compito (come capita ad altri bambini) lo fa presente spontaneamente. (...) il signor (...) aveva tenuto al telefono per molto tempo la maestra, esponendole sempre le solite preoccupazioni; la telefonata si concluse bruscamente in quanto la maestra Martina gli disse: "senta, posso dirle che (...) è un bravo bambino che sta bene" "è un bambino tranquillo". Il sig. (...) replicò dicendo alla maestra che non era in grado di fare il suo lavoro in quanto non si era accorta che (...) aveva qualcosa che non andava. Nell'ambito della consulenza, inoltre, è stato illustrato che la signora (...) ha fatto presente che nell'ultimo periodo il bambino non è molto motivato ad andare agli allenamenti di calcio; chiedo ad (...) per quale motivo e il bambino, guardando la mamma, dice: "posso dirlo mamma?" e subito dopo spiega che il papà continua a dirgli che "è troppo grasso" e che "non ha la grinta" necessaria per giocare; la stessa cosa gli direbbe anche per il ciclismo (gli dice cioè che "non ha il fisico"). Lo esorto a passare oltre a questi commenti, invitandolo a seguire le sue passioni e le sue inclinazioni, alludendo al fatto che a volte i compagni di squadra fanno commenti fuori luogo; (...) mi corregge e mi dice che non sono i compagni di squadra a dirglielo, bensì il papà. Per quanto riguarda le capacità genitoriali del (...), il CTU ha indicato che: "Dal punto di vista del quadro psichico il sig. (...) presenta un marcato disturbo del pensiero, che lo induce ad una lettura persecutoria e a tratti bizzarra della realtà.". Ciò è confermato dall'esame psichico, dalla valutazione testistica e dal colloquio con la dr.ssa (...) del (...) di (...). Anche la dr.ssa (...) nella sua relazione del 20.10.2021 aveva evidenziato tale funzionamento ("Il padre in particolare rappresenta la realtà in modo forte, reiterando l'attitudine alla mistificazione della stessa, che rappresenta in modo incongruo e contraddittorio). La dr.ssa (...), pur precisando di non aver mai fatto una approfondita valutazione psichiatrica (seguendo il sig. (...) solo per la problematica dell'abuso alcolico) ha riferito che nella cartella clinica più volte si fa riferimento ad un disturbo di personalità, a suo dire di tipo paranoide, caratterizzato da logorrea, disforia, marcata impulsività e ideazione prevalente centrata su torti subìti dalla moglie (con una descrizione delle sue condotte così eccessiva da destare più di qualche perplessità) e dai (...) di lavoro (per mobbing). (...) Le sue esperienze appaiono strane, peculiari e bizzarre per il verificarsi di fenomeni frequenti nelle condizioni dissociative, quali idee di riferimento, derealizzazione, pensieri intrusivi ed esperienze sensoriali inquietanti (BIZ2). Malgrado la natura inusuale delle esperienze e delle convinzioni riportate, il quadro non raggiunge l'entità di un disturbo francamente psicotico (BIZ2; BIZ1). Malgrado le risorse di cui dispone, il periziando non si sente sicuro di fronteggiare il disagio emotivo che sta attraversando. La rigidità del pensiero e del suo modo di porsi gli rende difficile la risoluzione dei problemi, anche in presenza di un aiuto psicoterapeutico (Es). (...) All'esame psichico il pensiero è risultato debordante, incalzante e logorroico. Dal punto di vista del contenuto emerge una spiccata tendenza interpretativa a valenza persecutoria e rivendicativa, infarcita di tematiche a carattere sessuale e diretta nella fattispecie contro la sig.ra (...) e il figlio (...), investiti di un tale rancore da diventare il fulcro di ogni suo pensiero e il fine ultimo di ogni sua azione; il livore che si coglie nei loro confronti è "irreparabile" e i pensieri ad esso sottesi sono inscalfibili e "fuori discussione", per lo più asserviti al suo desiderio di ottenere giustizia e scarsamente congrui con un'autentica preoccupazione per il figlio". La CTU, in riferimento al (...) ha quindi rimarcato che: "A partire da tale assetto psichico le capacità genitoriali del sig. (...) risultano gravemente compromesse. Egli non è in grado di avere del figlio una visione scevra dalle proprie proiezioni, che a loro volta risultano pesantemente inquinate da come egli si rappresenta la sig.ra (...). Non solo quindi non è in grado di tenerlo al riparo dal rancore che nutre verso l'ex-moglie (come evidenziato anche dai servizi sociali) ma, ancor prima, non è in grado di riconoscere che i pensieri e i sentimenti di (...) verso la madre sono altra cosa rispetto ai suoi. La bontà della sua relazione con (...) è direttamente proporzionale a quanto il bambino corrisponde alle sue aspettative e a quanto conferma l'immagine perversa e degradata che egli ha della moglie e del di lei figlio. (...) Preoccupanti inoltre sono apparse le verbalizzazioni di (...) su alcuni presunti comportamenti paterni, ossia il fatto che sarebbe stato il padre a dirgli di attribuire alla madre alcune scene sessuali che invece gli aveva mostrato lui (E. ha cioè riferito che il papà gli ha fatto vedere per intero un film pornografico dicendogli di dire che era la mamma a fare quelle cose). Preoccupante è apparso anche il racconto relativo al fatto che il papà l'avrebbe portato in auto ubriaco e l'avrebbe obbligato a registrare alcune frasi ("mi dispiace nonna non ho detto la verità") atte a dimostrare che i suoi racconti in CTU fossero bugie. Tali dichiarazioni del bambino sono risultate congrue con lo stato emotivo con cui le ha espresse e coerenti con i comportamenti che ha mostrato nei confronti del padre (di timore e di imbarazzo). Per quanto riguarda la (...), il CTU ha evidenziato che: "Dal punto di vista del quadro psichico la sig.ra (...) non presenta aspetti psicopatologici. Ciò è confermato sia dalla valutazione testistica (...), che dall'esame psichico. (...) Rispetto alle lacune nella cura segnalate dai (...), per esempio in relazione alla scarsa assiduità nell'accompagnarlo a calcio o all'incontro con l'educatrice in biblioteca, non si ritengono tali lacune di una portata tale da compromettere la capacità di accudimento. (...) Credo non si possa trascurare che la sig.ra (...) appartiene ad una cultura diversa dalla nostra, dove i figli maggiori si prendono cura dei fratelli minori e dove alle cose e agli spazi viene dato un valore molto diverso. E' vero che sarebbe l'ideale che ogni figlio avesse a disposizione uno spazio a sé dedicato, tuttavia non credo che la ristrettezza deglispazi abitativi possa essere ritenuto un elemento di inadeguatezza". Il CTU in ogni caso, ha osservato come nel corso della perizia la madre sia stata conciliante, mentre il padre aggressivo. In ogni caso, la situazione relativa al benessere psico-fisico del minore è risultata essere la seguente: "E. è un bambino molto dolce, intelligente, educato, dotato di una spiccata sensibilità. E' molto legato alla madre e ai suoi fratelli e vuole bene anche al padre, sebbene viva con estremo disagio le sue pressioni, che percepisce a piu livelli: (...) Nel corso di entrambi i colloqui (...) è stato molto chiaro e diretto nel dire di voler stare con la madre esprimendo un forte timore nei confronti del padre e verbalizzando di sentirsi pressato nella direzione di dover mentire e aderire all'idea (svalutata) che lo stesso gli propone della madre. In varie occasioni il bambino ha espresso la preoccupazione che il padre potesse venire a conoscenza delle sue dichiarazioni. (...) Nella relazione con il padre (...) manifesta un atteggiamento ipercompiacente, adesivo nei confronti delle sue richieste a fronte del timore di incorrere nella sua disapprovazione o di poterlo deludere; nel momento in cui prova ad opporsi per dire la propria verità (c.f.r le sue dichiarazioni in CTU) sperimenta importati vissuti di colpa che amplificano dentro di lui la paura di perdere il papà o di incorrere nella sua rabbia. In questi momenti il bambino assume una posizione forzata e regressiva, cerca in tutti i modi di rifuggire i "richiami" paterni a sé (mostrando fastidio e imbarazzo), senza tuttavia riuscirvi." (...) "Tale modalità relazionale paterna rappresenta un motivo di forte pregiudizio per (...), indotto a confondere il proprio mondo interno con quello del padre e costretto, per non incorrere nella sua disapprovazione, ad operare una grossolana distorsione della realtà, esterna (per esempio attraverso la menzogna) e interna (negando i propri bisogni e rischiando di sviluppare in futuro un Falso Sé compiacente). Ad oggi (...) percepisce come rassicurante solo il contesto materno e cerca di rifuggire in tutti i modi quello paterno, pur ribadendo di essere legato a lui da profondo affetto". Il CTU, nella parte conclusiva della sua relazione ha quindi indicato che: "Alla luce di quanto precedentemente argomentato non ritengo che l'affidamento a terzi sia la soluzione da preferirsi innanzitutto perché la situazione di disagio in cui verte (...) non è la risultanza di un conflitto mantenuto allo stesso modo da entrambi i genitori né tantomeno l'espressione di una pari incapacità genitoriale. Madre e padre, come già detto precedentemente, posseggono capacità genitoriali qualitativamente molto diverse e ciò era stato osservato anche dai (...). Le criticità dell'uno e dell'altro quindi non possono essere messe sullo stesso piano. La madre è capace di una discreta capacità riflessiva ed è in grado di favorire l'accesso del figlio all'altro genitore. Anche la funzione di accudimento pare sufficientemente garantita compatibilmente con il fatto che appartiene ad una cultura diversa, che non può contare su una rete familiare di riferimento e che non dispone di grandi risorse economiche. Il padre invece, in virtù di un disturbo del pensiero riconducibile a sua volta ad un profilo di personalità disfunzionale, non è in grado di operare alcun pensiero riflessivo sul figlio e insiste nel veicolargli l'immagine di un materno totalmente svalutato, al quale ogni volta gli chiede di aderire. Tale funzionamento espone il bambino ad un forte pregiudizio inducendolo, a seconda delle circostanze, a mentire, a sentirsi in colpa, a rinunciare ai suoi bisogni, a distorcere i propri pensieri e i propri sentimenti. E' chiaro che, a fronte di tali dinamiche genitoriali, non può che esservi una situazione di conflitto. Va da sé tuttavia che il disagio di (...) non sembra originare dal conflitto di per sé quanto piuttosto dalla pressante richiesta del padre di schierarsi dalla sua parte (...) Sicuramente (...) si trova in una posizione scomoda; credo tuttavia che vi siano altri modi per sollevarlo da questo ruolo disfunzionale, senza che sia il bambino a pagarne le conseguenze. (...) è ben inserito nel contesto materno e ha un buon legame sia con la madre che con i fratelli; privarlo delle sue relazioni significative, in questo momento, sortirebbe su di lui un effetto destabilizzante e disgregante." (...) "A fronte di ciò ritengo opportuno che (...) rimanga collocato prevalentemente presso la madre". Circa le modalità di affidamento del minore, il CTU ha concluso così: "Per quanto riguarda l'affidamento, è opportuno che rimanga in capo ai (...) territorialmente competenti che potranno così monitorare l'andamento della situazione attraverso colloqui periodici con i due genitori e fungere da raccordo tra i vari servizi coinvolti ((...), (...), Servizio (...))". In tale quadro complessivo, relativo ad un nucleo familiare con connotazione di notevole complessità e di marcata conflittualità, ritiene il Collegio che la misura più idonea e più tutelante per (...) sia quella dell'affidamento dello stesso ai servizi sociali del Comune di Stanghella, che già stanno attuando l'affidamento del minore sin dall'emissione dei provvedimenti provvisori ed urgenti del 7.07.2020, e che hanno evidenziato nel corso dell'intero procedimento tutte le ipotesi di maggiore disfunzionalità del nucleo familiare, essendo già a conoscenza da tempo delle problematiche di tale famiglia. L'indicazione della CTU tale per cui la stessa non ha reputato opportuno l'affidamento del minore a terze persone, nel complesso delle valutazioni compiute dallo stesso CTU; deve ritenersi riferito alla valutazione di non opportunità di un collocamento del minore al di fuori della residenza della madre, ma non si è spinta fino ad indicare, nell'attualità, l'opportunità che il minore resti affidati in via esclusiva alla madre, come richiesto dalla stessa ricorrente. Difatti, sulla madre il CTU ha evidenziato che: "La madre è capace di una discreta capacità riflessiva ed è in grado di favorire l'accesso del figlio all'altro genitore. Anche la funzione di accudimento pare sufficientemente garantita compatibilmente con il fatto che appartiene ad una cultura diversa, che non può contare su una rete familiare di riferimento e che non dispone di grandi risorse economiche". In ogni caso, alla luce della complessiva situazione del nucleo familiare, come suggerito dallo stesso CTU; risulta allo stato maggiormente tutelante per il minore la previsione del suo affidamento ai servizi sociali del Comune di Stanghella, anche alla luce di quella ancora aperte carenze materne nella gestione del minore, e che ben potranno essere implementate dalla madre nel tempo. Occorre quindi disporre il collocamento del minore presso la residenza materna, con assegnazione alla stessa della casa familiare, ove la (...) risiede assieme ai figli, in forza di contratto di locazione alla stessa intestato. Per quanto riguarda (...), come indicato dal CTU e anche nell'ultima relazione depositata dai servizi sociali del 15.11.2022, è necessario disporre che il minore venga preso in carico dal servizio di NPI dell'(...) della (...) 6 (...) e prosegua un percorso con uno psicologo, con incontri una volta ogni due settimane, al quale potrà riferire sull'andamento delle sue relazioni nei due contesti di riferimento, e rafforzare il pensiero personale di rielaborazione dei propri vissuti. Per quanto riguarda le indicazioni del CTU in riferimento al padre (...), ossia la sua presa in carico dal Centro di Salute mentale e dal SERD di riferimento, come noto, il Tribunale non può prescrivere a soggetti adulti percorsi terapeutici, essendo rimessa ogni valutazione sul punto alla libera volontà del resistente (...). In ogni caso, i servizi sociali, nella relazione del 10.11.2022, hanno esposto l'evoluzione della situazione anche successivamente al deposito della CTU nell'ambito del presente procedimento, evidenziando che: - i dialoghi del (...) con il figlio sono sempre degli interrogatori pagina 4 relazione); -lo stesso registra telefonate del figlio che i servizi ricevono dal (...) continuamente, telefonate e registrazioni che i servizi non hanno richiesto e che sono volte solo al tentativo di screditare la figura materna mentre la madre si rivolge in maniera sempre pacata al figlio riferendo e tranquillizzandolo nei modi indicati dal Tribunale e dai servizi (pg 4-5 relazione); -sollecita il figlio a riferire cose che confermerebbero le paranoie del padre (a sfondo sessuale o svalutative della madre) (pg 4 relazione); - (...) viene volontariamente messo dal signor (...) nelle condizioni di portare avanti per suo tramite le richieste del padre, senza che il padre abbia alcuna consapevolezza del disagio e danno creato nel figlio; - il sig. (...) crea continue aspettative nel figlio che ben sa non potersi avverare - Anche la nonna paterna partecipa alla modalità del figlio di screditare la figura materna; - quando è con il papà e la nonna il (...) recita quanto loro vogliono e solo quando non si sono riferisce" bene ora possiamo tornare a parlare di quanto stavamo parlando" (pagina 5); - Il bambino prosegue il percorso di supporto psicologico a cui viene accompagnato puntualmente dalla madre (pagina 6 relazione) - L'aspetto relazione scuola- famiglia è cambiato in quanto non si mantiene positivo e costante solo con la mamma, i compiti assegnati sono più precisi e l'esposizione orale nelle materie di studio risulta più soddisfacente (relazione scuola riportata a pagina 7 relazione); - La relazione continua evidenziando che la conflittualità si perpetua mediante il costante svilimento della figura materna da parte del padre di fronte al figlio e ai professionisti; - Il (...) evidenzia che il sig. (...) " relativamente al contenuto del pensiero, accanto a contenuti verosimili si è evidenziata una lettura della realtà a tratti alterata e distorta con vissuti persecutori e sentimenti percepiti di ostilità da parte del mondo esterno (pagina 8/29 relazione) ad esempio il (...) riferisce che la psicologa non scolta (...) si mette le cuffiette e addirittura avrebbe messo un cerotto sulla bozza di (...): circostanze queste evidentemente non vere ma che il padre ritiene veritiere e riferisce come dette da (...) (fine pagina 8-9 relazione). Per quanto riguarda le visite tra padre e figlio, il CTU aveva indicato quanto segue: "fintantoché il (...) e il (...) non avranno avviato la presa in carico terapeutica, egli frequenti (...) alla presenza dei nonni paterni a weekend alterni dal sabato ore 10.00 alla domenica sera ore 19.00 e, nella settimana in cui non ha il weekend, il mercoledì fuori da scuola fino alla sera ore 19.00. La nonna materna, pur mantenendo un atteggiamento collusivo col figlio, sembra comunque essere una figura autorevole ai suoi occhi, in grado di "supervisionare" sulle sue condotte e quindi di preservare il nipote da eventuali eccessi paterni". In ogni caso, si rileva che nell'ultima relazione i servizi sociali del Comune di Stanghella del 10.11.2022, depositata in giudizio, gli hanno riferito, con riferimento al (...), che lo stesso abbia avviato un percorso terapeutico presso il Centro di salute mentale prescelto, dimostrando tuttavia un atteggiamento oppositivo verso gli operatori dei servizi sociali. Viene difatti esposto che: "lo screditamento verso l'ex-moglie viene riversato in modo incessante ai servizi, tranne al centro di salute mentale. Nei confronti degli operatori incaricati dell'affidamento del figlio e alla valutazione sua e dei genitori stessi (Il (...)) riversa screditamento, offese e minacce continue: si è rivolto ai vertici dell'Azienda (...) segnalando all'URP la non professionalità degli operatori consultoriali; addita la CTU che non ha fatto il suo lavoro ma si è fatta ingannare dalla madre di (...) e sai suoi discorsi; accusa il servizio EE-NPI di non ascoltare il bambino; ha contattato infine il Sindaco del Comune di Stanghella, asserendo che non viene ascoltato. Dichiara di voler denunciare tutti, nessuno escluso". In particolare, con riferimento alle modalità di frequentazione tra padre e figlio, i servizi sociali nella relazione del 10.11.2022 espongono che: "si ritiene, in accordo con i servizi coinvolti, che lafrequentazione di (...) con il padre deve essere rimodulata in base al percorso psichiatrico del signor (...) che a tutt'oggi non ha dato alcun segnale di cambiamento nei pensieri ansiosi e ridondanti che riversa agli operatori e al figlio, che necessitano di essere analizzati ed elaborati nel percorso di presa in carico specialistica presso il Centro di Salute mentale. Si è riscontrata l'importanza della presenza dei nonni durante le visite del bambino al padre, ma al contempo si rileva che la loro presenza non è sufficientemente tutelante, perché anche in loro presenza vengono affrontati e riportati episodi e liti tra i genitori. In accordo tra professionisti si propone pertanto, fintantoché il percorso psichiatrico avviato dal Signor (...) presso il (...) non dimostrerà un cambiamento significativo nella modalità comunicativa dello stesso in esito all'aderenza del percorso intrapreso presso il servizio psichiatrico, ravvisabile nella maggiore attenzione a non esporre direttamente (...) nelle recriminazioni contro la madre, di limitare il tempo che il bambino trascorre con il padre e di avviare visite solo in modalità protetta, ossia alla presenza di un educatore professionale, e quindi di limitarle nel tempo, così da permettere ad (...) di vivere più serenamente i momenti in cui vede il padre". Ritiene quindi il Collegio che, alla luce della critica situazione sopra descritta in relazione all'attuale situazione del padre del minore, le visite di (...) con il padre debbano essere svolte in luogo neutro alla presenza di un operatore dei servizi sociali, secondo un calendario dagli stessi stabilito. Per ciò che riguarda le domande di tipo economico, occorre valutare la situazione reddituale dei coniugi. Preliminarmente, sul punto, com'è noto il dovere genitoriale di mantenere i propri figli è sancito dall'art. 147 c.c., oltre che dall' art. 315 bis c.c. Tale obbligo impone ad entrambi i genitori un generico dovere di provvedere economicamente alle esigenze di vita e di crescita della prole. Trattasi di un dovere molto ampio: esso infatti non si esaurisce nell'obbligo di prestare ai propri figli le minime cure legate alla convivenza, ma include altresì il soddisfacimento di tutte quelle esigenze di secondaria importanza, quali, per esempio, quelle legate alla vita di relazione o alla realizzazione della personalità. Per quanto riguarda la misura del contributo di ciascun genitore al mantenimento delle figlie, non è inutile ricordare che il dovere di mantenere i figli, sancito dall'art. 147 c.c., oltre che dall' art. 315 bis c.c., impone ad entrambi i genitori l'obbligo di provvedere economicamente non solo alle esigenze di vita primarie, ma anche al soddisfacimento di quelle legate alla vita di relazione o alla realizzazione della personalità. Ai fini della determinazione della misura di tale contributo, occorre fare riferimento a quanto stabilisce l'art. 337-ter c.c., per cui "nella determinazione dell'assegno di mantenimento a carico del genitore non collocatario, proporzionato alle sue sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo, devono considerarsi le esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, le risorse economiche dei genitori, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti" (Cass. civ. ord., sez. VI, 10-10-2018, n. 25134). La norma, quindi, fa riferimento, non solo al reddito e al patrimonio di ciascun genitore, ma anche alla loro capacità di lavoro e quindi alla loro potenzialità reddituale. Nel merito, la ricorrente, ha svolto a partire dall'estate del 2022 attività come dipendente presso il Castello ortofrutta con buste paga dal giugno 2022, con reddito mensile di 1.300,00 e 1.800,00 Euro al mese, oltre ad attività saltuaria come colf e baby sitter, percependo per l'anno 2021 Euro 6.100,00 totali, comprensivi delle somme percepite dal (...) a titolo di mantenimento del figlio minore, e nell'anno 2022 complessivi Euro 6.229,14, sempre compreso l'assegno di mantenimento per il figlio. La stessa sostiene un canone di locazione di 350,00 Euro mensili, convivendo con i figli minori (...), (...) e (...), studenti. Il resistente, invece, è dipendente presso (...) s.r.l., con retribuzione mensile di circa 1.700,00-1.800,00 Euro, e reddito netto complessivo per l'anno 2021 pari a circa 19.000,00 Euro, sostenendo rata mensile di Euro 248,72 per un finanziamento (l'altro finanziamento indicato per rata di circa 500,00 Euro al mese allo stato è estinto), convivendo con i genitori pensionati. Alla luce della suddetta complessiva situazione reddituale e debitoria delle parti, dell'età del minore (9 anni), della disposizione di integrale percepimento da parte della madre dell'assegno unico per il nucleo familiare, e della circostanza per cui il padre del minore, vivendo con i genitori, non sopporta canoni locativi, si reputa opportuno prevedere a carico del padre (...) un assegno di 350,00 Euro entro il giorno 5 di ogni mese, annualmente rivalutabile sulla base degli indici Istat. Il padre, inoltre, sosterrà il 50% delle spese straordinarie, per tali intendendosi le spese mediche non coperte dal SSN, le spese scolastiche ed extrascolastiche, ludiche, e le spese per lo svolgimento di un'attività sportiva. Si dispone inoltre che la madre del minore percepisca al 100%, quindi per l'intero, l'assegno unico per il nucleo familiare, con autorizzazione alla presentazione della relativa domanda anche in assenza di consenso da parte del padre del minore, (...). Da ultimo, il resistente ha domandato la condanna della ricorrente al risarcimento dei danni anche ex art. 2059 c.c. quantificato nella somma di Euro 30.000,00, per i motivi di cui alla parte motiva della comparsa di risposta, in considerazione della presunta condotta della madre del minore, gravemente lesiva dei diritti di (...). La domanda, oltre che infondata in quanto sfornita di prova alla luce delle chiare valutazioni del Consulente tecnico nominato e dei servizi sociali incaricati, è prima ancora, inammissibile, trattandosi di domanda risarcitoria soggetta al rito a cognizione ordinaria, come tale connessa ai sensi dell'art. 33 c.p.c., sicché, difettando la connessione c.d. qualificata di cui agli art. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., non opera la trattazione unitaria prevista dall'art. 40 co. 3 c.p.c. Inoltre, come visto, non solo la consulenza tecnica svolta, ma anche le plurime e dettagliate relazioni depositate dai servizi sociali, hanno confermato come l'atteggiamento non tutelante per il minore, sia quello del padre, e non quello della madre odierna ricorrente, con palese infondatezza della domanda di risarcimento dei danni dallo stesso proposta. Inoltre, occorre considerare che la condotta della ricorrente di allontanamento dalla casa familiare della primavera 2019, per recarsi dalla sorella in Spagna, si inserisce un radicato e complessivo clima di profonda crisi familiare, ammesso dallo stesso (...), rilevandosi che l'allontanamento della madre è stato limitato ad un periodo di tempo del tutto limitato e che, alla luce delle relazioni dei servizi sociali e della CTU svolta, tale condotta non ha arrecato danno alcuno al minore, attualmente sereno. Sul punto, il (...) non ha dimostrato quali sarebbero stati i comportamenti illegittimi della moglie né l'entità del danno subito o la sua correlazione con tali comportamenti. Le stesse considerazioni conducono al rigetto dell'ulteriore domanda avanzata dal resistente (...) ossia "Accertate le condotte inadempienti e/o il compimento di atti pregiudizievoli ai danni del figlio minore e del padre per i motivi esposti in parte motiva degli scritti difensivi e anche dell'atto di costituzione e da intendersi integralmente richiamati e trascritti, condannare ex art. 709 ter c.p.c. la ricorrente (...) al risarcimento del danno a favore del padre (...) e del figlio, quantificato nella somma di Euro 5.000,00 ciascuno o in altra somma maggiore o minore che si determinerà in corso di causa o ritenuta di giustizia". Visto l'esito del procedimento, e l'interesse di entrambe le parti alla pronuncia sullo status, si reputa opportuno disporre la compensazione delle spese nella misura del 50%. Il (...), risultato soccombente, dovrà essere condannato a versare all'Erario la quota residua delle spese (50%), considerata l'ammissione della ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Le stesse si liquidano in dispositivo come da D.M. n. 55 del 2014, in base all'attività processuale svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Rovigo, definitivamente decidendo, ogni diversa domanda respinta o assorbita, così provvede: -Dichiara la separazione giudiziale dei coniugi (...) e (...), uniti in matrimonio in data 4.01.2012 in Cotui, Repubblica Dominicana, con atto trascritto nel Registro degli atti di matrimonio del Comune di San Pietro Viminario (PD), Anno 2012, numero 2, parte II, serie C; - ordina all'Ufficiale dello stato civile di procedere all'annotazione della presente sentenza nell'atto di matrimonio; - Rigetta le reciproche domande di addebito della separazione all'altro coniuge proposte dalle parti; -Dispone l'affidamento del figlio minore (...) ai servizi sociali del Comune di Stanghella, con collocamento dello stesso presso la residenza materna; -Assegna la casa coniugale alla madre (...), immobile dalla stessa, condotto in locazione; -prescrive ai servizi sociali l'attuazione di percorso di sostegno piscologico per il minore (...), presso il servizio di Neuro psichiatria infantile dell'U. 6 (...); -Dispone che le visite di (...) con il padre (...) si svolgano in luogo neutro alla presenza di un operatore dei servizi sociali, secondo un calendario dagli stessi stabilito; -condanna (...) a versare entro il giorno 5 di ogni mese a (...), a titolo di contributo al mantenimento del figlio (...), la somma di Euro 350,00 mensili, da rivalutarsi annualmente in base agli indici Istat; -Condanna (...) a sopportare il 50% delle spese straordinarie per il minore, per tali intendendosi le spese mediche non coperte dal SSN, le spese scolastiche ed extrascolastiche, ludiche, e le spese per lo svolgimento di un'attività sportiva, precisandosi che il rimborso di esse avverrà alla fine di ogni mese previa esibizione delle pezze giustificative. -Dispone che la madre del minore (...) percepisca al 100%, quindi per l'intero, l'assegno unico per il nucleo familiare, con autorizzazione alla presentazione della relativa domanda anche in assenza di consenso da parte del padre del minore, (...); -Dichiara inammissibile la domanda del resistente di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni allo stesso arrecati anche ex art. 2059 c.c., e comunque, ne dichiara il rigetto; -Rigetta la domanda avanzata dal resistente di condanna della ricorrente al risarcimento dei danni ex art. 709ter c.p.c.; -Dichiara compensate per il 50% le spese di lite tra le parti; -Condanna (...) a versare all'Erario la quota residua delle spese di lite (50%), spese che si liquidano qui per l'intero (100%) in Euro 5.000,00. Si comunichi alle parti e ai servizi sociali del Comune di Stanghella. Così deciso in Rovigo il 18 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO Sezione Penale SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO (art. 567 c.p.p.) Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Mabel MANCA ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato il (...) a C. (R.), residente in O. (T.) Via D. (...), n. 4 - ivi elettivamente domiciliato libero - presente (...) nato il (...) a (...) di (...) (R.) ivi residente in Via (...), n. 6 - ivi elettivamente domiciliato libero - oggi non comparso (...) nato il (...) a C. (R.), residente ed elettivamente domiciliato in (...) (...) (R.) Frazione C. (...) Via (...) di (...), n. 4 libero - presente Tutti assistiti e difesi di fiducia dall'Avv. Carlo Rolle del Foro di Torino - presente IMPUTATI Come da foglio allegato. IMPUTATI Del reato previsto e punito dagli artt. 110,372 c.p., perché, in concorso tra loro, deponendo in qualità di testimoni innanzi al Tribunale Civile di Rovigo nel processo n.677/2015 R.G., affermavano il falso e tacevano quanto a loro conoscenza in relazione all'istanza di acquisto per usucapione promossa da (...) dell'immobile sito in (...) di (...) (R.) via B. (...) n.36, catastalmente individuato al foglio n.(...), particella (...), affermando che (...): - "da oltre veni' anni è nel possesso esclusivo dell'unità immobiliare"; - "è l 'unico possessore delle chiavi dell'immobile e pertanto l'unico ad avere avuto accesso al medesimo per oltre un ventennio"; circostanze non corrispondenti al vero, in quanto emergeva inconfutabilmente che il (...) abitasse stabilmente in O. (T.), in Rovigo il 02 luglio 2018; Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dr.ssa Cl.FA. (V.P.O. delegato) PARTI CIVILI: (...) nata il (...) a (...) di (...) (R.) residente in (...) S. (V.) Via (...) M. n. 270 - non presente (...) nata il(...) a (...) di (...) (R.) residente in (...) S. (V.) Via alla B. X. n. 17 - non presente Rappresentate e difese di fiducia dall'Avv. Gi.Ma. del Foro di Rovigo - non presente - oggi sostituita dall'Avv. Ca.Ma. del Foro di Ferrara - presente - giusta delega MOTIVAZIONE Con decreto che dispone il giudizio del 25.09.2019, (...), (...) e (...) venivano chiamati a rispondere del reato di cui all'art. 372 c.p., commesso in data 02.07.2018. Gli imputati presenziavano al processo. L'udienza del 03.04.2020 veniva rinviata d'ufficio ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020 in ragione dell'emergenza epidemiologica da "Covid-19", con sospensione del termine di prescrizione per la durata di 64 giorni. L'udienza del 21.04.2021 veniva rinviata per il legittimo impedimento a comparire di due imputati, con sospensione del termine di prescrizione per la durata di giorni 60. L'istruttoria dibattimentale si svolgeva con l'escussione dei testimoni del Pubblico Ministero ((...) e (...) quali persone offese, (...) e (...)), con l'esame dei testimoni della parte civile ((...), (...)), con l'esame degli imputati (...) e (...), nonché con la produzione documentale di tutti. All'esito, le parti discutevano e concludevano come da separato verbale. Questi, in sintesi, i fatti come emersi a seguito dell'istruttoria dibattimentale svolta. 1. LE RISULTANZE DOCUMENTALI SUL GIUDIZIO CIVILE. Nell'ambito della causa civile n. 677/2015 R.G. intentata, innanzi al Tribunale di Rovigo, da (...) nei confronti di (...) e (...), la parte attrice domandava l'accertamento dell'avvenuto acquisto per usucapione ventennale, da parte sua, della proprietà dell'immobile sito in località (...) di (...) (R.), via B. (...) n. 36, catastalmente individuato al foglio (...), particella (...), già di proprietà dello zio (...). I convenuti, anch'essi nipoti di (...), formulavano, a loro volta, domanda riconvenzionale, chiedendo procedersi allo scioglimento della comunione immobiliare esistente sul medesimo immobile tra loro e l'attore (in ragione di 1/2 all'attore e 1/2 ai convenuti), con assegnazione del bene ai convenuti. Nel corso dell'udienza istruttoria celebrata in data 02.07.2018 - il cui verbale veniva acquisito in atti all'affoliazione da 17 a 24 - venivano assunte le testimonianze di (...), (...), (...), Geom. (...), (...), (...), (...), (...) e (...), rese sulla base dei capitoli di prova formulati nella seconda memoria depositata dalla parte attrice ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c. e ammessi dal Giudice. In particolare, i sei quesiti formulati riguardavano il possesso esclusivo dell'immobile oggetto di azione da parte del (...) da oltre 20 anni, animo domini e in assenza di mera tolleranza dei convenuti, con possesso delle chiavi e senza che nessun'altro potesse godere del libero accesso, con esecuzione di lavori di ristrutturazione a spese dell'attore e con trasferimento dello stesso presso l'immobile in qualità di luogo di dimora (v. doc. prodotto dalla difesa all'udienza del 10.11.2020). I convenuti negavano tutte le circostanze di cui ai capitoli di prova; i testimoni (...) e (...) affermavano di non essere a conoscenza delle circostanze introdotte nei capitoli di prova; i testimoni (...), (...) e (...), di contro, confermavano le circostanze, dichiarando quanto segue: - (...), anch'egli nipote di (...), sosteneva di avere sempre notato la presenza del (...) presso l'immobile di (...) di (...) e di essere a conoscenza del fatto che lo zio l'aveva lasciato in eredità al (...). Aggiungeva che, circa venti anni prima, erano stati effettuati alcuni lavori di ristrutturazione e che non erano stati autorizzati dai convenuti, in quanto questi si disinteressavano delle sorti dell'immobile; lo stesso testimone, che lavorava in Taglio di Po, riferiva di non incontrarli da circa 30 anni. Concludeva sostenendo che il (...) aveva trasferito la propria dimora presso l'immobile di (...) di (...) e che lo andava a trovare spesso in quanto lavorava nelle vicinanze (v. affoliazione n. 20). - (...), cognato di (...) e residente a O. (T.), confermava tutte le circostanze oggetto dei capitoli di prova, aggiungendo di essersi recato a Taglio di Po circa due volte all'anno da 30 anni e di avere trovato il (...) presso l'immobile (v. affoliazione n. 21). - (...), nel confermare i capitoli di prova, riferiva di non avere mai notato la presenza dei convenuti presso l'immobile di (...) di (...) e di essere a conoscenza del fatto che i lavori di ristrutturazione presso l'immobile erano stati fatti dal (...) (v. affoliazione n. 22). Il primo grado del giudizio civile si concludeva con la dichiarazione di acquisto del diritto di proprietà sull'immobile da parte del (...) per usucapione ventennale, avendo egli esercitato la piena signoria sullo stesso (anche mediante lo svolgimento di lavori di ristrutturazione) in maniera esclusiva, continua e incontestata, facendone la propria casa di abitazione, anche grazie alle testimonianze rese dagli odierni imputati, sulla cui credibilità il Giudice non aveva motivo di dubitare; i convenuti vedevano rigettata la propria domanda riconvenzionale e venivano condannati alla rifusione delle spese del giudizio sostenute dall'attore, che si liquidavano in Euro 7.254,00, oltre accessori, per un totale di Euro 9.335,78 (v. sentenza n. 721/2020 prodotta dalla difesa all'udienza del 10.11.2020 e nota spese prodotta dalla p.c. all'udienza del 23.11.2022). Con sentenza del 12.04.2022, la Corte d'Appello di Venezia accoglieva l'appello promosso dai convenuti, rigettando la domanda attorea di riconoscimento dell'usucapione, sulla base della considerazione per la quale il (...) veniva nominato erede universale di (...) giusto testamento pubblico datato 01.12.2011 e, dunque, solo a partire dal decesso del testatore acquistava la proprietà di 1/2 dell'immobile ove il de cuius dimorava (la restante quota essendo di proprietà dei convenuti). Essendo, poi, emerso che, fino all'anno 2009, il possesso esclusivo dell'immobile era in capo a (...), si escludeva in radice la possibilità che il (...) avesse potuto esercitare sul medesimo immobile una signoria piena ed esclusiva (v. sentenza prodotta dalla p.c. all'udienza del 23.11.2022). 