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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica-GU Annagrazia Lenti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.1233/2022 R.G.; tra (...) rappresentata e difesa dall'Avv. (...) -appellante; e (...), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) - appellata; avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n.366/2022 del Giudice di Pace di Taranto. Conclusioni: come in atti. All'esito dell'ultima fase cartolare (termine note del (...) è stata riservata la decisione; lo studio del fascicolo ha avuto inizio dopo il deposito delle comparse conclusionali (rispettivamente, da parte dell'appellante in data (...) e da parte dell'appellata in data (...) (...)). Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto Il Giudice di Pace di Taranto, nella sentenza gravata d'appello, ha dichiarato improcedibile la domanda di indennizzo assicurativo proposta dalla società (...) ritenendo che l'omessa mediazione obbligatoria ante causam, come prevista dall'art.5 del Decreto Legislativo 28/2010, non consentisse l'introduzione del giudizio in ragione della ratio conciliativa e deflattiva della norma. La società (...) soccombente per la declaratoria di improcedibilità e per la condanna alle spese, ha impugnato la sentenza formulando i seguenti motivi: -il Giudice di Pace è incorso in violazione di legge posto che il procedimento di mediazione può essere esperito anche in corso di giudizio; -la fase di mediazione è stata avviata dopo la notifica dell'atto di citazione e si è conclusa senza esito conciliativo prima della comparizione delle parti dinanzi al Giudice di Pace e ciò avrebbe dovuto determinare il superamento dell'eccezione sollevata dalla Compagnia convenuta; -la società di assicurazioni, nel merito, non ha contestato l'esistenza del contratto assicurativo a copertura del rischio "furto", tanto da offrire l'indennizzo di Euro 4.500,00, con scopertura del 10%; -la società di assicurazioni ha sollevato anche l'eccezione di "perizia contrattuale", non esaminata dal primo Giudice; -tale eccezione era del pari infondata poiché la relativa clausola del contratto assicurativo riguardava solo la quantificazione del danno occorso e non l'accertamento dell'an; -nonostante il grave ritardo della Compagnia nella procedura di accertamento dell'evento e di liquidazione dell'indennizzo, l'istante ha accettato l'importo di Euro 4.790,80; -la Compagnia ha versato la somma di Euro 4.500,00, trattenuta in acconto perché vi è ancora un credito di Euro 290,80 essendo esclusa la decurtazione per asserito scoperto del 10% in quanto contrattualmente prevista solo per l'ipotesi di furto avvenuto attraverso lo scasso delle superfici di vetro non stratificato, diverse da quelle di vetro stratificato rotte dagli autori del furto, come accertato dal perito assicurativo; -la condotta della società di assicurazioni, anche per il lungo tempo trascorso tra la denuncia di furto e l'introduzione del giudizio, non è stata improntata ai principi di correttezza e buona fede, come è ulteriormente dimostrato dal fatto che l'offerta dell'importo di Euro 4.500,00 è pervenuta dopo 14 mesi dall'evento e dopo 7 mesi dalla notifica dell'atto di citazione. Ha, quindi, concluso per la riforma della sentenza di primo grado con declaratoria di procedibilità della domanda e condanna della convenuta al pagamento dell'importo residuo di Euro 290,80 ed al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. La convenuta in secondo grado ha contestato la fondatezza dell'appello ed ha riproposto le eccezioni di improcedibilità ed improponibilità della domanda, svolgendo poi difese volte a sostenere l'operatività dello scoperto. L'appello è parzialmente fondato. Il Giudice di Pace ha erroneamente dichiarato la domanda "non procedibile" sul presupposto dell'omessa mediazione obbligatoria da parte della società attrice che avanzava una domanda di indennizzo per effetto di una polizza assicurativa. Invero, per i fini che qui rilevano, deve dirsi che l'art.5 del Decreto Legislativo n.28/2010, rubricato "condizione di procedibilità e rapporti con il processo" dispone che: "Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo (...), n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo (...), n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione (...)". Il dato normativo rende evidente che il Giudice di Pace, alla prima udienza del (...), anche in ragione della specifica eccezione sollevata dalla difesa della Compagnia convenuta, avrebbe dovuto fissare altra udienza al fine di consentire il completamento della fase di mediazione oppure avrebbe dovuto concedere il termine per l'avvio del procedimento, in modo da acquisire al processo la condizione di procedibilità e, quindi, di esaminare e valutare la domanda (nel merito). L'epilogo processuale con declaratoria di "improcedibilità della domanda" non è stato corretto poiché è mancato un segmento processuale necessario in punto di condizione di procedibilità; appaiono senz'altro da condividere le argomentazioni svolte dal GdP sul piano della mediazione quale filtro conciliativo e deflattivo del contenzioso, ma le stesse argomentazioni non valgono per una interpretazione praeter legem. In ogni caso, la società attrice (già, dinanzi al GdP) aveva documentato l'avvio e la conclusione del procedimento di mediazione, senza partecipazione della società di assicurazioni. Non ricorrendo un'ipotesi di rimessione del giudizio al primo giudice (art.354 cpc), il Tribunale deve esaminare sintetim i profili di merito. La domanda giudiziale di indennizzo assicurativo non era preclusa dalla clausola n.10.5 giacché la "perizia contrattuale" quale modus procedendi per la valutazione e la quantificazione del danno è stata prevista come modalità facoltativa, restando salvo il diritto di ricorrere all'autorità giudiziaria (cfr. art.10.5 ultimo alinea). La Compagnia ha liquidato l'importo di Euro 4.500,00 (dato non contestato fra le parti). La società attrice, premettendo di aver accettato la quantificazione del danno effettuata da (...) per l'importo di Euro 4.790,80 ha affidato il gravame anche ad un motivo teso alla pronuncia di condanna per Euro 290,80 oltre interessi legali, sulla scorta della contestazione sullo scoperto del 10%. Il motivo non appare fondato giacché, dalle condizioni contrattuali (art.4.4), emerge la previsione dello scoperto del 10% per la garanzia base-sezione furto con possibilità di acquisto di una polizza con "abrogazione dello scoperto"; rispetto a tale clausola, spettava evidentemente alla società assicurata la prova sull'acquisto di una polizza di garanzia del rischio furto senza scoperto. A fronte di tanto, la parziale fondatezza dell'appello, in ragione della procedibilità e della proponibilità della domanda, non può comunque condurre ad una pronuncia di condanna per il credito residuo preteso da (...) In punto di spese processuali, la fondatezza della domanda di indennizzo ed il pagamento in corso di causa della somma di Euro 4.500,00 non possono assurgere a dati neutri per la valutazione della soccombenza; ed allora, la condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, collegata dal Giudice di Pace alla ritenuta improcedibilità della domanda, deve essere riformata e sostituita dalla condanna di (...) al pagamento delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in Euro125,00 per esborsi, Euro1.300,00 per compenso professionale oltre rimborso spese generali, cap, iva. Le spese del giudizio di secondo grado possono, invece, compensarsi, ad eccezione di quelle di iscrizione a ruolo che la società convenuta-appellata deve rifondere all'appellante unitamente a quelle liquidate per il primo grado. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio d'appello n.1233-2022 RG, fra le parti indicate in epigrafe, avverso la sentenza n.366/2022 del Giudice di Pace di Taranto, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così provvede: -in accoglimento dell'appello, nei limiti di fondatezza, accertata la procedibilità e proponibilità della domanda giudiziale di indennizzo, nonché la fondatezza per l'importo riconosciuto di Euro 4.500,00, riforma la sentenza gravata e condanna (...) al pagamento delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in Euro 125,00 per esborsi, Euro 1.300,00 per compenso professionale oltre rimborso spese generali, cap, iva; -dispone la compensazione delle spese del secondo grado di giudizio, ad eccezione di quelle di iscrizione a ruolo che la società convenuta-appellata deve rifondere all'appellante unitamente a quelle liquidate per il primo grado. Così deciso il Data (...)
TRIBUNALE DI TARANTO Il Tribunale di Taranto, prima sezione civile in composizione collegiale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: dott. Marcello MAGGI - Presidente rel. dott.ssa Patrizia NIGRI - Giudice dott.ssa Enrica DI TURSI - Giudice ha pronunziato la seguente SENTENZA nel procedimento civile in primo grado iscritto al n. ...del R.G. 2023 Affari Camera di consiglio, riservato per la decisione nell'udienza del 16.2.2024 tenuta ex art. 127 ter c.p.c. avente ad oggetto attribuzione al coniuge divorziato della quota del trattamento di fine rapporto TRA R.G. (Avv.ti...) RICORRENTE E C.L. - contumace RESISTENTE Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato il 13-7-2023 R.G. ha chiesto che le sia riconosciuto ex art. 12-bis L. n. 898 del 1970 il diritto di ottenere la somma pari al 40% del trattamento di fine servizio spettante all'ex coniuge divorziato C.L. - già dipendente del Ministero della Difesa - essendo titolare dell'assegno di divorzio e non avendo contratto nuovo matrimonio, con condanna dell'ex coniuge a corrisponderle i relativi importi, ordine all'INPS o allo stesso C.L. nel caso di già avvenuto pagamento del TFS, di erogare la somma da liquidarsi in proprio favore, il tutto con vittoria di spese di lite. Il C. nonostante rituale notifica del ricorso non si è costituito. La domanda principale deve essere accolta, per quanto di ragione. E' documentato (v. informative INPS pervenute il 22-12-2023, con prospetto di liquidazione) che nel corso del presente procedimento è stato liquidato in favore del C. un trattamento di fine servizio del complessivo ammontare netto di Euro 69.999,98 (sulla necessità di considerare in questa sede il TFS al netto di imposte: Cass. civile, sez. VI, 29/10/2013, n. 24421) parametrato ad un periodo di 39 anni 9 mesi e 16 giorni di servizio, arrotondati ad anni 40, ed al netto di ritenuta fiscale e di accantonamento di Euro 17.500 (importo quest'ultimo che pertanto non può dirsi "percepito" per gli effetti dell'art.12-bis L. n. 898 del 1970 cit.) per inadempienza nei confronti dell'Agenzia delle Entrate riscossione, in ragione del rapporto lavorativo dipendente presso l'amministrazione di appartenenza iniziato il 15-9-1986 e cessato in data 31-8-2022 per dimissioni volontarie. Di tale somma l'ammontare di Euro 27.280,14 diverrà esigibile con una prima rata entro tre mesi dall'1-9-2024; la seconda rata diverrà esigibile entro trenta giorni dall'1-9-2025 per un importo netto di Euro 42.244,52, e la terza rata verrà pagata entro trenta giorni dall'1-9-2026 per Euro 475,32 Il disposto dell'art. 12 bis L. n. 898 del 1970 - nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad un a quota del trattamento di fine rapporto percepita dall'altro coniuge "anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio" - va interpretato nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l'indennità spettante all'altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa - in tal senso dovendosi intendere l'espressione "anche prima della sentenza di divorzio", implicando ogni diversa interpretazione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola. Nella specie il requisito è rispettato posto che la sentenza di divorzio inter partes di questo Tribunale (n. 273 del 2009) è stata pubblicata il 5-3-2009 ed è passata in cosa giudicata ex art. 327 c.p.c., non essendone stata dedotta impugnazione, il 25-4-2010 , dopo il decorso del termine di un anno e 45 giorni allora applicabile in ragione della data di instaurazione del giudizio (non sono documentati i presupposti di decorrenza del termine breve ex art. 325 c.p.c.), e prima della cessazione del rapporto di lavoro di C.L. intervenuta il 31-8-2022. La ricorrente inoltre, come documentato, non ha contratto nuove nozze e fruisce attualmente di assegno divorzile di Euro 50,00 mensili oltre rivalutazione ISTAT a carico del C., giusta sentenza n.273-2009 di questo Tribunale. Sono quindi integrati i presupposti per il riconoscimento in favore della R. della quota percentuale del trattamento di fine servizio secondo la previsione dell'art.12-bis L. n. 898 del 1970 cit.. In ordine al quantum, l'entità della quota di trattamento di fine rapporto da riconoscere al coniuge divorziato è, a norma del secondo comma dell'art. 12-bis della L. 1 dicembre 1970, n. 898, pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, dovendosi a tal fine avere riguardo (cfr. Corte costituzionale 24.1.1991 n. 23, Cass. 3.9.1997 n. 8477) alla durata legale del matrimonio, contratto il 1-9-1990, ed i cui effetti sono cessati fra i coniugi al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, che deve riportarsi al 25-4-2010. La quota percentuale spettante ex art.12-bis L. n. 898 del 1970 comma 2 cit. è complessivamente pari ad Euro 13.707,93 (ammontare complessivo del trattamento di fine servizio spettante rapportato ad anni 40, pari ad Euro 69.998; quota annuale Euro 1.749,95 x 19 anni e 7 mesi di coincidenza del rapporto di lavoro con il matrimonio = Euro 34.269,84, il cui 40% ammonta ad Euro 13.707,93). Non può essere disposto il pagamento diretto da parte dell'INPS delle somme dovute essendo l'ex coniuge unico soggetto tenuto ai sensi dell'art. 12-bis L. n. 898 del 1970. Ciò è confermato dal dettato di quest'ultima norma la quale esige per l'insorgere del diritto a conseguire il 40% delle competenze di fine servizio che le stesse siano state "percepite" dall'altro coniuge, escludendo implicitamente che possano essere richieste direttamente all'Ente erogatore dal coniuge avente diritto all'assegno di divorzio. La circostanza, comunicata da INPS, per la quale il credito di TFS è stato ceduto dal C. a P. s.p.a., e quindi verrà rimborsato dall'INPS in favore di quest'ultima alle scadenze di cui innanzi, comporta che il lavoratore abbia già presuntivamente ricevuto l'importo dovuto in anticipazione dall'intermediaria finanziaria , senza dovere attendere le scadenze rateali di cui innanzi si è detto, giacchè a tali scadenze l'INPS rimborserà le somme dovute alla società cessionaria del credito e non all'originario cedente il credito(cfr. ancora la citata comunicazione INPS). Ciò comporta che C.L. deve essere condannato all'immediato pagamento in favore di R.G. della somma di Euro 13707,93, di cui innanzi s'è detto. Le spese di questo procedimento seguono la soccombenza nella misura di cui in dispositivo, e con la chiesta distrazione in favore delle procuratrici della ricorrente. P.Q.M. Il Tribunale, pronunziando sulla domanda come sopra proposta, così provvede: 1) accoglie la domanda, per quanto di effettiva ragione, e condanna C.L. al pagamento in favore di R.G. dell'importo di Euro 13707,93, per le causali in motivazione; 2) condanna C.L. al pagamento in favore di R.G. delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 1500 per compensi, oltre rfsg al 15% iva e cap in misura di legge, con distrazione per le procuratrici della ricorrente, dichiaratesi antistatarie. Così deciso in Taranto, il 16 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2024.
Il Tribunale di Taranto, prima sezione civile, composto dai magistrati: dott. Marcello Maggi - Presidente rel. dott. ssa Patrizia Nigri - Giudice dott.ssa Enrica Di Tursi - Giudice ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 817 del R.G. anno 2015; TRA C.S.-rappresentato e difeso dall' avv.... -ATTORE E C.F. - C.L. - C.C. - rappresentati e difesi dall'avv. ... -CONVENUTI Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione spedito per la notifica in data 6/2/2015, C.S., esponeva: di essere figlio - insieme ai germani C.L., C.C. e C.F. - di C.C. , deceduta in Manduria il 1-10-2014; che dopo il decesso della madre egli aveva scoperto che questa si era spogliata di entrambi gli immobili di sua proprietà in favore degli altri tre figli; che infatti con atto per notar B. in data (...) n.(...) rep. e (...) racc. la de cuius aveva donato al figlio C.C. la piena proprietà di un casa di abitazione in M.L.C. in catasto al foglio di mappa n.(...), p.lla (...), gravata dall'onere rappresentato dalla prestazione da parte della donataria in favore della donante "di assistenza morale e materiale per tutta la durata della sua vita durante il periodo estivo e precisamente dal mese di giugno al mese di settembre" prevedendo che l'assistenza avrebbe dovuto essere prestata "nell'abitazione oggetto della presente donazione"; che il 23-1-2008 con atto per notar B. rep.(...) e raccolta (...), C.C. aveva stipulato un atto denominato "cessione con obblighi" trasferendo ai figli C.F. e C.L. la nuda proprietà di una casa di abitazione in M. via T. n.44, convenendo che a carico della parte cessionaria sarebbe spettata la prestazione consistente nel "somministrare alla medesima parte cedente vita natural durante ogni assistenza, morale e materiale, diurna e notturna di cui dovesse necessitare, i normali e convenienti alimenti, vitto, vestiario cure e medicinali non corrisposti dagli eventuali enti preposti, igiene alla casa e alla dimora e alla persona, i funerali e la tumulazione alla sua morta, il tutto secondo le condizioni sociali"; che egli invece nulla aveva ricevuto dalla genitrice con evidente violazione dei propri diritti di erede legittimario ; che la C. aveva sempre goduto di ottima salute sino agli ultimi giorni di vita, tanto da non richiedere alcuna forma di assistenza, aveva beneficiato in vita di una pensione di circa 1000/1200 Euro mensili con la quale aveva potuto soddisfare pienamente le proprie esigenze di vita, ed inoltre nel periodo estivo non si era mai trasferita presso il villino in Campomarino; che i due atti erano viziati da nullità assoluta per violazione degli artt. 1872 e segg. cod. civ ed evidente mancanza di una causa giustificatrice di natura corrispettiva avente come elemento essenziale l'alea, giacchè l'aleatorietà andava valutata al momento della conclusione, con riguardo non solo alla rendita in sé corrisposta, ma anche all'entità del vitalizio che deve essere tale da non rendere certa e prevedibile l'entità del vantaggio che dalla conclusione del contratto può ricavare il vitaliziante; che i convenuti con la complicità della de cuius avevano inteso realizzare mediante simulazione una vera e propria donazione, così sottraendo l'asse ereditario, eventualmente comprensivo di ulteriori beni immobili e mobili, alla necessaria ripartizione tra tutti i legittimari, compreso esso attore. Su tali presupposti C.S. ha convenuto in giudizio C.F. , C.L. e C.C. per sentire: dichiarare la nullità dell'atto di donazione in data 1-12-2004 n.(...) rep. e (...) racc. per difetto di causa, e la "natura di liberalità" di tale atto; dichiarare la nullità dell'atto di "cessione con obblighi" del 23-1-2008 stipulato con rogito per notar B. rep.