2. LE EMERGENZE DIBATTIMENTALI. Sentiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale, i testimoni (...), (...) e (...) - tutti residenti in località (...) di (...) (R.) - dichiaravano che l'immobile sito in (...) di (...), via B. (...) n, 36, era di proprietà di (...) e della defunta moglie e che sullo stesso non erano stati fatti lavori di ristrutturazione percepibili dall'esterno, se non dopo il decesso del (...) (v. pagg.4, 5, 12 e 23 del verbale stenotipico del 10.11.2020). Vedevano il (...) recarsi presso l'immobile solo successivamente alla morte di (...), che avveniva nel 2013 (v. pagg. 8, 10 e 17 del verbale cit.). Il teste L. riferiva come, dopo il decesso della moglie, il (...) prendesse ad abusare nell'uso delle bevande alcoliche, vivendo in solitudine e senza l'aiuto da parte di nipoti o parenti, adottando condotte dissociate percepite da tutti gli abitanti del paese (v. pag. 11 del verbale cit.). L'uomo, a causa di una patologia, veniva ricoverato in casa di cura nell'anno 2010 e decedeva nel 2013 (v. pag. 14 del verbale cit.). (...), a sua volta, precisava che nessun parente si era mai presentato presso l'abitazione del (...) per prendersi cura di lui. In particolare, il fratello del (...) si trasferiva a (...) assieme ai due figli negli anni '50 e così anche la famiglia di (...), che si trasferiva a O. (T.). Il (...) lavorava presso lo stabilimento torinese della Fiat e viveva a Orbassano; veniva nominato amministratore di sostegno dello zio (...), tuttavia non si recava presso l'abitazione di (...) di (...) e si occupava solamente delle questioni burocratiche inerenti lo zio (v. pagg. 21 e 22 del verbale stenotipico del 10.11.2020). Il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Taglio di Po, (...), dichiarava di avere conosciuto (...) per ragioni di servizio, in quanto, a partire dall'anno 2004, a causa dell'abuso di bevande alcoliche, viveva in uno stato di degrado tale per cui si susseguivano le richieste di intervento presso la sua abitazione da parte dei vicini di casa, i quali segnalavano fughe di gas (l'uomo cucinava e dimenticava le pentole sui fornelli col gas metano in erogazione), la presenza di escrementi all'interno dell'abitazione e altre situazioni portate anche all'attenzione dei servizi sociali. Il (...) veniva spesso condotto presso il pronto soccorso per ricevere le cure del caso a seguito degli interventi compiuti dai Carabinieri presso la sua abitazione e i militari, essendo a conoscenza del fatto che fosse privo di familiari che lo accudissero, erano soliti rivolgersi alla famiglia (...) - cugini del (...) e abitanti in (...) di (...) - per prelevarlo dall'ospedale e riportarlo presso la sua abitazione. Nel 2010 gli veniva diagnosticata una forma di demenza, aggravata dall'abuso di alcool, che ne determinava il ricovero presso una casa di cura e, infine, il decesso nel mese di novembre del 2013 (v. pag. 17 del verbale stenotipico del 10.11.2020). Il Comandante riferiva di non avere mai conosciuto, né sentito nominare (...) e di non averlo mai visto presso l'abitazione del (...), davanti alla quale i militari erano soliti transitare al fine di monitorarne la situazione (v, pag. 18 del verbale cit.). Le persone offese (...) e (...), a loro volta, dichiaravano che l'immobile sito in (...) di (...), B. (...) n. 36, era di proprietà dei fratelli (...) e (...) (quest'ultimo, padre delle persone offese), il primo dei quali dimorava nell'edificio, mentre il secondo si trasferiva altrove con la famiglia e poi decedeva prematuramente, trasferendo iure successione la propria quota di proprietà ai figli. (...), cugino delle persone offese, che viveva in località O. (T.), si recava in visita dello zio (...) a Taglio di Po per la prima volta due anni prima che questi morisse e, avendo constatato in quali gravi condizioni si trovasse, decideva di occuparsene, dapprima assumendo l'incarico di amministratore di sostegno e poi facendolo collocare in una casa di riposo: in questo periodo, il (...) dimorava a Orbassano (come dimostrato dal fatto che veniva autorizzato dal Giudice tutelare a depositare gli atti relativi all'amministrazione di sostegno preso il Tribunale di Pinerolo, anziché presso quello di Rovigo), ma si recava frequentemente a (...) di (...) e, per tale motivo, domandava ai cugini (...) se poteva essere ospitato presso l'abitazione dello zio (v. pagg. 10, 11, 29, 30 del verbale stenotipico del 23.11.2022). Quando, nel mese di novembre del 2013, lo zio (...) decedeva, le persone offese domandavano al (...) la restituzione delle chiavi dell'abitazione, ma questi rispondeva loro che non le avrebbe restituite in quanto l'abitazione era ormai di sua proprietà e dopo poco tempo trasferiva lì la sua residenza: i due cugini, proprietari al 50% dell'immobile, proponevano al (...) di liquidare la loro quota e di acquistare l'intera titolarità dell'abitazione, ma questi, di tutta risposta, proponeva contro di loro una causa civile per il riconoscimento dell'usucapione ventennale dell'immobile (v. pagg. 11, 26 e 31 del verbale cit.). Dunque, non rispondeva al vero che il (...) avesse dimorato per venti anni nell'abitazione dello zio (...), per il semplice motivo che quest'ultimo vi aveva abitato fino al 2010 e, nell'ambito del giudizio civile promosso dal (...), gli odierni imputati dichiaravano il falso, in quanto sostenevano che l'attore avesse abitato stabilmente presso l'immobile di (...) di (...): in particolare, il (...) dimorava a Orbassano, pertanto non poteva essere a conoscenza di chi abitasse l'immobile dello zio (...), se fossero stati effettuati lavori di ristrutturazione e da chi (v. pagg. 28 e 31 del verbale cit.). Con riguardo ai lavori edili svolti presso l'immobile, le due persone offese riferivano che il rifacimento dei bagni era stato effettuato dallo zio (...), che aveva anche inviato loro i disegni del progetto al fine di ottenere il loro consenso, atteso che erano comproprietari dell'abitazione; invece la manutenzione della facciata dell'edificio era stata commissionata dal (...) dopo il decesso del (...). 3) GLI INTERROGATORI RESI DAGLI IMPUTATI IN SEDE DI INDAGINI E LE SPONTANEE DICHIARAZIONI DIBATTIMENTALI. - (...), in sede d'interrogatorio, confermava quanto già riferito in occasione della deposizione nel giudizi civile, ovverosia che il (...) era comproprietario dell'immobile di Taglio di Po assieme allo zio (...) ed era in possesso delle chiavi; ogni anno si recava in visita dallo zio e aveva provveduto ad effettuare lavori di ristrutturazione dell'abitazione prima e dopo il decesso dello zio (v. produzione del P.M. all'udienza del 23.11.2022). Rendendo spontanee dichiarazioni nel corso del giudizio, aggiungeva che il; (...) era stato l'unico parente a prendersi cura dello zio (...) e per tale motivo era in possesso delle chiavi dell'immobile. Riconosceva, nelle fotografie prodotte dal proprio difensore, il (...) e il (...) assieme nell'abitazione di Taglio di Po. - (...), in sede d'interrogatorio, rendeva la medesima deposizione del (...), insistendo sul fatto che il (...) detenesse le chiavi dell'immobile di (...) di (...). Aggiungeva come il (...) fosse stato nominato amministratore di sostegno di (...) e, per tale motivo, si muovesse sovente tra Orbassano e Taglio di Po. Decidendo di rendere spontanee dichiarazioni in sede dibattimentale, precisava di recarsi a regolarmente a Taglio di Po tre volte all'anno e di avere notato i avori di manutenzione compiuti dal (...) sull'immobile dello zio (...). - (...), in sede di interrogatorio, evidenziava come il (...) ogni estate si recasse a Taglio di Po per fare visita allo zio e li dimorasse per qualche mese, prendendosi cura dell'anziano ed effettuando lavori di manutenzione dell'immobile. L'istruttoria svolta ha consentito di ritenere provata la penale responsabilità degli odierni imputati in relazione al reato loro ascritto. Oggetto dell'odierna imputazione è l'asserita condotta di falsa testimonianza posta in essere dagli imputati in occasione della testimonianza resa nel giudizio civile avente n. 677/2015 R.G., nel quale il Giudice Civile era chiamato a pronunciarsi sulla domanda attorea, formulata da (...), relativa alla declaratoria di acquisto del diritto di proprietà per usucapione ventennale sull'immobile sito in (...) di (...) (R.), B. (...) n. 36. Nell'ambito di tale diatriba, intento dell'attore era dimostrare il continuo e ininterrotto possesso dell'immobile per oltre venti anni, a mezzo dell'unione dei possessi esercitati da (...) (suo dante causa) e dal (...) stesso, il quale, ereditando metà dell'immobile dal (...) nel mese di novembre del 2013, chiedeva il riconoscimento della signoria esercitata in maniera esclusiva e indisturbata sull'abitazione anche con riguardo alla quota di proprietà dei cugini (...) e (...) (v. punto 7 dell'atto di citazione, prodotto dalla difesa all'udienza del 31.01.2023). Nel solco di tale linea difensiva venivano esaminati i testimoni (...), (...) e (...), i quali sostenevano come il (...) si fosse sempre recato a Taglio di Po per prendersi cura dello zio (...) e dimorasse nella sua abitazione, detenesse le chiavi dell'immobile e avesse effettuato vari lavori di ristrutturazione, così esercitando un possesso uti dominus sull'edificio. Ebbene, dalla documentazione acquisita è emerso come il (...) abitasse, risiedesse e lavorasse in Orbassano (TO) e che, per tale ragione, dopo essere stato nominato amministratore di sostegno di (...) in data 17.11.2009, domandava lo spostamento della competenza del Giudice Tutelare presso il Tribunale di Pinerolo (TO). E' altresì pacificamente emerso come, fino al momento del ricovero di (...) presso la casa di cura di Adria, nell'anno 2009, questi abbia dimorato da solo, in condizioni di solitudine e abbandono, presso l'abitazione di Taglio di Po. Tale circostanza è stata chiaramente accertata a seguito della deposizione del Comandante della Stazione dei Carabinieri di Taglio di Po, il quale per ragioni di servizio era solito recarsi presso l'abitazione in questione e occuparsi delle condizioni del (...), il quale viveva da solo, privo di assistenza e in stato di degrado dovuto all'abuso di sostanze alcoliche: laddove si rendeva necessario contattare i parenti più prossimi dell'uomo, i Carabinieri erano a conoscenza della sola famiglia (...), cugini del (...) e dimoranti in Taglio di Po, risultando loro del tutto sconosciuto il nominativo del (...). I testimoni estranei alla vicenda possessoria, inoltre, affermavano con certezza di non avere mai notato alcun parente del (...) recarsi presso la sua abitazione per prendersi cura di lui, essendo risaputo da tutti i concittadini che l'uomo viveva in solitudine e in stato di abbandono. Tanto basta a ritenere del tutto false le dichiarazioni testimoniali rese dagli odierni imputati nel corso del giudizio civile: le domande loro formulate, compendiate nei capitoli di prova ammessi dal Giudice e acquisite in atti, erano chiare e univoche quanto al loro contenuto e non suscettibili di interpretazioni o fraintendimenti e avevano ad oggetto il quesito relativo alla sussistenza di un possesso esclusivo, animo domini, ininterrotto, pacifico e pubblico dell'immobile sito in B. (...) n. 36 in (...) di (...) (R.) da parte del (...). Tale circostanza risulta del tutto inverosimile, atteso che l'immobile era abitato dal (...) fino all'anno 2009 e che nessun'altro conviveva con lui, pertanto la risposta affermativa fornita alla sopra citata domanda da parte degli imputati configura una condotta di falsa testimonianza. Non riveste alcun rilievo il fatto che, durante il periodo estivo, il (...) e la sua famiglia si recassero in visita dal (...) o che egli abbia ricoperto il ruolo di amministratore di sostegno dello zio o, ancora, che si sia preso cura del (...) facendolo ricoverare in una casa di cura: tali circostanze, invero, esulano dall'accertamento possessorio azionato avanti al Giudice civile, atteso che l'oggetto del giudizio verteva sull'usucapione ventennale dell'immobile del (...) ad opera del (...) e non corrispondeva al vero che questi avesse "sempre abitato" nell'immobile di (...) di (...), come sostenuto dagli imputati. Appare, ancora, priva di pregio l'osservazione difensiva secondo la quale l'oggetto del giudizio era l'istanza, avanzata dal (...), di riconoscimento della successione nel possesso dell'immobile tra lui e il (...), così da raggiungere la ultraventennalità utile al perfezionamento dell'usucapione mediante la somma dei periodi di possesso esercitati dal de cuius e dall'erede, in quanto tale circostanza non era fatta oggetto di capitolo di prova e i quesiti testimoniali riguardavano il possesso esclusivo dell'unità abitativa da parte del (...) per oltre venti anni, cui gli odierni imputati davano, mentendo, risposta affermativa. Così riassunto il quadro probatorio, si osserva come gli imputati siano stato sentiti nell'ambito del giudizio civile in veste di testimoni, come tali edotti delle conseguenze penali derivanti dall'eventuale mendacio: sussistono, pertanto, sia l'elemento oggettivo del reato (consistente nell'avere falsamente affermato di avere personalmente notato il (...) abitare presso l'immobile di proprietà di (...) e delle persone offese per oltre venti anni), quanto quello soggettivo (consistente nella coscienza e volontà di rendere dichiarazioni in difformità da quanto da loro conosciuto e ricordato al momento della deposizione innanzi all'Autorità Giudiziaria). Vanno inoltre evidenziate la pertinenza e la rilevanza delle dichiarazioni rese, in quanto direttamente volte a comprovare la sussistenza dei presupposti per l'accoglibilità della domanda di usucapione formulata dal (...): in tale ottica, le dichiarazioni rese sono parse idonee a fuorviare, secondo un giudizio ex ante, le determinazioni del Giudice civile di primo grado, non incidendo su tale circostanza le successive valutazioni compiute dal Giudice del secondo grado di giudizio nell'ambito del proprio ragionamento giuridico. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del delitto di falsa testimonianza, la valutazione sulla pertinenza (da intendersi come riferibilità o afferenza dell'oggetto della testimonianza ai fatti che il processo è destinato ad accertare) e sulla rilevanza (che riguarda l'efficacia probatoria dei fatti dichiarati) della deposizione va effettuata con riferimento alla situazione processuale esistente al momento in cui il reato è consumato, ossia ex ante e non ex post (v. Cass., sez. sez. 6, sent. n. 37649/2021). Venendo al trattamento sanzionatorio, avuto riguardo ai criteri di cui all'art. 133 c.p., si stima equo determinare per tutti gli imputati la pena in misura pari al minimo edittale e, quindi, in anni 2 di reclusione. Appare opportuno far luogo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per meglio adeguare la pena al fatto concreto, con rideterminazione della pena in anni 1 e mesi 4 di reclusione. Lo stato di incensuratezza degli imputati, unitamente alla considerazione per la quale la mera minaccia di esecuzione della pena comminata con la presente pronuncia potrà produrre un efficace effetto dissuasivo circa la futura commissione di ulteriori delitti, sono elementi che, valutati alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., conducono alla formulazione di una prognosi positiva in ordine alla loro futura astensione dalla commissione di ulteriori reati, con conseguente concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Le spese processuali seguono per legge. In relazione alla richiesta risarcitoria formulata dalla parte civile, le parti devono essere rimesse innanzi al Giudice civile in relazione alla quantificazione del danno morale e patrimoniale patito dalle persone offese, per il quale è stata raggiunta in giudizio la piena prova in ordine alla quantificazione parziale del danno patrimoniale (pari alla sola somma sborsata in occasione della pronuncia della sentenza di primo grado loro sfavorevole), ovverosia Euro 9.000,00, e alla quantificazione del danno morale patito a seguito della commissione del reato (che ha determinato nelle persone offese sia sofferenze che disagi, tali quindi, secondo l 'id quod plerumque accidit, da causare un patimento morale) liquidato in Euro 2.000,00 per ciascuna persona offesa, per una provvisionale pari a Euro 13.000,00 a valori attuali. Non sono stati dedotti elementi tali da giustificare un risarcimento maggiore, nè giusti motivi a sostegno della domanda di provvisoria esecutività della sentenza che, quindi, non può essere accolta. I condannati dovranno, altresì, rifondere alle parti civili le spese sostenute per la loro costituzione in giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 3.840,00, oltre accessori di legge, così determinati: Euro 450,00 per la fase di studio, Euro 550,00 per la fase introduttiva, Euro 1.000,00 per la fase istruttoria ed Euro 1.200,00 per la fase decisoria, con aumento del 20% della somma finale (pari a Euro 3.200,00) in ragione della pluralità di parti civili rappresentate. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara gli imputati responsabili del reato loro ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di ani 1 e mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna gli imputati in solido tra loro al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede civile, disponendo il pagamento di una provvisionale pari a Euro 13,000,00 a valori attuali. Condanna altresì gli imputati alla rifusione delle spese processuali affrontate dalla parte civile per la costituzione in giudizio, che vengono liquidate in Euro 3.840,00 oltre accessori come per legge. Motivazione riservata in giorni 45. Così deciso in Rovigo il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO SEZIONE PENALE DISPOSITIVO DI SENTENZA SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO (art. 567 c.p.p.) Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Sara ZEN ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato il (...) a C. di (...), ivi residente in Via M. della (...), n. 83 - elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. An.Ga. del Foro di Rovigo libero - assente Difensore di fiducia Avv. An.Ga. del Foro di Rovigo - presente IMPUTATO Come da foglio allegato. IMPUTATO Del delitto p. e p. dall'art. 582/2 c.p. perché, colpendola al petto con un colpo a mano aperta, facendola barcollare, cagionava a (...) lesioni personali consistite in: "contusione emitorace sinistro dopo aggressione senza segni di frattura o coinvolgimento del parenchima polmonare" giudicate guaribili dal Pronto Soccorso dell'O.C.R. con l'assunzione di B. 600 mg 3 volte al giorno ai pasti per 3 giorni e da successiva certificazione medica rilasciata da! dott. D.F. massimo in "esiti di trauma confusivo emitorace sx con persistenza di algie diffuse" giudicate guaribili con ulteriori gg. 7 per totali gg.10. In Costa di Rovigo il 27.05.2016 Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dott.ssa Alessia PIRANI (V.P.O. delegato). PARTE CIVILE: (...) nata ad A. il (...) elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. En.Ca. del Foro di Rovigo - assente Rappresentata e difesa di fiducia dall'Avv. En.Ca. del Foro di Rovigo - presente APPELLANTI Avverso la sentenza del Giudice di Pace di Rovigo n. 174/2022 nella persona del Giudice Avv. Ma.Br., in data 15.09.2022, depositata il 21.09.2022, appellata dalla parte civile per il tramite del suo difensore, in data 31.10.2022, che così definiva il giudizio: "PQM... visto l'art. 530 co. 1 c.p.p., assolve l'imputato perché il fatto non sussiste". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) veniva citato a giudizio avanti al Giudice di Pace di Rovigo per rispondere del reato di lesioni personali commesso in data 27.5.2016 nei confronti della vicina di casa (...) (che si costituiva parte civile alla prima udienza del 19.12.2019) tramite un colpo al petto con mano aperta che cagionava alla donna una "contusione all'emitorace sinistro" giudicata guaribile in giorni 10. L'istruttoria dibattimentale di primo grado si svolgeva mediante il controesame dei testi del Pubblico Ministero da parte dei difensori della p.c. e del (...), in quanto veniva prestato il consenso all'acquisizione di tutti gli atti di indagine ai fini dell'esame diretto dei testi da parte del (...). L'imputato rendeva spontanee dichiarazioni e le parti producevano documentazione. All'esito del giudizio di primo grado, il Giudice di Pace di Rovigo, con sent. n. 174/2022, emessa il 15.9.2022 (e depositata il 21.9.2022), assolveva l'imputato con formula piena per insussistenza del fatto affermando che la deposizione della p.c. non risultava riscontrata da alcun elemento probatorio ulteriore. La (...), residente accanto alla falegnameria del (...), evidenziava che, il pomeriggio del 27.5.2016, nello stradello che separava le due proprietà era parcheggiato un furgone appartenente all'imputato che le avrebbe impedito il passaggio. Ella, allora, avrebbe fatto presente la circostanza all'imputato e, all'esito di una discussione, quest'ultimo le avrebbe inferto una manata sul petto, cagionandole le lesioni di cui all'imputazione. A quel punto la (...) si spostava verso il suo cancello mentre il (...) la seguiva per porgerle delle scuse che ella non accettava, e dopodiché giungeva la moglie dell'imputato con la quale proseguiva l'alterco. L'imputato ammetteva il litigio, riferendo che erano intercorse reciproche offese sia tra lui stesso e la (...), sia tra quest'ultima e sua moglie, ma negava fermamente qualsiasi contatto fisico. Secondo quanto riportato nella sentenza, gli ulteriori testi d'accusa escussi, ovvero i vicini di casa (...) ed il teste (...), non dichiaravano nulla di decisivo: la prima riferiva di essere stata molto lontana dal punto in cui avveniva l'alterco e di aver solamente notato la (...) alzare le braccia mentre urlava; il secondo, parimenti, dichiarava di aver udito delle urla della p.c. e, dopo essersi affacciato alla finestra, di averla vista agitare le braccia davanti alla moglie del (...) e a quest'ultimo. Secondo le conclusioni del Giudice di Pace, dunque, in assenza di testi oculari non si sarebbe potuto addivenire ad una pronuncia di condanna nei confronti dell'imputato poiché, in primo luogo, la deposizione della (...) non era supportata da alcun ulteriore elemento probatorio e, in secondo luogo, veniva esclusa l'insorgenza di una malattia dato che il medicinale prescritto alla p.c. (ovvero il "(...)") consisteva in un antifiammatorio volto a contrastare il dolore ma privo di effetti curativi. Il procuratore speciale della parte civile (...) proponeva appello (tempestivo) avverso tale sentenza del Giudice di Pace, ai soli fini civili, ritenendo che, in primo luogo, il giudice di prime cure avesse errato nella valutazione del materiale probatorio, omettendo completamente qualunque valutazione circa gli atti di indagine acquisiti (sub specie i verbali di P.S. di Rovigo del 27.5.2016 e il verbale di accertamenti urgenti eseguiti dai (...) di (...) nell'immediatezza dei fatti), nonché lamentando l'erronea interpretazione della legge penale quanto al concetto di malattia. Per questi motivi veniva chiesta la riforma della sentenza impugnata con condanna delFimputato al risarcimento di tutti i danni patiti dalla parte civile. Nel processo d'appello all'udienza del 28.2.2023, il difensore di p.c. insisteva per l'accoglimento dell'appello e dimetteva le relative conclusioni scritte, le altre parti concludevano come da verbale e veniva emessa la presente sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE I motivi dell'appello proposto dalla parte civile appaiono fondati e lo stesso va pertanto accolto. Il quadro probatorio emerso dal dibattimento di primo grado avvalora pienamente e pacificamente la responsabilità e la sentenza impugnata appare viziata da una erronea lettura del materiale probatorio raccolto. Innanzitutto, si evidenzia che la motivazione principale addotta dal Giudice di Pace alla base della sentenza assolutoria riguarda la carenza di elementi probatori di riscontro alla versione fornita dalla parte civile anche se, tuttavia, concludeva per l'assoluzione del (...) per insussistenza del fatto con formula piena e non con formula dubitativa. In ogni caso si rileva che il giudice di prime cure ometteva completamente di confrontarsi con gli atti di indagine acquisiti col consenso della difesa dell'imputato, in particolare con l'esame obiettivo eseguito dai sanitari di P.S. di Rovigo (ove la paziente faceva accesso poco più di un'ora dopo i fatti, ovvero alle 17.33 del 27.5.2016), e con il verbale di accertamenti urgenti redatto dai (...) di (...) intervenuti nell'immediatezza (ovvero alle 16.40 del 27.5.2016). La (...), infatti, descriveva il colpo inferto dal (...) (verso le ore 16.10) come "un grande colpo, con la mano aperta, sul petto, poco sopra il mio seno sinistro " che la faceva barcollare all'indietro (cfr. querela p.o.). Tale dinamica risulta perfettamente compatibile con gli esiti dei suddetti atti di indagine. La donna, infatti, dopo aver ricevuto tale "manata" contattava immediatamente le forze dell'ordine che giungevano in loco dopo circa mezz'ora, alle 16.40, raccogliendo una dichiarazione identica a quella successivamente formalizzata in querela ("(...) mi sferrava con la sua mano uno schiaffo sul petto appena sopra il petto sinistro") e, soprattutto, notando visivamente quanto appena raccontato dalla (...). Gli operanti, infatti, testualmente davano atto di quanto segue: "si notava la presenza del livido e si evidenziava l'impronta di una mano ove si distinguevano bene la forma del palmo e delle dita". Appare a dir poco inverosimile, infatti, che la (...) si sia procurata da sola tali evidenti segni sul petto, e altrettanto inverosimile appare l'ipotetica ricostruzione alternativa per cui la stessa si sarebbe fatta aiutare in questo da un soggetto estraneo non identificato, nell'arco di una sola mezz'ora, al fine di precostituirsi una falsa prova a carico del (...). Oltretutto, un'ora e venti dopo tale fatto, infatti, la donna si recava presso il P.S. di Rovigo ove le veniva diagnosticata una "contusione all'emitorace sinistro" che si presentava "arrossato nella zona anteriore e molto dolente alla palpazione superficiale, come da contusione Il fatto che, poi, i sanitari le abbiano prescritto un antidolorifico non vale in nessun modo ad escludere la sussistenza delle lesioni, le quali oltretutto, secondo una recentissima sentenza della Suprema Corte potrebbero anche essere provate solamente tramite le dichiarazioni della persona offesa: "in tema di valutazione della prova, il reato di lesioni personali può essere dimostrato, per il principio del libero convincimento del giudice e per l'assenza di una gerarchia tra i mezzi di prova, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, di cui sia stata positivamente valutata l'attendibilità, anche in mancanza di un referto medico che attesti la "malattia" derivata dalla condotta lesiva. (Fattispecie relativa a lividi e graffi al collo ed al viso, nonché ematomi ai polsi) " (Cass. Pen. 43614/2021). Nel caso di specie, a maggior ragione, sia i Carabinieri sia i medici avevano attestato la sussistenza di un arrossamento e di un livido sull'emitorace sinistro della donna (da cui si poteva addirittura distinguere la forma delle dita), e ciò rientra pacificamente nella nozione di "lesione" secondo quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità: "in tema di lesioni personali, l'ematoma rientra nella nozione di "malattia" in quanto consiste in un versamento ematico nei tessuti sottocutanei che comporta un'alterazione anatomica alla quale segue un naturale processo riabilitativo" (cfr. Cass. Pen. 31008/2020). Pertanto, l'impugnata sentenza va riformata, dovendosi ritenere sussistente il delitto ivi contestato al prevenuto, sia pure limitatamente alle sole statuizioni civili, con conseguente condanna dell'imputato al risarcimento del danno cagionato alla parte civile. Con riguardo alla quantificazione del danno subito dalla parte civile, considerata la lievità delle lesioni e non essendo stato provato compiutamente un danno patrimoniale, si ritiene di dover liquidare una somma a titolo di danno morale consistente nella sofferenza e nel patema d'animo derivanti dal reato, da ritenersi provato in re ipsa e da liquidarsi, in via puramente equitativa, in Euro 500,00, a valori attuali. Dalla parziale riforma della sentenza di primo grado segue la condanna dell'imputato soccombente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile nei gradi precedenti di giudizio liquidate come segue secondo le tabelle vigenti per ogni fase: 1.800,00 per il primo grado (360,00 euro fase studio; 450 euro fase introduttiva; 360 euro fase istruttoria; 630 euro fase decisoria) ed Euro 2.222,00 per il giudizio d'appello (237,00 euro fase studio; 567,00 euro fase introduttiva; 1.418,00 euro fase decisoria). P.Q.M. Visti gli artt. 2 D.Lgs. n. 274 del 2000, 605 c.p.p., in parziale riforma della sentenza n. 174/2022 emessa dal Giudice di Pace di Rovigo in data 15.9.2022 nei confronti di (...) ed appellata dalla parte civile (...), CONDANNA l'imputato a risarcire il danno subito dalla parte civile che si liquida in Euro 500,00, a valori attuali; CONDANNA l'imputato a rifondere alla parte civile costituita le spese del processo, che liquidano in Euro 1.800,00 per il primo grado ed Euro 2.222,00 per il giudizio d'appello, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA se dovute per legge. CONFERMA per il resto la sentenza impugnata. Motivazione in giorni 25. Così deciso in Rovigo il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO Sezione Penale SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO (art. 567 c.p.p.) Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Sara ZEN ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato il (...) in C., residente in S., Via F. F., n. 142 - domicilio eletto libero - presente Assistito e difeso di fiducia dall'Avv. St.Sa. del Foro di Padova - presente (...) nato il (...) in C., residente in R., Via P., n. 41 - domicilio eletto libero - presente Assistito e difeso d'ufficio dall'Avv. Lo.Mu. del Foro di Rovigo - presente IMPUTATI Come da foglio allegato. IMPUTATI Entrambi: a) del reato p. e p. agli artt. 110,582 e 583 co. 1 n. 1) c.p. perché, in concorso tra loro, aggredendo (...), spintonandolo e colpendolo con pugni al volto ed alla mandibola, cagionavano allo stesso lesioni personali consistite in "frattura scomposta della parete anteriore del seno mascellare sinistro, frattura in più punti anche scomposta della parete laterale del seno mascellare, frattura composta del tetto del seno mascellare estesa alla base dell'orbita, frattura in più punti dell'osso zigomatico estesa posteriormente al temporale", giudicate guaribili in giorni 48. Fatto aggravato per avere cagionato a (...) una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni. In Stanghella il 21/04/2018; (...): b) del reato p. e p. dall'artt. 581 c.p., perché percuoteva (...), afferrandolo con una mano alla gola e cingendolo con un braccio attorno al collo, senza che dal fatto derivasse una malattia nel corpo e nella mente. In Stanghella il 16/05/2018. Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dr.ssa Ma.IM. (V.P.O. delegato) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposta la citazione diretta a giudizio di (...) e di (...) per rispondere dei reati di cui in rubrica, all'udienza del 19.06.2019, presente (...) e non presente (...), si disponeva rinvio stante il difetto di notifica all'imputato (...), nuovamente eseguita ex art. 161 co. 4 c.p.p.. All'udienza del 17.10.2019, tenutasi avanti ad altro Giudice, (...) veniva dichiarato assente e la persona offesa (...) si costituiva parte civile. Veniva dichiarato aperto il dibattimento e ammesse le prove così come richieste dalle parti. L'udienza del 12.03.2020 veniva rinviata d'ufficio, a prescrizione sospesa, con Provv. del 3 marzo 2020 stante la normativa emergenziale in materia di contrasto alla pandemia da Covid-19, e l'udienza del 3.12.2020 veniva rinviata per legittimo impedimento del difensore dell'imputato (...). All'udienza del 4.03.2021, presenti entrambi gli imputati, venivano escussi i testi d'accusa (...) (p.c.) e (...), e il (...) produceva documentazione (certificati medici del 23.05.2018, 18.06.2018 e 18.07.2018, verbali di P.S. del 22.04.2018 e del 24.04.2018, ulteriore documentazione medica e documentazione fotografica). All'udienza del 10.06.2021 venivano escussi i testi d'accusa Car. Sc. (...) (C.C. Este) e Mar. (...) (C.C. Lendinara). L'udienza del 27.01.2022 veniva rinviata per ricalendarizzazione e, all'udienza del 8.02.2022, tenutasi innanzi a questo Giudice, il difensore/procuratore speciale del (...) revocava la propria costituzione in giudizio come parte civile, stante la remissione di querela. Veniva disposto rinvio per l'esaurimento dell'istruttoria. All'udienza del 29.11.2022 venivano acquisite ex art. 512 c.p.p. le s.i.t. rese da (...) stante l'impossibilità documentata del medesimo di rendere testimonianza per ragioni mediche sopravvenute e l'imputato (...) rendeva spontanee dichiarazioni. All'udienza del 31.01.2023, dichiarato chiuso il dibattimento ed utilizzabili gli atti acquisiti ai fini della decisione, le parti concludevano come da verbale e veniva pronunciata la presente sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito dell'istruttoria espletata (...) va mandato assolto per non aver commesso il reato di lesioni gravi cui al capo a) di imputazione, per cui invece viene dichiarato penalmente responsabile (...). Per il solo (...), invece, dev'essere pronunciata sentenza di non doversi procedere in ordine al reato di percosse di cui al capo b) dell'imputazione per intervenuta remissione di querela. La vicenda di cui al presente procedimento può essere sintetizzata sulla base della deposizione resa dalla persona offesa (...), che, il 21.05.2018, sporgeva denuncia-querela nei confronti degli imputati rappresentando quanto segue. 