(...) e raccolta (...),per difetto di causa accertandone la natura di liberalità; in subordine dichiarare la simulazione di entrambi gli atti in quanto dissimulanti donazione o quanto meno un negotium mixtum cum donatione; dichiarare che di conseguenza nell'asse ereditario erano e sono ricompresi i beni immobili sopra indicati, nonché le somme di denaro che dovessero essere state prelevate dai convenuti nel periodo precedente o successivo alla morte, ove occorresse anche per credito di rimborso a carico dei percipienti in assenza di valido titolo; disporre lo scioglimento della comunione ereditaria previa eventuale collazione a carico dei convenuti donatari, ove gli atti fossero stati ritenuti di valida liberalità, con formazione della quota ereditaria di diritto spettante all'attore e condanna dei convenuti al pagamento pro quota delle somme che sarebbero risultate come dovute; quanto innanzi in subordine ed ove dovesse occorrere riducendo proporzionalmente le eventuali ritenute donazioni e reintegrando la quota virile spettante all'attore, con condanna dei convenuti pro quota al pagamento del corrispondente valore in denaro; vinte le spese di lite. Si sono costituiti tempestivamente C.L., C.F. e C.C. eccependo la nullità della citazione, l'inammissibilità della domanda di riduzione per mancata indicazione degli elementi di calcolo della quota di riserva, l'assenza di prova dei presupposti dell'allegata simulazione, l'infondatezza della domanda di nullità della donazione modale e della cessione con obblighi, l'omissione da parte dell'attore dell'imputazione ex se, e di considerazione del fatto che la donazione in favore di C.C. era gravata da un onere risalente al 2004, puntualmente adempiuto, coabitando il donatario con la madre nel periodo estivo, ed il cui valore doveva essere detratto da quello del bene oggetto della liberalità; che il villino in Campomarino di Maruggio era, al momento della donazione, in pessimo stato manutentivo e del valore indicato nell'atto di appena Euro 23.000, e C.C. aveva dovuto eseguirvi ampie opere di ristrutturazione contraendo mutuo ipotecario di Euro 30000 con la B.D.C. cooperativo di A., ed in seguito altro mutuo per Euro 80.000, ed aveva fatto fronte a spese giudiziarie e di patrocinio riguardanti detto immobile; che mediante il contratto di cessione con obblighi del 2008 C.F. e C.L. avevano assunto un effettivo ed ampio obbligo di assistenza, ed il contratto era caratterizzato da alea con incertezza circa la durata della vita dell'assistito e le sue necessità, anche perché al momento della stipula del contratto la beneficiaria era in buone condizioni di salute, e ciò sino al 2013 allorquando aveva subito la frattura del femore perdendo la normale funzionalità motoria; che in concomitanza con tale evento ed il ricovero ospedaliero era stata assistita dai soli convenuti; che l'immobile alla via T. 44 in M. era al momento della donazione in pessimo stato manutentivo e C.F. aveva provveduto ad importanti opere di ristrutturazione, adeguamento e manutenzione col rifacimento dei solai e degli intonaci oltre che della pavimentazione interna ed esterna; che non sussistevano all'atto dell'apertura della successione somme derivanti dalla percezione di pensione ed i convenuti avevano sopportato senza il contributo del fratello le spese funerarie e di sepoltura della madre; che era ricaduto in successione un fondo rustico in agro di Manduria, di cui l'attore non aveva fatto cenno. I convenuti instavano quindi per la dichiarazione di nullità della citazione o comunque il rigetto di tutte le domande dell'attore; in riconvenzionale, nell'ipotesi di declaratoria di nullità della cessione con obblighi e/o della donazione modale, chiedevano condannare l'attore al pagamento della somma di Euro 10.000 quale corrispettivo dell'assistenza prestata da C.C. in favore della de cuius, e della somma di Euro 20.000 o nella diversa da accertare in corso di causa per i miglioramenti apportati all'immobile in Campomarino di Maruggio comprensive anche delle spese di lite e patrocinio legale sostenute per conto della de cuius e delle spese funerarie ;al pagamento della somma di Euro 6000 quale corrispettivo dell'assistenza prestata da C.F. in favore della de cuius e della somma di Euro 5.000 o quella diversa da accertare in corso di causa per i miglioramenti apportati all'immobile in M. alla via T. 44; al pagamento della somma di Euro 6000 quale corrispettivo dell'assistenza prestata da C.L. in favore della de cuius e della somma di Euro 2.000 per spese di assistenza della de cuius e funerarie; nell'ipotesi di accoglimento della domanda di riduzione proposta, chiedevano che nella determinazione del valore delle quote si tenesse conto delle passività ereditarie, del corrispettivo di assistenza prestata alla madre pari ad Euro 22.000, nonché delle ulteriori spese pari ad Euro 5000 tra cui quelle funerarie, condannando l'attore al pagamento della somma che sarebbe risultata eventualmente dovuta in eccedenza; vinte le spese. La causa istruita documentalmente, mediante prova orale, e consulenza tecnica di ufficio è stata riservata per la decisione sulle conclusioni in epigrafe. 1- Richiamata e qui confermata l'ordinanza resa in corso di giudizio circa l'infondatezza dell'eccezione di nullità della citazione, debbono essere esaminate, in via logicamente preliminare, le domande principali di accertamento di nullità dell'atto per notar B. in data (...) n.(...) rep. e (...) racc. e dell'atto per notar B. rep. (...) e raccolta (...) del (...). 1.1. Con l'atto di donazione per notar B. in data (...) n.(...) rep. e (...) racc. C.C., allora di anni 79, donò al figlio C.C. la piena proprietà di un casa di abitazione in M. località C. in catasto al foglio di mappa n.(...), p.lla (...). La donante stabilì che l'attribuzione dovesse essere gravata dall'onere rappresentato dalla prestazione da parte del donatario in favore della donante "di assistenza morale e materiale per tutta la durata della sua vita durante il periodo estivo e precisamente dal mese di giugno al mese di settembre" prevedendo che l'assistenza avrebbe dovuto essere prestata "nell'abitazione oggetto della presente donazione". L'interpretazione complessiva del contenuto secondo le previsioni degli artt.1362 e ss. cod. civ. dell'atto induce a ritenere che C.C. intendesse trasferire senza corrispettivo al figlio la proprietà del cespite che ne era oggetto. La causa concreta dell'atto, emergente dalle univoche espressioni usate, risiedeva nell'intento di arricchire l'altra parte per mero spirito di liberalità, indipendentemente da qualsiasi contraccambio, mentre l'onere imposto era un mero elemento accessorio dell'atto di liberalità, atteso che la funzione della cessione era chiaramente ed esplicitamente individuata nell'intento donativo, senza la costituzione di un nesso di interdipendenza tra prestazioni corrispettive. Pertanto l'affermazione dell'attore di nullità di tale atto per mancanza di causa o per violazione dell'art.1872 cod. civ. non coglie nel segno dal momento che la causa concreta della liberalità si esauriva nella mera previsione di un trasferimento privo di corrispettivo attuato per spirito di liberalità, e che l'imposizione di un modus non trasformava il contratto in aleatorio ponendosi solo quale fattore limitativo del beneficio ricevuto dal donatario, da realizzarsi comunque con il limite previsto dall'art.793 comma 2 cit. del valore della cosa donata. Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell'ascendente, il figlio coerede C. è assoggettato all'obbligo della collazione sebbene, trattandosi di donazione modale, limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell'onere, come appresso si dirà. 1.2 - Nessuna dimostrazione è stata fornita di un accordo simulatorio tra le parti della donazione volto a dissimulare sotto le vesti della liberalità donativa un contratto di diverso contenuto; né sarebbe motivo dell'allegata nullità un preteso intento della donante di sottrarre all'asse ereditario futuro un bene di rilevante valore per impedire che dello stesso avesse potuto fruire il figlio legittimario S., dal momento che, come è noto , l'atto eventualmente lesivo delle ragioni del legittimario non è nullo ma solo riducibile, nei limiti in cui ciò serva a reintegrare la quota di riserva(art.555 comma 1 cod. civ.), salva peraltro nel caso di specie l'operatività della collazione, come meglio precisato in seguito. 1.3 - Infondata è anche la domanda di accertamento di nullità del contratto per notar B. rep. (...) e raccolta (...) del (...). Con questo contratto denominato "cessione con obblighi" C.C., all'epoca di anni 83, trasferiva ai figli C.F. e C.L. in parti eguali ed in comunione tra loro la nuda proprietà di una casa di abitazione in M. via T. n.44,riservandosene l'usufrutto; le parti convenivano che "in corrispettivo" della cessione, sarebbe spettata agli acquirenti la prestazione consistente nel "somministrare alla medesima parte cedente vita natural durante ogni assistenza, morale e materiale, diurna e notturna di cui dovesse necessitare, i normali e convenienti alimenti, vitto, vestiario cure e medicinali non corrisposti dagli eventuali enti preposti, igiene alla casa e alla dimora e alla persona, i funerali e la tumulazione alla sua morte, il tutto secondo le condizioni sociali"; con l'ulteriore previsione (denominata "clausola risolutiva espressa") che l'atto si sarebbe risolto in caso di inadempimento degli obblighi di assistenza assunti dalla parte cessionaria con la restituzione dell'immobile ceduto alla cedente. La mancanza di causa di questo negozio viene affermata da parte attrice per carenza del requisito di aleatorietà proprio del contratto di rendita vitalizia ex art.1872 cod. civ., affermandosi che la cedente al momento della stipula non era bisognosa di assistenza alcuna godendo di buona salute, ed essendo autosufficiente dal punto di vista fisico ed economico quale titolare di trattamento di pensione. In ordine alla qualificazione del contratto così impugnato, è pacifico in giurisprudenza che, in base al principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., sia configurabile il contratto atipico di cosiddetto "vitalizio alimentare", autonomo e distinto da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all'art. 1872 c.c., sulla premessa che i due negozi, omogenei quanto al profilo della aleatorietà, si differenzino perché, mentre nella rendita alimentare le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili, nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle qualità personali proprie di questo (cfr. in tal senso Cassazione civile, sez. II 22/4/2016 n. 8209; Cass. 5 maggio 2010, n. 10859; Cass. 29 maggio 2000, n. 7033; Cass. 8 settembre 1998, n. 8854). Secondo diffusa interpretazione inoltre, il vitalizio alimentare, come il contratto tipico di rendita vitalizia, ha natura aleatoria; e l'alea è ravvisabile ogni volta che le concrete pattuizioni realizzino una situazione di incertezza circa il vantaggio economico e, correlativamente, circa le perdite che potranno alternativamente verificarsi nello svolgimento e nell'effettiva durata del contratto. Pertanto l'alea si correla ad un duplice fattore di incertezza, costituito dalla durata della vita del vitalizio e dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto al suo stato di bisogno e di salute (Cass. 12 febbraio 1998, n. 1502); si è detto, quindi, che nel vitalizio alimentare l'alea è più marcata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall'art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni, anche in ragione dell'età e della salute del beneficiario (Cass. 9 ottobre 1996, n. 8825, richiamata in motivazione da Cass. 19 luglio 2011, n. 15848). Inoltre, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, l'individuazione dell'aleatorietà nei contratti in esame postula la comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei, secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato (Cass. 19 luglio 2011, n. 15848; Cass. 24 giugno 2009, n. 14796), risultando anche "dall'infungibilità di quanto pattuito, intesa come insostituibilità con una somma in denaro ed incoercibilità; dalla non patrimonialità, dovuta all'elemento di fiduciarietà che informa la scelta dell'obbligato e all'incertezza derivante dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno del beneficiario" (Cass. n. 1590472016; Cass. S.U. n. 6532/94 e Cass. n. 1503/98). Il contratto di "cessione con obblighi" stipulato in favore di C.L. e C.F. deve essere appunto qualificato come vitalizio alimentare, ricomprendendo le prestazioni ivi contemplate in corrispettivo della cessione, l'assistenza non solo materiale ma anche di carattere morale da prestarsi intuitu personae, da ciascun cessionario, estesa a tutto quanto necessario per garantire alla cedente decorosa esistenza. L'affermazione di mancanza di alea (e perciò di causa) rispetto a tale operazione negoziale non è fondata. In termini generali, un contratto è aleatorio quando una parte assume il rischio di un evento futuro e incerto che incide sul contenuto del suo diritto o della sua prestazione. Nella specie tale rischio vi era in quanto, come riconosciuto dalla stessa parte attrice ed incontestato in causa, al momento della stipula del contratto, rilevante al fine di apprezzarne gli elementi costitutivi, la cedente sebbene di età avanzata godeva di apparente buona salute, e non erano note particolari patologie, sicché non era possibile escludere che la stessa, come poi in effetti avvenuto, sarebbe vissuta ancora un apprezzabile numero di anni, rendendo per questo periodo incerta l'entità del beneficio ricevuto dai cessionari. Nè si sarebbe potuto ex ante escludere che nel corso della vita residua della cedente si sarebbe resa necessaria in favore della stessa sia pur dopo un certo tempo (ciò in effetti pare documentato dal 2013 in poi come da verbale della commissione per l'accertamento di invalidità civile del 27 marzo di quell'anno) ,stante l'apparente condizione di buona salute al momento della stipula, un'attività assistenziale anche continua ed onerosa, ed anche tale da non rendere sufficiente le disponibilità economiche di pensione(la cui entità affermata dall'attore in almeno mille Euro è peraltro stata contestata e comunque non provata), così diminuendo concretamente il beneficio ricevuto dai cessionari. Tutto ciò rende possibile rispetto al contratto in esame un giudizio di non palese sproporzione tra le prestazioni programmate e consente di escludere sotto il profilo causale, sia l'allegata mancanza di alea del contratto, sia la concreta prevalenza di aspetti di liberalità rispetto a quelli corrispettivi propri del negotium mixtum cum donatione. Né alcuna dimostrazione è stata data della simulazione relativa del contratto in questione in quanto, in tesi, dissimulante una donazione; in particolare sarebbe spettato all'attore ex art.2697 comma 1 cod. civ. provare, sebbene senza i limiti dell'art.1417 cod. civ. agendo egli a tutela della propria quota di riserva, l'accordo simulatorio tra le parti del contratto. Tale prova non è stata in alcun modo fornita, neanche con riguardo al comportamento successivo alla stipula, avendo anzi i testi escussi confermato che la de cuius ricevette effettivamente dai figli cessionari la programmata assistenza presso il proprio domicilio o quello della madre venendo coadiuvata nel disbrigo delle faccende domestiche, di pulizie della casa ed in genere nelle proprie esigenze personali, ed in particolare dopo una frattura al femore subita nel 2013 (cfr. dep. teste M. addotta dalla convenuta della cui attendibilità non sembra esservi motivo di dubitare). I profili di sinallagmaticità tra cessione immobiliare e prestazioni assistenziali programmate desumibili in via interpretativa dal complesso delle espressioni usate e pattuizioni raggiunte ("corrispettivo" della presente cessione e previsione di clausola risolutiva espressa in caso di inadempimento degli obblighi assunti dai cessionari), consentono, in definitiva, di qualificare il contratto in questione come oneroso, il che esclude anche l'assoggettamento a collazione o a riduzione del trasferimento immobiliare pattuito, riguardando questi ultimi istituti gli atti di liberalità compiuti in vita dal de cuius (art.555 cod. civ. per la riduzione ed art.737 per la collazione). Ne consegue anche che la casa di abitazione in M. alla via T. n.44 non è rientrata nell'asse ereditario di C.C.. 2- La donazione effettuata in favore del figlio C. deve essere assoggettata a collazione da parte di quest'ultimo coerede ai sensi dell'art.737 cod. civ., non essendo stata posta in dubbio da parte sua l'accettazione dell'eredità materna, e non contenendo il rogito in data 1-12-2004 alcuna dispensa dal relativo obbligo legale a carico del donatario. A ciò si aggiunga che gli atti dispositivi di cui s'è detto innanzi non esaurirono l'asse ereditario essendo ricaduto in successione, come accertato in corso di causa, anche il fondo rustico in catasto terreni del Comune di Manduria al foglio di mappa n. p.lla (...), mentre non vi prova della esistenza di altri beni mobili o immobili da comprendersi nell'asse relitto. Poiché la liberalità del 2004 integrò donazione modale, l'obbligo di conferire alla massa per imputazione quanto ricevuto opera limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell'onere (Cassazione civile, sez. II, 27/11/1985, n. 5888; Tribunale Brindisi, 12/5/2002). Secondo quanto emerso in sede di prova testimoniale, la de cuius dal 2004 in poi, soggiornò effettivamente durante i mesi estivi (da giugno a settembre) presso l'abitazione estiva in Campomarino di Maruggio donata al figlio C. ricevendone vitto ed alloggio ed assistenza (cfr. dep. teste C. e per la circostanza del soggiorno estivo insieme al figlio C., le deposizioni M. e L.). Il valore del modus sulla scorta di tali dati può tuttavia determinarsi solo in via presuntiva, giacché non vi è dimostrazione che la prestazione di assistenza e quelle volte a fornire vitto e pulizia richiedessero impegno continuativo da parte del donatario, senz'altro assimilabile a quella del lavoratore domestico convivente con persone autosufficienti, considerato dal CTU Antonacci nel proprio elaborato. Il carattere verosimilmente discontinuo dell'assistenza domestica nell'arco della giornata reso nei rapporti tra persone legate da vincoli di parentela e non di vero e proprio lavoro subordinato, induce a ritenere equa la stima operata in sede di consulenza tecnica con una riduzione del 50% rispetto al totale computato dall'ausiliare dal 2005 al 2014, ottenendosi così il valore del modus Euro 18.351,88 (Euro 36.703,77 diviso due). Sempre ai fini della collazione deve inoltre essere detratto dal valore del bene donato all'apertura della successione quello dei miglioramenti apportati dal donatario al fondo e delle spese di conservazione ai sensi dell'art.748 cod. civ.. Secondo quanto risultato dalla prova testimoniale (dep. C. e L.) il donatario C.C. dopo avere ricevuto la liberalità, provvide ad eseguire sensibili migliorie nell'immobile in C. ,procedendo alla sua completa ristrutturazione e comunque a dotarlo di impianti idrico, fognante (con fossa I.) ed elettrico, nonché ad eseguire la pavimentazione esterna(previ lavori di sbancamento e livellamento dell'area frontistante il villino) ed interna, alla impermeabilizzazione del lastrico solare, alla ristrutturazione del vano cucina e del bagno esterno, ed alla intonacatura interna ed esterna; i lavori di ristrutturazione vennero pagati dallo stesso C.C.(cfr. deposizione di M.C. che ha riconosciuto anche le fatture emesse dalla propria ditta per i lavori edili). Il presumibile valore delle migliorie è stato poi calcolato dal CTU geom. Bi., ai fini della stima dell'immobile al tempo dell'apertura della successione, in complessivi Euro 54.091.03; la valutazione dell'immobile e delle migliorie, oggetto di analitico conteggio da parte dell'ausiliare, con indicazione dei criteri seguiti, appare sufficientemente motivata e condivisibile. Ne consegue che dal valore dell'immobile donato pari ad Euro 52900 ottenuto mediante la consulenza tecnica di ufficio già detraendo Euro 54091,03 per migliorie, va detratto l'importo di Euro 18.351,88 quale valore dell'assistenza prestata; il valore residuo - da conferirsi per imputazione ex art.746 cod. civ., in mancanza di una scelta dell'obbligato alla collazione con restituzione del bene in natura - è pari ad Euro 34.548,12. Non sono infine state dimostrate donazioni effettuate dalla de cuius in favore di C.S. e che possano essere oggetto di collazione. 3.In ragione dell'operatività della collazione, nei limiti in precedenza indicati, e della mancanza di una dispensa dalla stessa nella donazione del 2004, viene concretamente meno l'interesse dell'attore C.S. ad ottenere una pronuncia sulla domanda di riduzione della stessa donazione, comportando la collazione effetti più ampi di quelli che deriverebbero dalla domanda volta a fare dichiarare l'inefficacia dell'atto di liberalità ai fini della reintegrazione della legittima. 4. Quanto alle domande riconvenzionali, i convenuti hanno chiesto "nella denegata ipotesi di declaratoria di nullità compresa quella di simulazione dell'atto di cessione con obblighi e/o della donazione modale" (cfr. conclusioni di cui alla lettera F della prima memoria ex art.183 comma 6 c.p.c.) condannarsi l'attore: -al pagamento della somma di Euro 10.000 quale corrispettivo ex art.2041 cod. civ. dell'assistenza prestata da C.C. in favore della de cuius, e della somma di Euro 20.000 per i miglioramenti da quello apportati all'immobile in Campomarino, comprensive anche delle spese di lite e patrocinio legale sostenute per conto della de cuius e delle spese funerarie; -al pagamento della somma di Euro 6000 quale corrispettivo ex art.2041 cod. civ. dell'assistenza prestata da C.F. in favore della de cuius e della somma di Euro 5.000 o quella diversa da accertare in corso di causa per i miglioramenti apportati all'immobile in M. alla via T. 44; -al pagamento della somma di Euro 6000 quale corrispettivo ex art.2041 cod. civ. dell'assistenza prestata da C.L. in favore della de cuius e della somma di Euro 2.000 per spese di assistenza della de cuius e funerarie sopportate dalla stessa C.L.. Essendo tali domande riconvenzionali espressamente condizionate alla declaratoria di nullità o di simulazione della donazione del 2004, e/o della cessione con obblighi di cui si è detto, su di esse non è a pronunciare dal momento che nessuna delle domande di accertamento di nullità o simulazione è stata accolta. Egualmente non è a pronunziare sulla domanda riconvenzionale di cui alla lettera G) delle conclusioni della memoria del 17-2-2016 di parte convenuta in quanto espressamente condizionata alla " ipotesi di accoglimento della domanda di riduzione". 5. In ordine alla domanda di divisione pure spiegata da C.S., è da rilevare che il valore dell'attivo ereditario è complessivamente pari ad Euro 36948,12, dato dalla somma degli importi di Euro 34.548,12 il quale rappresenta il valore dell'immobile in Campomarino (calcolato in Euro 52900 dal CTU, al netto delle migliorie apportate da C.C., ed altresì depurato del valore dell'onere di assistenza pari ad Euro 18.351,88) e di Euro 2400(valore terreno in Manduria). Del totale dell'attivo spetta a ciascuno dei quattro coeredi la quota di valore di un quarto pari ad Euro 9237,03; poiché quanto ricevuto da C.C. con la donazione dell'immobile in Campomarino il cui valore da conferirsi per imputazione è pari ad Euro 34.548,12, è superiore alla quota ereditaria a lui spettante di Euro 9237,03, egli è tenuto a restituire agli altri germani coeredi quanto eccedente il quarto di sua spettanza. Deve poi essere oggetto di scioglimento di comunione il fondo rustico in Manduria al fg. (...) p.lla (...) ed al cui interno si trovano secondo accertato dal CTU, sedici alberi di ulivo. Poiché si tratta di fondo di estensione assai ridotta è possibile ritenere antieconomica la sua divisione in quattro quote fisiche, giacché verosimilmente la creazione delle stesse non darebbe luogo a frazioni proporzionalmente rispecchianti il valore dell'intero. La non comoda divisibilità del cespite esclude inoltre la sua attribuzione mediante sorteggio ex art.729 cod. civ. (Cassazione civile, sez. II, 12/07/2021, n. 19799); appare quindi possibile procedere a sua diretta attribuzione ad uno dei condividenti ed operarla a favore di C.S., non avendo costui ricevuto alcun immobile ereditario o comunque già appartenente alla de cuius (risultato invece ottenuto da C.C. e da C.L. e F. per effetto dei due rogiti già in precedenza citati). Ne deriva che il fondo in questione, del valore di Euro 2400, deve essere attribuito a C.S.; il valore ricevuto deve essere posto a scomputo della somma di Euro 9237,03 di cui in precedenza si è detto. In forza di tutto quanto detto innanzi, il condividente C.C. deve restituire a C.L. e C.F. la somma di Euro 9237,03 per ciascuno, ed a C.S. la somma di Euro 6837,03(Euro 9237,03 - Euro 2400), il tutto oltre interessi legali dalla data di notifica della domanda di divisione al saldo. Le spese del giudizio possono essere interamente compensate in ragione dell'accoglimento parziale delle domande ed eccezioni svolte da ciascuna parte. Le ulteriori spese delle due consulenze tecniche di ufficio come liquidate in corso di causa vanno poste in via definitiva per un quarto a carico di ciascun condividente. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto definitivamente pronunciando sulle domande proposte con atto di citazione spedito per la notifica in data 6-2-2015 da C.S. nei confronti di C.L. e C. e C.F., così provvede: 1) rigetta la domanda principale di accertamento di nullità o simulazione dell'atto per notar B. in data (...) n.(...) rep. e (...) racc. e dell'atto per notar B. rep.(...) e raccolta (...) del (...); 3) dichiara lo scioglimento della comunione ereditaria, sull'asse relitto da C.C. deceduta in Manduria il 1-10-2014, tra i figli C.S., C.L., C.C. e C.F. l'obbligo di collazione in capo a C.C. in relazione al valore dell'immobile in M. località C. in catasto al foglio di mappa n.(...), p.lla (...) ricevuto da C.C. con la donazione per notar B. in data (...) n.(...) rep. e (...) racc.; 4) attribuisce a C.S. la proprietà esclusiva del fondo rustico in Manduria in catasto terreni al fg. (...) p.lla (...); 5) condanna C.C. a corrispondere a C.S., la somma di Euro 6837,03, ed a C.L. e C.F. la somma di Euro 9237,03 ciascuno, per le causali in motivazione, il tutto oltre interessi legali dalla data di notifica della domanda di divisione al saldo; 6) compensa le spese di lite nei rapporti tra tutte le parti; pone in via definitiva le spese delle due consulenze tecniche di ufficio come liquidate in corso di causa con decreti del 25-11-2020 e del 23-7-2021, per un quarto a carico di ciascun condividente. Così deciso in Taranto, nella camera di consiglio della prima sezione civile del Tribunale il 13 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto prima sezione civile in composizione monocratica in persona del Giudice ad essaassegnato Dott. Antonio Pensato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 7037/2022 R.G. TRA Ma.El. rappresentata e difesa dagli Avv.ti An.Sa. e Fa.Se. -attrice- E Condominio dell'edificio sito in T. alla via Ni. n. 2 rappresentato e difeso dall'Avv. Gi.Br. -convenuto- FATTO E DIRITTO Ma.El. conveniva in giudizio il Condominio in epigrafe indicato per impugnare la delibera assembleare in data 6/6/2022.A fondamento dell'impugnazione lamentava invalidità di tale delibera perché assunta in seconda convocazione senza che constasse la mancata valida costituzione dell'assemblea in prima convocazione, per non aver indicato nel verbale i condomini assenti e dissenzienti con i relativi millesimi, per aver approvato bilancio 2021 e consuntivo 2022 ponendo a carico di essa attrice le spese di manutenzione del lastrico solare, nonostante l'esistenza di un titolo negoziale che escludeva la comproprietà di tale parte comune per le unità immobiliari di sua proprietà; per essere il verbale assembleare privo di una valida manifestazione di volontà relativamente a tale punto dell'ordine del giorno. Si costituiva in giudizio il Condominio convenuto chiedendo il rigetto delle avverse domande sul rilievo della loro infondatezza ed eccependo difetto di legittimazione passiva in ordine alla dedotta estraneità dell'attrice al condominio. In diritto, le domande proposte dall'attrice sono infondate. Il verbale in data 6/6/2022 reca l'attestazione di mancata celebrazione dell'assemblea in prima convocazione perché deserta. La Suprema Corte (in tal senso Cass. civ. n. 40827/2021) ha chiarito che per la validità dell'assemblea dei condomini in seconda convocazione non è necessaria la redazione di un verbale di mancata celebrazione dell'assemblea in prima convocazione ma è sufficiente la, anche informale, comunicazione dell'amministratore ai condomini della mancata partecipazione del quorum costitutivo necessario all'assemblea fissata in prima convocazione. Tale informazione è stata comunicata e recepita dai condomini presenti all'assemblea del 6/6/2022 tanto da essere riportata, tale circostanza, nel relativo verbale. Ciò è sufficiente per la valida celebrazione dell'assemblea in seconda convocazione. Il verbale in data 6/6/2022 consente, inoltre, di accertare i condomini presenti, con i relativi millesimi, e quelli che hanno votato a favore e contro ciascun deliberato. La prima pagina reca, infatti, i nomi dei condomini presenti, di persona o per delega, con i relativi millesimi di comproprietà da ciascuno rappresentati, per complessivi 826,01. Il successivo contenuto della delibera consente di individuare i condomini che hanno votato a favore, cioè tutti i presenti per gli altri punti dell'ordine del giorno, e tutti i presenti con il solo voto contrario del condomino P. per il secondo punto dell'ordine del giorno. Secondo i principi espressi da Cass. civ. n. 40827/2021 il richiamato contenuto del verbale in data 6/6/2022 rende valide le relative delibere poiché è idoneo a consentire di individuare i condomini presenti e quelli che hanno votato a favore e contro ciascun punto deliberato con i relativi millesimi determinabili per differenza, cioè detraendo il totale dei millesimi dei dissenzianti dal totale di quelli assenzienti. Infondato è anche il motivo riguardante la mancata verbalizzazione della volontà assemblerare. Al contrario, il lungo ed articolato verbale in data 6/6/2022 dà conto del contenuto della discussione e di quello della decisione assunta dall'assemblea riguardante i singoli punti da analizzare. Infondato è l'ultimo motivo di impugnazione riguardante l'approvazione, all'unanimità dei presenti, del consuntivo 2021 e preventivo 2022, comprendenti anche spese per manutenzione del lastrico solare. Il Lastrico solare è, per presunzione di cui all'art. 1117 c.c., proprietà comune per coloro le cui proprietà esclusive beneficino del lastrico come copertura. La presunzione di condominialità può essere superata solo da un titolo contrario e tale tiolo può essere solo il primo atto di vendita con cui l'originario unico proprietario dell'intero fabbricato riserva a sé la proprietà esclusiva di determinati beni, altrimenti comuni (in tal senso Cass. civ. n. 21440/2022).Nella specie, non risulta dedotto, né è provato, che gli atti di acquisto prodotti dall'attrice, di cui peraltro la stessa non è parte, siano la prima alienazione di singole unità del fabbricato con accesso da via Ni. n. 2 da parte dell'originario proprietario. Tali atti non sono, quindi, idonei a superare la presunzione di condominialità del lastrico solare, di cui all'art. 1117 c.c..Inoltre, la clausola di un contratto di vendita che esclude dall'alienazione i diritti di comproprietà sulle parti comuni è nullo, per violazione dell'art. 1118 c.c., a meno che non si tratti di parti comuni non essenziali per l'esistenza della proprietà individuale (in tal senso Cass. civ. n. 1610/2021).Ora, i lastrici sono parti essenziali per tutte le unità immobiliari cui fungono da copertura poiché senza di essi tali proprietà individuali non potrebbero esistere. Non a caso l'obbligo di partecipazione alle spese di manutenzione non è collegato alla proprietà del lastrico ma alla funzione di copertura che esso svolge. Vige, infatti, in tema di condominio di edifici, il principio generale, espresso dall'art. 1126 c.c., secondo cui tutti i condomini devono partecipare alla spese di manutenzione del lastrico, anche qualora la proprietà superficiaria o l'uso esclusivo sia attribuito ad un solo condomino (in tal senso Cass. civ. n. 4596/2012).Pertanto, anche in presenza di valida esclusione dell'attrice dalla proprietà del lastrico ciò non la esonererebbe dalla partecipazione alle spese di manutenzione dello stesso non avendo dedotto che le sue unità immobiliari non sono coperte da tale lastrico ma essendosi limitata ad allegare di non essere proprietaria del lastrico stesso per titolo negoziale. Alla soccombenza dell'attrice segue la condanna (art. 91 c.p.c.) alla rifusione delle spese di lite in favore del convenuto, anche di mediazione, liquidate come da separato dispositivo secondo minimi tariffari attesa l'esiguità delle attività difensive resesi necessarie per la definizione del procedimento. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto prima sezione civile in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato definitivamente pronunciando nella causa di cui all'epigrafe, così provvede: 1) Rigetta le domande proposte dall'attrice; 2) Condanna Ma.El. alla rifusione delle spese di lite in favore del Condominio convenuto, liquidate in Euro 254,00 per esborsi ed Euro 3809,00 per compensi del presente giudizio ed in Euro 804,00 per compensi del procedimento di mediazione, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali in misura di legge. Si dà atto che il presente provvedimento è stato redatto con la collaborazione del Giudice Onorario Dott. Pa.Pe.. Così deciso in Taranto il 12 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.
TRIBUNALE ORDINARIO DI TARANTO -I SEZIONE CIVILE- Il Tribunale di Taranto, prima sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Presidente dott.ssa Stefania D'Errico, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa civile di primo grado iscritta al n. ... R.G. Anno 2022 Affari Civili Contenziosi promossa da: F.S., rappresentata e difesa dall'Avv. ..., come da procura conferita a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliata presso lo studio della stessa, sito in Taranto, alla Via...; -attrice- CONTRO C.F. nato a T. il (...) (c.f. (...)) residente in L. (T.) alla Via C. n.8 strada 4, elettivamente domiciliato in Taranto alla Via P. presso e nello studio dell'Avv. ... dal quale è rappresentato e difeso giusta procura rilasciata su foglio separato da intendersi in calce ed unita alla comparsa di costituzione e risposta depositata in data 3.2.2023; -convenuto- attore in riconvenzionale- E V.S., rappresentato e difeso dall'Avv. ., come da mandato rilasciato a margine della comparsa di costituzione e risposta depositata in data 19.04.2023 ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa, sito in Taranto, alla Via Co.; -altro convenuto- OGGETTO: "Arricchimento senza causa" Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, la sig.ra F.S. conveniva in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale l'ex coniuge sig. V.S. e il sig. C.F., rappresentando di essere comproprietaria, unitamente al primo, dell'immobile sito in L. alla Contrada C.; di avere appreso nel 2019 che il sig. V.S. aveva sottoscritto preliminare di vendita dell'immobile in favore del sig. C.F., a nome di entrambi i comproprietari ma sottoscritto esclusivamente dal V., in cui si prevedeva un corrispettivo pari a Euro 14.700,00, in parte già corrisposto; deduceva che il contratto preliminare era assolutamente nullo in quanto non sottoscritto dalla comproprietaria, che mai avrebbe posto in vendita l'immobile per il valore affettivo dallo stesso rappresentato, legato alla prematura scomparsa della figlioletta; che nelle more all'immobile era state apportate modifiche significative, come da documentazione fotografica prodotta, che ne avevano diminuito il valore; che in sede di mediazione il V. aveva ammesso di avere ricevuto le somme pattuite dal sig. C., il quale tuttora deteneva l'immobile senza averne titolo; concludeva rassegnando le seguenti richieste: "Dichiarare la nullità del contratto preliminare di compravendita del 12.03.2019 stipulato tra C.F. e V.S. relativa all'immobile sito in L. alla Contrada C. piano terra, censito in Catasto dei Fabbricati al foglio (...), particella (...) categoria (...), classe (...), con vai 4 di proprietà della sig.ra F.S. e del sig. V.S.; - Reintegrare la signora F.S. nel possesso del suo immobile; Condannare i convenuti a risarcire alla stessa tutti i danni subiti a seguito di tale vicenda da valutare in tale sede, danni consistenti nel mancato utilizzo del suo bene immobile dal12.03.2019 sino ad oggi, nella modifica dello stato dei luoghi fatta dal sig. C.F. e nell'appropriazione da parte dello stesso di tutti i mobili e i suppellettili appartenenti alla signore F.S.. Con vittoria di spese, diritti e onorari". Alla domanda resisteva, a seguito di rinnovazione della citazione, il sig. C.F., il quale in via preliminare eccepiva la nullità dell'atto di citazione notificato per mancato rispetto degli artt. 163 e 164 e 163 bis c.p.c.; nel merito, rappresentava che nel 2018 il V., per sé e per la moglie, gli proponeva l'acquisto dell'immobile di Via C. di L., realizzato nel 1960, come affermato dal CTU Ing. Pi.Ca. in sede di mediazione, da tempo abbandonato e ridotto ad un rudere, concordando il prezzo del trasferimento in Euro.14.700,00; ha precisato di avere versato già in data 27.6.2018 a titolo di caparra confermatoria la somma di Euro 1.000,00 con assegno tratto su B.C. n. (...) del 27.06.2018; successivamente quella di Euro 400,00 con assegno tratto su B.C. n. (...) del 16.07.2018; di Euro 1.000,00 con assegno tratto su B.B. n. (...) del 12.03.2019; di Euro 1.000,00 in contanti il 27.06.2018 come da ricevuta; Euro 800,00 con assegno circolare circolare tratto su B.B. n. (...) del 20.12.2019; Euro 350,00 con assegno circolare tratto su B.B. n. (...) del 25.02.2020; Euro 1.000,00 con assegno circolare del 21.10.2019 tratto su B.B. n. (...); Euro 350,00 con assegno circolare tratto su B.B. del 01.04.2020; per un totale di Euro 5.900,00. Precisava che il sig. V., all'atto della consegna della somma di Euro 1.000,00 in contanti avvenuta in data 27.06.2018, gli aveva consegnato le chiavi dell'immobile, consentendogli di eseguire i lavori per renderlo abitabile, come riportato nel successivo preliminare di acquisto del 12.03.2019; che pertanto legittimamente aveva conseguito il possesso la villa, nella convinzione che la comproprietaria sig.ra F.S. fosse consenziente nella vendita dell'immobile, tanto da essere indicata nella scrittura privata del compromesso di vendita del 12.3.2019; tuttavia la stessa successivamente convocata presso lo studio dell'Avv. A.M. per sottoscrivere il preliminare, si era rifiutata, in quanto riteneva esigua la somma stabilita a titolo di corrispettivo della futura vendita; pertanto, non corrispondeva al vero che l'attrice non fosse a conoscenza delle trattative tra il marito e il C., come dimostrerebbe l'assegno circolare del 26.5.20220 intestato proprio alla sig.ra F.S., che fu da costei rifiutato perché ritenuto non congruo. Aggiungeva di avere eseguito sull'immobile promesso in vendita lavori di stonacatura di tutte le parti esterne dell'immobile, mettendolo in sicurezza; di avere, inoltre, proceduto ad eliminare l'umidità delle pareti interne, a causa dell'acqua discendente dal solaio, e alla successiva stonacatura dei muri interni e alla pitturazione; aveva dato inizio ai lavori di rifacimento totale del bagno; nonché eliminato le cause dell'umidità, ripristinando il solaio; aveva proceduto altresì alla pulizia del giardino, sostenendo una spesa complessiva di Euro 25.000,00. Concludeva rassegnando le seguenti richieste: "1) In via preliminare dichiarare la carenza di legittimazione attiva dell'attrice rispetto alla domanda di nullità del contratto preliminare del 12.03.2019; 2) In via ulteriormente preliminare, dichiarare la nullità dell'atto di citazione notificato il 24.11.22, per le ragioni innanzi espresse, con ogni conseguenza di legge, nonché accertare l'inammissibilità e l'improcedibilità della domanda proposta; 3) Nel merito rigettare la domanda attrice di dichiarazione di nullità del contratto preliminare di compravendita del, 12.03.2019, stipulato tra C.F. e V.S., relativo all'immobile sito in L. alla C.da C. piano terra censito al NCEU al fg. (...) part. (...) cat. (...), classe (...), vani 4, per le ragioni innanzi espresse; 4) Dare atto che la sig.ra F. era intenzionata a cedere la sua parte di proprietà e che, successivamente, si era rifiutata, non essendo più d'accordo sul prezzo; tanto ai fini della domanda riconvenzionale; 5) Nella ipotesi di dichiarazione di nullità del contratto preliminare innanzi richiamato, dare atto della volontà di trasferimento della proprietà del sig. V.S. a favore del sig. C.F., e della disponibilità di quest'ultimo a completare il pagamento del prezzo pattuito; ordinare allo stesso V. di stipulare l'atto notarile relativo; 6) Rigettare la richiesta della sig.ra F. di reintegra nel possesso dell'immobile, in quanto lo stesso è detenuto legittimamente dal sig. C.; 7) In via riconvenzionale, e nell'ipotesi di accoglimento della domanda attrice, condannare l'attrice e l'altro convenuto, V.S., al pagamento del prezzo delle migliorie apportate nell'appartamento oggetto di causa, nella misura di Euro 12.500,00 ciascuno, ovvero di quell'altra somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, il tutto entro il limite di Euro 26.000,00; 8) Con vittoria di spese e competenze di lite.". Si costituiva in giudizio anche il sig. V.S., il quale dichiarava di avere concesso in godimento precario l'immobile per cui è causa al sig. C.F., consegnandogli le chiavi di accesso, per esigenze di deposito temporaneo di alcuni beni personali del primo, nelle more della ristrutturazione della abitazione dello stesso, che si impegnava altresì a sorvegliare la villa e a provvedere alla manutenzione ordinaria; di avere sottoscritto il preliminare di vendita nella convinzione che si trattasse di un contratto di locazione; di avere incassato alcune somme di denaro a titolo di indennità di occupazione; che non era sua volontà vendere l'immobile, cui i coniugi attribuivano valore affettivo, senza il consenso della moglie comproprietaria del bene; che l'immobile era detenuto dal C. dal 2019 senza titolo, e che lo stesso aveva apportato notevoli innovazioni peggiorative; rassegnava pertanto le seguenti conclusioni: "Dichiarare la nullità del contratto preliminare di compravendita del 12.03.2019 stipulato tra C.F. e V.S. relativa all'immobile sito in L. alla Contrada C. piano terra, censito in Catasto dei Fabbricati al foglio (...), particella (...) categoria (...), classe (...), con vai 4 di proprietà della sig.ra F.S. e del sig. V.S.; - Reintegrare il signor C.F.S. nel possesso del suo immobile; Condannare il signor C.F. a risarcire allo stesso tutti i danni subiti a seguito di tale vicenda da valutare in tale sede, danni consistenti nel mancato utilizzo del suo bene immobile dal 12.03.2019 sino ad oggi, nella modifica dello stato dei luoghi fatta dal sig. C.F. e nell'appropriazione da parte dello stesso di tutti i mobili e i suppellettili appartenenti al signor V.S.. Con vittoria di spese, diritti e onorari". Con ordinanza del 12.07.2023, il G.I. rigettava le istanze istruttorie formulate dalle parti e, ritenuta la causa matura per la decisione, la rinviava all'udienza del 9.11.2023 per la precisazione delle conclusioni. A tale ultima udienza la causa è stata trattenuta in decisione, con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali e repliche. La domanda volta all'accertamento della nullità del contratto preliminare di compravendita del 12.03.2019 è fondata e pertanto merita accoglimento. Con una esposizione sintetica, ma del tutto adeguata alle esigenze di garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio, poste a fondamento delle norme relative ai requisiti dell'atto di citazione in punto di editio actionis - conseguendone il rigetto della eccezione preliminare di nullità dell'atto introduttivo per violazione degli artt. 164, quarto comma, e 163 terzo comma, nn. 3) e 4), c.p.c. formulata dal convenuto C.F. -, l'attrice ha riconnesso la eccepita nullità della promessa di vendita alla mancata sottoscrizione del preliminare di vendita da parte di ella comproprietaria della villa sita alla Contrada C. del comune di Lizzano, seppure espressamente indicata quale parte promittente venditrice insieme all'ex coniuge sig. V.S. nella scrittura privata del 12.03.2019. E' invero privo di effetti giuridici, nullo ed inefficace, il contratto preliminare di compravendita di immobile in cui figurano entrambi i coniugi comproprietari, in regime di comunione legale o semplice (nella fattispecie è intervenuto lo scioglimento della comunione conseguita alla separazione dei coniugi e al successivo venir meno del vincolo coniugale per effetto del divorzio ex art. 191 c.c.; nel corso del giudizio è stata depositata la sentenza n. 2211/2018 con la quale il Tribunale di Taranto ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra V.S. e F.S.), recante la sottoscrizione di uno solo di essi. Decidendo un caso del tutto analogo a quello qui in esame, la Suprema Corte di Cassazione ha invero affermato il principio di diritto in virtù del quale, "in regime patrimoniale di comunione legale, il disposto di cui all'art. 184 cod. civile presuppone l'effettiva autonoma disposizione di un bene comune da parte di uno solo dei coniugi, pertanto non si applica nel caso in cui, come nel caso in esame, tutti i contraenti siano a conoscenza della comunione dei beni tra i coniugi e questi ultimi figurino entrambi nel contratto come venditori, atteso che in tal caso il mancato consenso di uno dei due impedisce il sorgere di una valida obbligazione neanche a carico dell'altro" (sentenza n. 8525/2018). Quindi la circostanza che in un preliminare di vendita siano indicati come comproprietari entrambi i coniugi rende irrimediabilmente nulla la pattuizione ove il contratto sia sottoscritto da uno solo dei promittenti venditori, in quanto la conoscenza della situazione di comproprietà esclude qualsiasi esigenza di tutela dell'affidamento incolpevole del terzo contraente. Orbene, nella fattispecie in esame è incontestato che la scrittura privata del 12.03.2019 indichi compiutamente nel preambolo del regolamento contrattuale la parte promittente venditrice identificandola in modo certo e inequivocabile nei coniugi comproprietari del bene promesso in vendita, ovvero i sigg.ri F.S. e V.S., ma che riporti in calce soltanto la sottoscrizione di quest'ultimo, mancando invece la sottoscrizione della F.. In tale ipotesi, non può pertanto ritenersi che il V. abbia disposto autonomamente del bene comune, neppure limitatamente alla quota di sua pertinenza, come pure prospettato dal convenuto C., essendo pacifico che tutte le parti erano consapevoli dello stato di comunione vigente sui beni e del resto la comune volontà di tutti era orientata alla stipula di un contratto in cui entrambi i titolari del bene avrebbero dovuto prestare il consenso alla vendita, come è confermato dal successivo incontro sollecitato dal promissario acquirente presso lo studio dell'avv. A.M. finalizzato alla acquisizione della sottoscrizione da parte della attrice comproprietaria, la cui necessità ai fini della validità del contratto era quindi nota a tutte le parti. La mancata prestazione del consenso da parte di uno dei promittenti venditori, espressamente indicato nell'atto quale contraente, non consente, in definitiva, il sorgere di una valida obbligazione neppure a carico dell'altro, attesa la nullità del contratto per mancanza di tale requisito essenziale. Pertanto, in assenza di alcun riferimento nell'atto sia al regime patrimoniale dei coniugi promittenti venditori, sia a poteri rappresentanza volontaria e/o legale in capo al coniuge firmatario, essendo parte contraente a tutti gli effetti anche l'altro coniuge, il cui nome appare nell'intestazione come nel contenuto dell'atto, senza che poi ne segua la sottoscrizione, si configura la radicale nullità del contratto per mancanza del consenso. Tanto in mancanza, peraltro, di alcuna valida ragione di privilegiare l'affidamento del terzo contraente e sottoscrittore dell'atto, ben consapevole della incompletezza dell'accordo raggiunto e, quindi, dell'inefficacia dell'atto stesso. Tale situazione fa eccezione rispetto all'orientamento prevalente secondo cui in tema di comunione legale tra coniugi, tutti gli atti di disposizione di beni immobili o beni mobili registrati (e, quindi, di un diritto reale frazionario su bene immobile) appartenenti alla comunione coniugale, compiuti da uno solo dei coniugi, senza il necessario consenso dell'altro, ovverosia in violazione della regola dell'amministrazione congiunta, sono invece da reputarsi validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione dell'annullamento ai sensi dell'art. 184 del Codice civile, in forza dell'azione proponibile dal coniuge - il cui consenso era necessario - entro i termini previsti dalla stessa norma (v. Cass. 31.01.2022, n. 1385; Cass. 22.02.2018, n. 4302; v. anche la recente Cass. 13.01.2023, n. 904). Al fine di pervenire alla detta conclusione non occorre evidentemente né dare corso alle prove orali dedotte dalle parti né procedere alla verificazione della sottoscrizione del sig. V., che l'ha disconosciuta, in quanto ciò che rileva ai fini della decisione è esclusivamente la mancanza della sottoscrizione da parte della attrice. Dalla declaratoria della nullità del contratto preliminare di compravendita deriva ex lege l'obbligo di restituzione dell'immobile ai legittimi proprietari, come espressamente richiesto dall'attrice nelle conclusioni rassegnate in atto di citazione. Non può essere, invece, disposta la restituzione di quanto versato in adempimento del contratto preliminare dichiarato nullo, in mancanza di specifica domanda in tal senso da parte del promissario acquirente sig. C. (cfr. Cass. sentenza 26.04.2021 n. 10917/21 secondo cui il giudice può disporre la restituzione degli immobili quale conseguenza della dichiarazione di nullità e non della domanda di risoluzione, in conseguenza del rilievo di ufficio della nullità del contratto e inoltre che, dal momento che l'effetto restitutorio non è implicito nella domanda di annullamento né nella domanda di riduzione del prezzo, la domanda di restituzione dello stesso deve essere formulata in maniera espressa): La sig.ra F. ha, inoltre, richiesto ai convenuti il ristoro dei danni che si assumono derivati dal possesso illegittimamente esercitato dal sig. C., a titolo di indennità di occupazione, nonché di quelli conseguenti alla modificazione dello stato dell'immobile da parte dello stesso. Analoga domanda ha proposto il V. nei confronti del C.. Dal canto suo, il promissario acquirente ha proposto domanda riconvenzionale chiedendo il rimborso delle spese affrontate per le migliorie che assume aver apportato all'immobile. Le richieste risarcitorie formulate dalle parti devono essere valutate secondo gli strumenti di tutela che l'ordinamento appresta in relazione alla fase precontrattuale ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c. per le ipotesi in cui il comportamento delle parti non si adegui al principio di buona fede. In particolare, la responsabilità ex art. 1338 c.c., che rappresenta una specificazione della responsabilità precontrattuale prevista dall'art. 1337 c.c., presuppone non solo la colpa di una parte nell'ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell'altra parte nel confidare nella sua validità. La disposizione di cui all'art. 1338 è volta a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dalla ignoranza della causa di invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta e che non era nei suoi poteri conoscere (Trib. Milano 25/06/2019, n. 6211). Alla luce delle considerazioni esposte, si osserva che in caso di contratto preliminare stipulato da un solo coniuge senza il consenso dell'altro, il promissario acquirente, confidando nella conclusione del definitivo, subisce un pregiudizio di natura sia patrimoniale che, potenzialmente, non patrimoniale, che può in astratto essere riconosciuto dal giudice. Questi presupposti non ricorrono, tuttavia, nella fattispecie in esame né nel promittente venditore V. né nel promissario acquirente C., i quali erano entrambi ben consapevoli - o comunque avrebbero dovuto esserlo utilizzando la diligenza media - che la mancanza della sottoscrizione del contratto preliminare stipulato in data 12.03.2019 da parte della comproprietaria F.S. ne avrebbe determinato la radicale invalidità. Tanto risulta dalla stessa ricostruzione del convenuto, che ha dedotto di avere convocato la sig.ra F. presso lo studio dell'Avv. A.M. al fine di sottoscrivere il contratto preliminare e che la stessa si era rifiutata di apporre la propria firma, essendo irrilevanti i motivi del rifiuto. Non può, pertanto, trovare accoglimento la richiesta risarcitoria per presunte migliorie proposta in via riconvenzionale dal sig. C., possessore in capo al quale difetta il requisito della buona fede. Ma anche a voler superare tale pregiudiziale rilievo, nel merito la domanda è priva di fondamento, in quanto generica e infondata, non essendo ammissibile che per interventi edilizia della entità di quelli descritti dal convenuto, lo stesso non sia stato in grado di produrre alcun elemento di prova documentale, fosse anche soltanto una ricevuta di pagamento dei materiali utilizzati per i lavori che assume di aver effettuato sull'immobile di proprietà dei sigg.ri V. e F., limitandosi ad addurre prove testimoniali per mezzo di stretti congiunti, di cui si ribadisce l'irrilevanza ai fini della decisione, in mancanza di qualsivoglia riscontro documentale. Del pari generica e indimostrata è la circostanza che nell'immobile fossero custoditi beni mobili di valore economicamente rilevante, con l'effetto che anche tale domanda risarcitoria (formulata dalla attrice) non può trovare accoglimento. E' invece fondata la pretesa della attrice di essere indennizzata per la perdita del bene (beninteso limitatamente alla quota del 50% di sua pertinenza) detenuto senza titolo dal sig. C., con conseguente condanna dello stesso al pagamento della somma, che si determina in via equitativa, trattandosi di un bene di non rilevante valore (stimato in 23.600,00 dal CTP Ing. Ca. nella relazione del 15.04.2021 redatta in sede di mediazione), nella misura di Euro 100,00 mensili, con decorrenza dalla data di immissione in possesso avvenuta il 27.06.2018 (come dichiarato dalle parti nella scrittura privata) sino al momento dell'effettivo rilascio e quindi nella complessiva somma di Euro 3.400,00 (100x68=6.8000/2), oltre interessi legali sino all'effettivo pagamento. Non altrettanto, invece, può sostenersi per il V., in considerazione della certa consapevolezza in capo allo stesso delle conseguenze sulla validità del contratto preliminare in mancanza della sottoscrizione da parte dell'ex coniuge comproprietaria, per i motivi già in precedenza esposti. Ogni ulteriore questione, eccezione o richiesta deve reputarsi assorbita. Venendo al regolamento delle spese, la parziale soccombenza reciproca, unitamente alla considerazione dei rapporti tra le parti (rispetto al coniuge che ha assunto posizioni conformi), inducono a compensare integralmente le spese del presente giudizio tra F.S. e V.S. e tra quest'ultimo e il C., a compensarle solo al 50%, invece, rispetto alla posizione del sig. C.S. e in favore della sig.ra F.S., che nella misura della metà sarà tenuto a rimborsarle in favore dell'Erario dello Stato, atteso che la attrice risulta ammessa al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto, prima sezione civile, in composizione monocratica nella persona del G.U. dott. s. D'ERRICO, definitivamente decidendo sulla domanda, così provvede: 1) Accerta e dichiara la nullità del contratto preliminare del 12.03.2019; 2) Ordina al sig. C.F. l'immediato rilascio in favore dei legittimi proprietari sigg.ri F.S. e V.S. del bene immobile sito in L. alla Contrada C., piano terra, censito in Catasto dei Fabbricati al foglio (...), particella (...) categoria (...), classe (...), consistenza vani 4, rendita Euro 268,56; 3) Condanna il convenuto C.F. al pagamento, per la causale di cui in motivazione, in favore della sig.ra F.S. della somma di Euro 3.400,00, oltre accessori; 4) Rigetta ogni ulteriore domanda; 5) Condanna il convenuto C.F. al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori, nella misura della metà, in favore dell'Erario dello Stato, le compensa per il resto e tra le altre parti. Così deciso in Taranto, il 10 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto prima sezione civile (ex seconda sezione civile) in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 920/2020 R.G TRA Ca.An. e Ma.Ma. rappresentati e difesi dall'Avv. Ni.Ma. -attori- E Po.Ge. rappresentato e difeso dall'Avv. Fr.Sc. -convenuto- COINCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Ca.An. e Ma.Ma. convenivano in giudizio Po.Ge. chiedendo dichiararsi nullo il contratto preliminare di vendita concluso tra il Ca. ed il Po., perché frutto di estorsione, e condannarsi il convenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito delle lesioni da quest'ultimo inferte alla M. attraverso l'uso di un coltello. Si costituiva in giudizio il Po. chiedendo il rigetto delle avverse domande sul rilievo della loro infondatezza. In rito, non vi è alcuna nullità dell'atto di citazione in quanto lo stesso contiene, come si desume dalla sua lettura, una esauriente esposizione della causa petendi e del petitum sottesi alle domande proposte contro il Po.. Non vi è, inoltre, alcun difetto di legittimazione attiva della M. rispetto alla domanda di accertamento della nullità del preliminare intercorso tra il Ca. ed il Po., essendo chiarito, in atto di citazione, che a detto preliminare è rimasta estranea la Ma.. Nel merito, vanno respinte tutte le domande proposte dal Ca. La domanda di nullità, proposta dal solo Ca. essendo precisato in citazione che era lui l'unica parte promittente venditrice, è infondata. La giurisprudenza nettamente maggioritaria della Suprema Corte (in tal senso Cass. civ. nn. 29319/2022, 14278/2022, 7014/2020, 20170/2018) ritiene che la sentenza di patteggiamento emessa in sede penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio per gli stessi fatti oggetto del processo penale e non inverte neppure l'onere della prova, costituendo un indizio che occorre valutare unitamente ad altri indizi, in modo da raggiungere la precisione, gravità e concordanza prevista dall'art. 1729 c.c.. A fondamento della domanda di nullità il Ca. deduce che il preliminare sottoscritto con il Po. sia frutto di estorsione commessa in suo danno. Tuttavia, al di là della sentenza di patteggiamento, l'attore non ha fornito alcun altro elemento probatorio a sostegno della sua tesi accusatoria poiché nessuno dei testi escussi ha confermato detta circostanza. Va rilevato, quanto alla sentenza di patteggiamento, che il giudice penale ha ritenuto non sussistere elementi per assolvere l'imputato in ragione delle dichiarazioni rese dalla Ma., a proposito delle minacce subite dal Ca. per costringerlo a sottoscrivere il preliminare. Tuttavia la Ma., essendo coniuge convivente del Ca., aveva tutto l'interesse a rendere dichiarazioni favorevoli alle tesi accusatorie del proprio consorte. Ma quanto da lei dichiarato in sede penale si scontra con la condotta serbata dallo stesso Ca. in altro giudizio civile promosso dal Po., per ottenere l'esecuzione in forma specifica del preliminare, laddove ha completamente taciuto il fatto di essere stato vittima di estorsione in occasione della stipula del preliminare con il Po.,.Tale silenzio è indicativo della insussistenza di condotte estorsive consumate a danno del Ca. per indurlo a stipulare il preliminare poiché se tali condotte fossero state realmente sussistenti il Ca. avrebbe avuto tutto l'interesse a dedurle nell'altro giudizio civile promosso dal Po. contro di lui poiché avrebbero consentito di paralizzare la domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare facendone accertare la nullità, come ritenuto dalla Suprema Corte in casi analoghi (in tal senso Cass. civ. n. 17568/2022).Non essendovi sufficiente prova di estorsione consumata in danno del Ca. per indurlo a stipulare il preliminare concluso con il Po. la relativa domanda di nullità va respinta. Per le stesse ragioni innanzi evidenziate vanno, inoltre, respinte le ulteriori domande risarcitorie avanzate dal Ca. sul presupposto di essere stato vittima di condotte estorsive, mancando adeguata prova della relativa circostanza. Analoga sorte meritano le domande risarcitorie per i danni non patrimoniali che il Ca. assume subiti a seguito delle lesioni patite dalla moglie in occasione dell'accoltellamento perpetrato contro la stessa dal Po..Tali lesioni non hanno interessato la persona del Ca. il quale, pertanto, non può lamentare danni come vittima del reato di lesioni. Nè può lamentare danni da lesione della relazione parentale con la moglie in quanto detto danno può essere riconosciuto a favore dei familiari della vittima di lesioni solo se si tratta di lesioni di particolare entità e, quindi, tali provocare una offesa seria al rapporto parentale con la vittima (in tal senso Cass. civ. nn. 7748/2020, 2788/2019, 469/2009).Nella specie, dalla documentazione medica prodotta risulta che le ferite pacificamente inferte alla M. dal Po., il quale non ha specificamente contestato la circostanza con gli effetti di cui all'art. 115 c.p.c., furono di natura superficiale, tanto da non richiedere un ricovero ospedaliero e né, tanto meno, interventi operatori. Il danno alla salute conseguente è stato dal CTU accertato in misura moderata (10% di invalidità permanente), tale da non costituire seria lesione della relazione parentale tra la vittima ed il coniuge, in assenza di adeguata prova del contrario che era onere del Ca. fornire. Vanno, invece, accolte, per quanto di ragione, le domande risarcitorie avanzate dalla M..E pacifico che la stessa in data 30/7/2016 ricevette cinque ferite da arma da taglio, segnatamente un coltello, da parte del Po..Ne sono conseguite lesioni permanenti sia per il danno estetico da cicatrici residuato e sia per il danno psichico da stress post traumatico, danni entrambi accertati dal CTU e quantificati nella invalidità del 10%,.Ne è conseguita anche invalidità temporanea quantificata dal CTU in giorni 14 al 100%, giorni 20 al 50% e giorni 30 al 25%.Tale danno va liquidato equitativamente e si ritiene utilizzabile, a tal fine, il criterio utilizzato dalle tabelle di Milano (in tal senso Cass. civ. n. 25164/2020) edizione 2021 che contemplano un danno alla persona non patrimoniale onnicomprensivo, perciò costituito anche dalla componente di sofferenza morale, pari ad Euro 22.515,00 per inabilità permanente ed Euro 3118,50 per inabilità temporanea. Trattandosi di danno liquidato con valori riferiti all'anno 2021 va riconosciuto il ristoro dell'ulteriore danno da svalutazione monetaria dall'1/1/2022 fino alla data di pubblicazione della presente decisione trattandosi di debito di valore. Va, invece respinta la domanda di attribuzione di interessi oltre la rivalutazione monetaria. L'ulteriore pregiudizio patrimoniale da mancato guadagno per il ritardo nel pagamento del debito è, infatti, configurabile solo se il danneggiato provi che la remunerazione del denaro nei consueti investimenti fruttiferi del denaro non speculativi ha prodotto ricavi maggiori del tasso di svalutazione, essendo, altrimenti irrisarcibile l'ulteriore danno da ritardo attraverso il riconoscimento di interessi compensativi in aggiunta alla svalutazione (in tal senso Cass. civ. n. 9598/2023).Nella specie, non vi è prova che il tasso di svalutazione sia stato inferiore alla remunerazione del denaro in investimenti non speculativi e, quindi, null'altro può essere riconosciuto per il ritardo nel pagamento del debito risarcitorio.Le spese di lite possono compensarsi tra il Ca. ed il Po., per gravi ed eccezionali motivi (art. 92 comma 2 c.p.c. come modificato da Corte Costituzionale sentenza n. 77/2018) in ragione della esistenza di sentenza di patteggiamento che costituiva indizio a favore del Ca., poi non confortato da ulteriori elementi indiziari, rendendo giustificata la presente iniziativa giudiziaria.Alla soccombenza del Po. segue la condanna (art. 91 c.p.c.) alla rifusione delle spese di lite in favore della Ma., liquidate come da separato dispositivo.Le spese di CTU, non essendovi prova di anticipazione, vanno definitivamente poste a carico del Po., quale soccombente nei confronti della Ma.. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto prima sezione civile in composizione monocratica in persona del Giudice ad essa assegnato Dott. Antonio Pensato definitivamente pronunciando nella causa di cui all'epigrafe, così provvede: 1) Rigetta le domande proposte da Ca.An.; 2) Condanna Po.Ge. al pagamento in favore di Ma.Ma. della somma di Euro 25.633,00 con rivalutazione monetaria secondo indici istat di rivalutazione della moneta dall'1/1/2022 fino alla data di pubblicazione della presente decisione; 3) Compensa integralmente le spese di lite tra Ca.An. e Po.Ge.; 4) condanna Po.Ge. alla rifusione delle spese di lite in favore di Ma.Ma. liquidate in Euro 564,70 per esborsi ed Euro 5.077,00 compensi, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali in misura di legge; 5) pone definitivamente a carico di Po.Ge. le spese di CTU come liquidate con separato decreto. Così deciso in Taranto l'8 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO - SEZ. II CIVILE Il Giudice Delegato, in composizione monocratica, nella persona del G.O. Dott. Antonio Taurino, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in primo grado, iscritta nel ruolo contenzioso civile al n. 3473/22 R.G., avente ad oggetto risarcimento danni, riservata per la decisone all'odierna udienza ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., vertente tra: Mu.Pi., rappresentato e difeso dall'avv. Vi.Bo. per mandato in atti ATTORE E PROVINCIA DI TARANTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. Mi.Tr. per mandato in atti CONVENUTA FATTO Con atto ritualmente notificato, il Mu. conveniva la Provincia di Taranto innanzi all'intestato Ufficio, per ivi sentirla dichiarate responsabile del danno subito in occasione del sinistro occorsogli il 29/5/17, ore 8,00 circa, allorché, percorrndo alla guida della propria moto la S. P. 56 (Noci - Martina Franca), cadeva rovinosamente a causa di disconnessione dell'asfalto e per la presenza di buche e di brecciolino, non evitabili e non segnalate, procurandosi gravi lesioni, diagnosticate presso il locale nosocomio, ove era prontamente accompagnato da un anziano signore, che gli aveva prestato un primo soccorso, oltre a danneggia gravemente la moto, per un ammontare complessivo pari ad 15544,43. Ascritta la responsabilità esclusiva dell'accaduto all'ente locale, giusta previsIone ex art. 2051 c.c., i quanto rea di non aver adottato le giuste ed opportune misure per evitare danni a terzi utenti utilizzatori della strada in sua custodia, ne domandava la condanna in conformità, oltre accessori e vittoria di spese. La domanda veniva avversata dalla convenuta, che, in limine, escludeva la ricorrenza dei presupposti per l'esperibilità dell'azione secondo i criteri di cui all'art. 2051 c.c., avuto riguardo alla demanialità del bene custodito, eccependo, in ogni caso, il fortuito imputabile allo stesso attore, che, in effetti, era in grado di avvedersi del tratto sconnesso, instando, gradatamente, per l'accertamento di concorso colposo a suo carico, contestando anche il quantum domandato e concludendo per il rigetto dell'infondata pretesa, gradatamente per il suo accoglimento in limiti di giustizia, vinte le spese. Trattata ed istruita come in atti, disposta ed espletata CTU medica, la causa veniva tratta a decisone sulle rassegnate conclusioni, udita la discussone di rito. MOTIVI In primis va rilevata l'ultroneità dell'eccezione di inammissibilità della domanda, non essendo dedotto alcun elemento capace di determinare tale conseguenza sul piano squisitamente processuale, tale da apparire, quindi, una pleonastica formula di stile. Potendosi, pertanto, esaminare il merito della pretesa aquiliana, va osservato che, in tema di insidia stradale, oggetto specifico della presente delibazione, l'attività della P.A., quantunque libera e discrezionalmente orientata, non si sottragga al principio generale del neminem laedere, ovvero dall'obbligo di non danneggiare i terzi, riconosciuto quale limite esterno delle prerogative istituzionali che ne contraddistinguono l'operato e che, comporta, in caso di violazione, l'onere di risarcire i danni procurati secondo i principi che configurano la fattispecie aquiliana, ricorrendone i relativi presupposti. Per quanto riguarda la scelta dei criteri per esprimere il giudizio di imputabilità del fatto dannoso, non puo'prescindersi dal noto orientamento di legittimità che vuole l'applicabilità della fattispecie aggravata da cose in custodia in ipotesi di sinistri caratterizzati da insidia stradale, connessi all'utilizzo della pubblica via da parte degli utenti, tutte le volte in cui non vi sia per l'Amministrazione proprietaria l'oggettiva impossibilità di esercitare sul bene quegli obblighi in cui si estrinseca la custodia ( a prescindere dall'estensione dello stesso, dalla sua mera demanialità, nonché dall'uso indiscriminato che i terzi utenti ne facciano), ovvero di vigilare, controllare e manutenere la cosa in condizioni che la stessa non costituisca occasione di pericolo per i terzi, peraltro relazionabile anche alle cose inerti (quale può essere un tratto di strada), costituite da costrutti materiali privi di un proprio dinamismo deterministico lesivo, ma che siano, tuttavia, idonei al nocumento allorché il fortuito o il fatto umano possano prevedibilmente intervenire, come causa unica ovvero concausa, nel processo obiettivo di produzione dell'evento dannoso, eccitando lo sviluppo di di un agente o di un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa quella potenzialità lesiva naturalmente assente (Cass. 4480/01). In ossequio agli autorevoli orientamenti qui evidenziati, vanno disattese le difese del convenuto per quanto mirate ad escludere l'applicabilità dei criteri di cui alla fattispecie aggravata evidenziata, non essendo emerso alcun elemento atto ad manlevare la P.A. qui convenuta dagli obblighi di custodia che le competono, trattandosi, incontestatamente, di tratto di strada di pertinenza comunale, soggetto, quindi alla sua potestà di controllo. Ciò comporta l'astratta presunzione di colpa dell'ente proprietario nell'accaduto, il quale, per vincerne gli effetti, è tenuto alla prova del cosiddetto "fortuito", circostanza che, recidendo il nesso causale tra la cosa e l'evento, è idonea a mandarlo esente da ogni addebito, fermo restando che, in ogni caso, spetta all'assunto danneggiato la prova degli ulteriori elementi costitutivi della pretesa, segnatamente vertenti sull'evento dannoso nella sua fenomenica evidenza, sul nesso causale tra la cosa e l'evento (da valutarsi alla stregua dei consueti principi di normalità ed adeguatezza causale - Cass. 7112/12-), sul danno nella sua esistenza ontologica, nonché sulla sua riconducibilità immediata e diretta all'evento, oltre alla potenzialità lesiva della cosa, la cui indagine va condotta tenendo conto della situazione effettiva dei luoghi, come concretamente emersa in corso di causa. Allo scopo vanno esaminate le emergenze istruttorie, sulla base delle quali possono ritenersi dimostrati dall'istante gli aspetti costitutivi della domanda risarcitoria, sebbene nei limiti appresso motivati. Quantunque i testi escussi non pare abbiano assistito al sinistro (come concludentemente ricavabile dalle dichiarazioni rese), può ritenersi confermata la dinamica sinistrosa secondo le circostanze di tempo e di luogo narrate nell'atto di citazione, considerate rilevanti in tal senso le dichiarazioni testimoniali, che, valutate in relazione alle altre acquisizioni di causa, inducono concludentemente alla veridicità della posizione attorea, avuto riguardo alla possibilità, concessa dall'ordinamento, di provare i fatti anche presuntivamente. La teste C. dichiarava che il Mu. gli avesse riferito nelle immediate circostante di luogo e di tempo narrate nel libello introduttivo, di essere caduto dalla moto a causa di molteplici buche presenti sul manto stradale nel tratto di strada confinante con l'azienda del marito, precisando di aver visto il soggetto sanguinante e dolorante, di avergli prestato le prime cure e che egli fosse successivamente accompagnato dal suocero presso il locale presidio ospedaliero, dichiarazioni, pur de relato, incidenti in chiave probatoria, sia in ordine alle vicende immediatamente successive all'evento che agli aspetti dinamici del sinistro. Dello stesso tenore la deposizione dell'altro teste, il P., che, riferiva a sua volta che fu l'attore a riferirgli di essere caduto a causa della buca, confermando pienamente le circostanze di chiarate dall'altro teste in modalità lineari, genuine ed essenti da ogni contraddizione. Conforta verso la direzione di veridicità delle ricostruite modalità del sinistro anche la percezione dei primi sintomi traumatici da parte dei testi, che, con alta verosimiglianza, furono effetto di evento traumatico accaduto nell'immediatezza, di modo che può ritenersi provato che l'attore ebbe a cadere mentre percorreva alla guida della moto un tratto di strada facente parte del demanio aperto al pubblico. Occorre in merito considerare che lo stesso Comune, chiamato a resistere, non ha inteso contestare l'effettiva verificazione del sinistro ne le'dinamiche in cui si consumò l'incidente, limitando le proprie difese all'esclusione dei presupposti insidiosi. Dalle medesime deposizioni, che confermavano la presenza del dissesto e delle buche (per altro verso raffigurate nelle incontestate foto riproducenti lo stato dei luoghi), emergono particolari da cui e'dato desumere l'oggettiva pericolosità dei medesimi, data, nel caso concreto, dalle caratteristiche evidenziate del tratto di strada, che ne determina la potenzialità offensiva, tale da conferire al tratto di strada quei caratteri che tipicamente caratterizzano la fattispecie insidiosa. Provato, sempre sulla base degli elementi enucleabili dalla deposizione testimoniale, il nesso di causalità tra la cosa e l'evento caduta, desumibile dalla altamente verosimile circostanza che la stessa avvenisse in corrispondenza del tratto "incriminato", postulato che, anche se non vi e'stata percezione diretta delle dinamiche da parte degli informatori, la relativa prova può essere basata su presunzioni e ritenuto, in tale prospettiva, il fatto stesso indice di un risultato anomalo configurabile quale obiettiva deviazione dal modello di condotta che deve caratterizzare l'operato della P.A. , pur risultando la sussistenza di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode o della condotta omissiva dello stesso. Ricorrendo, altresì, l'astratta idoneità dell'insidia in oggetto a determinare la caduta secondo un giudizio quo ante alla stregua dei criteri del principio di causalità efficiente adeguata, deve ritenersi che la situazione dei luoghi, obiettivamente insidiosi ed idonei a determinare le conseguenze dannose poi effettivamente verificatesi, costituì un antecedente causale dell'evento dannoso. Evento che, tuttavia, non può essere ascritto in toto all'ente, emergendo dall'esame delle ricostruite modalità in cui si consumò, che abbia contribuito alla sua verificazione, oltre che l'oggettivo e conclamato stato di pericolosità dei luoghi, anche il contegno adottato nell'occasione dalla danneggiato, che, tenuto conto che la guida su strada e'attività intrinsecamente pericolosa, richiede un'accortezza particolare nel suo esercizio, sicché si opina che l'attore, usando maggior accortezza, avrebbe potuto evitare di incappare nella buca, o, quanto meno, evitare di cadervi attraversando il tratto pericoloso. In tal senso induce la circostanza che il tratto fosse visibile stante la luce naturale (considerata la data e l'ora dell'accadimento) carattere che, rendendo percettibile la condizioni dei luoghi, avrebbe dovuto indurlo ad usare maggior accortezza e prudenza nell'azione di transito, sicché, sebbene il pericolo fosse chiaro ed immanente, trattandosi di situazione di rischio ampiamente accertata, l'evenienza va ascritta ad una serie fenomenica complessa, cui pare ragionevole considerare abbiano contribuito due antecedenti deterministici, concomitanti e di vis non autonomamente assorbente se singolarmente considerati, tali quindi da non degradare l'altro a mera occasione o tramite (priva di valore eziologico) e che comporta, di conseguenza la declaratoria di responsabilità solo parziale del custode, determinabile prudentemente, sulla base delle circostanze concretamente emerse, in misura pari al 50 % a carico dello stesso, rimanendo nella sfera della parte attrice la residua percentuale (50%) di responsabilità. Vanno accolte, quindi, le gradate difese elaborate dal convenuto sul punto specifico, che a ragion veduta ha inteso attribuire una parte di responsabilità al danneggiato, per altro profilo rilevabile anche ex officio, giusta disposto ex art. 1227 c.c. Sulla scorta di tale valutazione, la domanda, fondata in parte qua, ricorrendo anche il nesso (naturale) tra evento e lesioni (stante l'accertamento positivo di compatibilità elaborato dal perito medico legale, nonché con riferimento ai primi sintomi riferiti dal teste), la pretesa risarcitoria va condivisa in termini di ragione, mediante riduzione del risarcimento spettante in proporzione al grado di colpa ascritto allo stesso danneggiato. La quantificazione va operata alla stregua dei criteri contenuti nelle note tabelle in uso su tutto il territorio (anche implicitamente invocate dall'attore), avuto riguardo agli esiti peritali, precisandosi che, in difetto di qualsivoglia dimostrazione di ogni componente non patrimoniale diversa dalle sofferenza già insita nelle lesioni in sé, quale sintomo connesso alle stesse e non autonomamente risarcibile, nulla va riconosciuto in relazione alla voce specifica, non rilevandosi nemmeno l'allegazione di fatti astrattamente idonei a configurare una tipologia lesiva di carattere morale autonoma, ovvero distinta dalla sofferenza connessa alle ferite. Così si è espressa anche la Suprema Corte, che, a più riprese, ha inteso precisare che il danno ulteriore rispetto a quello legato alla lesione in sé (detto genericamente non patrimoniale) non può essere automatico effetto in re ipsa, quanto frutto di accertamento specifico che va condotto alla stregua di quanto allegato e provato dal pretendente, quale fenomenologia consequenziale "eccezionale e peculiare", specifica e diversa dalle sofferenze insite nella lesione in sé e che, quindi, sono già incluse nella liquidazione tabellare (Cass. 25164/2020). Lo stesso principio vale per la sofferenza morale, da accertarsi caso per caso sulla base anche del criterio presuntivo, quantunque non possa prescindersi dall'allegazione di parte dei fatti costitutivi tesi a giustificarne la ricorrenza in via autonoma e distinta dalla compromissione biologica, onde evitare che la vittima possa ottenere duplicazioni risarcitorie a discapito di chi deve rifondere. Il danno, quindi, avuto riguardo all'età dell'attore al momento del sinistro (34 anni), considerate le tabelle richiamate, va così computato: - gg 4 di ITT Euro 396,00 - gg 30 di IT al 75% Euro 2227,50 - gg 25 di IT al 50% Euro 1237,50 - gg 25 di IT al 25% Euro 618,75 - PP al 3% Euro 3378,00 Spese documentate e congruamente valutate Euro 1717,00 Per un totale pari ad Euro 9574,75, cui va aggiunto il danno alla moto, rimasto incontestato in Euro 4306,00, per un totale complessivo di Euro 13880,76, che, ridotto dal 50% in proporzione alla percentuale di responsabilità ascritta al danneggiato, determina un concreto risarcibile pari di Euro 6940,38, già ragguagliato all'attualità, con maggiorazione, quindi, dei soli interessi al tasso legale, da computarsi sulla sorte devalutata alla data del sinistro e da lì decorrenti sino ad effettivo soddisfo. Le spese vanno poste a carico della parte soccombente, quantunque liquidabili in relazione allo scaglione comprendente l'effettivo riconosciuto; egualmente va disposto per quelle occorse per la CTU. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda in atti, respinta o assorbita ogni contraria stanza ed eccezione, in accoglimento delle ragioni attrici per quanto di giustizia, così provvede: 1) dichiara il Comune convenuto responsabile dell'evento dannoso occorso all'attore in via concorrente, determinandone la quota di imputabilità in una percentuale pari al 50%; 2) per l'effetto, condanna il medesimo convenuto al pagamento di Euro 6940,38 in favore della parte attrice, oltre interessi come da motivazione, a titolo risarcitorio da responsabilità aquiliana; 3) condanna, altresì, il convenuto, al pagamento delle spese di lite in favore dell'attore, che si liquidano in Euro 3270,00,00, di cui Euro 270,00 per borsuali, oltre RSG al 15%, nonché IVA e CAP, se dovuti, come per legge; 4) pone le spese di CTU definitivamente a carico del soccombente convenuto. Così deciso in Taranto il 13 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TARANTO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Claudio Casarano ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. n. 4067-2022 promossa da: Cm. S.R.L.S. - in persona del rappresentante legale p.t., sig. Ru.Ch. (c.f. (...)) - rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Sc.; contro Ma.Ca. (c.f. (...)) e Sa.Fi. S.R.L. - rappresentate e difese dall'avv. Da.Bi.; Oggetto: Risoluzione contratto di locazione per inadempimento uso diverso; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ritenute irrilevanti le prove orali e riuscito vano un tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c., veniva fissata per la discussione e decisione l'udienza del 25-01-2024, trattata in forma scritta e quindi con il sorgere del termine di giorni trenta per il deposito della sentenza. MOTIVAZIONE L'IRRILEVANZA DELLA SCRITTURA PRIVATA CON LA QUALE VENIVA DATO ATTO DELLA CONSEGNADEGLI IMMOBILI LOCATI Invero la scrittura privata del 23.06.2020 con la quale il Direttore dei Lavori Geom. Gi.Ma. consegnava l'immobile alla società conduttrice in persona del suo legale rappresentante, signor Ru.Ch., e che riporta la firma di quest'ultimo è ammessa dalla stessa ricorrente, sebbene la consideri fittizia in quanto il rilascio della certificazione di agibilità, propedeutica al rilascio della licenza commerciale in favore della società conduttrice, fosse incontestabilmente di là dal venire in essere. Il mancato riconoscimento della firma da parte del legale rappresentate avvenuta alla prima udienza era quindi irrilevante, essendo stata già implicitamente riconosciuta nel ricorso, sebbene con la precisazione difensiva ricordata sopra. Del resto, anche la difesa resistente non poteva contestare la circostanza che non fosse stata di certo rilasciata a quella data la certificazione di agibilità, tanto che si dilungava nel distinguo tra inadempimento e ritardo nell'adempimento. L'INTERESSE A CONCLUDERE LA LOCAZIONE AD OPERA DELLA CONDUTTRICE, NONOSTANTE ILRITARDO NEL RILASCIO DELLA CERTIFICAZIONE DI AGIBILITÀ, ERA PERÒ CONDIZIONATO DALLA PARTE CONDUTTRICE AD UNA MODIFICA DEL CONTRATTO ORIGINARIO Non erra la difesa resistente quando ricorda che la parte conduttrice delle due locazioni collegate manifestava l'interesse alla loro conclusione, ancora, nel maggio del 2021, nonostante il lungo tempo trascorso dalla data entro cui avrebbe dovuto avvenire la consegna degli immobili locati utile per ottenere la licenza commerciale (consegna che mai avrebbe potuto essere, come già detto, quella fittizia di cui al ricordato verbale del 23-06-2020). Dimentica, però, la difesa resistente di considerare che l'interesse alla conclusione della locazione era però condizionato alle modifiche delle condizioni contrattuali originariamente pattuite, quale si desume in modo eloquente dal carteggio intercorso tra le parti nel maggio del 2021 e di cui alle missive riportate nei documenti da 19 a 24 allegati al ricorso introduttivo di questo giudizio. Ed il contrasto concerneva soprattutto se non quasi esclusivamente la questione della quantità dei canoni da abbuonare una volta stabilito il nuovo l'inizio del regolare rapporto di locazione commerciale alla data della orami potenzialmente imminente utile consegna dei locali e firma delle due appendici di modifica contrattuale concernenti i due contratti stipulati in data 1-01-2019: dal rilascio della licenza commerciale, al più, mai dall'anno successivo, per i locatori( vedi missiva del 20-05-2021 a firma del loro avvocato); invece la parte conduttrice, ipotizzando la consegna nel giugno del 2021, l'abbuono doveva essere di dieci mensilità e quindi il pagamento del canone pattuito avrebbe dovuto riprendere da aprile 2022, anche in considerazione della volontà di recuperare le otto mensilità versate a vuoto a suo tempo( vedi la appendice del contratto relativo al canone la cui bozza veniva predisposta da parte conduttrice). Come dire che si era sul punto di trovare una intesa, nonostante il grave ritardo nella utile consegna dei beni locati. CLAUSOLA RISOLUTIVA ESPRESSA EX ART. 6 E 10 DEI DUE CONTRATTI DI LOCAZIONE DEDOTTI INGIUDIZIO Deve puntualizzarsi che la parte ricorrente nel chiedere la risoluzione del contratto faceva valere la clausola risolutiva espressa pattuita ai sensi delle clausole 6 e 10 previste nelle due locazioni; come se la lettera del contratto fosse da intendere in questi termini: pago otto mensilità e la cauzione di tre mensilità per i due contratti ma a condizione che i lavori per rendere gli immobili locati a norma, allo scopo di ottenere la licenza commerciale, siano ultimati nel settembre del 2019. In tal caso non occorre la gravità dell'inadempimento o meglio del ritardo nell'adempimento ex art. 1455 avendo le parti ex art. 1456 fatta una siffatta valutazione in sede di pattuizione della clausola risolutiva espressa. A questa clausola non può dirsi, come sostiene invece la difesa resistente, che la parte conduttrice vi avesse implicitamente rinunziando con il ricordato carteggio quando mostrava di aver