1) La deposizione della persona offesa Capo a): l'episodio del 21.04.2018. Il teste riferiva che, in data 21.4.2018, aveva partecipato ad un pranzo di lavoro presso la vicina "(...)" assieme ad alcuni col leghi e ai due imputati (fratelli della moglie della p.o. (...)) nel corso del quale tutti assumevano una quantità considerevole di bevande alcoliche (secondo le parole del teste, "avevamo bevuto tutti quanti"). Dopo il pranzo, il (...) rientrava presso la sua abitazione sita in via P. n. 25 a S. (P.) (ove conviveva con la moglie e col cognato (...)) e si coricava sul divano, dove, anche a causa dello stato di ebbrezza, si addormentava sino alle 16:30 circa. Al risveglio, comunicava via messaggio con la moglie (...) che gli riferiva di essere uscita con il fratello (...). Successivamente, la persona offesa chiudeva la porta d'ingresso dell'abitazione lasciando inavvertitamente le chiavi nella toppa e si appisolava di nuovo. Il (...) si risvegliava verso le 21:00 e si sporgeva dalla finestra per fumare una sigaretta: a quel punto notava (...) e i fratelli (...) che dall'esterno, in strada, inveivano verso di lui, chiedendogli di aprire la porta. Secondo la versione fornita dal teste, che non udiva le ulteriori chiamate poiché disattivava involontariamente la suoneria del cellulare, la donna riteneva che costui l'avesse chiusa fuori casa volontariamente e, pertanto, era molto adirata. A quel punto il (...) faceva entrare la moglie e i cognati, dando inizio ad una accesa discussione. Dopo un certo tempo (...) si ritirava momentaneamente nella propria camera da letto al piano di sopra, e la discussione proseguiva con (...) il quale si avvicinava e urlava in faccia al (...). Quest'ultimo, d'istinto, gli dava una forte spinta che lo faceva cadere sul divano: a quel punto (...), rialzatosi in piedi, gli sferrava diversi pugni prima sul naso e poi sulla testa. Il (...), allora, per sottrarsi all'aggressione, usciva di corsa dalla porta principale, chiamava i Carabinieri e si recava presso la vicina abitazione dei genitori, sita al civico n. 27 di via P. trattandosi di una bifamiliare. Dopodiché, accompagnato dal padre e dalla madre, ai quali spiegava l'accaduto, la persona offesa rientrava in casa per recuperare le ciabatte che aveva dimenticato in cucina: giunto nell'ingresso, il (...) notava (...), nel frattempo sceso al piano terra, brandire in aria una bottiglia di whisky in vetro e minacciarlo di spaccargliela in testa. L'imputato faceva uscire dall'edificio la p.o. spintonandola con il petto. A quel punto entrambi gli due imputati e il (...) si trovavano all'esterno dell'abitazione, continuando a discutere animatamente e, allora, la p.o. contattava una seconda volta i Carabinieri: improvvisamente (...) rivolgeva alla persona una frase (che il teste non ricordava) e gli sferrava un forte pugno alla parte sinistra del volto, all'altezza della mandibola, della tempia e dell'orecchio, facendolo barcollare. All'episodio erano presenti, oltre agli imputati e a (...), anche i genitori del (...). A quel punto, verso le 21.30, giungevano i Carabinieri e alle successive 22.30 la persona offesa, accompagnata dal padre, si recava al P.S. dell'ospedale di Schiavonia (PD) dove venivano diagnosticate "percosse al volto e alla testa" con prognosi di 5 giorni. Dopo la dimissione il (...), per paura, passava la notte dai genitori e il mattino successivo tornava alla propria abitazione per lavarsi e cambiarsi: qui (...) nel corso di una nuova discussione dapprima afferrava il (...) per una caviglia e lo attirava a sé, quindi gli faceva pressione con un dito sugli ematomi rivolgendogli una frase del tipo "mio fratello ti ha picchiato, io ti distruggo". Persistendo il dolore al volto, il 23.04.2018 il (...) si recava dal medico il quale gli prescriveva una visita radiologica che rilevava "deformità del pavimento dell'orbita di sinistra, in probabile recente frattura, con associata maggior ampiezza della sutura fronto zigomatica. Sfumata velatura del seno mascellare omolaterale. Non significative deformità delle ossa proprie del naso". Al (...) venivano prescritte ulteriori visite eseguite presso il P.S. di Rovigo il 24.04.2022, all'esito delle quali veniva diagnosticata una frattura del complesso orbito-malare- zigomatico sinistro. Precisamente, il referto di visita radiologica del 24.04.2018 evidenziava "A sinistra: - Frattura scomposta della parete anteriore del seno mascellare sinistro. - Frattura in più punti, anche scomposta, della parete laterale del seno mascellare. - Frattura composta del tetto del seno mascellare, estesa alla base dell'orbita. - Frattura in più punti dell'osso zigosomatico estesa posteriormente al temporale. Materiale ipodenso occupa la maggior parte dei seni paranasali, anche con alcuni coefficienti gassosi contestuali". Il 25.04.2018 (...) subiva un intervento chirurgico maxillo-facciale con applicazione di placche di titanio sulle zone interessate e veniva dimesso il giorno successivo: sono agli atti gli autoscatti effettuati dalla persona offesa immediatamente dopo l'intervento chirurgico, dai quali si notano le ecchimosi e gli ematomi provocati dall'aggressione. Dopo l'episodio descritto, il (...) si trasferiva a dormire presso i genitori per quasi un anno a causa della paura per la presenza degli imputati fra le mura domestiche. A seguito dell'aggressione subita, il (...) rimaneva assente da lavoro per un periodo complessivo di "45-46 giorni" e per un certo tempo poteva alimentarsi solamente con omogeneizzati e cibi liquidi. Inoltre, a causa dello stress generato dall'episodio, la persona offesa lamentava disturbi del sonno e intraprendeva un percorso di sostegno psichiatrico, con prescrizione di ansiolitici e antidepressivi per un periodo di 2/3 mesi: venivano prodotte tre ricette mediche a firma dello psichiatra, dott. (...), rispettivamente datate 23.05.2018, 18.06.2018 e 18.07.2018 con prescrizione di psicofarmaci. Il teste aggiungeva anche che nel periodo in cui si verificava l'episodio i rapporti con (...) non erano positivi in quanto egli ne lamentava la presenza costante fra le mura domestiche, aggiungendo che l'imputato viveva presso di lui da 5-6 anni senza versargli alcunché a titolo di contributo alle spese. Il (...), infine, negava recisamente di aver colpito o spintonato l'ex moglie in occasione del litigio generatosi. Capo b): l'episodio del 16.05.2018. Nonostante in ordine al reato di percosse di cui al capo b) si debba emettere una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato dovuta a remissione di querela, si ritiene opportuno riportare brevemente i fatti accaduti nella giornata del 18.5.2018 anche al fine di evidenziare la credibilità della persona offesa le cui dichiarazioni venivano confermate dai testi escussi. Il 16.05.2018, alle ore 19:00 circa, la persona offesa camminava a Stanghella (PD); in quel frangente veniva avvicinato da un'auto con a bordo (...) (alla guida) e (...) (passeggero), i quali, dopo aver accelerato diverse volte a vuoto con fare intimidatorio, abbassavano il finestrino e dall'abitacolo lo chiamavano con tono arrogante. Il (...) si allontanava rapidamente verso la vicina "(...)" e a quel punto (...), abbandonata la vettura, lo inseguiva a piedi urlandogli in lingua spagnola frasi minacciose e ingiuriose del tipo "figlio di puttana, ti uccido". (...) afferrava la maniglia della porta della locanda suonando il campanello e bussando per chiedere aiuto mentre il (...), raggiuntolo, lo afferrava per il collo e lo strattonava. A quel punto usciva dalla porta il titolare della locanda e il (...) si allontanava. (...), entrato nel locale, contattava i Carabinieri: a seguito dell'episodio la persona offesa decideva di non farsi refertare. (...) si allontanava definitivamente dalla casa del (...) il giorno successivo al 16.05.2018. 2) I riscontri testimoniali. (...) (madre della persona offesa) confermava nella sostanza la ricostruzione dei fatti offerta dal figlio: ella riferiva che il 21.04.2018 (...) entrava nella sua abitazione di via P. n. 27 a piedi nudi e in stato di agitazione, perdendo sangue dal naso e riferendole di essere stato picchiato da (...) dentro casa. I genitori lo accompagnavano a recuperare le calzature ma dall'abitazione uscivano i tre fratelli (...) ((...), (...) e (...)): dapprima (...) spingeva verso l'esterno A.M.; poi, in strada, (...) gli sferrava un forte pugno sulla tempia sinistra, facendolo barcollare. La teste confermava che, a seguito dell'aggressione subita, il figlio doveva sottoporsi ad una operazione chirurgica complessa dopo la quale rimaneva assente dal lavoro per 45 giorni. Ella aggiungeva che (...) si rivolgeva ad uno psicologo e, per paura, rimaneva a dormire presso i genitori per molto tempo ("quasi un anno"). (...) (padre della persona offesa) nelle s.i.t. rese in data 28.05.2018 (ed acquisite al dibattimento ex art. 512 c.p.p.) confermava quanto riferito dalla teste (...) in udienza, precisando che vedeva (...) brandire una bottiglia di vetro e spingere - assieme al fratello e alla sorella - fuori della porta (...). (...) confermava anche che, subito dopo essere usciti in strada, (...) sferrava un "forte pugno al volto" al figlio, il quale "per un attimo barcollava". Il Car. (...) (in servizio presso il N.O.R.M. dei Carabinieri di Este-PD) interveniva presso l'abitazione sita in via P. n. 25 a S. (P.) dopo la richiesta della persona offesa in data 21.4.2018. I militari, dopo aver rinvenuto (...) e i genitori in strada, facevano ingresso nella casa e identificavano i tre fratelli (...). Il Mar. (...) (in servizio presso i Carabinieri di Lendinara-RO) interveniva a seguito dell'episodio del 16.05.2021 presso la Locanda "Al Borgo" di Stanghella (PD) su richiesta del (...); all'interno del locale rinveniva il proprietario S.G. e la persona offesa che presentava delle visibili lesioni pregresse (ematomi in riassorbimento) ma non ferite derivanti da lesioni recenti. Nell'occasione il (...), visibilmente scosso, chiedeva ai militari di riaccompagnarlo a casa per paura di incontrare nuovamente i (...). L'imputato (...) rendeva spontanee dichiarazioni affermando confusamente che l'intera vicenda originava da un "malinteso" legato a problematiche connesse con il divorzio fra la sorella (...) e il (...). 3) La responsabilità penale di (...). Il Capo a) dell'imputazione. All'esito dell'istruttoria espletata, (...) va mandato assolto per non aver commesso il fatto in relazione al reato di cui agli artt. 582, 583 co. 1 n. 1 c.p., lui ascritto al capo a) dell'imputazione. L'intera vicenda traeva origine da una discussione i cui protagonisti assumevano, alcune ore prima, una considerevole quantità di bevande alcoliche, con la conseguenza che gli animi si scaldavano rapidamente. Durante la sua deposizione, la persona offesa offriva una ricostruzione dei fatti nella sostanza lineare e coerente, che veniva confermata dai testi escussi, nonché dagli atti acquisiti e dalla documentazione prodotta. Il dibattimento consentiva di accertare che (...), durante la prima fase della colluttazione (avvenuta nella cucina al piano terra della casa del (...)) si trovava al piano di sopra, all'interno della propria camera da letto: egli non partecipava in alcun modo a tale momento dell'alterco. Le emergenze dibattimentali hanno chiarito che (...) partecipava solamente alla seconda fase della discussione (quella che si originava quando il (...), accompagnato dai propri genitori, tornava presso la propria abitazione e veniva respinto in strada dai Murcia). Durante tale seconda fase, (...) (come riferito dalla persona offesa e confermato dalla madre (...) e dal padre (...)) si limitava dapprima ad inveire contro il (...) brandendo una bottiglia di whisky vuota e, in un secondo momento, a rivolgergli degli spintoni con il petto per mandarlo fuori da casa, senza mai percuoterlo. Secondo lo stesso (...), "J. ((...)) non mi ha dato i pugni, però mi spingeva con il petto e mi insultava". Nessun altro teste addebitava la violenza subita dal (...) a (...): né la (...), la quale precisava più volte che il pugno era sferrato dal "fratello di (...)"; né (...), che a s.i.t. riferiva chiaramente: "(...) sferrava un forte pugno al volto di mio figlio". Per tali ragioni (...) va mandato assolto dal reato a lui ascritto al Capo a) dell'imputazione per non aver commesso il fatto. Il Capo b) dell'imputazione. Al (...) veniva contestato altresì di aver percosso (...) il 16.05.2018: in relazione a tale imputazione, il 7.02.2022 veniva depositato atto di remissione di querela e contestuale revoca della costituzione di parte civile. Pertanto, va pronunciata nei confronti dell'imputato sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato dovuta ad intervenuta remissione di querela. A mente dell'art. 340 co. 4 c.p.p., le spese del procedimento penale vanno poste a carico del querelato. 4) La responsabilità penale di (...). All'esito del dibattimento va dichiarata la penale responsabilità di (...) in relazione al reato di cui all'art. 582 e 583 co. 1 n. 1) c.p. Va ribadito che la fattispecie contestata, nonostante le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2022 al reato di lesioni, rimane procedibile d'ufficio allorché le lesioni personali conducano ad una malattia di durata superiore ai 40 giorni come accertato nel caso di specie, in considerazione sia di quanto riferito dai testi escussi, sia dei certificati medici prodotti. Pertanto, a nulla rileva l'atto di remissione della querela presentato dalla p.o. Il dibattimento ha consentito di accertare che il 21.04.2019 (...) (e non anche il fratello (...)), nel corso della prima fase della discussione ingeneratasi nella cucina dell'abitazione di via P. n. 25, sferrava diversi colpi alla testa e al viso della persona offesa. Successivamente, nella seconda fase della colluttazione avvenuta in strada poco dopo, (...) sferrava sulla tempia sinistra di (...) un forte pugno che lo faceva barcollare: la circostanza veniva precisamente confermata dai testi oculari (...) e (...), della cui genuinità non si ha motivo di dubitare. L'istruttoria non ha consentito di accertare un concorso morale fra (...) e (...): non risulta dimostrato, infatti, un apporto causale né materiale né morale del primo sull'azione violenta perpetrata dal secondo. Il pugno sferrato da (...) provocava in (...) serie conseguenze, come confermato sia dai testi escussi sia dalla documentazione medica acquisita al dibattimento: a seguito di plurime visite di accertamento (chirurgica maxillo-facciale, radiologica e oculistica) il personale medico accertava numerose fratture, anche scomposte, nella parte sinistra del volto della persona offesa e decideva di procedere immediatamente all'intervento di chirurgia maxillo-facciale, che comportava l'applicazione di placche in titanio e l'impossibilità di ingerire cibi solidi per diverso tempo e rimaneva clinicamente malato per oltre 40 giorni, così come riferito dalla p.o. e dalla madre T.. Inoltre, (...) subiva conseguenze anche sul piano psicologico: egli, per paura, rimaneva a dormire dai genitori per quasi un anno, lamentava stress, ansia, disturbi del sonno che lo inducevano a rivolgersi ad uno psichiatra il quale gli prescriveva ansiolitici e antidepressivi sino al luglio del 2018. Sul punto vale ricordare che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, nel concetto di lesioni rientrano pacificamente gli ematomi (cfr. Cass. Pen. Sez. V, n. 2081/2009), le ecchimosi (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, n. 10986/2011) e le fratture (cfr. Cass. Pen. Sez. V, n. 27986 del 05.02.2013 ud., dep. 26.06.2013, Rv. 256357-01) del tipo di quelle inferte al (...) da (...). L'elemento materiale del reato di cui agli artt. 582 e 583 co. 1 n. 1) appare, pertanto, pienamente integrato. Anche l'elemento soggettivo del delitto di lesioni appare sussistente: esso consiste nel dolo generico, ovvero "nella consapevolezza che la propria azione provochi o possa provocare danni fisici alla vittima; non occorre, al contrario, che la volontà dell'agente sia diretta alla produzione di determinate conseguenze lesive" (cfr. Cass. Pen. Sez. V, n. 17985/2009). 5) Il trattamento sanzionato rio. Affermata la responsabilità penale di (...) per il reato di cui al Capo a) dell'imputazione (il cui nominativo indicato erroneamente nel dispositivo come "(...)" viene corretto come da provvedimento indicato in calce alla presente sentenza), egli va condannato ad una pena determinata come segue. Vanno applicate all'imputato le circostanze attenuanti generiche in considerazione sia della remissione di querela depositata dal (...) (che evidenziava l'intervenuta cessazione del conflitto fra autore del reato e vittima) sia della scarsa intensità del dolo che caratterizzava l'azione del prevenuto, originatasi in modo estemporaneo in un contesto di alterazione alcolica da parte di tutti i soggetti coinvolti nella lite. Non si ritiene di applicare l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 poiché non è risultato in alcun modo provato lo stato d'ira dell'imputato cagionato da "un fatto ingiusto altrui". Tali circostanze vanno considerate equivalenti all'aggravante contestata di cui all'art. 583 co. 1 n. 1) c.p. e non ad essa prevalenti poiché, comunque, l'azione criminosa dell'imputato si inseriva in un climax di violenza caratterizzato da previ spintoni e pugni, terminando con la condotta di cui al capo a). In considerazione di tutti i criteri previsti dall'art. 133 c.p., appare equa una pena definitivamente determinata in anni uno di reclusione, superiore al minimo edittale in considerazione delle gravi sofferenze dalla persona offesa che si sottoponeva ad una operazione di ricostruzione maxillo-facciale (che comportava l'inserimento in via permanente di placche in titanio all'interno del volto) e che, inoltre, affrontava un percorso di cura psichiatrica per riprendersi dal trauma psicologico altresì subito. La biografia penale dell'imputato, non gravato da precedenti condanne, unitamente alla considerazione che il medesimo si asterrà, per il futuro, dalla commissione di ulteriori reati in considerazione dell'effetto deterrente della presente sentenza e della rescissione dei rapporti con la p.o., consente la concessione della sospensione condizionale della pena. Dalla determinazione di penale responsabilità consegue la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Visti gli art. 530 comma 2 e 531 c.p.p., assolve (...) in ordine al capo a) dell'imputazione per non aver commesso il fatto e dichiara non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo b) per estinzione del reato dovuta ad intervenuta remissione di querela. Spese del procedimento a carico del querelato. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato a lui ascritto al capo a) dell'imputazione e per l'effetto, concesse le circostanze attenuanti generiche in giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, lo condanna alla pena di anni 1 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Motivazione in giorni 80. P.Q.M. Visto l'art. 130 c.p.p., DISPONE la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della presente sentenza, nel senso che le parole "(...)" vengano sostituite dalle parole "(...)". Si comunichi al (...), all'interessato e al difensore. Così deciso in Rovigo il 17 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO SEZIONE PENALE SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Sara ZEN ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato a P. (F.) il (...) residente in O. (R.), via (...) n. 19, con domicilio dichiarato in O. (R.) via S. n. 73 libero - non comparso IMPUTATO Come da foglio allegato. delitto p. e p. dall'art. 582 co. 1 c.p., perché, afferrandola per i capelli, colpendola al volto, facendola rovinare a terra, proseguendo nell'azione con calci al fianco destro, cagionava volontariamente a (...) lesioni personali consistite in: "frattura del seno mascellare dx con disallineamento a livello della parete laterale dell'orbita dx", giudicate guaribili in gg. 40. Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dott.ssa Ma.Im. (v.p.o. delegato) Difensore di fiducia Avv. Ro.Bu. del Foro di Ferrara, presente (...) (...) nata a (...) il (...) e residente in (...) - P., via P. 25/27, non comparsa Difensore di fiducia: Avv. En.Se. del Foro di Ferrara, presente SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposta la citazione diretta a giudizio di (...) per rispondere del reato di cui in rubrica, all'udienza del 17.01.2021, presente l'imputato assistito da difensore fiduciario, la persona offesa (...) si costituiva parte civile. Venivano ammesse le prove così come richieste dalle parti e veniva dichiarato aperto il dibattimento. All'udienza del 19.10.2021veniva escussa la teste (...) (p.c.) e il (...) produceva documentazione (verbale di (...) del 25.09.2019). L'udienza del 21.02.2022 veniva rinviata per legittimo impedimento del difensore dell'imputato. All'udienza del 30.05.2022 veniva escusso il teste d'accusa (...) e il (...) produceva documentazione (informativa di (...) del 25.09.2019). All'udienza del 7.11.2022, non comparso l'imputato, venivano escussi il teste d'accusa (...) e il teste a difesa (...). Il difensore dell'imputato produceva documentazione (screenshot di conversazioni whatsapp e fotografie). All'udienza del 16.01.2023 l'imputato rendeva il proprio esame e venivano escussi i consulenti tecnici della parte civile dott.ssa (...) e della difesa dott. (...), che depositavano i rispettivi elaborati tecnici. La difesa dell'imputato produceva documentazione (verbali di (...) in data 11.10.2019 e 14.10.2019, screenshot di conversazioni whatsapp e documentazione fotografica). Dichiarato chiuso il dibattimento e utilizzabili gli atti acquisiti, le parti concludevano come da verbale e si disponeva breve rinvio per repliche. All'udienza del 31.01.2023, in assenza di repliche, veniva pronunciata la presente sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito dell'istruttoria espletata l'imputato va dichiarato responsabile del reato ascrittogli. La vicenda di cui al presente procedimento può essere sintetizzata sulla base della deposizione resa dalla persona offesa (che il 26.09.2019 sporgeva querela), nonché dai testi oculari intervenuti immediatamente dopo il fatto (...) e (...) e dalla documentazione medica acquisita. - La deposizione della persona offesa (...). All'udienza del 19.10.2021 la p.o. illustrava la dinamica dei fatti avvenuti la sera tra il 24 e il 25.9.2019, premettendo che tra il 2016 e il 2019 aveva intrattenuto una relazione sentimentale con l'odierno imputato (...) con il quale condivideva altresì la gestione di un bar ad O. (R.). La teste riferiva di aver scoperto, proprio nel settembre 2019, che il compagno frequentava ancora l'ex moglie e si incontrava con alcune escort durante le trasferte di lavoro e, pertanto, interrompeva la convivenza e si trasferiva in un appartamento sito nel medesimo Comune in via Roma n. 67, a circa 600 metri di distanza dal proprio bar (che continuava a gestire in autonomia). Il 24.09.2019, alle ore 19:30 circa, il (...) si recava presso il locale per consumare un aperitivo come era sua abitudine, e intratteneva una "conversazione normale" con la (...) per poi allontanarsi verso le ore 21:00. Alcune ore dopo, alle 24:00-00:30 circa, mentre la (...) stava per chiudere il bar, l'imputato vi faceva ingresso, visibilmente alterato (secondo la teste, "non lucido e fuori di sé (...) era un'altra persona") ed iniziava a "urlare e fare delle scenate". Precisamente, mentre nel locale erano ancora presenti due clienti, il (...) urlava alla persona offesa frasi del tipo "ti aspetto fuori" e "adesso quando esci poi ci mettiamo a posto, non è finita qua", "poi vedrai, poi vedrai. A ferma richiesta della (...) l'imputato se ne andava: secondo la teste tale comportamento era dovuto alla delusione per la fine della relazione. La donna, chiuso il bar, si avviava a piedi verso il proprio appartamento sito al primo piano di un caseggiato, raggiungibile da una scalinata posta accanto al retro di un bar gestito da un cittadino cinese (veniva prodotta la foto delle scale che conducevano all'ingresso della casa). La (...), mentre si trovava davanti alla propria abitazione, notava giungere a velocità sostenuta l'auto condotta dal (...), il quale la parcheggiava al lato della strada e dopodichè smontava velocemente e si avvicinava a lei (la (...) nel corso del tragitto non si rendeva conto di essere seguita). Immaginando che l'uomo volesse continuare la discussione iniziata alcune ore prima nel locale, la teste attraversava la strada e si spostava dal lato del parco pubblico posto di fronte alla propria abitazione, a circa 4-5 metri dall'ingresso, al fine di impedire che il proprio figlio minore (...) (di anni 16 all'epoca dei fatti), presente in casa, potesse udire l'eventuale litigio. Nel corso della discussione il (...), dopo avere inveito verso l'ex compagna, le strattonava un braccio e la donna si allontanava sedendosi su una panchina lì vicina. A quel punto l'imputato le si avvicinava nuovamente, l'afferrava per il collo e la spingeva all'indietro verso terra: la donna, al fine di divincolarsi e difendersi, colpiva il (...) al viso dapprima con la borsa che teneva in mano, e poi con uno schiaffo. Secondo la teste, dopo il colpo il (...) non presentava alcun segno di sangue sul viso. Dopodiché la persona offesa attraversava nuovamente la strada per fare ingresso in casa, rimanendo giù dalle scale. A quel punto il (...) la prendeva "da dietro" con la mano sinistra afferrandola per i capelli raccolti in una coda di cavallo e la girava verso di sé, per poi darle tre pugni in faccia: la donna cadeva a terra e perdeva per un breve momento conoscenza. Mentre si trovava a terra, f imputato le sferrava anche due calci, uno alle costole, l'altro alle gambe. La teste notava in quel momento il proprio figlio che, sceso in strada, vedendo la scena contattava telefonicamente il 118. La (...) aggiungeva che, mentre si trovava a terra, (...) interveniva cercando di placare il (...), e si avvicinava anche il gestore del vicino bar di nazionalità cinese che in quel momento stava chiudendo il suo locale. L'imputato si calmava dopo l'arrivo del personale medico, che a sua volta contattava i Carabinieri. La (...) veniva condotta mediante autolettiga al vicino Pronto Soccorso di Rovigo dove le veniva diagnosticata una "frattura massiccio facciale post-traumatica per aggressione" con prognosi di giorni 40. L'informativa all'Autorità Giudiziaria datata 25.09.2019 a firma del dott. W. indicava "frattura del seno mascellare dx con disallineamento a livello della parete laterale dell'orbita dx", e confermava la prognosi provvisoria di 40 giorni. La (...) si assentava dal lavoro fino al successivo mese di febbraio 2020 e subiva un intervento chirurgico a seguito del quale le venivano poste "due placche in titanio allo zigomo destro e una placca in titanio nell'arcata sopraccigliare"; la donna aggiungeva che a causa delle riferite protesi anche nel momento dell'escussione (ottobre 2021) aveva difficoltà a stare davanti ai fornelli per cucinare, provava fastidio nel percepire i rumori e alterazioni nella percezione del freddo e del caldo. La persona offesa riferiva che già in altre occasioni era stata picchiata dal (...) nel 2019, ma mai con la violenza che aveva caratterizzato l'episodio del 24.09.2019, limitandosi l'imputato a qualche "spintone" e "sberlone". La persona offesa aggiungeva anche che, dopo l'evento del 24.09.2019, il (...) le mandava dei messaggi e la pedinava, tanto che ella era stata costretta a contattare i Carabinieri. - I riscontri testimoniali. (...) (figlio della persona offesa) riferiva che il 24.09.2019, a mezzanotte circa, si trovava sul divano di casa in attesa che la madre rientrasse dal lavoro. Improvvisamente, udiva furio della donna che chiedeva aiuto e si precipitava all'esterno, dove notava la (...) accasciata per terra, distesa sulla schiena con la faccia inclinata da un lato, e l'imputato sopra di lei come a trattenerla, tirandola all'altezza del petto con le mani sulla maglietta. Mentre la (...), notato l'arrivo del ragazzo, gli chiedeva di chiamare l'ambulanza perché non riusciva a "muovere la faccia", il (...) si rivolgeva al minore chiedendogli di aiutarlo ad alzare da terra la madre e condurla alla propria auto, ancora parcheggiata con il motore acceso davanti al portone del cancello dell'abitazione, a circa 5 metri di distanza. Sul punto il teste precisava che il (...) cercava un aiuto per poter caricare la donna in auto e non per prestarle il dovuto soccorso stante le lesioni subite. Subito dopo, l'imputato strattonava il (...) per la mano dicendogli "ora vieni con me". Il ragazzo allontanava subito il (...) dal corpo della madre e contattava i soccorsi al numero di emergenza "118" con il cellulare della (...), rinvenuto all'interno della sua borsa, mentre l'imputato continuava a strattonarlo e cercava di avvicinarsi alla donna prendendola per gli abiti. Mentre il ragazzo era impegnato al telefono, il (...) si avvicinava nuovamente alla donna e la colpiva al volto dandole schiaffi e pugni sul viso. Appena il (...) notava la circostanza, si precipitava nuovamente ad allontanare l'imputato dal corpo della madre: secondo le parole del teste, "mentre stavo chiamando l'ambulanza (...) mi sono girato e c'era lui che la colpiva al volto ancora". Subito dopo aver terminato la telefonata al "118", due amici del (...) - appena giunti - trattenevano ancora l'imputato mentre il giovane, che aveva nuovamente separato il (...) dalla madre spintonandolo, tornava momentaneamente nell'appartamento per prendere un cuscino da mettere sotto la testa della madre. Usando le parole del teste "quando l'ho separato, ho picchiato anche il (...) ... cioè picchiato nel senso l'ho spintonato e attaccato al garage per dividerlo". Su contestazione della difesa, il (...) precisava di aver riferito questa specifica circostanza nell'ambito della seconda occasione in cui veniva sentito a s.i.t. (ovvero il 2.10.2019 e non anche il 25.09.2019) poiché nel primo caso, trovandosi in stato di shock, non era riuscito a ricostruire limpidamente la dinamica degli eventi. Il teste aggiungeva che, nel momento in cui scendeva in strada, osservava parte della scena anche un soggetto cinese, gestore del bar situato al piano terra del caseggiato di cui faceva parte l'appartamento della (...), il quale, poi, faceva rientro all'interno del proprio locale. Il (...) ricordava infine che, nel gennaio 2019, durante un litigio aveva dovuto prestare soccorso alla madre poiché il (...) le stava tirando i capelli. (...) (all'epoca gestore del bar situato sotto l'abitazione della F.) riferiva che il 24.09.2019, verso la mezzanotte, mentre era all'esterno del proprio locale intento a chiudere il relativo cancello, dapprima notava di fronte alla strada, all'interno di un parco pubblico, un uomo e una donna che litigavano fra loro (immediatamente il teste riconosceva la donna per essere (...)): costei, dopo aver subito uno spintone da parte dell'uomo, cadeva a terra. Quindi il teste notava la (...), rialzatasi, passargli molto vicino (ad uno-due metri di distanza) e dirigersi verso l'accesso alle scale che conducono alla sua abitazione, e a quel punto il teste iniziava ad allontanarsi dal bar. Giunto a circa 20 metri di distanza dal locale, (...) udiva altre urla provenire dal retro del locale: tornato sui suoi passi, notava la (...) distesa a terra che gridava aiuto e che perdeva un po' di sangue dalla bocca. (...) si avvicinava alla donna e cercava di frapporsi fra questa e l'imputato (che riferiva di non conoscere e di non avere mai visto): in quel frangente, notava anche il figlio della persona offesa che scendeva dall'appartamento per soccorrere la madre. Il teste precisava che, dopo essere tomato indietro e aver visto la p.o. distesa, notava che l'uomo appariva alterato mentre la donna continuava a piangere, e, stando all'odore alcolico che emanava, appariva fortemente "ubriaco". Il teste aggiungeva di essersi allontanato subito dopo aver visto giungere il figlio della persona offesa. - La versione resa dall'imputato e dal teste a difesa L'imputato offriva una ricostruzione dei fatti completamente differente rispetto a quella offerta dalla persona offesa e dai testi oculari, la quale, si premette fin d'ora, non appare per nulla convincente. Il (...) riferiva che al momento dei fatti la relazione con la (...) non era ancora terminata e che, la sera del 24.09.2019, iniziava una discussione mentre i due si trovavano nel parchetto antistante l'appartamento della persona offesa. Il diverbio proseguiva anche mentre il (...) e la (...) salivano le scale che conducevano all'ingresso dell'appartamento della donna. L'imputato affermava che, quando i due, nel percorrere la strada, si trovavano all'altezza del sesto-settimo gradino della scala ("dove c'è l 'ombra", nella foto prodotta agli atti e sottoposta all'imputato), la (...) gli tirava un pugno in faccia a seguito del quale ella si sbilanciava e, perdendo l'equilibrio, si aggrappava all'uomo trascinandolo verso il basso. Di conseguenza i due ruzzolavano entrambi dalle scale: il (...) si ritrovava a cadere sopra all'ex compagna, che si sarebbe procurata in tal modo le ferite al volto. Secondo l'imputato, infatti le lesioni al viso derivavano dal colpo inferto inavvertitamente al viso con la propria spalla. Immediatamente dopo questa caduta, usciva dall'appartamento (...) a cui l'imputato, resosi conto che la donna si era seriamente ferita, chiedeva aiuto per prestare soccorso. Poco dopo, inoltre, interveniva un "ragazzo cinese" che tentava di dividerlo dalla (...) (nella prospettiva dell'imputato questi non aveva compreso che il (...) intendeva solo aiutare la donna, non infierire su di lei). Secondo l'imputato, il G., dopo aver parlato con la madre, avrebbe cominciato a picchiarlo "brutalmente" spaccandogli il setto nasale e alcuni denti dell'arcata inferiore: il 11.10.2019 l'imputato si recava al (...) di Rovigo dove gli veniva diagnosticato "trauma facciale con frattura ossa nasali proprie" con prognosi di giorni 15: per tali lesioni l'imputato sporgeva denuncia-querela nei confronti del G., precisando di essersi recato in ospedale solo due settimane dopo il fatto perché non voleva dare inizio ad un procedimento penale nei confronti del ragazzo. Dopo l'aggressione di (...) - affermava il (...) giungevano anche il padre e gli amici del ragazzo, che lo calmavano, oltre all'ambulanza e a due pattuglie dei Carabinieri. L'imputato negava recisamente di aver mai scagliato dei pugni al volto della (...), come invece riferito dal teste G.. Il (...) affermava inoltre che dopo l'episodio i rapporti con la (...) continuavano normalmente: secondo le sue parole, "era come se non fosse successo niente, noi eravamo ancora insieme, ci frequentavamo... siamo andati al mare, in camper, siamo andati in montagna", Risultava effettivamente che nel mese di novembre 2019 (dunque, poco dopo il fatto) imputato e persona offesa comunicassero fra loro a mezzo whatsapp. Ciononostante, nel novembre 2019, del tutto inaspettatamente, riceveva notifica di un ammonimento e veniva a conoscenza della denuncia sporta nei suoi confronti. L'imputato aggiungeva che la donna era molto gelosa della sua ex moglie, chiamandolo con gli appellativi di "puttaniere, bastardo" e minacciandolo con frasi dei tipo "mando te e i tuoi figli sotto un ponte se continui ad andare a casa della tua ex moglie". L'uomo aggiungeva che la (...) in taluni casi commetteva anche degli atti di violenza nei suoi confronti (ad esempio, in un'occasione gli morsicava la mano) e negava di essere stato a sua volta aggressivo nei confronti della donna. Dal punto di vista dei rapporti economici, l'imputato asseriva che la (...) era molto attaccata al denaro e che, nonostante egli condividesse l'attività di gestione del bar con la donna, non ne traeva alcun guadagno poiché ella sottraeva quotidianamente le somme presenti in cassa. Il (...) aggiungeva di aver perso, per gli stessi motivi, una somma di 8-9.000 euro anticipata a titolo di investimento finalizzato all'acquisto di materiale da cucina per il locale. Infine, l'imputato riferiva di aver perpetrato il 14.10.2019, circa due settimane dopo il fatto, un'azione dimostrativa per attirare l'attenzione della F.: mentre questa passeggiava a piedi lungo l'argine del fiume Po a Occhiobello (RO), egli avrebbe "camminato" sulla sponda del Po, senza immergervisi. Risultava dal verbale del (...) di Rovigo, dove il (...) veniva condotto in autolettiga a seguito dell'intervento del personale sanitario e di P.G., che egli avesse effettuato un "gesto dimostrativo dopo alterco con fidanzata". Secondo l'esame obiettivo del personale sanitario, "in ps tranquillo riferisce di nn aver mai voluto suicidarsi, ma solo azione dimostrativa rifiuta ecg ed esami ematochimici" (al riguardo, l'imputato ammetteva di aver fatto "una cavolata"). (...) (padre dell'imputato) riferiva di aver visto, la notte fra il 24 e il 25 settembre 2019, il figlio rientrare a casa con il volto tumefatto: veniva prodotto lo screenshot in cui risultava una fotografia scattata il 25.09.2019 alle ore 01:27 ritraente il volto dell'imputato con una evidente ferita sul setto nasale, dalla quale sgorgava del sangue. Secondo quanto riportato dal teste, il figlio si era recato presso il Pronto Soccorso solo alcuni giorni dopo poiché il dolore al naso continuava a persistere, unitamente al dolore ai denti e alla mascella: a causa di tale ritardo egli veniva perciò biasimato dal padre. (...), inoltre, precisava che la (...) aveva dei debiti nei suoi confronti. In particolare, il teste riferiva che la donna e il (...) (che all'epoca dei fatti si trovava senza lavoro da qualche mese) avevano chiesto un finanziamento di Euro 8.000 per iniziare l'attività del bar e lui li aiutava economicamente, corrispondendo le relative rate, le bollette delle utenze e pagando i fornitori. Inoltre, (...) aiutava la donna a pagare il conto della carrozzeria dopo un incidente d'auto occorso alla (...) e, talvolta, le elargiva anche piccole somme (circa 70-100 euro) per