continuato a coltivare l'interesse alla conservazione dell'efficacia delle due locazioni; infatti, come sopra si è ampiamente detto, la permanenza in capo alla conduttrice di questo interesse alla conservazione dell'efficacia dei contratti era condizionato alla modifica contrattuale. Certo pretendere, come faceva la conduttrice, che l'esigibilità dei canoni fosse spostata a oltre dieci mesi la stipula delle due locazioni (aprile 2022) anziché dal rilascio della licenza commerciale, non oltre il 2021, come aveva proposto la controparte poteva riuscire penalizzante per quest'ultima, ma è dirimente la considerazione che per la rinunzia o meno alla clausola risolutiva espressa è arbitro la parte contrattuale in favore della quale era previsto l'effetto risolutivo. IMPUTABILITÀ DEL RITARDO Si tratta allora di verificare se il ritardo nell'adempiere alla clausola 6 sia imputabile alla parte locatrice, dal momento che anche in tema di clausola risolutiva espressa questa verifica giudiziale non viene meno; si deroga infatti solo all'art. 1455 sulla gravità dell'inadempimento. La giustificazione addotta dai locatori circa la colpa della P.A., a causa del Covid, non può reggere dal momento che questo evento imprevedibile sopravveniva nel 2020 quando la scadenza del settembre del 2019 si era già verificata. Quindi deve essere accolta la domanda di accertamento della avvenuta risoluzione ex art. 1456 c.c. e rigettata di conseguenza la domanda di risoluzione spiegata in riconvenzionale dalla parte locatrice. Su deve poi considerare che quest'ultima comunque riusciva a locare utilmente i locali a terzi, una volta resi agibili del 2021. Come dire che la pretesa di trattenere le somme per tempo corrisposte dalla società ricorrente in esecuzione del contratto - alla signora M. ben 121.000,00 Euro e alla Sa.Fi. S.r.l. ben 26.158,00 Euro - non avrebbe avuto alla fin fine alcuna giustificazione causale. Era un po' questo poi il senso della proposta conciliativa formulata dal giudice ex art. 185 bis c.p.c. che solo la parte resistente non ha inteso aderire: pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 100.000,00 da parte della M. e di Euro 20.000,00 da parte della società resistente; spese totalmente compensate. LA DOMANDA RISARCITORIA Viceversa, la domanda risarcitoria non può essere accolta dal momento che non era affatto detto che sarebbero conseguiti i guadagni ipotizzati dalla ricorrente; anzi il sopraggiungere del Covid avrebbe reso ancora più incerto l'esito della intrapresa connessa alla locazione commerciale. Le spese seguono la soccombenza prevalente delle parti resistenti e si liquidano come da dispositivo, anche tenuto conto della effettiva attività svolta. P.Q.M. Decidendo sulle domande proposte dalla Cm. S.r.l.s., con ricorso del 11-07-2022, nei confronti della sig.ra Ca.Ma. e della Sa.Fi. S.r.l., nonché sulle riconvenzionali spiegate da queste ultime, così provvede: Accoglie la domanda di risoluzione proposta dalla ricorrente, ex art. 1456 c.c. e del combinato disposto degli artt. 6 e 10 dei due contratti di locazione, e dichiara risolti i due contratti di locazione commerciale dedotti in giudizio; Condanna la sig.ra Ca.Ma. alla ripetizione di Euro 121.000,00 e la Sa.Fi. S.r.l. di 26.158,00 Euro, in favore della ricorrente, oltre interessi legali dal 5.11.2020; Rigetta tutte le altre domande; Condanna le resistenti in solido al pagamento in favore della società ricorrente delle spese di giudizio sopportate, che si liquidano, in suo favore, in Euro 824,69 per esborsi ed Euro 9.000,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge. Così deciso in Taranto il 12 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, I sezione civile, in composizione monocratica nella persona del G.O.P. dott. Raffaela Gennari, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 1785/2021 del R.G.A.C. 2021, riservata per la decisione all'udienza del 3.4.2023, avente ad oggetto "comunione-condominio - impugnazione di delibera assembleare - spese condominiali" promossa DA Im. S.r.l. (di seguito I.), (C.F. e P. IVA (...)) con sede legale in F.F. (B.) alla Via C. n. 37, in persona del rapp. legale p. t. L.N., nato il (...) a F.F. (B.) e ivi residente alla Via C. n. 37, rappresentata e difesa dall'Abogado in Spagna e Avv. stabilito in Italia, Al.Lu. del Foro di Taranto, con specifico accordo di affiancamento e d'intesa con l'Avv. Pi.De. del Foro di Brindisi, elettivamente domiciliata in Francavilla Fontana al Corso (...) presso e nello studio del predetto abogado/avvocato stabilito che la rappresenta e difende in virtù di mandato alle liti apposto in calce all'atto introduttivo del giudizio. ATTRICE CONTRO Condominio di via Le. n. 115 (C.F. (...) ) sito in Taranto, in persona del suo amministratore e legale rappresentante p.t. Amministrazioni Condominiali di Se. sas in persona del suo legale rappresentante pro-tempore e per esso il sig. Di.Ci. cui è stata conferita procura institoria, elettivamente domiciliato in Taranto al V.le (...) presso e nello studio dell'avv. An.Me. che lo rappresenta e difende giusta procura rilasciata su foglio separato allegato alla comparsa di costituzione e risposta in atti. -CONVENUTO- MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con una motivazione consistente nella succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto dagli artt. 132 n. 4) c.p.c. e 118 disp. Att. c.p.c., nel testo introdotto rispettivamente dagli artt. 45 e 52 della L. n. 69 del 18 giugno 2009, trattandosi di disposizioni applicabili anche ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della (L. cioè il 4 luglio 2009) ai sensi dell'art. 58, 2 comma, della legge citata. La domanda è fondata e va accolta per i motivi che seguono. Prima di entrare nel merito della causa che ci occupa è necessario premettere che gli art. 1136 e 1137 c.c. stabiliscono le cause di nullità delle delibere di assemblea condominiale, determinando quelli che sono altresì i requisiti necessari della stessa integrati da quanto disposto dall'art. 66 delle disposizioni di attuazione. La norma (ex art. 66 c. 1 disp. att. c.c.) dispone che l'assemblea possa essere convocata in via straordinaria dall'amministratore o da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione. Detta disposizione non prevede forme tassative. Va altresì evidenziato che la convocazione da parte di un soggetto terzo estraneo al condominio, diverso da quelli indicati e legittimati dalla legge costituisce vizio nel procedimento di formazione della volontà dell'ente di gestione, così come stabilito dalla Cassazione (cfr. Cass. Civ. SS.UU sentenza n. 4806 del 7.3.2005) determinando l'annullamento delle delibere, in quanto approvate in esito a convocazione all'evidenza illegittima. La convocazione dell'assemblea dei Condomini da parte di un soggetto estraneo al condominio inficia l'intero iter logico-giuridico che sfocia nella delibera adottata a conclusione dell'assemblea invalidamente convocata e la relativa delibera sarà, non radicalmente nulla, quanto piuttosto, annullabile, sulla scorta del principio nomofilattico sancito nella richiamata pronuncia delle SS. UU. della Suprema Corte n. 4806/05, e già chiarito da precedente giurisprudenza di merito (cfr. Sentenza n. 3886/2015 del Tribunale Civile di Milano, Sez. XIII). Le patologie delle delibere invalide vanno così distinte: "(...) debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali; quelle con oggetto impossibile o illecito; quelle con oggetto che non rientra nella competenza assembleare; quelle che incidono negativamente, limitandoli o comprimendoli, sui diritti individuali di ognuno dei condomini sulle parti comuni e quelle comunque invalide in relazione all'oggetto; (...) debbono invece qualificarsi come annullabili le delibere dell'assemblea condominiale che presentano vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea; quelle adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale; quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità del procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti maggioranze qualificate in relazione all'oggetto. Alla luce di tali principi la delibera assunta all'esito di una riunione assembleare convocata da un soggetto non avente diritto non solo è irrimediabilmente viziata, ma il vizio da far valere, attraverso la relativa impugnazione, è riconducibile alla categoria giuridica dell'annullabilità. Ne consegue che, applicando al caso in esame i principi innanzi enunciati, essendo la delibera condominiale oggetto di impugnazione è stata adottata a seguito di convocazione illegittima perché eseguita da soggetto estraneo al codominio, così come precisato dal Regolamento condominiale medesimo, non si può che ritenere accolta l'impugnativa in questione, con la conseguenza che l'intero deliberato dell'assemblea è viziato, ivi compreso anche il decreto ingiuntivo emesso in danno della I. che va necessariamente revocato. Conseguentemente si deve concludere per l'accoglimento della domanda con la conseguente dichiarazione di nullità della Delib. del 4 febbraio 2021. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, in persona del GOP dott.ssa Raffaela Gennari, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla Im. s.r.l. in persona del legale rappresenta p.t. nei confronti del Condominio di via Le. n. 115 in T. in persona dell'amministratore pro tempore, contrariis reiectis, così provvede: 1. accoglie la domanda di nullità della delibera assunta dall'assemblea dei condomini del Condomino di via Le. n.115 in Taranto adottata in data 4.2.2021 e per l'effetto 2. revoca il D.I. n. 589 del 2021 emesso in data 22.3.2021 in danno della I. s.r.l. e condanna il Condominio di via L. n.115 in T. in persona del suo amministratore pro tempore a rifondere le spese di lite del presente giudizio alla società Im. s.r.l, che si liquidano in Euro 2.300,00 di cui Euro 100,00 per spese, Euro 2.200,00 per competenze, oltre IVA e CAP come per legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege. Così deciso in Taranto il 6 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2024.
TRIBUNALE DI TARANTO I Sezione Penale Monocratica Il Giudice Dr.ssa Maria D'AMICO all'udienza del 22.01.2024 con l'intervento del Pubblico Ministero Dr.ssa Maria Teresa Latorre (V.P.O.) con l'assistenza del Funzionario UPP Dr. Luigi Bidetti Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di: D.H., nato nelle I. F. (D.) il (...) e residente in T. F. I. alla via H. M. J. S. n. 37 - libero assente - domicilio eletto presso il difensore d'ufficio Avv. ...- assente - sostituito ex art. 97 IV co. c.p.p. dall'Avv. ... IMPUTATO del reato di cui all'art. 570 cpv n. 2 c.p. perché, abbandonando il domicilio domestico, si sottraeva agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale e faceva mancare i mezzi di sussistenza ai suoi due figli minori. In..., denunzia del 14.2.2020 Con l'intervento della Parte Civile P.A.C. in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori E.O.D. e L.D. - assente - rappresentata e difesa dall'Avv. ...- presente - Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con decreto emesso ex art. 552 c.p.p. in data 7.6.2021, D.H. veniva citato a giudizio innanzi al Tribunale di Taranto in composizione monocratica per rispondere del reato indicato in epigrafe. Nel corso della prima udienza tenutasi il 4 ottobre 2021, il Giudice disponeva procedersi in assenza dell'imputato ex art. 420 bis c.p.p. e, preso atto della costituzione di parte civile di P.A.C., dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove richieste rinviando il processo ad altra data per la sua trattazione. A seguito di due udienze di rinvio per le disposizioni emanate dal Presidente del Tribunale inerenti il contenimento della pandemia da Covid-19 (ud. 31 gennaio 2022) e per l'adesione dei difensori all'astensione dalle udienze proclamata dagli organi rappresentativi della categoria (ud. 27 giugno 2022), il processo perveniva all'udienza del 27 febbraio 2023, ove lo scrivente rilevava l'intervenuto mutamento del Giudice e disponeva la rinnovazione del dibattimento. Nella stessa occasione, acquisito il consenso delle parti all'utilizzabilità mediante lettura degli atti in precedenza esperiti, il processo veniva rinviato per assenza della teste P. ad altra data. All'udienza del 26 giugno 2023 venivano escussi i testi P.A.C., S.M.E. e P.A.; all'esito, il processo veniva rinviato per la discussione all'udienza del 22 gennaio 2024. A tale udienza, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, l'utilizzabilità degli atti, e rassegnate dalle parti le conclusioni come compiutamente riportate in atti, il processo veniva definito con una pronuncia di affermazione della penale responsabilità di D.H., ritenuto colpevole del reato a lui ascritto in rubrica. L'analisi delle risultanze istruttorie conduce a ritenere integrato il delitto di cui all'art. 570 cpv. n. 2 c.p. in capo all'odierno imputato. In data 14 febbraio 2020, P.A.C. sporgeva denuncia-querela nei confronti di D.H. per i fatti penalmente rilevanti per cui si procede. A far data dal 2011, P.A.C. intratteneva una convivenza con D.H., odierno imputato fino al 2019, data in cui il predetto abbandonava il domicilio domestico; la coppia viveva in una casa di proprietà dei genitori della P. a S., concessa in comodato gratuito. Dalla loro unione nascevano in data 21.9.2012 E.O.D. e L.D. in data 1.4.2015. La P. e il D.H. svolgevano lavori occasionali come traduttori e interpreti. Nell'estate del 2019 la coppia trascorreva le vacanze estive nella casa dei genitori della P. a T.; il giorno 16 agosto 2019 D.H. si recava a S. per dei lavori e non faceva più rientro nell'abitazione estiva di T.. In data 29 agosto 2019 D.H. tornava a T. e dopo aver preso i suoi effetti personali tra cui il suo passaporto andava via; da quel momento la P. non ha avuto più notizie del D. né tantomeno quest'ultimo ha contattato telefonicamente i figli o rispondeva alle telefonate ed ai messaggi degli stessi. La teste P. riferiva che il D., dopo l'abbandono della casa familiare, non aveva mai provveduto al mantenimento dei figli e, pertanto, era stata costretta a ricorrere all'aiuto economico dei propri genitori, al fine di provvedere alle indispensabili esigenze di vita dei minori. I testi S.E. e P.A., rispettivamente madre e padre della denunciante confermavano in dibattimento quanto raccontato dalla teste P.A.C.; in particolare, di aver aiutato economicamente la figlia P.A.C. perché in difficoltà con le spese del menage familiare e per le necessità dei bambini a seguito dell'abbandono della casa familiare da parte del D.H. e del totale disinteresse di quest/ultimo per i suoi congiunti. Ebbene, sulla scorta delle suddette risultanze probatorie, si ritiene acclarata la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 570 cpv. n.2 c.p. a lui contestato, perché abbandonando il domicilio domestico si sottraeva agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale e faceva mancare i mezzi di sussistenza ai suoi due figli minori. L'odierno imputato dunque faceva mancare i normali mezzi di sussistenza ai figli disinteressandosi dei loro bisogni morali e materiali. La deposizione della persona offesa, C., lineare, sottoposta al necessario giudizio critico e rigoroso che è doveroso - specie in questi casi in cui è anche costituita parte civile - è risultata assolutamente attendibile ed idonea a provare i fatti contestati. La ricostruzione dei fatti genuina e C. emersa dalle parole della persona offesa trova comunque ulteriore riscontro nelle concordanti dichiarazioni testimoniali rese dai testi P.A. e S.E.. E' evidente come sia necessario chiarire l'espressione "mezzi di sussistenza" usata dal legislatore; tale locuzione, infatti, non coincide con quella dell'assegno di mantenimento disciplinato dal codice civile poiché quest'ultima nozione è fondata, come è noto, sulla valutazione e comparazione delle condizioni socio-economiche dei coniugi, mentre la prima è limitata ai mezzi economici minimi necessari per la soddisfazione delle esigenze elementari di vita degli aventi diritto. Infatti, i "mezzi di sussistenza" di cui al comma 2 n. 2 dell'art. 570 c.p. vanno individuati, per consolidata giurisprudenza, in ciò che è strettamente indispensabile alla vita, come il vitto, l'abitazione, il vestiario, i canoni per le ordinarie utenze. Ne deriva, allora, che la previsione penale di cui si discute coinvolga una sfera più limitata rispetto a quella compresa genericamente dall'assegno post matrimoniale, in quanto, come si è detto, si limita a ciò che è necessario per sopravvivere, necessitando, quindi, che il beneficiario si trovi in un vero e proprio stato di bisogno. Non è dubbio, quindi, che la condotta dell'imputato integra gli estremi del reato di cui all'art. 570 cpv. n. 2 c.p., atteso che ricorrono, nel caso di specie, i due fondamentali requisiti che la giurisprudenza di legittimità ha individuato ai fini della configurabilità della fattispecie in questione: si allude cioè 1) allo stato di bisogno dell'avente diritto e 2) all'assenza di ragioni oggettive di forza maggiore, legate ad una condizione di assoluta indigenza economica che rendano impossibile per l'obbligato adempiere la prestazione. Con riguardo al primo elemento, si evidenzia che lo stato di bisogno di un minore, il quale appunto perché tale non è in grado di procacciarsi un reddito proprio, è un dato di fatto incontrovertibile. A tal proposito, la Suprema Corte ha statuito che, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al loro mantenimento, assicurando ad essi tali mezzi di sussistenza (Cass. Sez. 6, 02.05.2007 n. 20636; Cass. Sez. 6, 15.01.2004 n. 715). A riguardo, è stato altresì puntualizzato che, lo stato di bisogno e l'obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno quando questi siano assistiti economicamente da altri (cfr.: Cass. Sez. VI, 19 aprile 2010, n. 14906 "ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 570, coma 2, n. 2 c.p., l'obbligo di fornire i mezzi di sussistenza ai figli minori ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l'altro genitore con i proventi del proprio lavoro o con l'intervento di altri congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo"). In tal senso, una recente pronuncia ha statuito: "In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 570, comma 2 n. 2 c.p. lo stato di bisogno dei figli minori ricorre anche quando alla somministrazione dei mezzi di sussistenza provveda l'altro coniuge specialmente quando questi non abbia risorse ordinarie e per tale motivo non possa compiutamente provvedervi" (Cass. Pen. Sez. VI, 14 dicembre 2010-15 febbraio 2011 n. 5751 - Pres. M.). Nel caso di specie, alcuna somma è stata corrisposta dall'imputato quale contributo per il mantenimento dei figli minori. Con riguardo al secondo elemento, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il reato de quo non sussiste solo allorquando la mancata corresponsione delle somme dovute sia da attribuire ad uno stato di vera e propria indigenza assoluta da parte dell'obbligato e deve essersi verificata in maniera del tutto incolpevole, senza cioè che sia stata dovuta, anche solo parzialmente a colpa dell'agente (vds. Cass. Pen. Sez. VI, sent. 05969 del 19.06.1997). "In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la sussistenza del reato è esclusa qualora l'imputato alleghi idonei e convincenti elementi indicativi di situazioni che si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nella impossibilità di adempiere, sia pure in parte, alla prestazione" (Cass. Pen. sez. VI, 18 novembre 2004). Tale ultima situazione-limite, tuttavia, non ricorre nella fattispecie perché nulla è stato allegato in proposito dall'imputato. In virtù di tanto è evidente la sussistenza della capacità economica dell'imputato. Dunque, l'imputato, solo e soltanto per una sua arbitraria decisione non ha contribuito al mantenimento. Alla luce di quanto innanzi è evidente che la condotta dell'imputato integra gli estremi del reato di cui all'art. 570 cpv. n. 2 c.p. contestato. Passando al trattamento sanzionatorio, concesse le circostanze attenuanti generiche in ragione dello stato di incensuratezza dell'imputato, considerati i criteri oggettivi e soggettivi di determinazione della pena di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo infliggere la pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa (pena base: mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa, ridotta ex art. 62 bis c.p.= pena finale). Le spese processuali conseguono ex lege. Ricorrono le condizioni di legge per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La sussistenza dei fatti contestati comporta la condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile P.A.C. da liquidarsi in separato giudizio ed al pagamento della somma di Euro 800,00 a titolo di provvisionale, determinata in via equitativa, per il danno procurato dalla commissione del reato, nonché alla rifusione delle spese sostenute in giudizio dalla parte civile che si determinano in Euro 2.800,00, oltre IVA, CAP e rimborso spese forfettarie come per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto in composizione monocratica. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara D.H. colpevole del reato ascrittogli e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p. condanna D.H. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile P.A.C. da liquidarsi in separato giudizio ed al pagamento delle spese di costituzione e giudizio che si liquidano in Euro 2.800,00 oltre IVA, CAP e rimborso spese forfettarie come per legge. Condanna l'imputato al pagamento della somma di Euro 800,00 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva. Motivazione riservata in giorni sessanta. Così deciso in Taranto, il 22 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, I Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario dott. Daniele Miccoli, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 2380/20 del R.G., avente a oggetto actio negatoria servitutis, TRA Or.Co., rappresentato e difeso dall'avv. An.Sc., ATTORE E Ol.Ma., rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Ma., CONVENUTA NONCHE' Or.Fr., rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Gu., TERZO CHIAMATO FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato Or.Co., come rappresentato e difeso, premettendo di essere proprietario di due appartamenti ubicati nello stabile sito in M. alla Via P., 132, deduceva che l'originaria condotta di scarico, inizialmente asservita all'intero edificio, fosse nel tempo stata adibita allo scarico di una sola delle unità immobiliari, a seguito del distacco da parte delle altre, con realizzazione di altrettante nuove e autonome condotte per ciascuna delle ulteriori proprietà esclusive, tra le quali quelle di pertinenza di esso attore. Affermava di poi di aver scoperto, in occasione di una riparazione, che altro appartamento odiernamente di proprietà di Ol.Ma. scaricava le proprie acque reflue nella condotta di sua esclusiva proprietà, senza averne titolo, né in forza di proprio consenso, tanto da indurlo a ricorrere al Tribunale in sede possessoria per far cessare la rilevata turbativa, iniziativa però in quella sede frustrata dal rigetto, anche in sede di reclamo. Per tali ragioni, dichiarando di voler agire questa volta in sede petitoria, adiva nuovamente l'intestato Tribunale, evocando in giudizio Ol.Ma., per sentire dichiarare la proprietà esclusiva in capo a esso attore della condotta di scarico sulla quale risultava innestato anche lo scarico della convenuta, nonché accertare l'abusività del detto innesto e ordinarne la rimozione, con condanna al risarcimento del danno, quantificato in Euro 5.000,00, ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia, e vittoria delle spese. Costituendosi, la convenuta contestava l'avverso assunto eccependo, in via preliminare, la improcedibilità della domanda per il mancato preventivo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, nonché la carenza di legittimazione e titolarità attiva dell'attore, ritenendo non provata la qualità di proprietario in capo a questi con riferimento agli immobili indicati in citazione, in subordine contestando la domanda anche nel merito, stante la presunzione di condominialità della condotta di scarico in questione e la ulteriore circostanza che nessun innesto abusivo fosse stato realizzato da essa convenuta, evidenza che a suo dire negava pregio alla richiesta di rimozione delle tubazioni contestate e alla ulteriore istanza risarcitoria, così concludendo in conformità alle difese dispiegate, con istanza di chiamata della propria dante causa, al fine di essere eventualmente manlevata da ogni conseguenza pregiudizievole per essa convenuta conseguente all'esito del giudizio, infine instando per la vittoria delle spese. Differita la prima udienza di comparizione si costituiva anche la terza chiamata, contestando la propria evocazione in giudizio, poiché inammissibilmente generica e comunque prescritta, nel merito sostanzialmente confermando la ricostruzione in fatto operata dall'attore, concludendo in conformità alle dispiegate difese e istando per la vittoria delle spese. Instauratosi il contraddittorio, la controversia, previo esperimento negativo del tentativo obbligatorio di mediazione, proseguiva con lo scambio di memorie autorizzate ex art. 183 VI co. c.p.c. e veniva istruita mediante acquisizione della CTU espletata nel giudizio possessorio, all'esito della quale, sulle conclusioni delle parti, rassegnate all'udienza cartolare del 20 settembre 2023, interveniva introito per la decisione, previa concessione dei termini di legge. Superato il rilievo di improcedibilità a seguito dell'esperimento, ancorchè con esito infruttuoso, del tentativo di mediazione, devono disattendersi le ulteriori questioni preliminari sollevate dalla convenuta quanto alla dedotta carenza di legittimazione e titolarità in capo all'attore. Ad un tale riguardo, osserva infatti il Tribunale che in tema di "actio negatoria servitutis" la titolarità del bene si pone appunto come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, di talchè la parte che agisce in giudizio per far accertare l'inesistenza dell'altrui diritto di servitù gravante su un immobile del quale affermi di essere il proprietario ha l'onere non già di fornire, come nell'azione di revindica, la prova rigorosa della proprietà, ma di dimostrare, con ogni mezzo e anche in via presuntiva, di possederlo in forza di un valido titolo, atteso che detta azione non tende necessariamente all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà, ma all'ottenimento della cessazione della lamentata attività lesiva (Cassazione Civile, Ordinanza 23 gennaio 2023 n. 1905), da tanto conseguendo da un lato la sussistenza in capo all'attore della legittimazione attiva, da valutarsi quale presupposto dell'azione e sulla base della mera prospettazione all'uopo fattane dallo stesso, e per altro verso la sufficiente prova della sussistenza anche della titolarità di quanto invocato in tutela, alla luce della ricorrenza del requisito della disponibilità in capo all'attore stesso della conduttura su cui si controverte, per quanto risulta dalle evidenze del pregresso giudizio possessorio e della CTU colà espletata. Parimenti priva di pregio risulta l'eccezione preliminare sollevata dalla terza chiamata con riferimento alla dedotta nullità per indeterminatezza della domanda in manleva, considerato che invece dall'esame complessivo dell'atto di chiamata si evincono tutti gli elementi posti dalla convenuta a fondamento della evocazione in giudizio della propria dante causa nella proprietà dell'immobile che negli assunti attorei scarica in modo abusivo le proprie acque reflue nella conduttura in contesa. Ciò posto, rileva il Tribunale come la domanda attrice sia infondata e come tale meritevole di integrale rigetto. Infatti, come già argomentato in sede di ordinanza istruttoria datata 3 agosto 2022, deve ribadirsi, sulla base del principio espresso da Cass. Civ. SS.UU. del 7 luglio 1993 n. 7449, come la norma di cui all'art. 1117 c.c. non preveda una presunzione di condominialità delle parti ivi indicate (tra le quali rientrano le condotte idriche e fognarie), viceversa disponendo "che detti beni sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base a un titolo, che può essere costituito o dal regolamento contrattuale o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità immobiliari, ovvero anche dalla intervenuta usucapione", dovendosi aggiungere che a maggior riprova della circostanza "che la norma in esame non abbia previsto una presunzione risulta non solo dalla sua chiara lettera che ad essa non accenna affatto, ma anche dalla considerazione che nel codice si parla esplicitamente di presunzione ogni qual volta con riguardo ad altre situazioni si è voluto richiamare questo mezzo probatorio (v. art. 880, 881 e 899 cod. civ.)", altresì precisandosi che "D'altra parte, se con la disposizione dell'art. 1117 si fosse effettivamente prevista la presunzione di comunione, si sarebbe ammessa la prova della proprietà esclusiva con l'uso di qualsiasi mezzo e non soltanto con il titolo". Nell'ambito del presente giudizio nessuno dei suddetti titoli dai quali desumere la sussistenza della deroga al regime legale di condominialità della tubatura in contesa è stato non solo dimostrato, ma nemmeno allegato, dovendosi pertanto concludere per l'integrale rigetto della domanda, quanto al richiesto accertamento della sussistenza della proprietà esclusiva in capo all'attore della conduttura in questione e conseguentemente alle ulteriori istanze a questa collegate, tese ad ottenere l'accertamento della abusività del collegamento con i tubi di scarico riconducibili alla parte convenuta e la condanna di quest'ultima alla relativa rimozione, nonché al risarcimento del danno. Le spese seguono la soccombenza e vanno dunque poste a carico dell'attore, non solo avuto riguardo al rapporto processuale con la convenuta, ma altresì con riferimento al terzo, non rivestendo la chiamata in garanzia il carattere della palese infondatezza o temerarietà, necessario per la imputazione delle spese al chiamante vittorioso nei confronti dell'attore (per tutte Cass. Civ. nn. 31889/2019, 23948/2019, 6292/2019, 10070/2017, 7431/2012, Cass. 8363/2010). P.Q.M. il Tribunale di Taranto, I Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario dott. Daniele Miccoli, definitivamente pronunziando sulle domande proposte dalle parti, così dispone: 1) rigetta integralmente la domanda attrice; 2) condanna l'attore al pagamento delle spese processuali nei confronti della convenuta e del terzo chiamato, liquidate, per ciascuno di essi, in complessivi Euro 2.540,00, oltre RSG (15%), IVA e CA, ove dovuti, come per legge. Così deciso in Taranto il 7 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2024.
TRIBUNALE DI TARANTO 1 Sezione Penale in composizione monocratica Il Giudice Dr.ssa Vita LAVECCHIA all'udienza del 10/01/2024 con l'intervento del Pubblico Ministero VPO Dr. Stella PANARITI - DELEGATO l'assistenza del Cancelliere Esperto dott. Alessia SIMEONE Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nel processo penale a carico di R.U., nato a P. (M.) il (...) ed ivi residente in via S. nr.14, M., domicilio eletto in via T. n.24, T.; -Libero già assente ex art. 420 bis c.p.p., oggi non comparso; IMPUTATO Del delitto di cui all'art. 570 c.p., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore disabile M.M.E.. In Taranto sino a gennaio 2017. Con l'intervento del difensore di fiducia dell'imputato, Avv.to ....(Foro di....), assente, sostituita con delega orale dall'Avv.to .....; PARTE CIVILE: M.A., assente; rappresentata e difesa dall'Avv.to ..., presente; Svolgimento del processo Con Decreto di citazione a giudizio del 07.05.2018 il pubblico ministero ha disposto il giudizio nei confronti di R.U. imputato del reato di cui in rubrica. All'udienza del 28.06.2019 veniva dichiarata l'assenza dell'imputato ai sensi dell'art. 420 bis c.p.p. nonché veniva ammessa la costituzione di parte civile della persona offesa M.A., quale esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore M.M.E.. All'udienza del 04.05.2022, già assente l'imputato, non comparso, presente la parte civile, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento, ammetteva le prove orali e documentali richieste dalle parti, in quanto ammissibili e non manifestamente irrilevanti e rinviava il processo per l'istruttoria dibattimentale. All'udienza del 21.12.2022, già assente l'imputato, non comparso, presente la parte civile M.A., con l'accordo delle parti venivano acquisiti al fascicolo del dibattimento con valenza probatoria i verbali di denuncia querela del 31.01.2017 e di integrazione della querela dell'08.02.2017. A seguire si procedeva all'escussione di M.A. in qualità di testimone adotto dalla pubblica accusa con sole domande a chiarimento. All'esito il processo veniva rinviato per l'esame dell'imputato e la discussione. All'udienza del 21.06.2023, già assente l'imputato, non comparso, presente la parte civile, preliminarmente quest'ultima produceva documentazione come da verbale in atti. Inoltre la difesa chiedeva di produrre documentazione proveniente dall'imputato sulla quale il Tribunale si riservava all'esito dell'esame dell'imputato che veniva rinviato all'udienza successiva All'udienza dell'08.11.2023, già assente l'imputato non comparso, presente la parte civile, preliminarmente, attesa la diversa composizione del Tribunale, si procedeva alla rinnovazione delle richieste istruttorie già formulate e le parti prestavano il consenso alla rinnovazione del dibattimento mediante lettura degli atti istruttori già compiuti dinanzi a diverso giudicante. A seguire la difesa produceva la memoria difensiva. A questo punto esaurita la fase dell'assunzione delle prove, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, utilizzabili gli atti acquisiti ed inseriti nel fascicolo processuale ed i verbali di prove orali, invitava pubblico ministero, parte civile e difesa a rassegnare le rispettive conclusioni come da Verbale in atti e rinviava il processo per repliche. All'odierna udienza, già assente l'imputato, non comparso, presente la parte civile, il pubblico ministero rappresentava di non avere repliche da svolgere ed il Tribunale si ritirava in Camera di Consiglio per la decisione. Motivi della decisione All'esito dell'espletata istruttoria e sulla base delle fonti di prova assunte in dibattimento, il Tribunale non può che pervenire ad una sentenza di condanna dell'imputato R.U. in ordine al reato ascrittogli in rubrica per le ragioni in fatto ed in diritto che si vanno di seguito ad esporre. Ritenuto in fatto L'odierna persona offesa M.A. ha esposto le ragioni che la indussero a sporgere querela nei confronti dell'odierno imputato in data 31.01.2017 con l'integrazione della querela in data 08.02.2017. Dalle dichiarazioni della M., contenute della querela acquisita con il consenso delle parti e da quelle rese dalla stessa nel corso della sua deposizione dibattimentale, è emerso che costei aveva intrapreso una relazione sentimentale con il R. durata circa quattro anni. Tuttavia quando nel 2012 nasceva la loro figlia M.M.E., affetta dalla "sindrome di down", il R. decideva di non riconoscerla e spariva completamente dalla loro vita. La persona offesa ha, altresì, riferito che a quel punto agiva giudizialmente nei confronti dell'imputato dinanzi al Tribunale di Taranto che all'esito riconosceva la paternità di R.U., mentre la bambina veniva affidata in via esclusiva alla M., disponendosi le modalità per l'esercizio del diritto di visita del padre. Il provvedimento giudiziale stabiliva, sotto l'aspetto economico, che R.U. dovesse corrispondere la somma di Euro 5.000,00 a titolo di rimborso spese di nascita nonché il versamento di Euro 300,00 mensili a titolo di mantenimento della figlia oltre al pagamento in favore della predetta delle spese straordinarie nella misura del 50%. (cfr. Decreto del Tribunale per i minorenni di Taranto del 06.05.2016 in atti) Senonché afferma la M. che nonostante il suddetto provvedimento l'imputato si disinteressava completamente delle sorti della figlia non corrispondendo mai alcuna somma di denaro nell'interesse della stessa e non prendendo mai l'iniziativa di informarsi sulle sue condizioni e sul suo percorso di crescita nonché di volerla incontrare. La odierna parte civile ha precisato che il R. non si trovava in uno stato di indigenza economica in quanto svolgeva l'attività di imprenditore edile in qualità di titolare della società denominata "E.C. S.r.l." che aveva appalti anche in Germania e che solo in seguito alla denuncia presentata da lei il 3.01.2017 costui la contattava tramite i social, chiedendole di comunicargli l'Iban su cui versare il mantenimento, così promettendogli di ottemperare ai suoi doveri genitoriali nei confronti della figlia disabile, paventando anche di volerla vedere, cosa che faceva solo in una occasione nel 2019 prima dell'udienza per la decadenza della sua responsabilità genitoriale. A dire di M.A., quindi, l'imputato si faceva sentire solo in prossimità delle udienze inerenti l'adempimento dei suoi obblighi genitoriali, per poi sparire nuovamente e non mantenere fede alle sue promesse di impegnarsi ad essere genitore presente sia economicamente che moralmente della piccola M.E.. Infatti in tutto l'arco temporale di 10 anni il R. le aveva versato in tutto a titolo di mantenimento solo una somma di circa 500,00 euro, senza mai provvedere al pagamento di vestiario né a quello delle spese straordinarie per far fronte ai bisogni della figlia affetta da serie problematiche di salute. La teste ha, altresì, riferito che nel 2019 il Tribunale per i minorenni di Taranto emanava un provvedimento con il quale R.U. decadeva dalla potestà genitoriale sulla figlia. La M. ha precisato che a causa di questa condotta dell'ex compagno si è venuta a trovare in gravi difficoltà economiche in quanto lei ha lavorato fino al 2015, anno in cui moriva suo padre che l'aiutava economicamente. Oltretutto la sua situazione familiare ed economica si aggravava ulteriormente quando sua figlia più grande si ammalava di cancro e sua madre subiva un ictus, dovendo occuparsi di assistere le predette oltre alla figlia disabile. La M. ha dichiarato che è andata avanti con molte difficoltà con gli aiuti economici di natura assistenziale, quali l'assegno unico e il reddito di cittadinanza. Ritenuto in diritto Passando ora alla disamina delle fonti probatorie il Tribunale, sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa e della documentazione acquisita agli atti con valenza probatoria, ritiene provata, al di là del ragionevole dubbio, la penale responsabilità di R.U. sia sotto il profilo dell'elemento oggettivo che di quello soggettivo in ordine al delitto di cui all'art. 570, secondo comma nr. 2 c.p. in quanto costui faceva mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore disabile M.M.E.. Il Tribunale osserva che la ricostruzione dei fatti come descritta sia nella querela che in dibattimento dalla ex compagna M.A., confortata dalla produzione documentale, è da ritenersi assolutamente attendibile in quanto risulta essere stata genuina, intrinsecamente attendibile, lineare, dettagliata sotto l'aspetto spaziotemporale e priva di contraddizioni. Il Tribunale, infatti, in ordine al vaglio dell'attendibilità della denunciante, costituita parte civile nell'odierno processo, si è conformato al principio delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione secondo cui "Le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. fin motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi)". (Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012) Sotto il profilo strettamente giuridico la decisione del Tribunale trova conforto nell'orientamento dominante della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo cui "Integra il reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, n. 2 la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori e al coniuge, omettendo di versare l'assegno di mantenimento. Non vi è equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l'inadempimento civilistico, poiché la norma non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti, bensì ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende sottrarsi all'assolvimento degli obblighi imposti con la separazione: non è sufficiente, quindi, una qualsiasi forma di inadempimento e, trattandosi di reato doloso, la condotta omissiva deve essere accompagnata dal necessario elemento psicologico. Sul piano oggettivo deve trattarsi di un inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire. In tutti quei casi in cui ci si trovi dinanzi ad un limitato ritardo, ad un parziale adempimento, ovvero ad una omissione dei pagamenti, che trovino precise giustificazioni nelle peculiari condizioni dell'obbligato ed appaiano agevolmente collocabili entro un breve, o comunque ristretto, lasso temporale, quando a fronte, di un più ampio periodo preso in considerazione risulti accertata la piena regolarità nel soddisfacimento dei relativi obblighi. In definitiva, un inadempimento rilevante per il diritto civile, non necessariamente integra 1 'azione tipica della sottrazione agli obblighi economici di cui alla norma in commento: essa deve essere valutata unitamente a tutte le altre circostanze di fatto offerte dalla disamina del caso concreto, ed in particolare agli altri dati inerenti sia alla eventuale regolarità dei pagamenti complessivi precedentemente effettuati dall'obbligato, che alla oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica nei frattempo intervenuto, a fronte del necessario soddisfacimento delle esigenze proprie dei soggetti tutelati." (Cassazione Penale sentenza nr. 15898 del 09.04.2015) Alla luce del predetto orientamento il Giudice Penale deve valutare, nel caso di specie, quale sia il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza", non confondendolo con quello civilistico di "mantenimento", in modo da stabilire se l'inadempimento dell'imputato aveva privato o meno i soggetti beneficiari di tali mezzi, dal momento che l'ipotesi di reato contestata non può assumere carattere sanzionatorio del mero inadempimento del provvedimento del giudice. Inoltre occorre valutare la sussistenza dello stato di bisogno dei beneficiari nonché dell'elemento psicologico dell'imputato in ordine alla configurazione del reato de quo, tenendo conto, altresì, della sua capacità economica. Da un punto di vista dell'elemento psicologico