rimpinguare i soldi della cassa del bar che la donna intascava quotidianamente alla chiusura dell'esercizio. Venivano prodotti alcuni messaggi whatsapp risalenti al 29 luglio - 6 settembre 2019 (periodo in cui la relazione sentimentale era ancora in essere) intercorrenti fra (...) e (...) in cui i due discutevano dei reciproci rapporti di credito-debito fra le parti. Il teste aggiungeva che, dopo i fatti per cui è processo, la (...) aveva rivolto a lui, all'imputato e alla sua ex moglie messaggi vocali ricolmi di offese e bestemmie ((...) aggiungeva infine che anche in un'altra occasione durante una colluttazione scaturita da un litigio la (...) aveva morso il naso al compagno). - Le consulenze tecniche espletate. La Dott.ssa (...) (Consulente della parte civile) il 21.01.2021 visitava (...), la quale riferiva "dolore all'emivolto destro ed emicrania in corrispondenza della branca trigeminale oftalmica (...) in corrispondenza di comportamenti baroclimatici e quando si trova in ambienti freddi o in prossimità di fonti di calore". L'esame obiettivo della paziente consentiva di notare "una lieve asimmetria" alla parte destra del volto, oltre ad una "lieve asimmetria della rima boccale destra rispetto alla sinistra nel gonfiare le guance", con "minore espansione della guancia destra rispetto alla sinistra". Secondo la Consulente, la (...) subiva "dapprima un trauma cranico commotivo, estrinsecatosi prevalentemente in regione orbitaria-zigosomatica destra, e successivamente maxillo-facciale, con insulto traumatico contusivo-fratturativo, produttivo di lesioni occhiomotico-escoriative e lacero-contusive tegumentarie, fratturative maxillo-facciali, secondariamente con insulto traumatico contusivo-distrattivo del soma al suolo". La Consulente, nel ricostruire la dinamica dell'infortunio occorso alla persona offesa, riteneva che "l'energia traumatica diretta sviluppatasi a carico della regione cranio-facciale, secondaria ad applicazione di corpo contundente naturale (pugni) da parte dell'aggressore, era tale da vincere le proprietà resistivo-elastiche del tessuto cutaneo e sottocutaneo orbitario destro, con produzione di vaste aree ecchimotiche peri-orbitarie". Inoltre, "l'energia traumatica sviluppatasi da un colpo inferto in corrispondenza della regione orbitazigomatica destra era tale da vincere anche le proprietà resistivo-elastiche del tavolato osseo sottostante i tessuti tegumentari, fino al determinismo di frattura orbito-molare-zigomatica destra". La Consulente affermava una certa "correlazione cronologica fra l'evento patito nelle prime ore della notte del 25 settembre 2019 e gli esiti documentai", oltre ad una "continuità fenomenica ira quanto obiettivato dai curanti nell'immediatezza del fatto, il percorso clinico-terapeutico-chirurgico e quanto accertato in corso di valutazione medico legale". Infine, secondo la Consulente vi era "una chiara corrispondenza tra le sedi di applicazione della forza traumatica e le sedi anatomiche interessate dal quadro morboso". Le lesioni subite dalla persona offesa comportavano la necessità di un trattamento chirurgico con "posizionamento di mezzi di sintesi permanenti" (placche metalliche) nel viso della (...). Secondo la Consulente, dunque, le lesioni erano perfettamente compatibili con un mezzo contundente arrotondato, come un pugno, e non con una caduta dalle scale, che avrebbe comportato anche lacero contusioni, assenti nel caso di specie. Infatti non erano presenti lesioni in altri distretti corporei che sarebbero stati inevitabilmente coinvolti nel caso di caduta accidentale dalla scala (come le coste): le linee di frattura, infatti, nel caso di specie si presentavano circolari e non perpendicolari. Sulla base di tali considerazioni, la Consulente quantificava il danno biologico permanente subito dalla (...) nella misura del 20-22%, cui andava ad aggiungersi un danno biologico temporaneo assoluto nella misura del 15%, un danno biologico parziale temporaneo al 75% di 20 giorni, un danno biologico parziale temporaneo al 50% di 20 giorni, un danno biologico parziale temporaneo al 25% per 40 giorni. Il dott. (...) (Consulente della difesa) effettuava la propria analisi sulla base della documentazione sanitaria fornita dal legale dell'imputato (verbali di (...) e consulenza oculistica, ma non documentazione relativa all'operazione maxillo-facciale della F.). All'esito di tale analisi il dott. (...) riteneva che "la causalità traumatogenica non poteva essere ricondotta ad un univoco meccanismo quale quello riferito (percosse), ma trovava piena compatibilità anche con una caduta da altezza con impatto violento della emifaccia su ostacolo rigido (scale-suolo), ovvero alla compressione violenta con schiacciamento del distretto cranico per precipitazione e sormontamento da terzi in sproporzione somato-ponderale". Il Consulente specificava inoltre che le lesioni riportate dalla persona offesa non erano riconducibili inequivocabilmente a quanto riportato nell'anamnesi (percosse ed aggressione) ma potevano essere compatibili anche con una caduta, "con ricevimento dell 'emifaccia contro un ostacolo rigido". Il Consulente precisava, in relazione alla possibilità che il trauma fosse stato cagionato dall'imputato mediante alcuni pugni, che "bisogna vedere chi lo dà il pugno", e specificava che, a sua opinion, e vi erano "percentuali di probabilità molto alte, superiori ad un 50%, che il trauma non fosse compatibile con una percossa". All'esito di tali considerazioni il Consulente stabiliva un valore massimo del danno biologico pari al 10%. - La penale responsabilità dell'imputato All'esito dell'istruttoria espletata l'imputato va dichiarato responsabile del reato a lui ascritto. Dai documenti e dalle testimonianze assunte è emerso chiaramente che il (...) e la (...) vivessero un rapporto morboso e problematico: fra i due vi erano sia problemi di natura economica (in cui era coinvolto anche (...), padre dell'imputato), sia una forte gelosia. Uno dei sintomi del malessere della coppia si è manifestato proprio in data 14.10.2019 quando il (...) perpetrava un'azione dimostrativa che conduceva ad un ricovero in (...) per tentato suicidio, poi rivelatosi un falso allarme. Nonostante tale rapporto problematico, la persona offesa (...) ha offerto una ricostruzione dei fatti coerente, lineare e credibile, che veniva confermata da due testi oculari di cui uno totalmente estraneo ai rapporti tra i due, ovvero il gestore del bar di nazionalità cinese (...). Il (...), invece, forniva una versione non corroborata da alcun teste oculare e, anzi, in palese contrasto con quanto riferito dal teste (...). Quest'ultimo, infatti, dichiarava di aver assistito dapprima alla lite svilupparsi nel parchetto antistante, e di aver notato chiaramente il (...) spintonare la (...) che cadeva a terra e che poco dopo si rialzava per raggiungere la sua abitazione. Dopo essere momentaneamente ritornato presso il proprio locale, il (...) udiva gridare aiuto e notava di nuovo la p.o. stesa a terra con il volto sanguinante. Egli accorreva in soccorso della donna (che continuava a piangere) e si sentiva in dovere di aiutarla "fermando" l'uomo che era accanto a lei, poiché quest'ultimo appariva molto ubriaco e aveva già agito in modo violento. Se fosse vera la versione fornita dall'imputato non si comprende come mai né quest'ultimo né la (...) abbiano presentato altre ecchimosi, graffi od escoriazioni in altre parti del corpo dovute alla caduta da 7 gradini (se egli fosse rimasto coinvolto nella caduta dalle scale assieme alla (...), che esercitava con il suo peso una forza idonea a trascinarlo a terra, avrebbe dovuto subire lesioni ulteriori rispetto alla sola ferita al volto cagionata dal (...)); non si comprende come mai la situazione fosse talmente tesa da indurre il teste (...) ad intervenire allontanando l'uomo; non si comprende come mai il (...) abbia effettivamente colpito il (...) per difendere la madre. L'unico teste a difesa, il padre dell'imputato, non era presente ai fatti e si limitava a riferire dei difficili rapporti familiari, aggiungendo che la notte dei fatti il figlio (...) era rientrato con una brutta ferita al volto: circostanza che, oltretutto, non veniva negata dal teste (...). La versione offerta dalla persona offesa, e corroborata dai testi oculari, appare inoltre confermata anche dagli esiti delle consulenze tecniche espletate: la Consulente (...) chiariva che la sintomatologia della (...) non era compatibile con gli esiti rovinosi di una caduta dalle scale, ma con un trauma cagionato da un mezzo contundente arrotondato come un pugno. Il Consulente (...), invece, si limitava ad affermare che, secondo la sua analisi, vi erano buone probabilità (superiori al 50%) che i traumi subiti dalla persona offesa non fossero compatibili con delle percosse: l'ipotesi, tuttavia, non veniva esclusa. Si rileva, inoltre, che il consulente della difesa ha esaminato tra l'altro una documentazione medica parziale, non avendo a disposizione i referti relativi all'operazione maxillo-facciale della (...). Appare dunque provato che il (...) dapprima abbia afferrato per i capelli la (...) e poi l'abbia colpita con un pugno al volto facendola cadere a terra provocando alla persona offesa gravi lesioni, per le quali era necessario ricorrere ad una operazione maxillo-facciale. L'elemento oggettivo del delitto di cui all'art. 582 co. 1 c.p. appare, pertanto, integrato. Parimenti sussistente risulta l'elemento soggettivo del delitto, che richiede il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di colpire taluno con violenza fisica (cfr. ex multis Cass. Pen. sez. V, sent. n. 17985/2009). Si evidenzia sul punto che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, "lo stato di nervosismo e di risentimento" (in cui stando, alle deposizioni offerte, l'imputato si trovava al momento del fatto) "non esclude l'elemento psicologico del reato di lesioni, costituendone, al contrario, uno dei possibili moventi" (cfr. Cass. Pen. Sez. V, 13.02.2017, n. 25936). - Il trattamento sanzionatorio. Non sono emersi dall'istruttoria elementi positivi da valorizzare per l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche a favore dell'imputato, il quale, peraltro, nel corso dell'esame non mostrava alcun tipo di resipiscenza, e, al contrario, tentava infine di offrire una ricostruzione dei fatti improntata alla menzogna. Affermata la sua penale responsabilità, l'imputato va condannato ad una pena che, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., va determinata in anni uno e mesi sei di reclusione: tale pena è superiore rispetto al minimo edittale in ragione delle modalità dell'azione, particolarmente violente; dell'intensità del dolo dato che l'azione si è propagata a più riprese e con più agiti violenti a partire dalla lite nel parchetto davanti all'abitazione: nonché delle gravi lesioni provocate alla vittima, che doveva sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico di ricostruzione maxillo-facciale e che riportava poi delle conseguenze permanenti stante l'inserimento in via definitiva di placche in titanio nel volto. Dalla determinazione di penale responsabilità discende l'obbligo dell'imputato al pagamento delle spese processuali. Sussistendone i presupposti di legge e considerato che i rapporti tra imputato e persona offesa risultano totalmente cessati, si ritiene di poter concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena. - Le statuizioni civili. Le richieste risarcitorie in relazione al danno cagionato alla parte civile costituita, necessitando di ulteriori approfondimenti istruttori, sono da liquidarsi in separato giudizio civile potendo concedersi una provvisionale provvisoriamente esecutiva pari ad Euro 3.000,00 a valori attuali per il danno morale da reato patito dalla (...), che si è vista aggredire in piena notte con notevole veemenza. L'imputato dovrà essere condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile che si liquidano in Euro 2.400,00, così determinate: fase di studio Euro 350,00; la fase introduttiva Euro 380,00; fase istruttoria Euro 790,00 fase decisionale Euro 880,00, per un totale finale pari ad Euro 2.400,00, oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di anni uno e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visti gli artt. 538 ss. c.p.p., Condanna (...) a risarcire il danno cagionato alla parte civile (...), da liquidarsi in separato giudizio, nonché a versare alla stessa una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 3.000,00 a valori attuali. Condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile che si liquidano in Euro 2.400,00 oltre al 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge. Motivazione in giorni 60. Così deciso in Rovigo il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO SEZIONE PENALE SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO (art. 567 c.p.p.) Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Mabel MANCA ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nata il (...) a L. (R.) residente a R. Via G. V., n. 43 libera - assente Assistita e difesa di fiducia dall'Avv. Da.Dr. del Foro di Padova - presente IMPUTATA Come da foglio allegato. Imputata Del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. c.p. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2006 n. 74, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di titolare della ditta "(...) di (...)" con sede legale e domicilio fiscale in L. (R.), al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi dei documenti fiscali di seguito indicati: attestanti operazioni commerciali oggettivamente inesistenti (in quanto le imprese denominate "(...) di (...)" e "(...) di (...)" risultavano prive dei beni necessari all'esercizio d'impresa, omettendo il versamento delle relative imposte, e la ditta "(...)" cessava l'attività con la chiusura della partita IVA in data 31.12,2012), indicava nelle dichiarazioni annuali modello Unico Persone Fisiche 2014 e 2015, relative al periodo d'imposta 2013 e 2014, elementi passivi fittizi rispettivamente di Euro 150.063,05 e Euro 282.527,0}. In Lendinosa (RO), alla data di presentazione delle dichiarazioni dei redditi: 26.09.2014 e 30.10.2015. Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dr.ssa Cl.FA. (V.P.O. delegato). MOTIVAZIONE Con decreto che dispone il giudizio emesso dal G.U.P. di Rovigo in data 10.03.2021, (...) veniva chiamata a rispondere del reato di cui agli artt. 81 c.p. e 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000. L'istruttoria dibattimentale si svolgeva mediante l'esame di un teste del Pubblico Ministero ((...)), con l'esame di un teste e di un consulente tecnico della difesa ((...) e dott. (...)), nonché con la produzione documentale delle parti. Il Tribunale disponeva la citazione d'ufficio, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., del testimone dell'Agenzia delle Entrate (...). All'esito, le parti discutevano e concludevano come da separato verbale. Questi i fatti come accertati a seguito dell'istruttoria dibattimentale. In data 01.02.2018, nell'ambito del programma annuale di svolgimento di controlli nei confronti di imprese dichiaranti una redditività inferiore alla media del settore di appartenenza, prendeva avvio la verifica fiscale condotta dall'Ufficio Provinciale di Rovigo dell'Agenzia delle Entrate nei confronti della società "(...) di (...)", con sede in L. (R.), via M. n. 47/F, svolgente attività di confezionamento in serie di abbigliamento da esterno e legalmente rappresentata da (...). In particolare, l'attività d'impresa consisteva nell'affidamento a terzi dell'incarico di progettazione, taglio, confezionamento e stiro dei capi d'abbigliamento, con finissaggio finale compiuto internamente e, infine, vendita ai clienti del prodotto finito (v. pag. 6 del p.v.c. in atti). A seguito dell'esibizione, da parte dell'imputata, di tutta la documentazione contabile, i verificatori si avvedevano dell'anomala veste grafica delle fatture passive emesse dalle ditte fornitrici intestate a cittadini cinesi, la quale era frutto di un medesimo prestampato (nonostante la diversità dei fornitori) con apposizione dei timbri del fornitore e dell'acquirente e con indicazione manoscritta degli importi e dell'imponibile Iva: numerose copie del prestampato e alcuni timbri dei fornitori venivano rinvenuti proprio presso la sede della "(...)", all'interno dei cassetti di una scrivania posta nella stanza adibita ad ufficio. La loro presenza veniva giustificata, dall'imputata, con la necessità di ovviare alla incapacità dei fornitori cinesi di compilare correttamente le fatture di vendita, così provvedeva lei stessa successivamente ad ogni transazione economica (v. pag. 15 del pvc in atti). I verificatori ritenevano, tuttavia, di svolgere maggiori accertamenti sui fornitori i cui timbri erano in possesso della (...) e, in particolare, le ditte "(...) di (...)", "(...) di (...)" e "(...)", le quali risultavano avere emesso, nei confronti della "(...)", le seguenti fatture: - nn. (...) e (...) del 2013 e nn. (...), (...), (...), (...) e (...) del 2014 da parte di "(...) di (...)"; - nn. (...) e (...) del 2013 e n. (...) del 2014 da parte di "(...) di (...)"; - nn. (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...) del 2014 da parte di "(...)". Questi gli esiti dell'attività d'indagine, svolta con la collaborazione della Guardia di Finanza di Rovigo: - quanto al fornitore "(...) di (...)", il titolare della ditta aveva fissato il proprio domicilio fiscale presso la sede della ditta, ma risultava ivi irreperibile a far data dal 10.07.2014; la sede operativa della ditta aveva visto l'avvicendamento di 4 diverse ditte di confezionamento intestate a cittadini cinesi (spesso il titolare risultava essere dipendente della precedente ditta) dall'anno 2010 all'anno 2016. I documenti di trasporto venivano emessi solamente nei confronti della "(...)" e i pagamenti delle fatture, contabilizzati dalla ditta dell'imputata, non confluivano nei conti correnti del fornitore, ma risultavano effettuati in favore di beneficiari estranei oppure, quando fluiti dal conto corrente personale della B., non venivano contabilizzati dal fornitore. La "(...) di (...)" presentava le dichiarazioni iva, tuttavia non versava l'imposta dovuta. Inoltre, l'analisi del conto corrente della "(...)" faceva emergere l'emissione di 5 assegni nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2014 in favore di "(...) di (...)" per un totale di Euro 58.000,00, per il pagamento delle fatture nn. (...) del 31.12.2013, (...) del 31.01.2014 e (...) del 28.02.2014, che veniva registrata quale passività nella contabilità della ditta verificata, ma mai addebitate sul relativo conto corrente, nemmeno nei successivi anni d'imposta, in quanto gli assegni venivano annullati e, tuttavia, l'importo non veniva stornato dalla contabilità (v. pagg. 19, 20 e 30 del pvc in atti). Altri assegni emessi in favore della "(...) di (...)" nel periodo compreso tra il 21.01.2014 e il 22.09.2014 venivano, invece, regolarmente incassati e veniva prelevato l'ammontare in denaro contante nei giorni successivi; - in relazione al fornitore "(...)", la ditta risultava attiva fino alla data del 31.10.2014. Le contabilità delle due ditte, poste a confronto, confermavano l'esistenza di un rapporto economico tra le due, così come l'esame dei relativi conti correnti. Tre pagamenti venivano, tuttavia, effettuati nei confronti di un soggetto terzo, che 'imputata riferiva essere la coniuge del (...); - quanto al fornitore "(...)", la relativa partita iva risultava essere cessata in data 31.12.2012 e l'attività in data 29.02.2012. Nella sede operativa della società risultano sedenti altre due ditte di confezionamento, "(...) s.r.l." e "(...)", coinvolte in indagini tributarie per essere coinvolte in cc.dd "truffe carosello" (v. pagg. 46 e 47 del pvc in atti). In relazione alle fatture emesse dalle tre citate ditte e inserite come passività nella contabilità della ditta verificata, i verificatori contestavano all'imputata la fittizietà delle relative operazioni e la falsità delle fatture contabilizzate. La teste (...), oltre a riassumere il contenuto del pvc da lei stessa redatto, aggiungeva che, in data 18.12.2020, l'imputata e l'Agenzia delle Entrate siglavano un accordo conciliativo, nel quale, preso atto delle criticità presenti nella verifica tributaria, l'Erario annullava parte dei rilievi analitici originariamente formulati a carico dell'imputata, per un totale di Euro 159.343,15 euro in relazione alle fatture emesse da "(...) di (...)" nell'anno 2014, rispetto ai 224.627,18 euro di imponibile contestati come operazioni passive inesistenti e contabilizzate; annullava rilievi analitici per Euro 13.052,39 per fatture emesse da "(...) di (...)" rispetto alla contestazione di Euro 18.315,13 di passività contabilizzate e considerate inesistenti; annullava rilievi analitici per Euro 39.584,70 in relazione a passività provenienti da fatture emesse dalla ditta "(...)", così annullando interamente tale contestazione (v. all. alla memoria difensiva prodotta all'udienza del 13,09.2022). La teste (...), Capo ufficio legale presso l'Agenzia delle Entrate di Rovigo, precisava come il riferito annullamento parziale della contestazione erariale avesse avuto origine dalla sospensione, in via cautelare, del 60% della pretesa fiscale stabilita dal Giudice tributario, nonché dal confronto con il consulente dell'imputata, il quale documentava l'avvenuta movimentazione di merce tra la "(...)" e le tre ditte emittenti le fatture contestate; inoltre, le irregolarità contabili riscontrate non consentivano di approdare ad una contestazione certa, pertanto l'Agenzia delle Entrate si limitava a rideterminare il reddito presunto della "(...)" parametrandolo alla media di settore (v. pag. 16 del verbale stenotipico del 25.01.2023). Il consulente tecnico della difesa, dott. (...), rilevava come la "(...) di (...)" fosse sprovvista di una struttura interna idonea a sviluppare internamente la mole di lavorazioni che le venivano commissionate; pertanto, esternalizzava l'intero ciclo produttivo dei capi di abbigliamento presso fornitori terzi, dai quali acquistava i prodotti confezionati, per poi controllarli e venderli agli acquirenti. L'esistenza di rapporti economici con fornitori terzi appariva, dunque, evidente per la sopravvivenza stessa della ditta. In tale contesto, venivano analizzati e contestati i rilievi mossi dall'Agenzia delle Entrate in relazione ai tre fornitori indicati nel capo d'imputazione: - quanto alla "(...) di (...)", il consulente evidenziava come i quattro assegni del valore di Euro 58.000,00 emessi dalla "(...)" nei confronti del fornitore e mai incassati, fossero stati annullati per vicende aziendali interne, tuttavia l'imputata provvedeva alla loro riemissione traendoli dal proprio conto corrente personale, venendo poi rimborsata dalla ditta (v. pag. 10 della consulenza). In relazione alla contestazione relativa alla emissione di assegni da parte dell'imputata in pagamento delle fatture emesse da "(...)", ma in favore di soggetti diversi dal (...), il consulente evidenziava come il (...) avesse, in realtà, sottoscritto per accettazione le matrici delle assegni, provvedendo poi legittimamente a girare i pagamenti a soggetti terzi, riguardo ai quali ultimi l'Agenzia delle Entrate non conduceva alcuna verifica al fine di stabilire se si trattasse di creditori della "(...)". Inoltre, il consulente evidenziava come, da una accurata lettura della contabilità e della documentazione in possesso dell'Agenzia delle Entrate, si potesse evincere l'esistenza di una reale fornitura di capi di abbigliamento tra le due società, in quanto la "(...)" fatturava ai propri clienti la vendita della medesima merce (individuabile grazie ai codici di lavorazione) che "(...)" le fatturava e le forniva e senza la quale non avrebbe potuto svolgere la propria attività di vendita (v. pag. 15 della consulenza e v. all. 5). - In relazione alla ditta "(...) di (...)", il consulente allegava al proprio elaborato la copia delle matrici degli assegni emessi dalla (...) completa di sottoscrizione del (...), il quale, successivamente, non incassava il relativo importo, ma girava il titolo di pagamento a soggetti terzi. Anche io questo caso, tuttavia, il raffronto tra i codici di lavorazione dei capi inseriti nelle fatture emesse dal (...) e quelli inseriti nelle fatture di vendita emesse dalla "(...)", testimoniano come la seconda ditta abbia effettivamente ricevuto dalla prima la merce poi venduta ai propri clienti, pertanto le operazioni fatturate erano da ritenersi oggettivamente esistenti (v. pag. 25 della consulenza e v. all. 9). - Quanto, infine, ai rapporti tra l'imputata e la ditta "(...)", il consulente produceva copia delle e-mail con le quali la "(...)" inviava alla ditta fornitrice i c.d. "file di taglio", ovverosia le indicazioni necessarie per procedere al taglio di alcuni capi di abbigliamento mediante il software professionale in uso alla "(...)", così apparendo evidente l'esistenza di un rapporto di clientela effettivo tra le due ditte (v. pag. 25 della consulenza e v. all. 11). Ancora, nel corso dell'anno 2015 la ditta fornitrice consegnava all'imputata la documentazione necessaria a comprovare la sua operatività e la persistenza della partita iva (v. all. 13 alla consulenza). L'istruttoria svolta non ha consentito di ritenere provata la penale responsabilità dell'odierna imputata in ordine al reato a lei ascritto. Invero, la documentazione prodotta dalla difesa e la consulenza tecnica di parte svolta in favore dell'imputata sono apparse idonee a fondare un ragionevole dubbio in ordine alla possibilità che le operazioni economiche sottese all'emissione delle fatture oggetto di contestazione fossero esistenti; ipotesi avvalorata, peraltro, dalla documentazione acquisita nel corso del dibattimento. Sul punto, non ha, in verità, influito il contenuto dell'accordo raggiunto tra l'imputata e l'Agenzia delle Entrate in relazione al parziale annullamento delle contestazioni mosse, atteso che lo stesso veniva raggiunto in sede conciliativa e che l'Agenzia rinunciava a parte delle proprie pretese in ottica di deflazione del contenzioso tributario, anche in ragione delle difficoltà riscontrate nella corretta lettura della contabilità tenuta dalla ditta dell'imputata. Al fine di meglio illustrare gli approdi probatori cui si è giunti, occorre analizzare singolarmente i rapporti esistenti tra la ditta rappresentata dall'imputata e i vari fornitori. - Quanto alle fatture emesse dalla ditta "(...) di (...)", osserva il Tribunale come la presenza dei documenti di trasporto costituisca un primo elemento volto a comprovarne la veridicità, al contrario di quanto sostenuto dall'Agenzia delle Entrate (alla quale pareva sospetta la redazione di d.d.t. in relazione alla consegna della merce indicata nelle fatture). In secondo luogo, non è emersa in giudizio la soggettiva inesistenza del fornitore, nonostante quanto rappresentato dall'Agenzia delle Entrate, atteso che, nel periodo nel corso del quale venivano emesse le fatture, la ditta aveva una reale sede operativa e il suo titolare - (...) - fosse ivi domiciliato e reperibile (la sua irreperibilità è successiva al periodo oggetto del capo d'imputazione). Ancora, quanto ai pagamenti delle fatture, considerati fittizi dall'Agenzia delle Entrate in ragione dell'annullamento dei 4 assegni di pagamento emessi dall'imputata, la difesa ha dato prova di come gli stessi siano stati sostituiti da altrettanti assegni emessi dall'imputata e tratti dal proprio conto corrente personale, che non veniva vagliato dall'Agenzia delle Entrate: infatti, sono presenti in atti le copie delle matrici degli assegni emessi e ricevuti da (...). Al di là della valutazione relativa alla regolarità contabile di tale operazione (che, in ogni caso, sfociava in un "rimborso" operato dalla società nei confronti della titolare per pari importo), si osserva come sia stata data prova dell'effettivo pagamento, da parte dell'imputata, della somma di Euro 58.000,00 in favore della "(...)" e ciò a testimonianza della sussistenza dell'operazione economica di acquisto di capi di abbigliamento sottesa all'emissione delle fatture oggetto di contestazione. Quanto, poi, ai pagamenti effettuati dalla B., riscontrati sul conto corrente della "(...)" e poi oggetto di prelevamento in denaro contante, non ritiene il Tribunale di dare seguito alla considerazione presuntiva per la quale si tratterebbe di un'ipotesi di retrocessione del pagamento, atteso che non è emersa agli atti la prova che (...) abbia restituito le somme ricevute proprio alla (...) e, dunque, tale circostanza non assume nessun valore ai fini della prova circa la fittizietà dell'operazione economica. Allo stesso modo, non appare dirimente che gli assegni emessi dalla (...) quale forma di pagamento delle fatture emesse dalla "(...)" siano poi stati girati a soggetti terzi, costituendo diritto del prenditore utilizzate il titolo per soddisfare i propri creditori e non risultando tale circostanza una evidente prova della falsità del rapporto economico sottostante la fattura emessa. Infine, il quadro probatorio offerto dalla pubblica accusa risulta definitivamente scalfito dall'esito dell'operazione di verifica contabile eseguita dal consulente della difesa, il quale, analizzando i codici di lavorazione dei prodotti indicati nelle fatture emesse dal B., li rinveniva anche nelle fatture di vendita a sua volta emesse dalla "(...)", con ciò dimostrando come i medesimi capi di abbigliamento acquistati dell'imputata venivano fatti oggetto di vendita: atteso che non veniva posta in dubbio dall'Agenzia delle Entrate la veridicità delle operazioni di vendita contabilizzate dalla "(...)" e che quest'ultima non disponeva di una struttura produttiva sufficiente a provvedere al soddisfacimento degli ordini ricevuti, appare ragionevole dedurre che, in realtà, gli acquisiti effettuati dalla "(...)" fossero effettivi e, dunque, che le relative fatture di acquisto siano state correttamente contabilizzate dall'imputata. - Con riguardo alle fatture emesse dalla ditta "(...) di (...)", l'accusa di inesistenza oggettiva della sottostante operazione economica si basava sulla circostanza per la quale gli assegni emessi dalla "(...)" venivano incassati da un soggetto terzo. Osserva il Tribunale, a tale proposito, che tale elemento non è in sé dirimente, ben potendo il prenditore trasferire il titolo di pagamento ad un proprio creditore. Invero, che il prenditore degli assegni fosse (...), emerge con evidenza dall'apposizione della sua sottoscrizione nella matrice degli assegni emessi, che veniva acquisita in atti e che non veniva disconosciuta dal soggetto interessato, né contestata dall'Agenzia delle Entrate. In ogni caso, l'esito dell'operazione di verifica contabile eseguita dal consulente della difesa, il quale, analizzando i codici di lavorazione dei prodotti indicati nelle fatture emesse dal (...), li rinveniva anche nelle fatture di vendita a sua volta emesse dalla "(...)", valeva a dimostrare come i medesimi capi di abbigliamento acquistati dell'imputata venivano fatti oggetto di vendita: atteso che non veniva posta in dubbio dall'Agenzia delle Entrate la veridicità delle operazioni di vendita contabilizzate dalla "(...)" e che quest'ultima non disponeva di una struttura produttiva sufficiente a provvedere al soddisfacimento degli ordini ricevuti, appare ragionevole dedurre che, in realtà, gli acquisiti effettuati dalla "(...) di (...)" fossero effettivi e, dunque, che le relative fatture di acquisto siano state correttamente contabilizzate dall'imputata. Gli stessi verificatori, del resto, asserivano come la ditta "(...) di (...)" fosse esistente e operativa e come esistesse un reale rapporto commerciale con la ditta dell'imputata, - Infine, in relazione alle fatture emesse dalla ditta "(...)" e oggetto di contestazione, è stato documentalmente provato che la stessa fosse esistente e operativa, in quanto dotata di partita iva attiva. Inoltre, il consulente produceva copia delle e-mail con le quali la "(...)" inviava alla ditta fornitrice i c.d. "file di taglio", ovverosia le indicazioni necessarie per procedere al taglio di alcuni capi di abbigliamento mediante il software professionale in uso alla "(...)", così apparendo evidente l'esistenza di un rapporto di clientela effettivo tra le due ditte e l'operatività della ditta fornitrice (v. pag. 25 della consulenza e v. all. 11). Da tutto quanto emerso, ritiene il Tribunale come non sia stata provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fittizietà delle operazioni economiche sottese alla fatturazione passiva contabilizzata dall'odierna imputata. Per tale motivo, la stessa andrà mandata assolta dal reato a lei ascritto con la formula di cui al dispositivo. P.Q.M. Visto l'art. 530, comma 2, c.p.p., assolve l'imputata dal reato a lei ascritto perché il fatto non sussiste. Motivazione riservata in giorni 40. Così deciso in Rovigo il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO Sezione Penale SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO (art. 567 c.p.p.) Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Alessia VANOLI ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato il (...) a D. O. F. residente in M. Q. E. M. R. 15 n. 04 - Y. libero - assente Assistito e difeso d'ufficio dall'Avv. Sa.Cu. del Foro di Rovigo - presente IMPUTATO Come da foglio allegato. Posizione stralciata all'udienza del 2.03.2020 dal proc. pen. n. 432/19 R. G. T. Si allega l'intero capo d'imputazione per una miglior comprensione del testo. Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dr. Er.MA. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione diretta del 28.2.2019 (depositato in data 1.3.2019), (...), in atti generalizzato, è stato tratto a giudizio dinnanzi a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato indicato in rubrica. All'udienza del 14.5.2019, preso atto dell'irreperibilità dell'imputato, il Tribunale ne ha disposto ricerche a mezzo P.G. ai fini della notificazione - a sue mani - dell'atto introduttivo del giudizio, con rinvio all'11.12.2019 per verifica degli esiti dell'attività delegata (tuttavia non ancora pervenuti a quella data, con conseguente - ulteriore - rinvio al 2.3.2020). All'udienza da ultimo indicata, attesa la riscontrata - perdurante - irreperibilità dell'imputato e previa separazione della relativa posizione processuale da quella del coimputato (...), il Tribunale ha disposto - con ordinanza allegata a verbale - la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., rinviando al 10.3.2020 per verifica dell'esito delle nuove ricerche contestualmente disposte e risultate, a quella data, ancora negative (con conseguente conferma del provvedimento di sospensione già adottato). Pervenuti nelle more del rinvio (e, segnatamente, in data 30.6.2021) gli esiti dell'attività delegata, il Tribunale ha disposto procedersi alla notificazione-tramite raccomandata ai sensi dell'art. 169 c.p.p. - dei pertinenti atti all'imputato presso l'indirizzo comunicato dal Servizio Estero del Regno del Marocco e, all'udienza del 9.3.2022, preso atto dell'avvenuta consegna del plico a mani del destinatario, ha revocato l'ordinanza di sospensione del procedimento precedentemente adottata e disposto procedersi nella dichiarata assenza dell'imputato (mai comparso). All'odierna udienza, celebratasi dinnanzi allo scrivente Giudice (cui il presente procedimento è stato assegnato in forza del decreto n. 29/2022 adottato dal Presidente di questo Tribunale), le parti hanno concordato l'acquisizione integrale del fascicolo delle indagini preliminari, con rinuncia alle istanze istruttorie precedentemente avanzate ed accolte. Il Giudice, previa dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale, ha quindi dato la parola alle parti per la discussione e, all'esito della camera di consiglio, si è pronunciato, sulle riportate conclusioni, come da dispositivo di sentenza trascritto in calce. Questi i fatti così come emersi dalla lettura degli atti confluiti nel fascicolo dibattimentale. La società "(...) SOCIETÀ COOPERATIVA" (C.F. e P.IVA n. (...)), costituita in data 9.12.2008, con sede legale in (...) P. (R.) alla via S. G. n. 22 e capitale sociale sottoscritto - in pari quote - da (...) (amministratore unico sino al 4.6.2013), (...) e (...), aveva esercitato - in via prevalente e a far data dal 12.1.2009 - l'attività di "facchinaggio e movimentazione merci", come risulta dalla visura camerale in atti. Giusta delibera dell'assemblea straordinaria adottata in data 29.11.2013 ed iscritta nel Registro delle Imprese il successivo 30.12.2013, la società in esame era stata posta in liquidazione, con contestuale assunzione della carica di liquidatore da parte dell'odierno imputato (...) (già amministratore unico dal 4.6.2013) e trasferimento della sede sociale in (...) P. (R.) via C. n. 272/A. Con D.M. dello Sviluppo Economico n. 581 del 2015 del 4.11.2015 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 9.12.2015, serie generale n. 286), era stata disposta l'apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa in relazione alla società in esame e, successivamente, con sentenza ex art. 202 l. fall., emessa dal Tribunale di Rovigo in data 15.2.2017, ne era stato dichiarato lo stato di insolvenza (cfr. sentenza n. 12/2017, agli atti di questo giudizio). Dall'esame della relazione redatta in data 24.3.2017, ai sensi dell'art. 33 l. fall., dal commissario liquidatore Rag. (...), acquisita al fascicolo del dibattimento, è emerso che la società, attiva dal 2009, aveva fornito prestazioni di facchinaggio (verosimilmente, di carico e scarico merci), per conto terzi, impiegando - per gli anni 2009, 2010 e 2011 - una forza lavoro media pari a n. 8 unità, n. 4 unità per l'anno 2012 e n. 3 unità per l'anno 2013. Il fatturato, pari a circa 91mila euro nel primo anno di attività, si era attestato su un valore pari a circa 100mila euro per i due anni successivi (2010 e 2011), per poi decrescere e raggiungere il valore di 53mila euro nel 2013. L'attività era cessata del tutto nel dicembre 2013, con conseguente messa in liquidazione della società cooperativa e con successiva apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa da parte della competente autorità ministeriale (previo accertamento della perdita del patrimonio sociale già alla data del 31.12.2012), secondo le scansioni temporali già sopra ricostruite. Per quel che in questa sede più interessa - e premesso che, stando alle valutazioni del commissario liquidatore, le cause principali del dissesto della società sono da rinvenirsi nell'accumulo progressivo de! passivo correlato al depauperamento dell'attivo (per costante eccedenza di passività a breve rispetto alle attività a breve) -, giova anzitutto segnalare, quanto alla tenuta delle scritture contabili, che il Rag. (...), nonostante i tentativi effettuati in tal senso, non era in alcun modo riuscito a rintracciare il liquidatore (...), odierno imputato, ed aveva ricevuto la documentazione contabile dal relativo tenutario - individuato all'esito di accertamenti presso l'anagrafe tributaria -, Rag. (...). Dall'esame di quanto rinvenuto presso lo studio del predetto professionista in data 22.9.2016, il commissario liquidatore aveva potuto rilevare quanto segue: la contabilità era stata regolarmente tenuta sino al 30.9.2013 e solo parzialmente aggiornata sino al 31.12.2013 (con trascrizione del libro giornale di contabilità al 31.12.2013, a pag. 2013/35, e del libro degli inventari al 31.12.2012, sino a pag. 2012/6); era stata omessa la presentazione delle dichiarazioni fiscali degli anni 2013 e 2014; i bilanci di esercizio sono stati regolarmente depositati solo fino all'anno 2012. Escusso a sommarie informazioni dalla Guardia di Finanza - Tenenza di Lendinara, giusta delega di indagine del Pubblico Ministero, in data 15.9.2017, il commissario liquidatore, a conferma di quanto precede, aveva rilasciato le seguenti dichiarazioni: "Sono venuto in possesso della documentazione contabile in data 22.09.2016, recandomi presso lo studio professionale del dott. (...), che risultava il depositario delle scritture contabili dal 09.12.2008, come desunto dal cassetto fiscale, della (...) SOCIETÀ' COOPERATIVA. La contabilità risulta sistematicamente aggiornata al 30.09.2013 e parzialmente fino alla data del 31.12.2013. Risultano omesse le dichiarazioni ed il deposito dei bilanci degli anni 2013 e 2014. E' stato possibile ricostruire il patrimonio fino al 31.12.2012 sulla base dei bilanci depositati e dal riscontro contabile il quale risultava già negativo con il bilancio 31.12.2011. Relativamente all'anno 2013 non è stato possibile ricostruire il patrimonio in quanto era mancante della completezza della contabilità e del relativo bilancio, tuttavia considerata la decisione della messa in liquidazione avvenuta in data 30.12.2013, e dai dati contabili rilevati per il 2013, si presume che lo sfesso sia stato comunque negativo" (cfr. verbale di s.i.t. agli atti). Per completezza espositiva, giova infine evidenziare come, dal compendio probatorio a disposizione di questo Giudice, è emerso, quanto alla compagine amministrativa della società cooperativa in discorso, oltre al ruolo rivestito dall'odierno imputato (...) - si ripete, già amministratore unico e poi liquidatore della "(...) ...", come risulta dagli atti (e, in particolare, dalla visura storica e dalla documentazione INPS) -, anche il ruolo esercitato di fatto dall'originario coimputato (...) (sulla base degli elementi ben compendiati nell'annotazione di P.G. redatta dalla Guardia di Finanza - Tenenza di Lendinara in data 4.6.2018 e, in particolare, dei verbali di s.i.t. rese dai lavoratori (...) e (...), nonché dal duplice verbale di s.i.t. rese da (...), tutti allegati all'indicata annotazione e confluiti nel fascicolo del dibattimento). Alla luce della piattaforma probatoria sopra ricostruita, il Tribunale ritiene accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto. La documentazione di P.G. in atti, in uno con il contenuto della relazione redatta dal commissario liquidatore, sulla cui attendibilità oggettiva e soggettiva non vi è ragione alcuna di dubitare (e, del resto, neppure la difesa ha rilevato alcunché sul punto), attesta invero l'irregolare tenuta delle scritture contabili obbligatorie relative alla società "(...) SOCIETA' COOPERATIVA", quanto meno a far data dal 31.12.2013, così dovendosi ritenere integrata - sotto il profilo oggettivo - la fattispecie prevista dall'art. 217 co. 2 (...) fall., che attribuisce rilevanza penale alla condotta dell'imprenditore - nonché, in forza del disposto dell'art. 224 (...) cit., dell'amministratore e del liquidatore - che, nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, abbia omesso la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili prescritti dalla legge ovvero li abbia tenuti in maniera irregolare o incompleta. A tal proposito, si impongono alcune precisazioni. Si osserva, anzitutto, che, a mente dell'art. 237 co. 1 (...) fall., "l'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza a norma degli articoli 195 e 202 è equiparato alla dichiarazione di fallimento ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente titolo", di talché la fattispecie di bancarotta semplice documentale, oggetto di contestazione in questo processo, ben può configurarsi anche in relazione alla procedura concorsuale della liquidazione coatta amministrativa, qual è quella verificatasi nel caso di specie (ricordando, sul punto, che è agli atti la sentenza del Tribunale di Rovigo n. 12/2017, recante la declaratoria di insolvenza di cui alla citata norma). Si evidenzia, in secondo luogo, che la riscontrata cessazione dell'attività di impresa alla chiusura dell'esercizio 2013 non appare idonea a scriminare la condotta accertata, in virtù del consolidato principio di diritto - costantemente ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione e al quale questo Giudice ritiene di aderire - secondo cui l'obbligo di regolare e completa tenuta delle scritture contabili, imposto dalla normativa civilistica in capo a ciascun imprenditore (art. 2214 c.c.), viene meno esclusivamente ove e quando la cessazione dell'attività di impresa - sia pure già intervenuta in via di fatto - sia stata formalizzata con la cancellazione della società dal Registro delle Imprese, viceversa permanendo siffatto obbligo immutato, anche in ipotesi di deliberata liquidazione (cfr. tra le più recenti, Cass. Sez. 5, sentenza n. 20514 del 22/01/2019-13/05/2019, Rv. 275261). Si chiarisce, del resto, per mera completezza, che la fattispecie incriminatrice qui in rilievo appare congegnata come reato di mera condotta - quest'ultima a sua volta consistente nel mero inadempimento del precetto formale appena sopra individuato -, a nulla rilevando che, in concreto, sia mancato un effettivo pregiudizio economico per i creditori o che il curatore fallimentare (qui, commissario liquidatore) abbia ricostruito aliunde il patrimonio sociale, trattandosi invero di reato di pericolo presunto, volto a tutelare - in chiave preventiva - l'interesse dei creditori alla conoscenza dell'effettiva consistenza patrimoniale della società, destinata a soddisfare le loro ragioni. Alla luce di tutto quanto precede, accertato che l'imputato - nella sua qualità di amministratore unico e poi liquidatore della società - abbia omesso di tenere regolarmente la contabilità dal 2013 (e, dunque, senz'altro nei tre anni precedenti alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza), si rivela corretta la prospettata qualificazione giuridica di una siffatta condotta in termini di bancarotta semplice cd. documentale. Quanto alla riconducibilità soggettiva del fatto all'odierno imputato, premesso che non vi è ragione di dubitare che lo stesso rivestisse - almeno formalmente - la carica di amministratore e di liquidatore della società in esame {risultando tale dato per tabulas e non avendo la difesa dedotto alcunché sul punto) e premesso altresì che (...) sia da ritenere, verosimilmente, una semplice "testa di legno" nell'ambito di una società gestita di fatto da altri, cionondimeno, a parere di questo Giudice e in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale, si ritiene che il precetto formale che qui si assume violato incomba anche sul soggetto solo formalmente investito della carica gestoria, ben potendo dunque l'amministratore "di diritto" rispondere del delitto di bancarotta, ove ricorrano in concreto gli estremi oggettivi e soggettivi della fattispecie. Quanto a quest'ultimo profilo, premesso che il reato in esame è punibile alternativamente a titolo di dolo o colpa (si veda, per tutte, Cass., Sez. 5, sentenza n. 53210 del 19/10/2018-27/11/2018, Rv. 275133, secondo cui "la bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, a ciò non ostando il tenore dell'art. 42 cod. pen., che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di 'previsione espressa' non equivale a quella di 'previsione esplicita'e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale"), l'accertato disinteresse dell'imputato nei confronti della vita societaria - e, in specie, della tenuta della relativa contabilità (essendo lo stesso risultato irreperibile per il commissario giudiziale e, prima ancora, per il tenutario delle scritture contabili)-vale senz'altro a concretare quell'atteggiamento negligente richiesto ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, non certo escluso dalla mancata consapevolezza degli obblighi discendenti dall'assunzione della carica, che avrebbe a monte dovuto imporre all'agente di astenersi dal coinvolgimento nella vita dell'impresa. A conferma di quanto precede, valga qui richiamare - quale argomento a fortiori - il costante orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all'elemento soggettivo della (diversa e più grave) fattispecie di bancarotta documentale fraudolenta, in accordo con il quale, tenuto conto del diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto (anche laddove sia una semplice "testa di legno") di tenere e conservare le scritture contabili, il dolo richiesto dalla norma incriminatrice deve ritenersi sussistente laddove l'agente abbia volontariamente abdicato a tale dovere specifico e sia emerso, quale dato oggettivo, l'estromissione "fisica" delle scritture di legge dal suo immediato e costante controllo, come del resto accertato anche nel caso di specie (cfr. Cass., Sez. 5, sentenza n. 54490 del 26/09/2018 - 05/12/2018, Rv. 274166). Alla luce di tutto quanto sopra osservato, si ritiene pienamente accertata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto, conseguendone una pronuncia di condanna nei termini di seguito specificati. Venendo ora al trattamento sanzionatorio da riservare all'imputato, ritiene questo Giudice che sussistano i presupposti per riconoscere allo stesso le circostanze attenuanti generiche, valorizzando a tal fine il buon contegno processuale serbato per il tramite del proprio difensore, consistito nell'acconsentire all'acquisizione degli atti d'indagine ed improntato, quindi, a favorire speditezza ed economia del procedimento. Tanto premesso, valutate le circostanze del caso concreto alla stregua dei parametri di cui all'art. 133 c.p., il Tribunale stima equa una pena finale di 4 mesi di reclusione, così calcolata: pena base, 6 mesi di reclusione (il minimo edittale complessivamente giustificandosi - quanto a gravitò del reato e a capacità a delinquere del colpevole - alla luce delle modalità di realizzazione della condotta omissiva, delle ridotte dimensioni dell'impresa, del ruolo rivestito dall'agente all'interno della stessa, dell'elemento psicologico ritenuto, nonché dal certificato stato di incensuratezza dell'imputato), ridotta come sopra, nella massima estensione, ai sensi dell'art. 62-bis c.p. Alla condanna seguono, a termini di legge, la condanna al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell'art. 217 u.c. (...) fall., l'inabilitazione di (...) all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, per la durata - qui ritenuta equa - di 4 mesi, pari a quella della pena concretamente irrogata. Il certificato stato di incensuratezza dell'imputato, perdurante in attualità, orienta in senso favorevole la prognosi di astensione del medesimo dalla commissione di ulteriori reati, dovendosi quindi riconoscere allo stesso - come richiesto dalla difesa - i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della presente condanna nel certificato del casellario penale a nome dell'imputato. Il carico di ruolo del Giudice impone, ai sensi dell'art. 544 co. 3 c.p.p., la fissazione di un termine per il deposito della motivazione pari a 45 giorni. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato a lui ascritto e, concesse in suo favore le circostanze attenuanti generiche, per l'effetto lo condanna alla pena di mesi 4 di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 217 co. 3 legge fall., dichiara l'imputato inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale nonché incapace ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di mesi 4. Pena sospesa e non menzione. Motivazione in 45 giorni. Così deciso in Rovigo il 17 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Rovigo Il Tribunale Ordinario di Rovigo in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Federica Abiuso, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G. 2483/2019 promossa da (...) S.R.L., rappresentato e difeso dall'avv. (...) come da procura in atti; PARTE ATTRICE Nei confronti di: (...); PARTI CONVENUTE Conclusioni: le parti hanno precisato le proprie conclusioni come da note depositate in via telematica in vista dell'udienza del 26/10/2022. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato a (...) e alla società (...) SRL, (...) SRL, e per essa (...) S.p.a. quale mandataria, hanno chiesto: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, revocare ex art. 2901 c.c., con conseguente dichiarazione di inefficacia nei confronti di (...) s.r.l., i seguenti atti: 1. L'atto Notaio (...) del 28.5.2014, rep. (...) e racc. (...), trascritto in data 23.6.2014 e annotato a margine dell'atto di matrimonio in data 30.10.2014, con il quale i sigg.ri (...) hanno costituito in fondo patrimoniali i seguenti beni immobili: (...), con il quale il sig. (...) ha conferito alla società (...) s.r.l. i seguenti beni immobili: Piena proprietà in Comune di (...). Con vittoria di spese e compensi di causa". La società attrice ha allegato che: - nell'ambito di un'operazione unitaria di cartolarizzazione ai sensi della Legge 130, relativa a crediti ceduti da (...) S.p.a., in forza di un contratto di cessione di crediti ai sensi degli articoli 4 e 7.1 della Legge 130 concluso in data 14 luglio 2017 e con effetto in data 14 luglio 2017, (...) S.r.l. (società avente ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione di crediti ai sensi dell'art. 3 legge 20 aprile 1999 n. 130) ha acquistato pro-soluto da (...) S.p.a., con sede legale in via (...), partita IVA e numero di iscrizione presso il registro delle imprese di Roma n. (...), tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant'altro) di (...) S.p.a. derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche nel periodo compreso tra il 1975 e il 2016 e qualificati come attività finanziarie deteriorate; - che, in particolare, che per effetto della cessione di cui sopra (...) S.r.l. è divenuta titolare anche del credito derivante dal contratto di mutuo fondiario stipulato in data 7.12.2010, rep. (...) e racc. (...), notaio dott. (...); - che con il predetto contratto di mutuo, (...) aveva concesso alla società (...) l'importo originario di 300.000,00 euro; - che in concomitanza alla stipulazione del predetto contratto di mutuo il sig. (...) si costituiva fideiussore della società (...) s.r.l., della quale risultava essere amministratore e unico socio; - che stante l'irregolare andamento del rapporto la (...), con pec del 17.9.2015 (doc. n. 5 attrice; inviata anche al garante (...) con raccomandata ricevuta in data 25.9.2015 - doc. n. 6) revocava alla società (...) ogni linea di credito concessa ed intimava il rientro dell'esposizione debitoria; - che nelle more il sig. (...) consapevole del debito di garanzia contratto con la Banca esponente e dell'inadempimento della società (...) s.r.l., costituiva con la sig.ra (...), sua coniuge in regime di separazione dei beni, un fondo patrimoniale con atto Notaio (...) del 28.5.2014, rep. (...) e racc. (...) trascritto in data 23.6.2014 e annotato a margine dell'atto di matrimonio in data 30.10.2014 (doc. n. 7) avente ad oggetto la piena proprietà dei beni immobili sopra specificati; - che successivamente, con ulteriore atto di disposizione patrimoniale, il sig. (...), con atto Notaio (...) del 31.5.2017, rep. (...) e racc. (...), (doc. n. 8), ha conferito nella società (...), con sede in (...), della quale il sig. (...) è amministratore ed unico socio (doc. n. 9), altri beni immobili; - che entrambi i succitati atti di disposizione paiono evidentemente posti in essere al solo scopo di recare pregiudizio ai creditori della società (...) e del sig. (...) in quanto garante della stessa. La società attrice ha quindi esposto tutti gli elementi a sostegno della propria domanda, ossia l'integrazione dei presupposti di cui all'art. 2901 c.c. per la dichiarazione di inefficacia di atti di disposizione del patrimonio sopra indicati. Si è costituito in giudizio il convenuto (...) contestando in via preliminare la titolarità della (...) a far valere diritti per il mutuo e la fideiussione dedotti, stipulati con la (...); nel merito ha contestato la sussistenza, nel caso di specie ed in relazione agli atti di disposizione patrimoniale oggetto di azione revocatoria, dei presupposti previsti dall'art. 2901 c.c., sia in relazione all'atto di costituzione del fondo patrimoniale tra i coniugi (...) e (...) sia in relazione all'atto di conferimento effettuato da (...) nella società (...). Ha quindi chiesto il rigetto delle domande attoree. Si sono costituiti in giudizio, con medesimo difensore, anche (...) e la società (...), i quali hanno rilevato che le domande spiegate sono del tutto carenti dei requisiti previsti dall'art. 2901 c.c., sia dal punto di vista dell'esistenza e fondatezza delle ragioni creditorie, nonché per inesistenza di un danno e della consapevolezza di recare pregiudizio alle ragioni dell'asserito creditore, rispetto al quale hanno contestato in via preliminare la carenza della titolarità del diritto invocato. Ha quindi chiesto il rigetto delle domande attoree. La causa è stata istruita mediante assegnazione dei termini ex art. 183, 6 co. c.p.c., e produzione dei documenti, con rigetto delle istanze di prova orale e di prova per CTU avanzate dai convenuti. Ritenuta la causa matura per la decisione, le parti hanno precisato le proprie conclusioni in via telematica in vista dell'udienza del 26.10.2022, data in cui il Giudice ha trattenuto la causa in decisione, con i termini ex art. 190 c.p.c. Tutto ciò premesso, si osserva quanto segue. La domanda proposta dalla società attrice non merita accoglimento, non avendo la (...) dato prova della titolarità della posizione creditoria alla base dell'invocata domanda ex art. 2901 c.c. Innanzitutto, rispetto all'argomentazione su questo punto esposta dalla società attrice, si rileva che, è ben vero che, nell'ipotesi di azione revocatoria, il credito alla base della pretesa attorea può anche essere costituito da un credito litigioso e del tutto eventuale. Tuttavia, tale criterio, come noto, riguarda il mero elemento della posizione debitoria e della debenza o meno delle somme di cui al preteso credito, e non la prova della titolarità della posizione attiva sulla base della quale si propone la domanda ex art. 2901 c.c., trattandosi dell'elemento fondamentale della titolarità del diritto per cui si propone domanda. Il suddetto elemento, produce concreti risvolti, anche in tema di interesse ad agire, del tutto carente in assenza di prova della titolarità del credito, a garanzia del quale la parte attrice pretenderebbe di soddisfarsi sui beni del debitore, "recuperati" all'interno del patrimonio del debitore, all'esito del positivo esperimento dell'azione revocatoria. In particolare, in assenza di prova della effettiva titolarità del credito allegato, difetta in capo alla società attrice la legittimazione ad agire, domandando la dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti degli atti di disposizione patrimoniale, asseritamente indicati come lesivi delle ragioni dei creditori. Peraltro, risulta già dalla mera lettera della norma tale conclusione, dal momento che l'art. 2901 c.c. fa espressamente riferimento al "creditore", come soggetto abilitato alla proposizione della relativa azione giudiziale. Nel caso di specie, la società attrice ha allegato di essere titolare dei crediti di cui al contratto di mutuo stipulato tra (...) e la società (...) in data 7.12.2010, rep. (...) e racc. (...), notaio dott. (...), sulla base di un'operazione unitaria di cartolarizzazione ai sensi della Legge 130, relativa a crediti ceduti da (...) S.p.a., in forza di un contratto di cessione di crediti ai sensi degli articoli 4 e 7.1 della Legge 130 concluso in data 14 luglio 2017 e con effetto in data 14 luglio 2017, (...) S.r.l., (società avente ad oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione di crediti ai sensi dell'art. 3 legge 20 aprile 1999 n. 130) ha acquistato pro-soluto da (...) S.p.a., con sede legale in via (...), partita IVA e numero di iscrizione presso il registro delle imprese di Roma n. (...), tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant'altro) di (...) S.p.a. derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche nel periodo compreso tra il 1975 e il 2016 e qualificati come attività finanziarie deteriorate. Tuttavia, innanzitutto i convenuti hanno tempestivamente eccepito il difetto di prova della titolarità del credito in capo alla (...). Inoltre, come noto, trattasi di questione rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Difatti, quella relativa al difetto di titolarità del credito deve ritenersi non una eccezione (men che meno un'eccezione in senso stretto) sottoposta al regime di preclusioni imposto dalla legge processuale, ma una mera difesa della parte, spendibile in ogni momento del giudizio ("la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare. La sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Cosa diversa dalla titolarità del diritto ad agire è la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio. La relativa questione attiene al merito della causa. La titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l'attore ha l'onere di allegare e di provare. (...) il giudice può rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d'ufficio": così Cass. SS. UU. 16.2.2016 n. 2951). In punto di diritto, è stato chiarito che attesa la limitata funzione dell'avviso di cessione, la pubblicazione nella Gazzetta può costituire, al più, elemento indicativo dell'esistenza materiale di un fatto di cessione, come intervenuto tra due soggetti in un dato momento, ma non è sufficiente, in questa sua "minima" struttura informativa, a fornire gli specifici e precisi contorni dei crediti che vi sono inclusi ovvero esclusi. Per contro, è principio ricevuto della giurisprudenza di legittimità che colui, che si afferma successore (a titolo universale o particolare) della parte originaria ai sensi dell'art. 58 TUB, ha l'onere puntuale di fornire la prova documentale della propria legittimazione, con documenti idonei a dimostrare l'incorporazione e l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco (cfr. Cass., sent. n. 4116/2016). Pertanto assunta questa diversa prospettiva, (che) -qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta (in relazione, prima di ogni altra cosa, al necessario rispetto del principio di determinatezza dell'oggetto e contenuto contrattuali ex art. 1346 c.c.), sui crediti inclusi/esclusi dall'ambito della cessione - detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo il "prudente apprezzamento" del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito (Cass., 13 giugno 2019, n. 15884). È il caso di evidenziare come la società attrice non abbia prodotto il contratto di cessione dei crediti. Sul punto, recentemente la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che anche la sola produzione dell'avviso di cessione pubblicizzato in Gazzetta Ufficiale non risulta sufficiente a dimostrare la prova della cessione ed il contenuto del contratto (Cfr. Cass. 22268 del 2018 e successivamente in senso conforme Cass. 2780 del 2019). A tal proposito non è possibile prescindere dal dettato testuale dell'art. 58, comma 2, del T.U.B., come novellato per effetto del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, inserito dall'art. 2, comma 1, D.Lgs. 6 febbraio 2004 n. 37, il quale prevede che "la banca cessionaria dà notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La (...) può stabilire forme integrative di pubblicità". Il tenore letterale della norma rende necessaria la ricorrenza di entrambi i requisiti, dunque sia dell'iscrizione nel Registro delle Imprese che della pubblicazione in G.U., in quanto richiesti cumulativamente e non previsti in via alternativa. Dunque, l'avviso di cessione di crediti oggetto di cartolarizzazione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e l'iscrizione nel registro delle imprese non provano il perfezionamento della fattispecie traslativa così come non producono il relativo effetto in quanto non sono elementi sufficienti a far assumere valenza costitutiva alla cessione e tanto meno possono assumere una funzione sanatoria ai vizi dell'atto. La più recente giurisprudenza di legittimità ha invero affermato che in materia di cessione del credito in blocco "sono individuabili distinti profili: a) il perfezionamento della cessione; b) la prova dello stesso; c) l'opponibilità di quella al debitore ceduto, spettando al giudice del merito anzitutto verificare che sussista prova in giudizio della cessione, del suo perfezionamento e della sua opponibilità al ceduto" (Cass. 16.4.2021 n. 10200), e che "la pubblicazione dell'atto di cessione nella Gazzetta Ufficiale, ponendosi sullo stesso piano degli oneri prescritti in via generale dall'art. 1246 c.c., è estranea al perfezionamento della fattispecie traslativa (non ha, cioè, valenza costitutiva della cessione), in quanto rileva al solo fine di escludere l'efficacia liberatoria del pagamento eseguito al cedente, senza incidere sulla circolazione del credito, e dunque solo quale sostituto della notificazione dell'atto stesso al debitore ceduto" (Cass. 25.9.2018 n. 22548). Ha altresì precisato che "la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco, secondo la speciale disciplina di cui all'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta" (Cass. 5.11.2020 n. 24798; Cass. 2.3.2016 n. 4116). Con specifico riferimento alla legittimazione del cessionario ad impugnare la pronuncia giudiziale emessa nei confronti del proprio dante causa, la Suprema Corte ha altresì affermato la necessità dell'allegazione del titolo su cui si fonda la successione a titolo particolare nel diritto controverso, "essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell'intestazione dell'impugnazione qualora il titolo sia di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile, e sia rimasto del tutto incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte" (Cass. 11.4.2017 n. 9250; ord. n. 8975 del 15.5.2020). Nel caso di specie, la stessa (...) ha dedotto di essere succeduta a titolo particolare ad (...), originaria creditrice, in forza di atto di cessione in blocco di un portafoglio di crediti pecuniari classificati a sofferenza "con efficacia dal 14.7.2017", e che di tale cessione sarebbe stato dato avviso nella G.U. parte seconda n. 93 dell'8 agosto 2017. La società attrice, ha prodotto non copia della Gazzetta Ufficiale, ma un documento apparentemente estratto dal sito (...) che richiama la G.U. parte seconda n. 93 dell'8 agosto 2017 (doc. 12 attrice) nel quale si è dato "avviso di cessione di crediti prosoluto", "avente ad oggetto tutti i crediti di (...) spa derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche nel periodo compreso tra il 1975 e il 2016" con l'aggiunta che "i dati indicativi dei crediti ceduti, nonché la conferma dell'avvenuta cessione per i debitori ceduti che ne faranno richiesta, sono messi a disposizione da parte del cedente e del cessionario sul sito (...). A fronte della contestazione circa la legittimazione attiva di (...), avanzata dai convenuti nelle proprie comparse di risposta, l'attrice ha prodotto un "elenco dei debitori inclusi" (doc. 13), allegandone la reperibilità nel medesimo sito internet indicato nell'estratto della gazzetta ufficiale, ed ulteriore documento (doc. 14) comprovante il fatto che alla debitrice (...) risulterebbe abbinato il codice cliente n. (...), ricompreso nell'elenco dei codici di cui al superiore doc. 13. Occorre fare applicazione dei più recenti principi espressi sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che da plurima giurisprudenza di merito. In particolare, occorre operare un richiamo alla recente Sentenza della Corte di Cassazione sez. VI, 28/06/2022, (ud. 07/04/2022, dep. 28/06/2022), n. 20739 concernente proprio un caso di cessione da parte di (...) S.p.A. in favore della (...) S.r.l. La Suprema Corte ribadisce come l'asserita cessionaria abbia l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo nell'operazione di cartolarizzazione e che possa ritenersi sufficiente l'avviso di pubblicazione in GU solo quando possa evincersi "senza incertezze" quali siano i rapporti oggetto della cessione. In tale ottica, proprio con riferimento alla GU n. 93 dell'8 agosto 2017 richiamata anche nel presente giudizio, la Cassazione afferma che "nel caso di specie, emerge dalla stessa ricostruzione del decreto impugnato che in data 14 luglio 2017 la Banca (...) aveva stipulato ben tre cessioni di crediti in blocco con tre soggetti diversi, aventi contenuto perfettamente identico e che erano state tutte pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 93 dell'8 agosto 2017, con la conseguenza che il mutuo oggetto di causa avrebbe ben potuto essere ricompreso in ognuna delle tre cessioni" Nel fare tale valutazione, la Suprema Corte ritiene privo di valenza l'asserito elenco delle posizioni cedute in quanto "il documento 8 prodotto dalla banca conteneva esclusivamente un mero elenco indistinto di codici numerici non riferibili ad alcun rapporto bancario in particolare". Alla luce della predetta giurisprudenza, non può ritenersi raggiunta la prova sufficiente e rassicurante della titolarità dello specifico credito per cui è lite, perché non è stata fornita prova documentale né dell'atto di cessione, né dell'adempimento del regime di pubblicità imposto dall'art. 58 co. 2 TUB (secondo il quale "La banca cessionaria dà notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La (...) può stabilire forme integrative di pubblicità"). Difatti, la società attrice non solo non ha mai prodotto in giudizio il contratto di cessione, ma neppure ha dato conto documentale della avvenuta iscrizione della cessione nel registro delle imprese. Il documento 12 prodotto dalla (...) non rappresenta propriamente un estratto della Gazzetta Ufficiale, ma la scansione di un estratto apparentemente prelevato dal sito (...) nel quale si dà avviso di un atto di cessione in blocco stipulato tra (...) e (...) in data 14.7.2017 e si rinvia al sito (...) per l'elencazione dei crediti ceduti. Ancora, il documento 13, elenco dei debitori identificabile con codice (...) prodotto dalla società attrice è un documento informale, che potrebbe afferire a qualsivoglia cessione, e non è di formazione certa (argomento analogo si trova considerato anche da parte della citata Cass. 28 giugno 2022 numero (...), che ha escluso che gli elenchi di codici numerici prodotti da (...) potessero considerarsi "strumenti con cui le banche coinvolte nella cessione agevolano la concreta individuazione dei codici ceduti"). In particolare, il predetto elenco non contiene affatto un'indicazione specifica degli elementi del contratto di cessione di cui si discute, non contenendo alcun riferimento alla presunta cessione del 14.07.2017, come neppure ad (...), o al sito internet (...). Inoltre, il doc. 14 dimostra effettivamente che alla debitrice principale è collegato il codice identificativo (...) ma ancora una volta non costituisce elemento sufficiente a provare con ragionevole certezza che il credito di cui si discute (vantato nei confronti del debitore identificato con quel codice) sia compreso nell'oggetto della specifica cessione in blocco apparentemente stipulata in data 14.7.2017 (in ogni caso "con efficacia dal 14.7.2017") tra (...) e (...). (...) non ha allegato le caratteristiche dell'atto di cessione presumibilmente stipulato in data 14.7.2017, ragion per cui non se ne può presupporre la natura di atto "di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile" (quantomeno ai fini di quanto evidenziato dalle richiamate Cass. 11.4.2017 n. 9250; ord. n. 8975 del 15.5.2020). Ulteriore, e non meno rilevante elemento di assoluta criticità, della prova offerta dalla società attrice, e già preso in considerazione da altra giurisprudenza di merito (sent. Trib. Rovigo n. 896/2022 dell'8.11.2022; sent. Trib. Padova n. 440/2022 del 7.03.2022; sent. Trib. Bologna n. 2897/2022 del 25.11.2022) riguarda la rilevante problematica per cui sulla medesima Gazzetta Ufficiale, lo stesso giorno, sono pubblicate ulteriori due cessioni effettuate da (...) S.p.A., per rapporti di apertura di credito in sofferenza, accese nel medesimo periodo temporale di cui sopra tra il 1971 e il 2016 rispettivamente a favore di (...) S.r.l. e a (...) S.r.l. per cui il rapporto oggetto del presente procedimenti, potrebbe essere anche compreso, indifferentemente, in entrambe le cessioni in blocco ulteriori. Tale valutazione, è stata espressamente valorizzata dalla recente Sent. Cass. 28 giugno 2022, numero 20739, che proprio in relazione alla pubblicazione avvenuta sulla Gazzetta numero 93 del 2017 da parte di (...), ha ritenuto erroneo il ragionamento effettuato dalla Corte territoriale, che viceversa aveva reputato tale dato ininfluente. Come visto, difatti, alla luce del suddetto elemento di criticità, del lasso temporale preso in considerazione dalle operazioni di cessione menzionate, dal momento che il mutuo oggetto di causa è stato stipulato in data 7.12.2010 (periodo ricompreso in tutte le operazioni di cessione menzionate), sarebbe stato onere della società attrice dare puntuale e rigorosa prova dell'effettiva titolarità da parte sua del credito oggetto di causa. Ancora, per ciò attiene alle specificità del presente procedimento, occorre fare riferimento ai due documenti prodotti in questa sede dalla società attrice. Per quanto attiene al doc. 15 della società attrice, ossia dichiarazione della (...) Spa che dice che tra i crediti ceduti rientra anche il credito di cui al mutuo verso (...), dichiarazione del 15.07.2021, non trattasi di documentazione dirimente per la prova richiesta in giudizio. Nella predetta dichiarazione, la (...) Spa, per mezzo di asserito funzionario, conferma che il credito oggetto di causa è stato oggetto di cessione dalla stessa (...), in favore di (...). Sul punto, tuttavia, come recentemente chiarito da plurima giurisprudenza di merito (sent. Trib. Padova n. 440/2022 del 7.03.2022; sent. Trib. Bologna n. 2897/2022 del 25.11.2022; Tribunale di Milano che, con Sentenza n. 7350 del 16.09.2021; Sentenza Trib. Milano n. 3753 del 02.05.2022), alcun valore probatorio dirimente può essere attribuito alla indicata dichiarazione, trattandosi di atti predisposto unilateralmente dalla (...), sottoscritto da soggetto le cui funzioni non vengono specificate, oltre che in assenza di una chiara indicazione dei poteri in forza dei quali il sottoscrittore agisce, in relazione alla stessa (...), essendo peraltro un documento di epoca successiva all'avvenuta cessione e che non consente di verificare la veridicità di quanto asserito. In particolare, la dichiarazione della (...) non ha valore probatorio dirimente, dal momento che l'originaria cedente non può attestare l'avvenuta cessione in favore di (...), dichiarazione che, invece, sarebbe dovuta provenire dalla (...). Ad ogni modo, alla luce delle plurime criticità sopra esposte, e visto l'ammontare del credito alla base della proposta domanda ex art. 2901 c.c., ben si comprende come la società attrice avrebbe dovuto fornire più chiare e rassicuranti prove circa la titolarità in capo alla stessa della posizione indicata, non potendo ammettersi, in questo caso, la prova per presunzioni. La Giurisprudenza di legittimità è chiara nel ritenere che debba essere fornita la dimostrazione documentale dell'acquisto del credito, come anche da ultimo ribadito dalla Cass. Civ., Sez. I, con ordinanza del 22 febbraio 2022, n. 5857, "in materia di cessione dei crediti in blocco ex art. 58 del T.u.b., la questione dell'essere il credito compreso tra quelli ceduti è rilevabile d'ufficio dal giudice di merito, attenendo al fondamento della domanda proposta dal cessionario; e la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del credito originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco, ha anche l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale". Da ultimo, si rileva che la società attrice ha prodotto soltanto con la propria memoria di replica ex art. 190 c.p.c. il documento n. 35. Come noto, trattasi di produzione del tutto tardiva e, in quanto tale, del tutto inammissibile, in quanto effettuata in violazione del principio del contraddittorio ex art. 111 Cost., ed in relazione alla quale le parti convenute non hanno accettato il contraddittorio. Trattasi, peraltro, di documento la cui formazione non è avvenuta successivamente al decorso dello spirare del termine per il deposito della seconda memoria ex art. 183, 6 co. c.p.c. Difatti, trattasi di documento datato 30.09.2019, quando il termine per il deposito dei mezzi di prova spirava nel presente procedimento nel mese di luglio 2021. Sul punto, la Suprema Corte ha chiarito che: "deve essere cassata la statuizione della sentenza impugnata che ha dichiarato la ammissibilità della produzione documentale tardiva, effettuata oltre la scadenza dei termini perentori assegnati dal primo giudice ai sensi dell'art. 184 c.p.c. (nel testo anteriore al d.l. n. 35 del 2005 convertito in legge n. 263 del 2005), sulla base della "funzione non già dimostrativa dei fatti costitutivi bensì di confutazione dell'attendibilità dei testimoni addotti dall'attore, la cui necessità è emersa solo all'esito dell'assunzione dei mezzi di prova orale", non essendo consentita alcuna regressione del processo alla fase processuale istruttoria ormai conclusa, nel caso in cui le parti non abbiano esercitato il potere di deduzione probatoria nei termini di decadenza assegnati dal Giudice, fatta salva soltanto la eventuale "rimessione in termini" per il compimento di attività processuali in ordine alle quali la parte è decaduta per causa ad essa non imputabile, che presuppone la espressa istanza di parte interessata - non essendo surrogabile dal Giudice di merito l'esercizio del potere dispositivo riservato alla parte processuale - e l'accertamento della condotta incolpevole tenuta dalla parte, da compiere secondo le modalità del procedimento previste dall'art. 294 c.p.c." (Cass. 16467/2017). In particolare, per quello che attiene l'avverarsi delle preclusioni processuali, è la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sent. n. 2951/2016, che ha indicato che: "le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall'attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l'eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l'allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti". Da ultimo, alcun rilievo assume nel caso di specie il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., proposto negli scritti conclusivi dalla parte attrice, a fondamento della pretesa di ritenere raggiunta la prova della titolarità del credito oggetto di causa. Infatti, non può applicarsi il principio di non contestazione che, come noto, deve essere attentamente valutata dal giudice, specie quando non attenga alla sussistenza di un fatto storico, ma riguardi un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto. In particolare, il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l'inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall'altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (cfr. Cass., sez. un., 3 giugno 2015, n. 11377, anche per ulteriori richiami). Come anche di recente affermato dalla Suprema Corte, perché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, e perciò non richiedente una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da quello esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili col disconoscimento di quel fatto (v. Cass. ordinanza n. 22 maggio 2019, n. 13828 ed in precedenza Cass. n. 5488 del 14/03/2006 e n. 12119 del 23/05/2006). Nel caso di specie, come visto, i convenuti hanno sin dal principio contestato il difetto di titolarità della posizione creditoria oggetto di causa, in capo alla società attrice, oltre ad aver sempre contestato la mancata produzione, da parte dell'attrice, di documentazione sufficiente, ai fini del tipo di prova richiesta in giudizio, contestando in tal modo il carattere dirimente e sufficiente della documentazione prodotta. In ogni caso, come ampiamente esposto, nel caso di specie l'onere della prova risultava gravante in modo rigoroso sulla parte attrice, e non può superarsi tale onere con la presunta efficacia sanante dell'art. 115 c.p.c., alla luce della mancata produzione da parte dell'attrice della documentazione necessaria, secondo quanto sopra indicato. In difetto di prova della titolarità del credito in capo all'attrice, alcuna delibazione circa la sussistenza degli elementi fondanti dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. può essere compiuta, non essendovi la prova della qualità di soggetto creditore, ai fini di cui all'azione revocatoria, in capo alla società attrice, visto il difetto non solo di legittimazione ad agire, ma anche di interesse ad agire. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono quindi poste interamente a carico della società attrice con onere di rifusione in favore delle parti convenute, in ragione del valore della causa, più prossimo allo scaglione compensi (...), rispetto allo scaglione (...) ed in applicazione del DM. 55/2014, aggiornato al DM. 147/2022. Le stesse si riducono parzialmente, stante la mancata ammissione di prove costituende. Da ultimo, non si ritiene di operare l'aumento del 30 per cento del compenso spettante al difensore delle parti convenute (...), rilevando trattarsi di potere discrezionale del Giudice (Cass., sent. N. 2649 del 21 marzo 1994), e considerato che la difesa di più parti con la stessa posizione processuale, non ha comportato, in questo caso, maggiori oneri difensivi in capo al comune difensore. P.Q.M. Il Tribunale di Rovigo, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa, così provvede: 1) Rigetta la domanda della società attrice (...); 2) Condanna (...), in persona del legale rappresentante p.t., a rifondere al convenuto (...) le spese di lite che si liquidano in euro 18.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario del 15 per cento, Iva e Cpa come per legge; 3) Condanna (...), in persona del legale rappresentante p.t., a rifondere ai convenuti (...), in persona del legale rappresentante pro tempore le spese di lite, che si liquidano in euro 18.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario del 15 per cento, Iva e Cpa come per legge. Si comunichi. Così deciso in Rovigo il 21 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO SEZIONE PENALE SENTENZA A SEGUITO DI DIBATTIMENTO Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Mabel MANCA ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato a (...) (P.) il (...) e residente a P. (P.), via R. n. 4, con domicilio ivi dichiarato libero - non comparso/ già presente IMPUTATO Come da foglio allegato. Con l'intervento dei Pubblico Ministero: Dott.ssa Cl.Fa. (v.p.o. delegato) Difensore di fiducia Avv. Da.Gi. di Foro di Padova presente (...): (...) nata ii (...) in B., residente in P. (P.), via R. n. 4, domiciliata ex lege presso lo studio dell'Avv. Ce.Te. del Foro di Rovigo, presente in proprio e quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio (...) nato il (...) a (...) (P.) Difensore di Fiducia: Avv. Ce.Te. del Foro di Rovigo, presente MOTIVAZIONE Con decreto che dispone il giudizio del 17.09.2019, (...) veniva chiamato a rispondere dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 61 n. 11 quinquies, 572, 582 e 585 c.p., commessi ai danni della convivente (...), che si costituiva parte civile nel presente procedimento. L'imputato presenziava al processo. L'udienza del 07.04.2020 veniva rinviata d'ufficio ai sensi dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020 in ragione dell'emergenza epidemiologica da "Covid-19", senza sospensione del termine di prescrizione, alla luce della sent. C. Cost. n. 140/2021. L'udienza del 09.03.2021 veniva rinviata per il legittimo impedimento del difensore dell'imputato a comparire, con sospensione del termine di prescrizione per la durata di giorni 60. L'istruttoria dibattimentale si svolgeva mediante l'escussione dei testi del Pubblico Ministero ((...) quale persona offesa, (...), (...), (...), (...)), con l'esame dei testimoni della parte civile ((...) e (...)), con l'esame dell'imputato e con l'esame dei testimoni della difesa ((...), (...) e (...)), nonché con la produzione documentale di tutti. Con il consenso delle parti, veniva acquisita l'annotazione di p.g. redatta il 03.07.2018, con rinuncia del P.M. all'esame dei testimoni di p.g. di cui alla propria lista. All'esito, le parti discutevano e concludevano come da separato verbale. Questi i fatti come emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale. 1. La deposizione della persona offesa e la documentazione prodotta dal P.M. e dalla (...) - In sede di esame testimoniale, la persona offesa (...) riferiva di avere intessuto una relazione sentimentale con (...) nell'anno 2015 e di avere con questi convissuto per 4 anni, a partire dal mese di febbraio del 2016, nell'abitazione di proprietà dell'imputato; dalla loro unione nasceva un figlio, (...), nato il (...). Dopo pochi mesi dall'inizio della convivenza la persona offesa si avvedeva che il compagno era dedito all'uso di sostanze alcoliche e veniva colta dal dubbio che potesse anche fare uso di sostanze stupefacenti, anche per ciò che le confidavano gli amici del (...), così, nel mese di agosto del 2016, rovistando nelle tasche dei pantaloni dell'uomo, rinveniva una bustina contenente una sostanza bianca che lei riconduceva a cocaina: subito ne parlava con l'imputato, il quale si adirava e la ingiuriava con epiteti quali "puttana, troia, vuoi farmi passare per un poco di buono, vuoi farmi passare per drogato, va nel tuo paese di merda, bulgara di merda"; al contempo la spintonava, le tirava i capelli, la afferrava per il collo, le sferrava alcuni calci e, dopo avere afferrato un'accetta, la brandiva verso di lei e pronunciava la frase "io ti ammazzo" (v. pag. 6 del verbale stenotipico del 27.05.2019). Presa dal timore, la donna chiedeva l'aiuto della suocera, che abitava in un appartamento del medesimo edificio, ma il suo intervento non fermava l'imputato, il quale la colpiva nuovamente e le faceva battere il campo su un termosifone, facendole perdete i sensi. Al suo risveglio, il (...) si allontanava e la suocera chiedeva l'intervento del personale del 118, al quale la persona offesa riferiva quanto successo. Il personale medico del pronto soccorso dell'ospedale di (...) (...) rilevava la presenza di un ematoma della fronte e nella zona retroauricolare destra, diagnosticando la presenza di contusioni multiple giudicate guaribili in giorni 7 (v. verbale di p.s. prodotto dal P.M. all'udienza del 27.05.2020). Dopo tale episodio, la donna si allontanava dall'abitazione per due settimane, facendovi poi ritorno a seguito delle scuse formulate dal compagno per l'accaduto e della promessa di iniziare un programma di trattamento della dipendenza presso il Ser.T, Tuttavia, nel periodo successivo, si verificava con frequenza che la (...) cogliesse il compagno nell'atto di bere alcool o di consumare oppiacei e, di fronte all'esternazione del suo disappunto, il (...) reagiva con violenza, danneggiando le suppellettili domestiche e percuotendo la compagna. Anche nel corso della gravidanza si verificavano numerosi litigi tra i due, sempre dovuti agli eccessi del (...) nel consumo di sostanze alcoliche e stupefacenti, i quali si verificavano sia all'interno delle mura domestiche, che in occasione di feste e cene con amici, assieme ai quali egli consumava cocaina e poi diveniva aggressivo. Ricordava la persona offesa che il (...) arrivava a schiaffeggiarla pubblicamente nel corso della festa di compleanno della titolare del bar presso cui la donna lavorava, abbandonandola lì nonostante fosse incinta, tanto che la (...) doveva fare rientro a casa accompagnata dagli altri, invitati (v. pag. 9 del verbale cit.). La nascita del figlio (...) non migliorava il clima familiare: appena nato il bambino con parto cesareo, il (...) si presentava ubriaco in ospedale e la donna lo allontanava, poi, il giorno del rientro a casa della (...) con il figlio, l'imputato invitava un suo zio ad entrare in casa a conoscere il neonato e questi si presentava con le scarpe sporche del sangue di animali appena macellati; all'invito della madre della (...) (che era giunta in Italia per assisterla) di vestirsi in modo consono all'ambiente dedicato al neonato e alla neomamma, il (...) reagiva ingiuriandola e percuotendo la compagna ancora convalescente, spintonandola e colpendola con un calcio sui glutei (v. pag. 9 del verbale cit). Nel periodo successivo la persona offesa litigava frequentemente con la suocera e il (...) in merito all'accudimento del neonato e, con una frequenza di circa due volte al mese, nel corso delle discussioni l'imputato la percuoteva con schiaffi, spinte e tirate di capelli (v. pag. 10 del verbale cit.). Un episodio violento si verificava allorquando la (...) si recava in Bulgaria per presentare il figlio ai propri parenti e li (...) veniva colto da un'infezione renale: il (...) si recava in Bulgaria per prelevarli e ricondurli in Italia e, una volta tornati a casa e portato il minore in ospedale, accusava la compagna di aver fatto ammalare il figlio, di non essere una buona madre e di essere pazza, la ingiuriava con frasi quali "bulgara di merda, troia" e le lanciava addosso un attrezzo da giardino (v. pag. 11 del verbale cit.). Ancora, nell'estate di 2018, la famiglia si recava in vacanza nelle Marche assieme ad una coppia di amici, tutti soggiornando nel medesimo bungalow. Al rientro dalla spiaggia la (...) si accingeva a fare il bagnetto al figlio, il quale piangeva per la bassa temperatura dell'acqua, così il (...) entrava in bagno e aggrediva la compagna, afferrandola per il collo: (...), l'amica presente nell'abitazione, vedeva la persona offesa in lacrime e notava i segni sul collo, così rimproverava il (...), il quale reagiva insultando la compagna e tentando di colpirla, non riuscendovi solo per l'intervento della coppia di amici: a seguito di tale episodio, la vacanza terminava anzitempo (v. pag. 12 del verbale cit.). Un altro episodio violento si verificava in data 1.11.2018 allorquando, dopo pranzo, il (...) decideva di andare a prendere il caffè al bar con alcuni amici, volendo portare con sé il figlio (...). La compagna di rappresentava l'inopportunità di tale uscita, atteso che il bambino aveva evacuato nel pannolino e necessitava di essere cambiato e, inoltre, alle 14.00 era solito andare a dormire; il (...) insisteva per uscire con il figlio, rappresentando che sarebbe tornato dopo 5 minuti. In realtà, non rincasava nemmeno dopo un'ora, così la persona offesa si recava presso il bar e trovava il (...) seduto ad un tavolo a bere vino con un conoscente, mentre (...) era seduto per terra vicino alla porta di ingresso che piangeva in solitudine. La donna rimproverava il compagno e rincasava con il figlio, che si addormentava. Dopo circa 15 minuti faceva rientro a casa anche il (...), rivolgendosi a lei con frasi quali "puttana, troia, ti spacco la testa, ti ammazzo, guarda che figure mi fai fare davanti ai miei amici, cosa vuoi far vedere? Che io non sono un bravo papà? Ma cosa vuoi dimostrare? Sei brava solo tu?", tirandole i capelli e colpendola con vari calci. Dopodiché si allontanava dall'abitazione e faceva rientro per circa due o tre volte, con atteggiamento aggressivo e irato, tanto che sua madre si allontanava di casa e lasciava la (...) e (...) da soli con lui. Dopo che il bambino si svegliava, mentre faceva merenda assieme alla madre, il (...) si presentava da loro e brandiva una pistola, dicendo alla persona offesa "Guarda qua la pallottola, adesso te la tiro diretta, ti ammazzo, io non ho paura di nessuno, chiama pure i Carabinieri, non ho paura di nessuno, mi sono fatto anche una mega riga di cocaina, stavolta sì che è finita per te, che ti. ammazzo, non fi andrà bene come nel 2016 che non avevi niente, stavolta ti ammazzo, ti metto in una bara, ti faccio a pezzi e ti metto in freezer, nessuno ti troverà, ti taglio la gola, la trachea, nessuno se ne accorgerà, chiamo i miei amici che così gli dico che voglio ammazzarti ed almeno loro sanno che io ti ho ammazzato, perché sei una puttana, vai da tua madre puttana, tua sorella puttana, siete tutte puttane, vai nel tuo paese di merda" (v. pag. 14 del verbale cit.). La donna cercava di rifugiarsi assieme al figlio nelle varie camere dell'abitazione, ma il (...) si era impossessato delle chiavi delle porte e seguiva lei e il figlio con la pistola in mano e percuoteva la compagna, fin quando lui stesso non contattava uno dei suoi amici dicendogli "venite qua che la ammazzo, che la ammazzo", mentre la (...), che veniva percossa dal (...), urlava all'interlocutore di andare ad aiutarla (v. pag. 15 del verbale stenotipico). Subito si presentavano in casa tre amici del (...), i quali cercavano di trattenerlo mentre lui tentava ancora di colpire la (...), la quale stava recuperando alcuni effetti personali per allontanarsi di casa assieme al figlio. A riprova di ciò, il Pubblico Ministero produceva 6 fotografie ritraenti le sue braccia e le sue gambe segnate dagli ematomi procurati in tale occasione dalle percosse inflitte dall'imputato (v. immagini prodotte dal P.M. all'udienza del 27.05.2020). Il verbale di pronto soccorso redatto in data 04.11.2018 dal personale medico dell'ospedale di (...) (...) dà conto della narrazione operata dalla persona offesa pochi giorni dopo il verificarsi dei fatti in questione: la donna riferiva di essere stata percossa dal compagno con calci, pugni e tirate di capelli in presenza del figlio minore, nonché minacciata di morte con una pistola da macellaio. La donna riportava ecchimosi al livello del ginocchio e della gamba destri, nel terzo e quarto dito della mano sinistra, sul braccio sinistro, su braccio e avambraccio destri. Veniva dimessa con la diagnosi di ecchimosi diffuse a seguito di percosse, con prognosi di guarigione pari a giorni 10 (v. verbale di cui all'aff. 70, prodotto all'udienza del 27.05.2020). Il Pubblico Ministero produceva, all'udienza del 08.07.2020 un CD audio contenente tre registrazioni della rispettiva durata di 6.38 minuti, 1.34 minuti e 15.12 minuti, effettuate dalla persona offesa in data 1.11.2018 mediante il proprio smartphone, nel corso del litigio avuto con il M.. Dal loro ascolto si sente il (...) minacciare innumerevoli volte la (...) di percuoterla e di ucciderla, ingiuriare la donna e la sua famiglia e si sente distintamente l'imputato armeggiare con degli arnesi fino a riferire di avere in mano una pistola, con la quale l'avrebbe uccisa sparandole un unico colpo davanti al figlio, che era presente al litigio ed emetteva suoni e lallazioni nella parte finale della terza registrazione. Dopo tale episodio la persona offesa soggiornava per quattro giorni presso l'abitazione dell'amica (...), ma alcuni amici del (...) le riferivano che l'imputato era profondamente adirato e che in macchina aveva una spranga, che diceva di voler utilizzare per danneggiare l'abitazione della (...) se avesse ancora ospitato la (...) e (...). La (...), intimorita da tale atteggiamento, invitava la (...) a sporgere denuncia contro l'imputato e a trovare un altro alloggio: la madre del (...) a questo punto la contattava, rappresentandole di fare rientro a casa perché il (...) si era trasferito per qualche giorno nell'abitazione di un amico. La persona offesa si trasferiva quindi nuovamente presso l'abitazione familiare e, trascorsi circa tre giorni, il (...) faceva a sua volta rientro, decidendo di dormire nel pianto interrato dell'edificio, mentre la (...) e il figlio occupavano l'appartamento posto al primo piano. In tale occasione, l'imputato lasciava sul tavolo della cucina della compagna un biglietto, sul quale scriveva la frase "scusa, sono stato una merda, mi sento vuoto e hai ragione su tutto, farò tutto come dici tu, mi mancate" e ribadiva, nelle conversazioni che intercorrevano via "Whatsapp" con la compagna, la propria intenzione di sottoporsi alle cure presso il Ser.T. (v, pag. 20 del verbale cit. e v. doc. prodotto dal P.M. all'udienza del 27.05.2020 e v. aff. 78 prodotta dal P.M. all'udienza del 27.05.2020). La convivenza tra i due durava fino al mese di agosto del 2019: fino a tale momento, nella coppia si scatenavano di frequente vilenti litigi a causa della condotta dell'imputato, il quale era solito assumere bevande alcoliche o stupefacenti anche alla presenza del figlio minore e reagiva percuotendo la compagna laddove questa lo invitava a porre fine a tale suo comportamento o, quantomeno, a non reiterarlo in presenza del figlio (v. pag. 26 del verbale cit.). Inoltre, atteso che la (...), per scelta condivisa, aveva rinunciato al proprio lavoro di barista per dedicarsi al figlio, l'imputato sovente la incalzava con frasi del tipo "tu non fai dalla mattina alla sera un cazzo, la casa è tutta sporca", denigrandola anche davanti a sua madre. - In merito all'episodio accaduto in data 03.07.2018, quando la coppia (...)-(...) faceva rientro a casa dopo il viaggio in Bulgaria, veniva acquisita, con il consenso delle parti, l'annotazione di p.g. redatta dai Carabinieri della Stazione di Conselve che effettuavano l'intervento, nella quale si riferisce come il (...) si trovasse in stato di ebbrezza alcolica e, spalleggiato dalla sorella (...) e dal di lei marito, riferiva di avere animatamente discusso con la compagna a causa dell'atteggiamento aggressivo di questa, la quale lo rimproverava in continuazione e, con tale sua condotta, lo induceva a percuoterla in vari episodi. La persona offesa smentiva l'accaduto, riferendo che i problemi familiari traevano origine dal consumo smodato di sostanze alcoliche e stupefacenti da parte del (...), il quale poi la percuoteva e danneggiava mobili e suppellettili dell'abitazione (v. aff. 34 acquisita all'udienza del 27.05.2020). - All'udienza del 23.06.2021, la parte civile produceva copia degli screenshot tratti dal telefono cellulare della (...), i quali rappresentavano il contenuto della chat intercorsa tra imputato e persona offesa nel periodo compreso tra il 4 e il 13 novembre 2018: nei messaggi, la (...) accusava il compagno di averla percossa ("E sei un bugiardo hai detto ke nn mi hai mai picchiato invece i lividi dicono altro") e questi si scusava "per avere perso le staffi"; la donna ribatteva di non volere riprendere la convivenza e precisava "non ti riconosco più e ho paura e vivo sotto stress tt i giorni...". 2.1 testimoni dell'accusa. - (...), proprietario di un ristorante a Pozzonovo e conoscente del (...), ricordava di essere stato contattato telefonicamente da questi il pomeriggio dell'01.11.2018 per sedare la discussione in corso con la (...) per la vicenda avvenuta nel pomeriggio, riguardo la quale la persona offesa accusava l'imputato di avere trascurato il figlio (...) mentre si trovava nel locale del (...) - a tale proposito, il testimone riferiva di non avere assistito al litigio scoppiato nel proprio locale in quanto si trovava all'interno della cucina. Il (...), preoccupato dai toni alterati del (...), contattava a sua volta gli amici (...) e (...) e assieme si dirigevano presso l'abitazione dell'imputato. Qui trovavano la coppia in forte stato di agitazione, con l'imputato che invitava la persona offesa a lasciare l'abitazione e la minacciava di colpirla con un pugno, mentre la (...), in lacrime, riferiva ai due di essere stata percossa dal (...) (v. pagg. 25 e 26 del verbale stenotipico del 08.07.2020). Il teste (...) confermava quanto riferito dal (...) in ordine alla discussione insorta nel pomeriggio dell'01.ll.2018 tra la (...) e il (...) per questioni legate alla cura del figlio (...) da parte dell'imputato. La sera di quello stesso giorno, il (...) contattava telefonicamente il testimone e chiedeva un suo intervento per sedare la lite ancora in corso con la compagna, così il V. si recava presso la loro abitazione assieme agli amici (...) e (...) (v. pag. 39 del verbale stenotipico del 08.07.2020). Al loro arrivo, la (...) si trovava in bagno con (...), con la porta chiusa a chiave, e ne usciva solamente su richiesta dei tre, apparendo scossa per la situazione. Il testimone non riferiva di alcuna dinamica violenta tra i due conviventi, né notava segni di percosse sul corpo della (...). (...), a sua volta, riferiva di essere stato contattato al telefono dal V. la sera dell'01.11.2018 per recarsi presso l'abitazione del (...): qui giunto, trovava la (...) intenta a badare al figlio (...) e a preparare le valigie per allontanarsi dall'abitazione. Il giorno successivo la donna gli inviava un messaggio telefonico, nel quale si scusava per lo stato di agitazione in cui versava e chiedeva di aiutare il (...) a "darsi una regolata", tuttavia il testimone affermava di non riconoscere alcuna credibilità alla (...) in ordine ai racconti fatti sull'andamento della sua relazione affettiva con il (...) (v. pagg. 62 e 63 del verbale stenotipico del 08.07.2020). - (...), madre della persona offesa, riferiva come il legame sentimentale tra la figlia e il (...) fosse stato subito segnato da litigi e violenze fisiche a causa dell'uso di sostanze stupefacenti da parte dell'imputato. Il primo grave episodio di violenza inferta dall'uomo nei confronti della compagna si verificava nel 2016, quando la (...) sorprendeva l'imputato ad assumere sostanza stupefacente, ma questi si ostinava a negare, così scatenando un litigio nel corso del quale percuoteva la donna, che si rifugiava per 15 giorni presso l'abitazione dove sua madre lavorava come badante, presentandosi con il corpo segnato da numerosi lividi: la persona offesa, tuttavia, non denunciava l'accaduto perché minacciata di morte dal (...), il quale, in ragione del suo mestiere di macellaio, aveva a disposizione una pistola e numerosi coltelli. L'indole violenta del (...) si manifestava anche nel 2017, immediatamente dopo la nascita del figlio (...), quando, facendo ritorno a casa dopo avere subito un parto cesareo, la (...) discuteva con l'imputato, che la insultava e le sferrava alcuni calci in presenza della testimone. La (...) rimproverava il (...) per tale suo atteggiamento, ma questi rispondeva dicendole "puttana, vai via da casa mia": nei venti giorni successivi la testimone rimaneva a casa della figlia per accudirla e aiutarla con il neonato e riscontrava come l'uomo fosse costantemente agitato e arrabbiato, propenso a litigare e discutere con la compagna e sempre pronto ad apostrofarla con il termine "puttana" anche davanti al figlio, peraltro rompendo suppellettili di casa e sbattendo le porte durante le discussioni, così cagionando un costante stato di ansia nel neonato, che piangeva copiosamente (v pagg. da 5 a 7 del verbale stenotipico del 20,01.2021), - (...), amica della coppia (tanto che pochi giorni prima dell'esame testimoniale si era recata a cena presso l'abitazione dell'imputato), era a conoscenza dei rapporti tesi e litigiosi che si erano instaurati tra la persona offesa e l'imputato, che peggioravano dopo la nascita del loro figlio, (...). Era presente in occasione dell'episodio verificatosi durante l'estate del 2017 e narrato dalla (...), allorquando questa decideva di fare il bagnetto al figlio nel bagno del bungalow, ma l'acqua dentro la vasca era eccessivamente fredda e il bimbo piangeva, scatenando l'ira del (...): a tale proposito, la testimone riferiva che nel corso dell'intera giornata la (...) "provocava" il compagno, lamentandosi della scelta del luogo di villeggiatura, tanto che alla sera, esausto dalle lamentele, il (...), sentendo il figlio piangere, si adirava e discuteva animatamente con la persona offesa, afferrandola per il collo davanti alla (...) (v. pag. 14 del verbale stenotipico del 20.01,2021). Nel mese di novembre del 2018 la testimone veniva raggiunta da una telefonata della persona offesa che le domandava aiuto, in quanto si era inverata una violentissima lite con il (...) ed erano giunti in suo soccorso tre amici dell'imputato: la (...) decideva di ospitare la donna e il piccolo (...) nella propria abitazione e notava che la (...) presentava un ematoma sul dito di una mano e che lamentava un forte dolore a un polpaccio (v. pag. 16 del verbale cit.). Dopo pochi giorni, la donna faceva rientro a casa per cercare di recuperare la relazione con il compagno. La testimone aggiungeva che, per quanto fosse di sua conoscenza, i litigi che si verificavano nella coppia traevano origine dai rimproveri della (...) nei confronti del (...), che poi degeneravano in discussioni nel corso delle quali, talora, l'imputato la percuoteva, come nell'episodio che si verificava nel 2016, all'inizio della loro relazione, allorquando, a seguito di una discussione, la persona offesa doveva ricorrere all'ausilio di un'autoambulanza e alle cure del personale ospedaliero (v. pag. 19 del verbale cit). 3. L'esame dell'imputato e dei testimoni della difesa. - L'imputato (...), decidendo di rendere l'esame, descriveva la relazione sentimentale con la (...) come burrascosa e litigiosa, tuttavia negava fermamente che, nel corso delle frequenti discussioni che insorgevano, lui abbia mai usato violenza nei confronti della compagna (v. pag. 4 del verbale stenotipico del 23.06.2021). Quanto all'episodio verificatosi la notte del 7.08.2016, riferiva che la (...) lo aveva ingiustamente accusato di avere assunto cocaina e, per tale ragione, voleva recarsi presso l'adiacente appartamento della suocera per segnalarle che il figlio faceva uso di sostanza stupefacente: l'imputato cercava di fermarla e la donna gli sferrava ben sette schiaffi al volto, finché il (...) reagiva schiaffeggiandola a sua volta (v. pag. 6 del verbale cit.). Decideva, quindi, di allontanarsi da casa, ma la (...) lo afferrava per le spalle, così lui, nel tentativo di divincolarsi, la spingeva fino a farla cadere contro uno dei termosifoni presenti nella stanza (v. pagg. 13 e 14 del verbale cit.). In merito, invece, agli accadimenti del 04.11.2018, ricordava che, dopo essere stato raggiunto dalla (...) al ristorante del paese ed essere stato pubblicamente rimproverato dalla donna per non avere accudito il figlio, rincasava e lì veniva ingiuriato dalla persona offesa, che gli puntava un paio di forbici alla gola, in presenza della madre del (...), desistendo solamente perché l'uomo le afferrava la mano e le sottraeva le forbici. Il (...) si allontanava da casa per far calmare la situazione e faceva rientro dopo circa un'ora: la (...) riprendeva a ingiuriarlo, così lui si allontanava una seconda volta. Al suo rientro, la compagna continuava a rimproverarlo, arrivando a dirgli "tu hai fatto morire tuo padre di tumore, sei stato tu a farlo morire, sei proprio una merda", così l'imputato dava in escandescenza, urlando e insultando la compagna, che, in questo frangente, registrava la discussione (v. pagg. 9 e 10 del verbale cit.). Al di là dei singoli episodi, il (...) confermava di essere stato un assuntore di sostanze stupefacenti, ma affermava di essersi spontaneamente sottoposto alle cure del Ser.D. a partire dal mese di maggio del 2020; nel corso della convivenza con la persona offesa, consumava saltuariamente hashish e marijuana, ma non cocaina. Le litigate che si scatenavano quasi quotidianamente in ambito familiare originavano tutte dalla (...), che rimproverava continuamente l'imputato e lo percuoteva nel corso delle discussioni; lui, tuttavia negava di averla mai percossa (v. pag. 20 del verbale cit.). - All'udienza del 23.,06.2021 veniva acquisita la relazione redatta dal personale del Ser.D. dell'Alta e Bassa padovana in data 04.01.2021, nella quale si dava conto della presa in carico del (...) a far data dal 19.05.2020, con frequenza regolare del programma di monitoraggio, poi interrotto nel mese di novembre; i controlli riprendevano successivamente ed evidenziavano l'assenza di assunzione di sostanze stupefacenti, mentre il consumo di alcool non veniva cessato, ma solamente diminuito. - (...), madre dell'imputato, decidendo di ricoprire il ruolo di testimone dopo essere stata raggiunta dagli avvisi di cui all'art. 199 c.p.p., riferiva di avere abitato nell'appartamento sottostante l'abitazione del figlio A., dove andava a vivere anche la (...) a partire dall'anno 2016 e di non avere mai assistito a discussioni violente insorte tra i due, ad eccezione di un episodio avvenuto nel 2016, quando la donna udiva la coppia urlare e si presentava presso la loro abitazione per capire cosa stesse succedendo: in tale occasione notava la (...) strattonare il (...) afferrandolo per il bavero del giubbotto (infatti era inverno e lui era vestito con abiti invernali), questi si voltava bruscamente per liberarsi dalla presa e la donna cadeva addosso al termosifone e poi a terra; atteso che la (...) accusava un malessere, la testimone chiedeva aiuto telefonicamente alla figlia F. e domandava l'intervento di un'ambulanza (v. pag. 8 del verbale stenotipico del 07.12.2022). Non ricordava se, in occasione della discussione insorta tra il figlio e la (...) di ritorno dalla Bulgaria nell'anno 2017, lei avesse chiesto l'intervento dei Carabinieri per sedare la lite; non era a conoscenza del fatto che il figlio fosse in cura presso il Ser.D. per la dipendenza da sostanze stupefacenti; non era a conoscenza del motivo per il quale, nel mese di novembre del 2018, la (...) si allontanava di casa col figlio (...), rimanendo ospite di (...) per qualche giorno prima di fare rientro a casa. - (...), raggiunta dagli avvisi di cui all'art. 199 c.p.p. in quanto sorella dell'imputato, decidendo di rendere testimonianza, riferiva di non avere mai avuto un buon rapporto con la persona offesa, la quale in alcune occasioni si lamentava con lei del cattivo comportamento del fratello. La teste ricordava dell'episodio nel quale la (...) doveva ricorrere alle cure del pronto soccorso e tutti i familiari del (...) si recavano da lei per sincerarsi delle sue condizioni: questa, in lacrime, riferiva di essere stata percossa dal (...), ma era determinata a non porre fine alla loro relazione sentimentale perché innamorata di lui, così attirando l'ira di (...), che non accoglieva di buon grado la sua relazione con (...). - (...), amica dell'imputato, riferiva di non avere mai personalmente assistito a discussioni insorte tra l'imputato e la persona offesa, tuttavia, nel corso delle frequentazioni con il loro nucleo familiare, aveva notato come la (...) limitasse il marito nell'invitare i conoscenti nella propria abitazione e come la donna solesse lamentarsi delle scelte fatte dal marito o dai suoi amici quanto all'individuazione dei locali da frequentate o dei ristoranti presso i quali recarsi. Affermava di non essere a conoscenza del fatto che l'imputato abbia frequento il ser.D. per la cura di dipendenze da sostanze stupefacenti. Gli esiti dell'istruttoria dibattimentale svolta hanno consentito di ritenere provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell'odierno imputato in relazione ai reati contestatigli. La principale fonte di prova diretta è costituita dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, (...). Appare opportuno richiamare, sul punto, l'orientamento costante della Suprema Corte secondo cui, in tema di valutazione della prova, la deposizione della persona offesa, anche se rappresenta l'unica prova del fatto da accertare, può essere posta da sola a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato - atteso che a tali dichiarazioni non si applicano le regole di cui al comma 3 dell'art. 192 c.p.p. -, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (si veda Cass., sez. 5, sent. n. 21135/2019 e Cass., sez. 2, sent. n. 43278/2015). Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti operata in sede dibattimentale dalla persona offesa non riporta contraddittorietà o illogicità intrinseche, tali da minarne l'attendibilità e la conseguente valenza probatoria, o tali da porre in dubbio la credibilità soggettiva della teste. Al contrario, le dichiarazioni rese risultano internamente coerenti e pienamente confermate dalla documentazione acquisita e dalle deposizioni rese dagli altri testimoni esaminati nel corso del dibattimento, oltre che dalla documentazione fotografica acquisita in atti. 1. Capo A) dell'imputazione. Quanto al delitto di cui all'art. 572 c.p. contestato al capo A) dell'imputazione, le dichiarazioni rese dalla persona offesa hanno trovato un pieno e positivo riscontro nel racconto fornito dalla madre, (...), la quale non solamente riceveva le confidenze della (...), ma soggiornava per alcuni periodi nell'abitazione familiare delle parti, riscontrando in prima persona una forte tensione nei rapporti di coppia, originata dall'atteggiamento aggressivo e violento del (...), il quale era solito apostrofare la persona offesa con epiteti ingiuriosi e distruggere, in preda a moti d'ira, le suppellettili di casa, peraltro cagionando uno stato di timore nel figlio (...) appena nato. Le deposizioni rese da tutti gli altri testimoni esaminati nel corso del dibattimento hanno pienamente confermato la narrazione della persona offesa in relazione ai vari episodi di violenza verificatisi nel corso della relazione sentimentale con l'imputato: - quanto all'episodio verificatosi nel mese di agosto del 2016, quando la (...), nel corso di una colluttazione sorta con l'imputato a seguito di un'accesa discussione, veniva percossa e spinta contro un termosifone, un primo riscontro viene fornito dal certificato di pronto soccorso, nel quale il personale medico riscontrava la presenza, sul corpo della (...), di lesioni quali ematoma sulla fronte ed ematoma nella zona retroauricolare destra, del tutto compatibili con la dinamica dei fatti descritta dalla donna, la quale, peraltro, riferiva nell'immediatezza dei fatti di essere stata percossa. La vicenda veniva, poi, riferita dalla (...) a sua madre, la quale la esponeva in sede testimoniale in maniera del tutto coerente e non contraddittoria rispetto alla narrazione operata dalla figlia. Né la veridicità di quanto narrato risulta messa in discussione dalla deposizione resa dalla madre del (...), la quale appare inattendibile nella parte in cui dichiara di ricordare con sicurezza che la scena si sarebbe svolta durante la stagione invernale, in quanto la (...) avrebbe afferrato il (...) per il bavero del giubbotto e questi, nel tentativo di liberarsi dalla presa, l'avrebbe involontariamente spinta contro il termosifone: ricostruzione, questa, del tutto inverosimile, tenuto conto del fatto che la vicenda aveva luogo nel mese di agosto. Risulta, quindi, provata l'aggressione fisica compiuta dal (...) nel mese di agosto del 2016 ai danni della persona offesa, senza che la presenza di sua madre lo dissuadesse dall'attuare una condotta violenta e prevaricatrice, originata dall'accusa, a lui rivolta dalla (...), di fare uso di sostanze stupefacenti; - in relazione alle percosse asseritamente subite dalla persona offesa da parte dell'imputato nel periodo immediatamente successivo al parto, la teste J., presente ai fatti, confermava come il (...) fosse solito ingiuriare e aggredire verbalmente e fisicamente la (...) nonostante le sue precarie condizioni di salute; - con riguardo all'episodio accaduto in data 03.07.2018, quando la coppia M.-(...) faceva rientro a casa dopo il viaggio in Bulgaria, l'annotazione di p.g., acquisita con il consenso delle parti, contiene il preciso riferimento allo stato di ebbrezza alcolica nel quale versava il (...) al momento dei fatti e il chiaro riferimento da questi operato al fatto di avere percosso la (...) in quella occasione anche in episodi precedenti a causa dell'atteggiamento provocatorio della donna, con ciò pienamente riscontrando la narrazione operata dalla persona offesa quanto alla dedizione dell'imputato al consumo di bevande alcoliche e alle sue condotte violente; - quanto ai fatti occorsi in occasione del soggiorno nelle Marche, nel corso del quale il (...) avrebbe afferrato la (...) per il collo, una diretta conferma alla veridicità della vicenda proviene dalla deposizione della teste (...), la quale, pur mostrando di voler giustificare il nervosismo mostrato dall'imputato (dovuto alle lamentele della compagna sulla scelta del luogo di villeggiatura), ammetteva che questi percuoteva la (...) per il semplice motivo che il figlio (...) si era messo a piangere. La medesima testimone confermava di avere ricevuto le confidenze della persona offesa in ordine alle percosse e alle aggressioni fisiche subite ad opera del (...) e confermava lo stato di paura e agitazione della donna a seguito dell'episodio verificatosi in data 01.11.2018, a seguito del quale la (...) ospitava per qualche giorno la (...) e il figlio (...) nella propria abitazione; - l'episodio del 01.11.2018 trovava, a sua volta, plurime fonti di riscontro: i testi dell'accusa V., (...) e (...) confermavano di avere riscontrato un forte stato di agitazione e di aggressività nel (...), il quale li contattava telefonicamente e li poneva a conoscenza della volontà di fare del male alla compagna; gli stessi, presentandosi presso l'abitazione del (...), verificavano come la (...) si fosse rinchiusa nel bagno dell'abitazione per timore del (...) e ne uscisse solamente grazie alla loro presenza. Ulteriore prova è rappresentata dal CD audio acquisito in atti, contenente tre file audio registrati dalla (...) con il proprio telefono cellulare, poi ascoltati dagli inquirenti e dagli stessi estratti e trasfusi su un formato CD, dunque pienamente utilizzabile alla luce dell'accertamento sulla sua origine e sulla corretta catena di custodia (v. deposizione M.llo (...), pag. 6 del verbale stenotipico del 08.07.2020): le registrazioni confermano pienamente la condotta ingiuriosa e gravemente minatoria del (...), che minacciava innumerevoli volte di morte la (...), financo impugnando la pistola utilizzata per l'abbattimento di animali e paventando di utilizzarla in qual momento davanti al figlio (...). Ancora, il certificato di p.s. acquisito in atti dà conto della presenza, sul corpo della persona offesa, di numerosi lividi, osservati su ginocchio e gamba destri, sulla mano sinistra e su entrambe le braccia, come, peraltro, testimoniato dalle immagini fotografiche acquisite in atti, e ciò a riprova delle percosse inflitte dal (...) alla compagna; - infine, la dedizione dell'imputato all'uso di sostanze stupefacenti e all'abuso di sostanze alcoliche, così come riferito dalla (...) e da questa posta all'origine non solamente dei litigi che insorgevano nella coppia, ma anche dell'atteggiamento fortemente aggressivo dell'imputato, risulta comprovato dalle dichiarazioni confessorie rese, sul punto, dal (...), e dalla sua sottoposizione ad un programma di controllo da parte del Ser.D., il quale dava conto del persistente consumo di bevande alcoliche da parte del prevenuto nonostante la vigenza di controlli periodici e costanti ad opera del personale del Servizio. Il sopra esposto quadro probatorio vale, quindi, di per sé a privare di attendibilità le dichiarazioni rese dall'imputato, il quale negava fermamente di avere mai percosso la compagna. Né i testimoni della difesa fornivano un sostanziale apporto volto a privare di fondatezza la narrazione della (...), Ne emerge, dunque, una situazione familiare nella quale il (...), dedito all'uso di sostanze alcoliche e stupefacenti, era solito scadere in condotte aggressive e violente ai danni della compagna, anche in presenza del figlio appena nato, di sua madre e della suocera, reagendo in maniera del tutto smodata ai rimproveri o alle lamentele della compagna. Né lo stato di gravidanza o di puerperio della (...) risultavano sufficienti a dissuaderlo dal perpetrare le proprie condotte prevaricatrici, che venivano attuate anche in presenza del figlio neonato, in totale spregio delle condizioni psicologiche di timore e ansia in cui il minore e la madre versavano a causa del suo atteggiamento. Sussiste, in conclusione, un ampio complesso probatorio a dimostrazione dell'avvenuta commissione del reato di maltrattamenti da parte dell'imputato ai danni della moglie. Deve, infatti, ritenersi provato che l'imputato pose in essere, a partire dal 2016, una serie ininterrotta di comportamenti volti a umiliare, ingiuriare, intimorire e sopraffare la compagna, quali le gravi offese ripetute, le minacce di morte, le percosse brutali, così sottoponendola ad un regime di vita di relazione abitualmente doloroso, afflittivo e teso, che determinava nella vittima uno stato di prostrazione, paura, sottomissione e sofferenza morale. In ciò consiste, precisamente, l'elemento materiale del delitto di cui all'art. 572 c.p. (si veda, da ultimo, Cass., sez. 3, sent. n. 6724/2018). Il delitto de quo si configura pacificamente come reato abituale, caratterizzato dalla sussistenza di una serie di fatti, che rinvengono la ratio della loro antigiuridicità nella reiterazione e protrazione, in un arco di tempo apprezzabile, di condotte determinanti sofferenze fisiche o morali nella vittima, avvinte nel loro svolgimento dall'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o psichica del soggetto passivo e di sottoporlo ad un regime di vita abitualmente doloroso e avvilente, oltre la normale tollerabilità della convivenza; le riferite condotte devono, dunque, essere espressione di un atteggiamento di prevaricazione e di realizzazione di un sistema relazionale familiare fondato essenzialmente sull'intimidazione e sulla violenza (v. Cass., sent. n. 41142/2010). I comportamenti posti in essere dall'imputato ed accertati nel corso dell'istruttoria dibattimentale sono parsi di una tale univocità da dimostrare, di per sé, la sussistenza dell'elemento psicologico del reato, rivelando essi la piena coscienza e la precisa volontà dell'imputato di sottoporre la persona offesa ad un sistema di vita abitualmente vessatorio e intimidatorio. Sussiste, nel caso di specie, l'aggravante di cui al comma 2 dell'art. 572 c.p., atteso che i vari episodi di ingiuria e violenza venivano posti in essere anche alla presenza del figlio minore (...), come dichiarato dalla persona offesa e come provato dall'audizione delle registrazioni operate nel corso dell'episodio di violenza verificatosi in data 01.11.2018. 2. Capo B) dell'imputazione. Rimandando, quanto alla credibilità soggettiva e all'attendibilità oggettiva della narrazione operata dalla persona offesa, alle considerazioni sopra svolte, si osserva che, con riguardo ai reati di lesioni contestati al capo B) dell'imputazione, il racconto fornito dalla persona offesa è stato riscontrato dalla certificazione medica e dalla documentazione fotografica prodotta dal Pubblico Ministero. Sussiste, dunque, il reato di lesioni così come contestato a carico dell'imputato, per avere questi cagionato, in data 07.08.2016 e in data 01.11.2018, una malattia ai danni della compagna, per tale intendendosi non solo qualsiasi limitazione funzionale dell'organismo, ma anche ogni significativa alterazione da cui derivi un processo patologico, per tale potendosi intendere qualsiasi tipo di contusione (v. Cass., sez. 7, sent. n. 29786/2016). Sussiste, altresì, l'elemento soggettivo del reato, rappresentato dalla coscienza e volontà dell'imputato di cagionare lesioni personali ai danni della persona offesa. Appare correttamente contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 577, comma 1, n. 1, c.p., per avere l'imputato commesso il reato di lesioni ai danni della compagna convivente; appaiono altresì sussistenti le circostanze aggravanti di cui all'art. 61, n. 2 e n. 11 quinquies c.p., per avere l'imputato commesso il reato anche in presenza del figlio minore e per commettere il reato di maltrattamento. Il trattamento sanzionatorio. Venendo al trattamento sanzionatorio, pare individuabile la medesimezza del disegno criminoso sotteso alla commissione delle condotte delittuose ascritte all'odierno imputato, per avere egli deciso di sottoporre la compagna ad un regime di vita familiare particolarmente oppressivo e doloroso, così ponendo in essere i reati di maltrattamento e lesioni nel medesimo arco temporale con l'unico scopo di infliggerle sofferenze morali e fisiche. Quanto alla commisurazione della pena, considerato più grave il capo A) dell'imputazione, avuto riguardo ai criteri di cui all'art. 133 c.p. e alla cornice edittale vigente al momento della consumazione del reato, si stima equo determinare la pena in misura pari al minimo edittale, e così in anni due di reclusione. Sulla pena così individuata viene applicato l'aumento per la riconosciuta circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11 quinquies, c.p. in misura inferiore a 1/3, per meglio adeguare la pena irrogata alla gravità del fatto commesso, così rideterminandosi la sanzione in anni 2 e mesi 3 di reclusione. Andranno, infine, operati gli aumenti per effetto della continuazione con i due episodi delittuosi contestati alo capo B) dell'imputazione, in misura pari a mesi 1 di reclusione ciascuno, per una pena finale di anni 2 e mesi 5 di reclusione. SÌ fa luogo alla disapplicazione della contestata recidiva, in ragione della risalenza nel tempo dei precedenti penali e alla eterogeneità delle condotte ivi contestate rispetto al reato per il quale qui si procede, le quali non paiono indice di maggiore pericolosità dell'imputato e non giustificano un inasprimento del trattamento sanzionatorio. Non sono emersi agli atti elementi dai quali trarre la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche in favore dell'imputato. Segue, per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali. Le questioni risarcitorie. In relazione alla richiesta risarcitoria formulata dalle parti civili, il danno non patrimoniale cagionato dal reato - consistente nel patimento morale derivante dalle abituali condizioni di vita cui le stesse erano sottoposte - deve dirsi compiutamente provato: esso può dunque essere liquidato definitivamente, in via equitativa, in considerazione della gravità della condotta maltrattante tenuta dall'imputato in Euro 8.000,00, a valori attuali in favore di (...) e in Euro 4.000,00 a valori attuali in favore di (...). Non sono stati fomiti in giudizio elementi idonei a giustificare la provvisoria esecutività delle statuizioni civili. L'imputato dovrà altresì essere condannato a rifondere le spese di costituzione e difesa della parte civile - ammessa al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato - che si liquidano come in dispositivo alla luce della tipologia di reato e dell'attività effettivamente svolta, essendo così determinate: Euro 350,00 per la fase di studio, Euro 750,00 per la fase istruttoria ed Euro 1.000,00 per la fase decisoria (nulla per la fase introduttiva, non essendone stata domandata la liquidazione), per un ammontare totale di Euro 2.100,00, da ridurre in ragione di 1/3 in ossequio all'art. 106 bis del D.P.R. n. 115 del 2002 e da versare in favore dell'Erario. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato responsabile di tutti i reati a lui ascritti, uniti nel vincolo della continuazione, più grave quello di cui al capo A) e, disapplicata la contestata recidiva, lo condanna alla pena di anni 2 e mesi 5 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 538 ss. c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, che si liquida definitivamente in Euro 8.000,00 a valori attuali in favore di (...) e in Euro 4.000,00 a valori attuali in favore di (...). Condanna altresì l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio affrontate dalla parte civile, che si liquidano in Euro 1.400, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge, da versarsi in favore dell'Erario. Motivazione riservata in giorni 45. Così deciso in Rovigo l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ROVIGO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Silvia Ferrari esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 425/2022 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio degli avv. DE.MA., FE.LA., FI.RO., elettivamente domiciliato presso l'indirizzo pec dell'avv. De.; contro (...) S.R.L. (C.F. (...)), con sede legale in M., viale (...), in persona del legale rappresentante pro tempore (...), con il patrocinio degli avv. MO.VI., CA.GI. e CO.AN., elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, sito in Rovigo, Via (...); in punto a: Licenziamento individuale per giusta causa RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato l'8 aprile 2022 (...), come sopra rappresentato, conveniva in giudizio (...) S.R.L. per sentire accogliere le conclusioni riportate in epigrafe, a tal fine esponendo di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dal 9.8.2020 in forza di un contratto a tempo indeterminato, inquadrato nel 5 livello del CCNL Logistica, Trasporto merci e spedizione con sede di lavoro in S. B. (R.), di aver ricevuto il 21.02.2022 missiva che gli contestava di avere, cinque mesi prima (tra l'1.10.2021 ed il 10.10.2021), indebitamente richiesto rimborsi spese per la somma di Euro 335,03 mentre si trovava in missione di servizio nel "(...)" presso lo stabilimento di Novara, codice (...). In particolare, al ricorrente era stato contestato di avere richiesto tramite il portale aziendale (...) l'accredito della somma appena sopra indicata a titolo di rimborso di spese non autorizzate né autorizzabili da (...) e comunque non connesse alla prestazione di lavoro; il ricorrente aveva reso per iscritto le proprie giustificazioni, rendendosi disponibile a restituire la somma accreditata, ma la convenuta con missiva del 23.2.2022 gli aveva intimato il licenziamento con effetto immediato. Il ricorrente impugnava il provvedimento espulsivo e nella presente sede si doleva del mancato rispetto da parte datoriale della procedura prevista dall'art. 7 L. n. 300 del 1970, in particolare non essendo stata data pubblicità al codice disciplinare aziendale e non essendo stato reso noto alcun regolamento in ordine al tipo di spesa e/o agli importi massimi che sarebbero stati rimborsati, e si doleva ancora della tardività della contestazione disciplinare, atteso che i fatti contestati a febbraio 2022 all'attore risalivano ad oltre cinque mesi prima, ottobre 2021. Ancora, il ricorrente affermava l'illegittimità del provvedimento impugnato, fondato sull'asserita presentazione di otto richieste di rimborsi spese indebite, laddove l'art. 79 del CCNL Logistica, Trasporto merci e spedizioni prevedeva che al dipendente in missione di servizio venissero corrisposti dall'azienda il rimborso delle spese effettive sostenute per il viaggio con normali mezzi di trasporto, il rimborso di vitto e alloggio, nei limiti della normalità, il rimborso delle spese vive necessarie per l'espletamento della missione ed una indennità commisurata alla durata della missione e il ricorrente aveva richiesto il rimborso di spese per generi alimentari e vestiario necessari per la trasferta, rientranti tra quelle classificate come rimborsabili; evidenziava inoltre che il rimborso era stato effettuato il giorno dopo la richiesta e ciò dimostrava che la convenuta aveva verificato le spese e la correttezza delle richieste, sicché la condotta censurata era disciplinarmente irrilevante. Ancora, l'attore si doleva della sproporzionalità della sanzione espulsiva, in quanto i fatti contestati non erano comunque idonei a giustificare il licenziamento per giusta causa in quanto non lesivi dell'elemento fiduciario su cui si fonda il rapporto di lavoro, non rispettosi della regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., e non costituenti notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. In ordine alle conseguenze della chiesta dichiarazione di illegittimità del provvedimento impugnato, il ricorrente evidenziava l'applicabilità del D.Lgs. n. 23 del 2015, chiedendo in primis la dichiarazione di insussistenza del fatto materiale ex art. 2, con diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno nella misura massima di 12 mensilità dell'ultima retribuzione utile al calcolo del TFR, in considerazione delle condizioni delle parti, delle dimensioni dell'impresa e del comportamento della stessa, ed in subordine l'applicazione dell'art. 3, comma 1, e dunque la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura pari ad almeno n. 12 mensilità in considerazione dei parametri appena sopra evidenziati, e comunque non inferiore a sei mensilità; solo in estremo subordine il ricorrente chiedeva l'applicazione dell'art. 4 del predetto decreto, laddove fossero stati rilevati solo vizi procedurali. Si costituiva ritualmente in giudizio (...) s.r.l., come sopra rappresentata, che resisteva al ricorso e rassegnava le conclusioni riportate in epigrafe, precisava in fatto che le spese per le quali il ricorrente aveva chiesto il rimborso erano in parte giustificate solo con le ricevute di pagamento con carta di credito, nelle quali non compariva l'oggetto della spesa e l'esercente era stato addirittura occultato scientemente (mediante piegatura/taglio) degli scontrini, era stato chiesto il rimborso per l' acquisto di sigarette e colazione nonostante la società avesse messo a disposizione la colazione in Hotel, per l'acquisto di una bacinella, di gel per capelli, di cera, profumo C.K., che evidentemente erano spese inconferenti con la trasferta presso il sito (...) di (...) (N.) svolta dall'attore, ed infine evidenziava che il portale aziendale nel quale venivano caricate le richieste di rimborso non effettuava alcuna valutazione di merito, ma chiedeva al lavoratore di confermare la conoscenza della policy aziendale sui rimborsi spese. Affermava la resistente la sussistenza del fatto materiale addebitato all'attore, precisando che le spese per le quali la stessa aveva chiesto il rimborso non erano comprese tra quelle previste dall'art. 79 del CCNL di categoria, contestava l'affermata tardività del procedimento disciplinare evidenziando di aver avviato verifiche sui rimborsi effettuati in ottobre 2021 solo a seguito di segnalazioni giunte nel gennaio 2022, affermava che il codice disciplinare era affisso in azienda in più punti, e dunque affermava la sussistenza della giusta causa o almeno del giustificato motivo soggettivo dell'impugnato provvedimento. La causa - fallito il tentativo di conciliazione - veniva ritenuta sufficientemente documentata e veniva discussa all'odierna udienza, mediante deposito di note scritte ai sensi dell'art. 221 comma 4 L. n. 77 del 2020, ora art. 127 ter c.p.c., ed era decisa come da dispositivo in calce, che veniva depositato su PCT unitamente alla presente motivazione. Non essendo state sollevate questioni preliminari, occorre esaminare direttamente il merito del ricorso, preliminarmente evidenziandosi, quanto alle doglianze di natura procedurale sollevate in ricorso, che sebbene il codice disciplinare, a mente di Cassazione, Sez. Lavoro, Sentenzan.33811del 12/11/2021, sia efficace solo se portato a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti, restando esclusa l'equipollenza di mezzi di comunicazione che abbiano come destinatari i singoli dipendenti individualmente considerati, nel caso di specie deve rilevarsi che le condizioni della c.d. policy aziendale sulle spese sono state rese note al ricorrente, come a tutti i dipendenti inviati in trasferta, mediante e-mail, o meglio mediante applicazione al c.d. (...) (docc. 5 e 5 bis all. memoria), contenente anche indicazioni sulle modalità della missione (alloggio, trasporto dall'hotel alla sede della trasferta, turni di servizio), notizie senz'altro note all'attore, sicché deve senz'altro ritenersi che alla predetta fosse nota anche la policy aziendale sulle spese; peraltro, deve evidenziarsi che, come allegato da parte resistente senza specifica contestazione attorea, l'inserimento della nota spese ai fini del rimborso nel portale aziendale (...) era necessariamente preceduto dalla richiesta di conferma al lavoratore di avere conoscenza della policy aziendale sui rimborsi spese. Va poi, con riguardo alla doglianza relativa alla tardività della contestazione disciplinare (fatti di ottobre 2021, contestazione di febbraio 2022) rammentato che (cfr. sul punto, Cassazione, Sez. 6 - Lavoro, Ordinanza n. 12231del 18/05/2018) il riconoscimento della violazione del principio di tempestività, avente natura sostanziale, presuppone l'avvenuto accertamento di un ritardo notevole ed ingiustificato nella formulazione della contestazione, il che non sembra essersi verificato nel caso di specie, laddove si osservi che la parte resistente ha indicato, senza che ciò fosse contestato dalla controparte, che i lavoratori inviati in trasferta tra settembre ed ottobre 2021 dallo stabilimento di San Bellino (RO) erano ben 55, che anche per i lavoratori sottoposti a procedimento disciplinare le spese indicate come non autorizzabili non erano il totale delle spese rimborsate, sicché ragionevolmente la verifica degli esborsi si può essere protratta per un periodo non breve, ed infine che comunque la stessa parte ricorrente non allega alcun pregiudizio al proprio diritto di difesa derivante dall'asserita tardività della contestazione. Respinti dunque i motivi procedurali di impugnazione del licenziamento, deve rilevarsi che lo stesso risulta intimato alla parte ricorrente (cfr. provvedimento espulsivo e contestazione disciplinare allegati all'atto introduttivo) per violazione dell'art. 32 del CCNL dipendenti Logistica, Trasporto Merci e Spedizione, senza precisazione dell'ipotesi contrattual-collettiva della condotta contestata, ma con esplicita indicazione dell'avere la parte richiesto rimborsi per spese "non autorizzate né autorizzabili" dalla datrice, e comunque non connesse alla prestazione lavorative, tenendo così una condotta "palesemente in violazione sia della policy su viaggi e trasferte che della lettera di assegnazione al (...), ma più in generale dei più elementari doveri di buona fede". Orbene, va rilevato che nel pacchetto di benvenuto del (...), alla voce "spese", si legge quanto segue: "I costi relativi a viaggio, pasti e pernottamenti saranno pagati da (...). S. fatto ogni sforzo per assicurare che questi costi siano pagati in anticipo a tuo nome. Per ogni spesa da te effettuata devi chiedere il rimborso attraverso (...), il portale spese di (...). Conserva le ricevute, perché ti saranno richieste al momento di ottenere il rimborso?" Nell'informativa trasmessa ai trasfertisti non si rinvengono ulteriori precisazioni in ordine alla natura delle spese rimborsabili, solo nella parte Q (question) & A (answer), si legge, alla domanda: "Come viaggerò verso il sito di lancio?", la risposta: "Il viaggio di andata e ritorno è organizzato dall'azienda, dal sito dove sei basato al sito presso cui presterai supporto, le spese saranno a carico dell'azienda.", e alla domanda: "Il weekend potrò rientrare presso la mia abitazione?" la risposta: "Si. Potrai rientrare autonomamente quando vorrai, tuttavia non ti verrà rimborsato il viaggiodall'azienda (...)." Tale stringato dettaglio deve essere letto alla luce della disciplina contrattual-collettiva in tema di rimborsi spese di trasferta, ovvero l'art. 79, che prevede quanto segue: "1. Al dipendente in missione di servizio, l'azienda corrisponderà: a) il rimborso delle spese effettive sostenute per il viaggio con normali mezzi di trasporto (per viaggi in ferrovia si riconosce il diritto alla prima classe); b) il rimborso di vitto e alloggio, nei limiti della normalità, quando la durata del servizio obblighi l'impiegato a sostenerle; c) il rimborso delle spese vive necessarie per l'espletamento della missione; d) una indennità pari al 50% della retribuzione di fatto giornaliera, se la missione dura oltre 12 ore e sino a 24 ore. 2. Se la missione dura più di 24 ore, detta indennità va calcolata moltiplicando il 50% della retribuzione di fatto per il numero dei giorni." Va da subito precisato che non è neppure contestato che alla parte ricorrente sia stata corrisposta l'indennità di trasferta, né che l'azienda abbia fornito vitto ed alloggio e rimborso delle spese di viaggio dal sito di S. B. (R.), dove parte ricorrente operava, ai due siti interessati alle trasferte, (...) (N.) e (...) al P. (B.), sicché deve qui ragionarsi solo del "rimborso delle spese vive necessarie per l'espletamento della missione", riguardo alle quali deve rilevarsi che nel "pacchetto" fornito ai trasfertisti si legge che (...) garantiva il servizio di lavanderia per magliette, intimo, pantaloni, calze, ma non forniva abbigliamento, salvo i DPI, tra cui le scarpe antinfortunistiche, sicché si deve ritenere che i capi di abbigliamento necessari per lo svolgimento dell'attività ed alcuni generi alimentari, diversi dai pasti nel corso della missione, assicurati dalla datrice, fossero compresi tra le spese vive delle quali era ammesso il rimborso, peraltro non rinvenendosi indicazioni contrarie nella ricordata policy aziendale. Venendo dunque all'esame della sussistenza del fatto materiale contestato all'attore, deve rammentarsi che, a mente di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n.12174del 08/05/2019, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai fini della pronuncia reintegratoria di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare. Facendo applicazione di tale principio, deve rilevarsi che risulta documentato (cfr. doc. 2 al. ricorso, contestazione disciplinare, doc. 1 all. memoria, scontrini carta di credito) che il ricorrente ha chiesto il rimborso di spese effettuate presso la grande distribuzione (N.S., T.) e dunque ragionevolmente consistenti in alimentari o prodotti per l'igiene della persona, ma risulta altresì aver acquistato sigarette per Euro 10,00 ed un profumo (CK One EDT) per Euro 47,90, oltre a cera e gel per capelli, bacinella ed altri prodotti per il corpo per oltre dieci euro; inoltre risultano delle spese alla cui natura non è possibile risalire in base agli scontrini allegati agli atti, ma invero se le spese sostenute dal ricorrente per generi alimentari di conforto possono ritenersi comprese in quelle rimborsabili a mente del contratto collettivo ed anche della policy aziendale, in cui si trova l'unica specificazione dell'esclusione delle spese di viaggio diverse da quelle per la trasferta, le spese per l'acquisto di sigarette o di profumi non appaiono certamente riconducibili a quelle rimborsabili, sicché deve concludersi che il fatto addebitato al ricorrente sia non solo sussistente ma disciplinarmente rilevante, essendo nota allo stesso - in forza di quanto sopra argomentato in ordine alla conoscenza, o almeno alla conoscibilità con l'ordinaria diligenza- la policy aziendale in tema di rimborsi. Va altresì ritenuto che, facendo applicazione dei principi stabiliti dalla Suprema Corte nella sentenza n. 13178 del 25.5.2017 con riguardo alla disciplina prevista dall'art. 18 dello Statuto, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, ma certamente utilizzabili in ambito di Jobs Act, la condotta attribuibile al ricorrente non rientri in nessuna delle previsioni del citato contratto collettivo correlate ad una sanzione conservativa, anche considerando che il meccanismo dei rimborsi spese articolato dalla convenuta, mediante il portale (...), appare destinato a soddisfare in tempi brevissimi le legittime richieste di ristoro dei lavoratori, tanto che - come risulta incontestato tra le parti - il rimborso è avvenuto il giorno successivo alla richiesta, sicché deve ritenersi che la corretta individuazione delle spese da parte dei dipendenti inviati in trasferta costituisca un presupposto di buona fede del buon funzionamento del sistema, non potendosi ragionevolmente effettuare verifiche da parte datoriale nel brevissimo tempo appena indicato e dunque evidentemente privilegiandosi da parte di (...) il tempestivo soddisfacimento delle richieste di rimborso, a discapito della preliminare verifica della correttezza delle richieste. Va tuttavia osservato che, in applicazione dei canoni individuati - tra altre decisioni di legittimità - da Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza dep. 6.7.2018, n. 17887, la condotta come sopra ricostruita non riveste le caratteristiche di non scarsa importanza e comunque non configura un notevole inadempimento degli obblighi del lavoratore, considerando che solo poco meno di 70 Euro, tra i totali Euro 335,03 ritenuti indebitamente rimborsati dall'azienda, risultano riferibili a spese non comprese tra quelle per le quali era consentito il rimborso a norma del CCNL e della policy aziendale, che peraltro non vietava esplicitamente le spese allegate dall'attore, sicché conclusivamente con riguardo all'impugnato licenziamento non appaiono sussistenti gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo, e conseguentemente in applicazione del primo comma dell'art. 3 del D.Lgs. n. 23 del 2015 occorre dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, e condannare il datore di lavoro a corrispondere al ricorrente una indennità non assoggettata a contribuzioni pari - ex D.L. n. 87 del 2018, conv. in L. n. 96 del 2018, a sei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., che appare equa considerando che alla data del recesso il ricorrente lavorava da poco più di un anno per la società convenuta. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo che segue sulla base dei compensi medi previsti dalla tabella 3 allegata al D.M. n. 44 del 2015, come aggiornata dal D.M. n. 1477 del 2022, riferite alle fasi di studio, introduttiva e decisoria, al valore indeterminabile come dichiarato, da intendersi basso, con riduzione del 50% dei compensi, stante il parziale accoglimento del ricorso, compensi che appaiono congrui all'impegno difensivo prestato ed al risultato ottenuto. P.Q.M. Il Tribunale di Rovigo, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente decidendo nella causa n. 425/2022 promossa da (...) contro (...) S.R.L., con sede legale in M., viale M. G. n. 3/5, in persona del legale rappresentante pro tempore (...), ogni diversa domanda, eccezione, difesa o istanza disattesa, così provvede: 1. Accoglie parzialmente il ricorso, dichiarando insussistenti gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo nel licenziamento impugnato ed estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento; 2. Condanna la società convenuta a corrispondere al ricorrente una indennità non assoggettata a contribuzioni pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data della domanda al saldo effettivo; 3. Condanna la società resistente a rifondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.688,50 per compenso di avvocato, oltre IVA e CPA come per legge, spese generali al 15%. Così deciso in Rovigo il 20 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ROVIGO SEZIONE PENALE DISPOSITIVO DI SENTENZA E CONTESTUALE MOTIVAZIONE Il Giudice del TRIBUNALE DI ROVIGO Dott.ssa Sara ZEN ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale NEI CONFRONTI DI: (...) nato il (...) a C., residente in P., Via M., n. 55 libero - IRREPERIBILE Assistito e difeso d'ufficio dall'Avv. To.Ro. del Foro di Rovigo - presente IMPUTATO A. delitto p. e p. dall'art. 590 bis, commi 1 e 2, c.p., perché, ponendosi alla guida dell'autovettura Mini Cooper targata (...) in stato di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti, percorrendo la via (...) del Comune di Solesino (PD), con direzione di marcia Solesino centro /Statale 16, giunto all'intersezione con la SS 16 per colpa, consistita in violazione di legge (art. 145, commi 1 e 4, del codice della strada), omettendo di fermarsi allo stop e di dare la dovuta precedenza all'autocarro Fiat modello Iveco Daily targato (...), che proveniva dalla sua sinistra, con direzione di marcia Monselice/Rovigo, andando quindi a collidere con quest'ultimo, cagionava a G.A., conducente dell'autocarro, lesioni personali gravi consistite in "lesione collaterale ulnare 1 metacarpo mano destra", da cui conseguiva una malattia nel corpo e nella mente superiore a 40 giorni. In Solesino (PD) il 10.5.2017. B. reato p. e p. dall'articolo 187, commi 1, Ibis e 1quater, del D.Lgs. n. 285 del 1992, codice della strada e successive modifiche, perché, nell'occasione di cui al capo A. di rubrica che precede, si poneva alla guida dell'autovettura Mini Cooper targata (...) in stato di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti (Cocaina/Oppiacei), condizione confermata dal test sul campione biologico prelevato ed esaminato dalla struttura sanitaria dell'U. 6 E., causando un incidente stradale. Con l'aggravante di aver commesso il fatto dopo le ore 22.00 e prima delle ore 07.00. In Solesino (PD) il 10.5.2017. Con l'intervento del Pubblico Ministero: Dott.ssa Alessia PIRANI (V.P.O. delegato) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio del 21.11.2018 il pubblico ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti di (...), nato a C. (M.) il (...) per rispondere dei reati di cui all'art. 590 bis c.p. e 187 CDS. All'udienza del 30.1.2019 è stata constatata la mancata presenza dell'imputato, nonostante la regolarità delle notifiche; mancando la prova della conoscenza del processo da parte dello stesso, è stata disposta la notifica a mani, a mezzo della polizia giudiziaria, del decreto di citazione diretta a giudizio, ai sensi dell'art. 420-quater, comma 1, c.p.p., nel testo ratione temporis vigente. All'udienza del 22.5.2019, accertata l'impossibilità della notifica a mani all'imputato, il processo è stato sospeso ai sensi dell'art. 420-quater, comma 2, c.p.p. (nel testo ratione temporis vigente), con sospensione del corso della prescrizione, e sono state disposte nuove ricerche dell'imputato alla scadenza di un anno dall'ordinanza di sospensione. Alle udienze del 26.5.2020, 15.9.2020, 2.3.2021, 19.7.2021, 15.2.2022 è stata confermata la sospensione del processo, non avendo avuto esito positivo le ricerche dell'imputato volta per volta disposte. All'udienza del 16.1.2023 il giudice ha dato atto che, con nota pervenuta il 24.3.2022, la polizia giudiziaria incaricata ha comunicato che le nuove ricerche dell'imputato hanno avuto esito negativo. Le parti, quindi, considerata la nuova formulazione dell'art. 420-quater c.p.p., conseguente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, hanno concordemente chiesto la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Il giudice ha pronunciato sentenza mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE La richiesta delle parti è fondata e dev'essere accolta, in quanto non vi è prova che l'imputato sia effettivamente a conoscenza della pendenza del presente processo (per le ragioni indicate nella citata ordinanza di sospensione pronunciata ai sensi del previgente art. 420-quater c.p.p.) e le ricerche dello stesso hanno finora avuto esito negativo. Si è tentato di notificare il decreto di citazione diretta a giudizio, nonché il verbale d'udienza, presso il precedente indirizzo di residenza (via M. n. 55 a P.) e presso il domicilio estero riscontrato attraverso l'organo collaterale moldavo (via F. 22 - C.), senza alcun esito. Non sono risultati elementi utili ai fini del rintraccio nemmeno nelle banche dati "SDI" e "DAP" in uso alle forze dell'ordine. Trova applicazione all'odierno giudizio, infatti, la disciplina transitoria dettata dall'art. 89, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, secondo cui "Quando, prima dell'entrata in vigore del presente decreto, nell'udienza preliminare o nel giudizio di primo grado è stata disposta la sospensione del processo ai sensi dell'articolo 420-quater, comma 2, del codice di procedura penale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto e l'imputato non è stato ancora rintracciato, in luogo di disporre nuove ricerche ai sensi dell'articolo 420-quinquies del codice di procedura penale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 420-qualer del codice di procedura penale come modificato dal presente decreto. In questo caso si applicano gli articoli 420-quinquies e 420-sexies del codice di procedura penale, come modificati dal presente decreto". Deve essere pertanto pronunciata, ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2022, sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Ai sensi dell'art. 420-quater, comma 2, lett. e), c.p.p., è necessario indicare la data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare l'imputato. Tale data corrisponde al giorno in cui spirerà il termine massimo di prescrizione di tutti i reati ascritti all'imputato. Il reato contestato all'imputato al capo a) si prescrive ordinariamente in sei anni; in presenza di atti interruttivi (che risultano compiuti, da ultimo con il decreto di citazione diretta a giudizio), il termine di prescrizione non può comunque superare i sette anni e sei mesi, ai sensi dell'art. 161,2 comma, c.p. Per quanto attiene al reato di cui al capo b), esso si prescrive ordinariamente in 4 anni e in presenza di atti interruttivi in 5 anni, trattandosi di una contravvenzione. Il termine di prescrizione, tuttavia, è rimasto sospeso, ai sensi dell'art. 159, 1 comma, n. 3-bis), c.p., nel testo vigente anteriormente al D.Lgs. n. 150 del 2022, a causa della sospensione del processo per assenza dell'imputato. A tal proposito, si deve evidenziare che la sospensione del corso della prescrizione conseguente alla sospensione del processo per assenza dell'imputato è stata assoggettata a tre differenti regimi normativi: - dapprima, l'art. 159, ultimo comma, c.p., introdotto dalla L. n. 67 del 2014 in concomitanza con la nuova disciplina del processo nei confronti di imputati assenti, aveva previsto che, in caso di sospensione del processo per assenza dell'imputato, la sospensione della prescrizione non potesse superare i termini di cui all'art. 161, 2 comma, c.p. La giurisprudenza della Corte di cassazione aveva precisato che tale aumento doveva sommarsi a quello già previsto ordinariamente dall'art. 161, 2 comma, c.p. come conseguenza del verificarsi di un atto interruttivo della prescrizione (Cass., sent. n. 1876 del 2021); - la L. n. 134 del 2021 (legge delega della c.d. "riforma Cartabia"), in vigore dal 19.10.2021, ha abrogato l'ultimo comma dell'art. 159 c.p., in previsione dell'attuazione della delega conferita al Governo per la riforma della disciplina del processo nei confronti di imputati assenti, senza tuttavia prevedere alcuna disciplina transitoria, sicché, a seguito di tale abrogazione, la sospensione della prescrizione conseguente alla sospensione del processo per assenza dell'imputato avrebbe dovuto protrarsi indefinitamente, senza termini massimi; - il D.Lgs. n. 150 del 2022, in vigore dal 30.12.2022, ha introdotto un nuovo ultimo comma dell'art. 159 c.p., il quale prevede che, a seguito della pronuncia della sentenza di cui al "nuovo" art. 420-quater c.p.p., "il corso della prescrizione rimane sospeso sino al momento in cui è rintracciata la persona nei cui confronti è stata pronunciata, ma in ogni caso non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione di cui all'articolo 157". Stante la natura sostanziale (e non processuale) della disciplina dei termini di prescrizione (v., sul punto, Corte cost., sentt. n. 143 del 2014, n. 324 del 2008, n. 393 del 2006; ord. n. 24 del 2017), la successione di leggi nel tempo è regolata dall'art. 2 c.p., con le conseguenti applicazione retroattiva delle norme penali più favorevoli all'imputato e irretroattività delle modifiche sfavorevoli. Ciò posto, la disciplina successiva alla L. n. 134 del 2021 e antecedente al D.Lgs. n. 150 del 2022 è senza dubbio la più sfavorevole per l'imputato, in quanto non prevede alcun termine massimo alla sospensione della prescrizione. Detta disciplina, conseguentemente, non può trovare applicazione a nessun reato, in quanto: 1) per i reati commessi dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022. troverà applicazione esclusivamente la nuova disciplina; 2) per i reati commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022. ma dopo l'entrata in vigore della L. n. 134 del 2021, dovrà applicarsi (retroattivamente) la più favorevole disciplina di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, oggi in vigore, come peraltro espressamente previsto dall'art. 89, comma 5, del medesimo decreto legislativo; 3) per i reati commessi prima dell'entrata in vigore della L. n. 134 del 2021. dovrà applicarsi la disciplina più favorevole all'imputato tra quelle di cui alla L. n. 67 del 2014 e di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022. Non è infatti possibile determinare a priori quale sia la disciplina più favorevole, in quanto la tipologia dell'eventuale recidiva contestata all'imputato incide diversamente sugli aumenti frazionari del termine di prescrizione. Premesso quanto sopra, nel caso di specie il reato contestato all'imputato si assume commesso il 10.5.2017, ossia anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 134 del 2021 (19.10.2021). Ricorre, quindi, la situazione individuata sub 3). All'imputato non risulta contestata la recidiva di cui all'art. 99, 2 o 4 comma, c.p., né ricorre uno dei casi di cui agli artt. 102, 103 e 105 c.p., pertanto l'aumento del tempo necessario a prescrivere è pari a un quarto in conseguenza degli atti interruttivi e di un ulteriore quarto (calcolato sulla medesima "base" di cui all'art. 157 c.p.) a seguito della sospensione del processo per assenza dell'imputato (e, oggi, della pronuncia della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo). Di conseguenza, poiché la disciplina ante L. n. 134 del 2021 comporterebbe un aumento del tempo necessario a prescrivere della metà (due aumenti di un quarto ciascuno, calcolati sulla medesima "base" di cui all'art. 157 c.p.), mentre la disciplina D.Lgs. n. 150 del 2022 comporterebbe il raddoppio del medesimo tempo, deve trovare applicazione la prima, più favorevole per l'imputato. Nel caso di specie, pertanto, posto che il termine ordinario di prescrizione, di cui all'art. 157 c.p., è pari a sei anni e il termine massimo di prescrizione, in presenza di atti interruttivi, è pari a sette anni e sei mesi (ex artt. 157 e 161, 2 comma, c.p.) per il capo a), quest'ultimo termine deve essere aumentato di un ulteriore quarto (calcolato su sei anni), per giungere quindi ad un nuovo termine massimo (applicabile nonostante la sospensione del processo per assenza e la pronuncia dell'odierna sentenza) di nove anni. Per quanto riguarda il capo b), seguendo un analogo ragionamento, il termine massimo sarà pari a 6 anni. Poiché entrambi i reati ascritti all'imputato si assumono commessi il 10.5.2017. le ricerche dell'imputato dovranno continuare fino al 10.5.2026. Fino a tale data, in caso di rintraccio dell'imputato la presente sentenza potrà essere revocata, ai sensi dell'art. 420-sexies c.p.p. Mantengono efficacia fino a tale data, inoltre, le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia cautelare in carcere di cui l'imputato sia eventualmente destinatario, nonché i sequestri probatori, preventivi e conservativi eventualmente disposti (art. 420-quater, comma 7, c.p.p.). Devono essere dati all'imputato gli avvertimenti di cui in dispositivo, per il caso in cui sia rintracciato prima dello spirare del termine massimo di prescrizione del reato. La polizia giudiziaria, in caso di rintraccio dell'imputato, dovrà notificargli la presente sentenza, lo dovrà invitare a dichiarare o eleggere domicilio, a norma dell'art. 161 c.p.p., e dovrà provvedere agli ulteriori adempimenti di cui all'art. 420-sexies c.p.p., compreso l'avviso all'imputato della data e dell'ora dell'udienza fissata per la prosecuzione del processo, individuata sulla base dei criteri di cui in dispositivo. Poiché l'imputato non conosce la lingua italiana, la presente sentenza deve essere tradotta in lingua rumena, conosciuta dall'imputato, entro trenta giorni, quindi inviata dalla cancelleria alla polizia giudiziaria per la notifica all'imputato, in caso di rintraccio dello stesso. P.Q.M. visti gli artt. 420-quater c.p.p. e 89, comma 2, D.Lgs. n. 150 del 2022, dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) in ordine ai reati ascrittigli, per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato; dispone che, a cura della cancelleria, copia della presente sentenza sia trasmessa alla sezione di polizia giudiziaria - Carabinieri in sede, per la prosecuzione delle ricerche dell'imputato, con facoltà di subdelega; dispone che la polizia giudiziaria ricerchi l'imputato fino al 10.5.2026; dispone che, in caso di rintraccio, la polizia giudiziaria notifichi personalmente all'imputato copia della presente sentenza, lo inviti a dichiarare o eleggere domicilio, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., e provveda agli ulteriori adempimenti di cui all'art. 420-sexies c.p.p.; avverte l'imputato che, in caso di rintraccio: - il processo a suo carico sarà riaperto e si terrà innanzi al Tribunale di Rovigo in composizione monocratica, autorità giudiziaria che ha pronunciato la presente sentenza; - l'udienza per la prosecuzione del processo a suo carico è fissata: 1) il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, alle ore 9:00, se egli è stato rintracciato nel primo semestre dell'anno (dal 1 gennaio al 30 giugno compresi); 2) il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell'anno successivo, alle ore 9:00, se egli è stato rintracciato nel secondo semestre dell'anno (dal 1 luglio al 31 dicembre compresi); - solo nel caso in cui l'imputato sia destinatario, alla data della pronuncia della presente sentenza, delle misure cautelari degli arresti domiciliari o della custodia in carcere, l'udienza per la prosecuzione del processo a suo carico sarà fissata con un separato provvedimento che gli verrà notificato (art. 420-sexies, comma 6, c.p.p.); - l'udienza per la prosecuzione del processo a suo carico si terrà presso il Tribunale di Rovigo, via V. n. 2; - se non comparirà all'udienza fissata secondo le indicazioni di cui sopra, senza che sussista un legittimo impedimento, ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p., si procederà in sua assenza e lo stesso sarà rappresentato dal suo difensore. visto l'art. 143, comma 2, c.p.p., dispone che la presente sentenza sia tradotta in lingua rumena entro il termine di trenta giorni e che la copia tradotta sia trasmessa alla polizia giudiziaria a cura della cancelleria, per la notifica all'imputato in caso di rintraccio dello stesso, unitamente alla copia della sentenza in lingua italiana. Motivazione contestuale. Così deciso in Rovigo il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROVIGO GIUDICE DEL LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Silvia Ferrari esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 512/2022 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RO.DA. e dell'avv. PI.SI., elettivamente domiciliata presso il domicilio digitale dei difensori; contro MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA (C.F. (...)), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex art. 417 bis dalla dott. (...), elettivamente domiciliato presso l'Ufficio V, ambito territoriale di Padova e Rovigo, sede di Rovigo, sito in Via (...); in punto a: Altre ipotesi RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 20 luglio 2022 (...), come sopra rappresentata, conveniva in giudizio il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per sentire accogliere le conclusioni riportate in epigrafe, a tal fine esponendo di essere una docente di scuola primaria assunta a tempo determinato con contratti di supplenza annuali, negli anni scolastici 2018/2019 e 2019/2020, che le avevano consentito di maturare l'annualità di servizio necessarie a chiedere e beneficiare della c.d. carta del docente, avendo ella prestato servizio il primo anno dal 25.10.2018 al 30.06.2019 presso l'Istituto scolastico "Stella (...) - TAGLIO DI PO (ROVIGO) e l'anno successivo dal 4.11.2019 al 30.06.2020, presso l'Istituto scolastico Giovanni XXIII del Comprensivo Rovigo 3 - ROVIGO". Ciò nonostante, ella non aveva potuto usufruire dell'erogazione della somma di Euro. 500,00 annui di cui all'art. 1 comma 121 della L. n. 107 del 2015 e pedissequo D.P.C.M. n. 23 settembre 2015, finalizzati all'acquisto di beni e servizi formativi per lo sviluppo delle competenze professionali (c.d. carta elettronica del docente), erogati, in forza della surrichiamata legge, esclusivamente a beneficio degli insegnanti di ruolo di ogni ordine e grado, assunti con contratto a tempo indeterminato, pur avendo svolto mansioni identiche a quelle espletate dal personale di ruolo ed essendo stata soggetta agli stessi obblighi formativi dei docenti assunti a tempo indeterminato. Si doleva l'attrice della violazione da parte dell'Amministrazione convenuta del principio eurounitario di non discriminazione di cui all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70, dell'erronea applicazione dell'art. 282 del D.Lgs. n. 297 del 1994, degli artt. 29, 63 e 64 del c.c.n.l. del 29/11/2007, dell'art. 2 del D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché degli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione, atteso che l'attribuzione della c.d. Carta docenti al solo personale di ruolo si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione; ancora, parte ricorrente lamentava la violazione degli artt. 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, in relazione alle clausole 4 e 6 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70 ed infine invocava la disapplicazione della norma contestata, con conseguente condanna dell'Amministrazione convenuta all'attribuzione del beneficio economico di Euro 500,00 annui, tramite la Carta Elettronica, chiedendo in subordine il riconoscimento di tale somma a titolo di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 1218 c.c. Si costituiva ritualmente in giudizio il MIUR, che preliminarmente eccepiva il difetto di giurisdizione del G.O. rispetto alla domanda attorea, in quanto oggetto del giudizio erano atti di macro-organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni, e nel merito resisteva al ricorso, affermando l'insussistenza del trattamento discriminatorio lamentato dalla parte ricorrente. La causa, ritenuta sufficientemente documentata, veniva discussa all'odierna udienza, mediante deposito di note scritte ai sensi dell'art. 221 comma 4 L. n. 77 del 2020, ora art. 127 ter c.p.c., ed era decisa come da dispositivo in calce, che veniva depositato su PCT unitamente alla presente motivazione. Va preliminarmente osservato, quanto all'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Ministero convenuto, che (cfr. Sez. U, Sentenzan. 4318 del 20/02/2020) la disposizione contestata - art. 1, commi 121 e seguenti della L. n. 105 del 2015- non intende dettare le linee fondamentali di organizzazione degli uffici o dal determinare le dotazioni organiche complessive del Ministero, ma si limita a prevedere l'attribuzione di una erogazione economica a favore dei docenti, sicché la domanda rientra tra le questioni che l'art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001 devolve al Giudice Ordinario. Venendo al merito della domanda, deve rammentarsi che l'art. 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015 ha previsto che: "Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo, delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, dell'importo nominale di Euro 500,00 annui per ciascun anno scolastico." mentre il comma 122 del medesimo articolo ha demandato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il compito di definire "i criteri e le modalità di assegnazione e utilizzo della Carta di cui al comma 121", sicché il D.P.C.M. n. 32313 del 23 settembre 2015 ha stabilito, all'art. 2, che la somma di Euro 500,00 annui può essere erogata solo ai "docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova" ed il successivo D.P.C.M. del 28 novembre 2016 ha confermato l'assegnazione della Carta Docenti ai docenti di ruolo a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi coloro che sono in periodo di formazione e prova, quelli inidonei per motivi di salute, quelli in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati, i docenti nelle scuole all'estero, delle scuole militari". Venendo alla fattispecie di causa, non è contestato che l'attrice abbia svolto, negli anni scolastici in cui è stata assunta a tempo determinato, le medesime mansioni svolte dal personale di ruolo, e sia stata altresì soggetta ai medesimi obblighi formativi dei colleghi, senza fruire del beneficio della carta elettronica, destinato allo sviluppo delle competenze professionali. Va rammentato che, con recente decisione, il Consiglio di Stato (sentenza n. 1842/2022) ha annullato il D.P.C.M. n. 32313 del 2015, evidenziando come una interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 107 del 2015 impone di riconoscere il bonus di Euro 500,00 anche al personale assunto a tempo determinato, stante la contrarietà di detta esclusione rispetto ai precetti degli artt. 3, 35 e 97 Cost. e degli artt. 29, 63 e 64 del C.C.N.L. del 29/11/2007, secondo cui l'obbligo formativo grava anche sui docenti precari, e che sulla vicenda è intervenuta anche la Corte di giustizia dell'Unione Europea, che con ordinanza del 18 maggio 2022, emessa nella causa C-450/21 ha concluso stabilendo che: "La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di EUR 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l'acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l'obbligo di effettuare attività professionali a distanza". Alla luce di tali decisioni, che pongono in risalto la destinazione del beneficio al sostegno della formazione continua dei docenti, che costituisce un obbligo per sia per il personale a tempo indeterminato che per quello impiegato a tempo determinato, e che trova riscontro nel corrispondente obbligo di formazione da parte dell'Amministrazione convenuta - di natura contrattuale - e che questo Giudice condivide e fa proprie, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., deve ritenersi fondata la domanda di accertamento del diritto al beneficio di cui all'art. 1, comma 121 e seguenti L. n. 107 del 2015 per gli anni scolastici di servizio svolto in forza dei contratti a tempo determinato indicati in ricorso, ritenendosi sul punto infondata la deduzione da parte dell'amministrazione resistente secondo la quale il bonus accreditato sulla carta sarebbe strettamente dipendente e funzionale al singolo anno scolastico di riferimento, con conseguente infondatezza delle pretese riferite anche ai pregressi anni scolastici, ritenendosi sul punto che non possa apporsi in via amministrativa un termine finale di utilizzo del beneficio. Peraltro, l'art. 6 del D.P.C.M. 28 novembre 2016 ha chiarito, che "le somme non spese entro la conclusione dell'anno scolastico di riferimento sono rese disponibili nella Carta dell'anno scolastico successivo, in aggiunta alle risorse ordinariamente erogate" e da detta precisazione si evince che la somma non è utilizzabile solo ed esclusivamente nel singolo anno di erogazione, ma che l'importo eventualmente non utilizzato nel corso dell'anno scolastico di riferimento rimane nella disponibilità del titolare della carta per l'anno scolastico successivo, cumulandosi con quello da erogare all'avvio di quest'ultimo. Sul punto questo Giudice condivide e fa proprie recenti decisioni di merito, in particolare quella pronunciata dal Giudice del Lavoro di Torino, n. 1259/2022, e dal Giudice del Lavoro di Treviso il 24.11.2022 nel proc. n. 627/2022. Va quindi dichiarato il diritto di parte ricorrente ad usufruire del beneficio economico di Euro 500 annui per gli anni scolastici 2018/19 e 2019/20 tramite la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, con le medesime modalità con cui è stata attribuita ai docenti a tempo indeterminato, con conseguente condanna del Ministero a mettere a disposizione della parte ricorrente l'importo complessivo di Euro 1.000,00 tramite il sistema della Carta elettronica, atteso che l'art. 1, comma 121, L. n. 107 del 2015, non ha previsto in favore dei docenti di ruolo il versamento diretto di una somma di denaro, ma la consegna di una carta avente un dato valore nominale, utilizzabile per l'acquisto di beni e servizi dal contenuto professionale, configurando il beneficio come a destinazione vincolata, e nei medesimi termini lo stesso deve essere articolato anche per i docenti a tempo determinato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo che segue sulla base dei compensi medi previsti dalla tabella 3 allegata al D.M. n. 147 del 2022, con riguardo alla fase di studio ed introduttiva, non essendosi tenuta alcuna istruttoria ed essendo ridotta al minimo la fase decisoria, per cause del valore compreso tra Euro 0 ed 1.100,00 nel quale ricade il valore dichiarato, che appaiono congrui all'impegno difensivo prestato ed al risultato ottenuto, anche considerando il carattere seriale della questione trattata. P.Q.M. Il Tribunale di Rovigo, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente decidendo nella causa n. 512/2022 promossa da (...) contro il MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, ogni diversa domanda, eccezione, difesa o istanza disattesa, così provvede: 1) Accerta e dichiara il diritto di parte ricorrente ad usufruire del beneficio economico di Euro 500 annui per gli anni scolastici 2018/19 e 2019/20 relativo alla Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del personale docente e condanna il Ministero convenuto a mettere a disposizione della parte ricorrente l'importo complessivo di Euro 1.000,00 tramite il sistema della Carta elettronica; 2) Condanna il Ministero convenuto a rifondere alla parte ricorrente - e per lei ai procuratori costituiti, che si sono dichiarati antistatari- le spese di lite, che liquida in Euro 336,00 per compenso di avvocato, oltre IVA e CPA come per legge, spese generali al 15%. Così deciso in Rovigo il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROVIGO riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati dott.ssa Paola Di Francesco - presidente relatore - dott.ssa Federica Abiuso - giudice - dott. Nicola Del Vecchio - giudice - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 2456/2021 R.G. promossa da (...) (c.f. (...) ) rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Ca. ed elettivamente domiciliata presso lo studio della stessa, sito a Montagnana (PD), in via (...), giusta procura allegata al ricorso; - ricorrente - contro (...) (c.f. (...) ), contumace; - resistente - con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO Oggetto: cessazione degli effetti civili del matrimonio Ragioni della decisione IN FATTO Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Rovigo il 24-11-2021 (...) chiedeva che fossero dichiarati cessati gli effetti civili del matrimonio da lei contratto con (...) il (...) a M. (M.), trascritto nel Registro degli atti di matrimonio di quel Comune al n. 34, Parte II, Serie A, anno 1994, ed esponeva che: - dall'unione erano nate le figlie (...) e (...), rispettivamente in data 11-4-1996 e in data 14-8-1998, maggiorenni ma prive di autosufficienza economica; - la crisi del rapporto coniugale si era verificata in quanto il (...), dopo aver perduto il lavoro, non aveva più cercato un'altra occupazione, per cui nell'aprile del 2019 ella aveva instaurato il procedimento di separazione personale, nell'ambito del quale l'udienza presidenziale si era tenuta il 14-4-2020 e il Presidente aveva adottato i provvedimenti ex art. 708 c.p.c., autorizzando i coniugi a vivere separati e disponendo l'assegnazione della casa coniugale, sita a M. (P.) via S. A. n. 27, alla ricorrente; - il (...), dopo aver lasciato la casa coniugale per trasferirsi a vivere in Sicilia, non aveva mantenuto alcun contatto con la (...), né le aveva corrisposto alcunché a titolo di contributo al mantenimento delle figlie; - ella percepiva una retribuzione annua di 20.134,00 Euro, ma era onerata del pagamento delle rate del mutuo acceso per l'acquisto dell'abitazione in cui viveva, dell'importo di 375,00 Euro mensili. La ricorrente concludeva, pertanto, chiedendo, oltre alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la conferma dell'assegnazione in proprio favore della casa coniugale e la statuizione dell'obbligo del (...) di contribuire al mantenimento delle figlie mediante la corresponsione di un assegno mensile di 600,00 Euro, oltre alla quota di metà delle spese straordinarie da sostenere nell'interesse delle stesse. All'udienza presidenziale del 15-3-2022, nonostante la regolarità della notifica del ricorso e del pedissequo decreto, il resistente non compariva né si costituiva in giudizio, sicché il Presidente dava atto dell'impossibilità di esperire il tentativo di conciliazione, confermava i provvedimenti provvisori già emessi nell'ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, nominava sé stessa giudice istruttore e fissava la prima udienza ex art. 183 c.p.c., disponendone la trattazione scritta ai sensi dell'art. 16 D.L. n. 228 del 2021, convertito dalla L. n. 105 del 2022, e assegnando alle parti i termini di cui all'art. 4 co. 10 L. n. 898 del 1970. Con ordinanza in data 12-10-2022, resa all'esito della prima udienza ex art. 183 c.p.c., il giudice istruttore dichiarava la contumacia di (...) e rilevava d'ufficio che il ricorso introduttivo del procedimento era stato depositato il 24-11-2021, ossia prima della pronuncia della sentenza n. 674/2022 (non prodotta in giudizio) avente ad oggetto la separazione personale dei coniugi, cosicché fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza 'cartolare' del 23-11-2022, all'esito della quale, sulle conclusioni trascritte in epigrafe, si riservava di riferire al collegio per la decisione e assegnava i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. IN DIRITTO La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposta dalla ricorrente è improponibile. L'art. 3 n. 2 lett. b) L. n. 898 del 1970, così come modificato dalla L. n. 74 del 1987 e dalla L. n. 55 del 2015, stabilisce che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio possano essere domandati da uno dei coniugi non prima (i) del passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale, o (ii) della omologazione del verbale della separazione consensuale, o (iii) della conclusione di una convenzione di negoziazione assistita da un avvocato, o infine (iv) della conclusione dell'accordo di separazione formalizzato innanzi all'ufficiale dello stato civile. Per quanto qui di interesse, dal dato testuale del citato art. 3 ("Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi: (...) nei casi in cui (...) b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile") risulta con chiarezza che, qualora la separazione personale dei coniugi sia giudiziale, il passaggio in giudicato della sentenza sullo status, resa a seguito dell'accertamento dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale ai sensi dell'art. 151 co. 1 c.c., rappresenta un presupposto indefettibile per la proposizione della domanda di cessazione degli effetti civili (o di scioglimento) del matrimonio. A tale proposito la suprema corte ha di recente ribadito che l'art. 3 L. n. 898 del 1970, laddove prevede che la separazione dei coniugi è causa di divorzio, dà vita a una fattispecie complessa, che contempla sia l'autorizzazione dei coniugi a vivere separati, sia la determinazione del periodo temporale minimo della predetta separazione ai fini della proponibilità della domanda di divorzio, sicché "quest'ultima non può trovare accoglimento tanto nell'ipotesi in cui non sia passata in giudicato la pronuncia sulla separazione personale quanto nell'ipotesi in cui il predetto termine dilatorio non sia integralmente decorso" (cfr. Cass. civ. n. 36176/2021). D'altronde, non è inutile ricordare che, pur avendo con l'art. 1 L. n. 55 del 2015 ridotto il lasso temporale originariamente previsto dall'art. 3 L. n. 898 del 1970, il legislatore ha lasciato inalterati i presupposti dell'istituto del divorzio cd. indiretto, mantenendo quale passaggio imprescindibile l'omologazione della separazione consensuale o la pronuncia con sentenza passata in giudicato della separazione giudiziale. Si consideri, infatti, volgendo lo sguardo ai lavori parlamentari, che la Commissione Giustizia del Senato modificò il testo originario dell'art. 1 L. n. 55 del 2015 aggiungendo un secondo comma che prevedeva l'introduzione di un art. 3-bis nella L. n. 898 del 1970, in forza del quale il divorzio avrebbe potuto essere chiesto dai coniugi anche in assenza della separazione personale (cd. divorzio diretto), sulla scorta di un ricorso congiunto, qualora non vi fossero figli minori di età, o figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, o figli di età inferiore ai 26 anni economicamente non autosufficienti, ma in sede di definitiva approvazione del testo normativo tale secondo comma fu espunto. Il che conferma la inequivoca volontà del legislatore del 2015 di intervenire solo sul termine per la proposizione della domanda di divorzio, anticipando significativamente il momento in cui la stessa possa essere formulata, ma escludendo la facoltà dei coniugi - al di fuori dei limitati casi di divorzio cd. immediato - di proporla prima che il procedimento di separazione sia concluso, quanto meno sullo stato di separati dei coniugi, con una pronuncia irrevocabile. Nel caso in esame, la (...) ha instaurato il procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio con ricorso depositato il 24-11-2021, certamente nel rispetto del termine di dodici mesi decorrenti dalla data dell'udienza presidenziale tenutasi nel procedimento di separazione giudiziale il 14-4-2020 (cfr. "Verbale e provv. Presidenziale" allegati al ricorso), ma ben prima della pronuncia della sentenza n. 674/2022, depositata il 27-7-2022 e, a fortiori, del passaggio in giudicato della medesima avvenuto il 4-10-2022 (cfr. sentenza di separazione prodotta il 4-11-2022 e certificato di passaggio in giudicato prodotto il 15-11-2022). Nella comparsa conclusionale la ricorrente ha dedotto che "il passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale dei coniugi citata nella prima parte dell'art. 3 lett. b) sia da qualificarsi condizione dell'azione per cui la mancata allegazione della medesima alla presentazione del ricorso non determina l'inammissibilità della domanda" (cfr. ultima pagina), ma tale opinione è smentita dall'univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità: "La L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 3 (...), nella parte in cui contempla la separazione dei coniugi quale causa di divorzio, prevede una fattispecie complessa, che include sia l'atto legittimante i coniugi a vivere separati (ossia il titolo della separazione), sia lo stato di separazione protratto per il tempo stabilito dalla legge. Cosicché devono essere respinti i ricorsi proposti prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunziato la separazione giudiziale, e prima che sia integralmente decorso il periodo di separazione previsto per legge (Cass. 1260/1999)" (così, Cass. civ. n. 36176/2021 cit., in motivazione). Nulla sulle spese processuali, in difetto di attività difensiva del resistente (cfr. Cass. civ. n. 16786/2018). P.Q.M. definitivamente decidendo nella causa n. 2456/2021 R.G. promossa da (...) nei confronti di (...), con l'intervento del Pubblico Ministero, - dichiara improponibile la domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio formulata da (...) nei confronti di (...) con ricorso depositato il 24-11-2021; - nulla sulle spese. Così deciso in Rovigo il 3 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.