del reato in esame la Suprema Corte di Cassazione sostiene che "per il reato de quo è sufficiente il dolo generico consistente nella volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, agli obblighi inerenti alla propria qualità e nella consapevolezza del bisogno in cui versa il soggetto passivo". (Cass. Sez. VI sent. Nr. 85/169512) Ebbene dalla condotta dell'odierno imputato è evidente la sua volontà cosciente e libera di sottrarsi, senza giusta causa, ai suoi obblighi, familiari nei confronti della figlia minore disabile nell'arco temporale da inquadrarsi, secondo l'assunto accusatorio, dal 2012 al 2017 e sino ad oggi, ponendo in essere un inadempimento serio e sufficientemente protratto per un lungo periodo di tempo. Del resto il R. non ha provato di essere stato, eventualmente, nel periodo in contestazione, in uno stato di indigenza economica, rimanendo, peraltro, assente nell'odierno procedimento. E', dunque, evidente la sua condotta omissiva di non provvedere in alcun modo al mantenimento e all'assistenza economica e morale della figlia affetta da gravi problemi di salute, facendo delle promesse che non ha mai rispettato, tanto che la incontrava solo in una occasione e avendo corrisposto a titolo di mantenimento sino ad oggi la sola esigua ed insufficiente somma di Euro 500,00, il che denota la sua totale "irresponsabilità genitoriale", tanto che il Tribunale per i minorenni, adito dalla M., lo faceva decadere dalla potestà genitoriale. A parere del Tribunale, dunque, la condotta ivi descritta del R. non trova giustificazione alcuna del suo sottrarsi ai doveri e diritti che gli derivavano dell'essere genitore e dall'istruttoria sono emerse le difficoltà per la persona offesa di crescere e mantenere da sola una figlia con una grave disabilità, così vedendosi costretta a ricorrere all'aiuto economico della sua famiglia di origine nonché ai sussidi economici assistenziali di cui si è dato conto, perché viveva e vive tuttora con la figlia disabile, senza dubbio, in un evidente stato di bisogno, del quale l'imputato ne era pienamente consapevole, in quanto informato dalla ex compagna ed oggetto di valutazioni e provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria. Il Tribunale ritiene di non poter accogliere la richiesta della difesa di assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 131 bis c.p. atteso che, richiamando l'orientamento in tema di diritto della Suprema Corte di Cassazione fra cui Cass. Pen. Sez. VI, Sent, del 13 febbraio 2020, n. 5774 "è esclusa la particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. al delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare p. e p. dall'art. 570 comma 2 c.p. se 1'omissione non è occasionale" e certamente da quanto è emerso dalla espletata istruttoria dibattimentale la condotta delittuosa del R. è stata abituale e l'offesa non può ritenersi di particolare tenuità secondo la valutazione dei parametri di cui al primo comma dell'art. 133 c.p.. Sotto il profilo sanzionatorio la pena, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi indicati nell'art. 133 c.p., riconosciute le circostanze generiche al fine di adeguare la pena al fatto concreto, può essere determinata in mesi sei di reclusione ed Euro 400/00 di multa. Pena base: mesi nove di reclusione ed Euro 600/00 di multa; diminuita ex art. 62 bis c.p. di mesi tre di reclusione ed Euro 200/00 di multa. Il pagamento delle spese processuali va posto, ex lege, a carico dell'imputato. In considerazione dell'assenza di precedenti penali ostativi può essere concesso all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena apparendo probabile che lo stesso si asterrà, in futuro, dal commettere ulteriori reati. La concessione del predetto beneficio resta, tuttavia, subordinata all'adempimento da parte di R.U. del risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. Il Tribunale ritiene, infatti, sussistere il danno subito dalla persona offesa in quanto è stata raggiunta la prova dell'esistenza di un nesso di causalità tra l'illecito penale e il pregiudizio lamentato dalla vittima, che ha dovuto provvedere in estreme difficoltà a crescere da sola la figlia disabile da quando è nata, mentre il padre R.U. si disinteressava completamente delle sue sorti, secondo le modalità di cui prima si è detto. Infatti secondo la Suprema Corte di Cassazione "la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato (il quale, giova qui ricordarlo, può anche essere di natura morale), mentre resta impregiudicato l'accertamento riservato al giudice della liquidazione e dell'entità del danno (Cass. civ. Sez. 3, n. 24030 del 13/11/2009, Rv. 609978)" (Cassazione Penale, V Sezione, n. 45118 del 23.04.2013). Consegue che l'imputato deve, ex art.538 e ss. c.p.p., rifondere alla costituita parte civile ammessa al beneficio del Gratuito Patrocinio a spese dello Stato i danni da questa sofferti in separata sede nonché alla rifusione della somma di Euro 1.400/00 a titolo di spese per la costituzione e difesa dalla predetta e per essa in favore dello Stato, oltre oneri accessori di legge. Tenuto conto del carico processuale e degli impegni del sottoscritto magistrato, si è stimato congruo determinare il termine per il deposito della motivazione, alla luce della previsione di cui all'art. 544, comma secondo, c.p.p., in giorni 90. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara R.U. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 400/00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna l'imputato a rifondere alla costituita parte civile i danni da questa sofferti da liquidarsi in separato giudizio. Condanna, altresì, l'imputato alla rifusione delle spese di costituzione e giudizio sostenute dalla costituita parte civile ammessa al Gratuito Patrocinio e per essa in favore dello Stato che vengono liquidate in complessivi Euro 1.400/00 (Fase di studio Euro 300,00; Fase introduttiva Euro 400,00; Fase istruttoria Euro 600,00; Fase decisionale Euro 800,00, riduzione di 1/3 ex art. 106 D.P.R. n. 115 del 2002), oltre accessori di legge. Pena sospesa subordinata all'adempimento del risarcimento del danno in favore della parte civile. Riserva la motivazione in giorni 90. Così deciso in Taranto, il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO - SEZ. II CIVILE Il Giudice Delegato, in composizione monocratica, nella persona del G.O. Dott. Antonio Taurino, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in primo grado, iscritta nel ruolo contenzioso civile al n. 462/2021 R.G., avente ad oggetto risarcimento danni, riservata per la decisone all'udienza del 12/9/23, vertente tra: Mo.Gi. e Fa.Da., rappresentati e difesi dall'avv. Gi.Pi. per mandato in atti ATTORI E SUPERCONCOMINIO DI VIA Mo., 17, 23 e 33 e VIA B., 269 - T. - in persona dell'amministratore in carica pro tempore CONVENUTO CONTUMACE NONCHE' Gi.Di., rappresentato e difeso dall'avv. An.Me. per mandato in atti ALTRO CONVENUTO NONCHE' Zu. PUBLIC LIMITED COMPANY, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. Vi.Ru. per mandato in atti TERZZA CHIAMATA ED ANCORA Mo.Ch., rappresentata ei difesa dall'avv. Gi.Pi. per mandato in atti INTEVENUTA EX ART. 105 CPC FATTO Con atto ritualmente notificato, il Mo. e la Fa. evocavano in lite il Supercondominio sopra emarginato, nonché il Di., in proprio, quale amministratore in carica, innanzi all'intestato Ufficio, per ivi sentirli dichiarar tenuti e, per l'effetto, condannare, alla rifusione dei danni patiti per le ascritte causali di illecito, in solido o per le rispettive responsabilità, da quantificarsi in corso di causa, vinte le spese. A sostegno costitutivo della pretesa assumevano, il primo quale proprietario di immobile facente parte del complesso condominiale e la seconda quale sua compagna convivente, che l'impianto di riscaldamento, quale servizio comune appartenente e gestito dal supercondominio, non fosse funzionante, sebbene l'organo assembleare, sin dal 16/12/13, avesse avuto modo di deliberare, onde renderlo attivo, la sostituzione di due canne fumarie, le cui modalità di attuazione furono rimesse a successiva seduta, nella quale, in data 19/9/14, si affidarono i lavori a ditta appaltatrice, unitamente alla realizzazione di due caldaie, lamentando, tuttavia, che i lavori non furono mai effettuati, tanto da indurli ad adire le vie giudiziarie, instaurando procedimento innanzi al Tribunale competente, che ebbe ad ordinare al supercondominio la riattivazione dell'impianto già esistente, e che la Corte d' Appello, adita in gravame da uno dei condomini, ne sottopose la realizzazione alla preventiva verifica di fattibilità, che l'incaricato perito escluse, giudicandola impossibile, oltre che anti economica. Evidenziato di aver invano diffidato l'amministratore ed il condominio a provvedere all'esecuzione di un nuovo impianto, invocavano il proprio diritto al risarcimento dei danni provocati dall'illecita inerzia degli organi condominiali, assumendosi terzi rispetto alla compagine condominiale, escludendo, quindi, l'applicabilità del disposto ex art. 1105 c.c., lamentando un danno all'appartamento dovuto proprio alla mancanza del servizio di riscaldamento (acclarato dallo stesso condominio come irrinunciabile), nonché alla loro sfera morale-esistenziale e salutare, e, ascrittane la responsabilità al condominio ed all'amministratore ex artt. 2051 o 2053 o 2049 c.c., salva la responsabilità solidale di entrambi ex art. 2043 c.c., domandavano conforme pronuncia. Nella contumacia del supercondominio, resisteva il Di., in proprio ed in relazione al titolo risarcitorio personale ascritto, che, in limine, eccepiva l'improcedibilità dell'azione per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio, ed anche il proprio difetto di legittimazione, negando di essere amministratore del supercondominio, stante la nullità assoluta della delibera di nomina del 19/9/14, sostenendo, in via impeditiva, l'inesistenza di un supercondominio, atteso che l'unico servizio allo stesso facente capo fosse oltre che inutilizzabile, esautorato da ogni funzione, avendo gli altri 76 condomini provveduto a dotarsi da impianto di riscaldamento autonomo. Nel merito, negava la riconducibilità dei danni asseritamente prodottisi quale effetto dell'ammaloramento dell'appartamento alla causale sostenuta dagli attori, così come la patologia del Mo., dovuta, secondo l'assunto, a fattore recidivante, eccependo la responsabilità in proprio degli attori, in caso di eventuale positivo riscontro degli elementi risarcitori, in quanto "rei" di non aver adottato accorgimenti idonei ad evitare le conseguenze dannose, tipo impiantare una caldaia autonoma con una spesa modica, fattibile a fronte del più ingente esborso, pari ad Euro 60000,00, occorrente per rendere funzionale l'impianto centralizzato, invocando, all'uopo, il secondo comma dell'art. 1227 c.c., esclusa, in ogni caso, la responsabilità in proprio dell'amministratore, che avrebbe adempiuto agli obblighi istituzionali funzionali alla soluzione dell'emergenza, sebbene l'assemblea non ebbe a deliberare per mancanza del numero legale. Assunta, infine, la natura emulativa dell'azione proposta nei propri confronti, lamentata come foriera di danno, sostenuto di essere in possesso di polizza per responsabilità civile professionale, concludeva, previo differimento per la chiamata in causa del terzo Zu., per la declaratoria di improcedibilità della domanda, nonché di inammissibilità nei propri confronti per difetto di legittimazione passiva, nel merito per il rigetto dell'infondata pretesa, gradatamente, in caso di denegata condanna, per la pronuncia di manleva a carico della terza chiamata, spiegando riconvenzionale per la condanna degli attori al pagamento di Euro 10000,00 in proprio favore, a titolo risarcitorio, salva la somma di giustizia, oltre accessori e vinte la spese. Resisteva anche la Compagnia, ritualmente evocata dal convenuto ai sensi dell'art. 269 c.p.c., che, pur non disconoscendo l'esistenza di un contratto per la RCT, negava, in primis, ogni obbligo di manleva nei confronti del Di., escluso dalle condizioni di polizza in relazione al caso concretamente prospettato dallo stesso assicurato, eccependo, nel merito, l'infondatezza della domanda attrice, rifacendosi anche alle difese reiettive svolte dal convenuto, concludendo, dunque, per il rigetto delle domande avanzate, rispettivamente, dagli attori e dal convenuto, gradatamente, in caso di denegato accoglimento, per la pronuncia di manleva nei limiti di polizza, vinte le spese. Si costituiva, in corso di causa, la Mo.Ch., con intervento litisconsortile ex art. 105 c.p.c., capoverso, che, assuntasi, egualmente, proprietaria di appartamento partecipante al supercondominio convenuto, assunto di aver subito danni all'immobile ed alla propria sfera morale esistenziale per la mancanza di riscaldamento protrattasi per un periodo intollerabile, domandava il relativo ristoro, da quantificarsi sempre in corso di causa, oltre accessori e vinte le spese. Istruita come in atti, la causa veniva rimessa a decisione per la definizione delle domande sull'an debeatur, concessi i termini di difesa ex art. 190 c.p.c., sulle rassegnate conclusioni. MOTIVI In ordine alla pretesa di revoca dell'ordinanza con cui veniva disposta la decisione sul solo an debeatur, allusa come irrituale da parte attrice (per transizione difensiva svolta nel primo capo delle proprie memorie conclusionali, in cui si postula la scissione del giudizio perché prescelta l'opzione di decidere preliminarmente sulla ricorrenza del titolo sostanziale, senza definire totalmente la domanda), va osservato che la stessa si fonda su un improprio utilizzo del termine, noto che per scissione si debba intendere la separazione di una domanda rispetto ad un altra avanzata in cumulo, giusta previsione ex artt. 103 e 104 c.p.c., mentre, nel caso che occupa, la domanda é unica, e la scelta delle modalità definitorie di (quell'unica) domanda é protocollo non rientrante nella nozione di scissione, quanto espressione del potere ordinatorio rientrante nei presidi officiosi del magistrato, qui ispirata all'esigenza di delibare separatamente gli altri aspetti che caratterizzano la complessa fattispecie illecita, diversi da quelli quantificatori. Alcuna scissione, quindi, pare integrata, quanto anteposizione, nella funzione definitoria, di delibazione di elementi che potrebbero, all'esito, risultare assorbenti se favorevoli alle ragioni resistenti, mentre, in caso contrario, la decisione, stante l'esigenza dell'attore di acquisire ulteriori elementi di valutazione di carattere specialistico, rimarrebbe naturalmente incanalata in tale direzione, se necessario, salva, in ogni caso, la decisione allo stato degli atti, anche definitiva, sulla base degli elementi già raccolti, nota la strumentalità che caratterizza il presidio peritale, la cui disposizione é rimessa, in effetti, esclusivamente al prudente apprezzamento discrezione del giudice, diversamente da quanto avviene per gli ordinari mezzi di prova (rileva, in tal senso la lettera dell'ordinanza, in cui la riserva sull'opportunità di dar corso all'ulteriore istruttoria é subordinata al preventivo accoglimento degli elementi logicamente presupposti a tale esigenza quantificativa, come chiaramente evincibile dall'utilizzo dell'inciso "all'esito"). Né può essere aderita la tesi di impercorribilità della separazione (o scissione dell'an rispetto al quantum) in sé, intesa quale limite dei poteri che caratterizzano la funzione giudicante e delle modalità che il magistrato deve seguire onde garantirne la correttezza, illuminando, sul punto il condiviso arresto di legittimità che, facendo chiarezza in merito, ha inteso opinare la ammissibilità della scissione del giudizio dell'an da quello sul quantum d' ufficio (anche senza l'istanza di parte), non determinando tale prassi un vulnus dei principi generali del giusto processo (Cass. 9404/11), riprendendo un datato orientamento che opinava la ammissibilità della separata decisione per risolvere questioni preliminari di merito, prassi ritenuta non rientrare in ipotesi di nullità previste ex lege, assolvendo, anzi, una funzione connaturata al processo, attuando in modo rapido ed economico le sue finalità (Cass. 1176/85); e così più recente Cass. 16899/12, che pone l'attenzione sulla neutralità di tale modalità definitioria, non comportando la separazione violazione dei principi di ordine pubblico né incidente sulla realizzazione delle finalità essenziali del processo). Né pare cogliere nel segno il richiamo all'art. 278 c.p.c., che, nel conferire al giudicante la facoltà di "limitarsi" alla pronuncia di sussistenza del diritto nel caso vi sia esplicita istanza di parte, presuppone che ne sia accertata la ricorrenza, ipotesi mal conciliabile con il caso di specie, in cui, prima di definire l'an, vanno esaminate le eccezioni impeditive in rito e merito tempestivamente sollevate dalle difese resistenti, in primis quelle astrattamente capaci di precludere anche l'esame meritorio, che assumono carattere di antecedenza assoluta sul merito. E così, egualmente, si appalesa ultroneo il richiamo all'art. 112 c.p.c., che, nel dettare le regole sull'obbligo di rispondenza tra chiesto e pronunciato e della esaustività della decisione, non preclude la possibilità di procedere per gradi, se gli sviluppi processuali ne consiglino l'opportunità, eslcuso che tale modus procedendi possa pregiudicare il rispetto dei suddetti principi, trattandosi di presidi che non hanno alcuna capacità di interferenza sul potere direttivo del magistrato in funzione del perseguimento dell'approdo naturale cui il processo tende, ovvero la decisione definitiva. E d' altra parte il disposto dell'art. 279 c.p.c. é talmente chiaro che non é in sospetto di equivoche interpretazioni, nel passaggio in cui prevede che il Collegio (o il giudice monocratico, ndr.) pronuncia sentenza ove definisce il giudizio definendo questioni pregiudiziali attinenti non solo al processo, ma anche a preliminari di merito, non essendo revocabile in dubbio che rientri nella nozione di preliminari meritorie anche l'accertamento di elementi presupposti in fatto ed in diritto necessari, sebbene non (sempre) sufficienti, ai fini della delibazione della composita domanda. Per intendersi, rientra nei poteri del magistrato imprimere al processo la direzione ritenuta opportuna, secondo prudente apprezzamento e sempre salvaguardando il diritto di difesa delle parti, anche nella scelta delle modalità definitorie, ove, come nel caso di specie, sussistano giusti motivi che consigliano di delibare su aspetti in fatto ed in diritto che potrebbero rilevarsi assorbenti, rendendo vana ogni ulteriore questione, in stretta applicazione dei principi di immediatezza, concentrazione ed economia processuale. La domanda di revoca va, per l'effetto, disattesa. Sempre in limine va disattesa l'eccezione di improcedibilità della domanda, sollevata dalle difese resistenti sulla postulata applicabilità delle previsioni ex art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010, al caso che occupa, noto che tale previsione, nella parte in cui sottopone a mediazione obbligatoria le controversie di carattere condominiale, si riferisca alla normativa che regola e disciplina l'attività del condominio, segnatamente contenute dalle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile (dall'art. 1117 all'art. 1139 c.c.) e degli art. 61 segg. disp. att., ovvero a tutte quelle controversie che concernono violazioni o errata applicazione delle norme sostanziali codicistiche, nelle cui materie non rientrano altre tipologie contenziose, quale l'azione risarcitoria postulata su fatto illecito del condominio nei confronti del singolo partecipante allo stesso, che, in effetti, é fondata su causale in diritto diversa, non essendo sufficiente per configurarne il carattere condominiale la qualità di condomino di uno stabile, come pare pretendere chi ne ha eccepito, in difformità alle più accreditate impostazioni ermeneutiche soffermatesi in tema. Egualmente infondata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva ad causam sollevata dalla difesa Di., noto che tale condizione dell'azione é integrata dall'astratta coincidenza tra il soggetto "vocato" in lite con chi, secondo la rappresentazione attorea, é ritenuto destinatario della pronuncia, da valutarsi alla stregua della disciplina (sempre astrattamente) applicabile alla fattispecie concretamente prospettata, pervenendosi a riconoscerla per il semplice fatto che il convenuto sia indicato quale responsabile della lesione subita, a nulla rilevando che egli non ne sia responsabile o che non rivesta quella qualità che costituisce presupposto imprescindibile per l'attribuzione della fattispecie in suo capo, che costituisce questione meritoria (in quanto esclude uno presupposto in fatto necessario per l'accoglibilità della domanda), che, in quanto tale, va riqualificata in termini e trattata in sede meritoria. Anche così "rivisitata", l'eccezione pare di scarso impatto persuasivo, non essendo in dubbio che il Di. abbia svolto le funzioni di amministratore nel periodo in contestazione (secondo dato concludentemente ricavabile dalle stesse difese di parte avversante, che, in effetti, non ha mai contestato l'assunto difensivo altrui sul punto specifico), a nulla rilevando la assunta nullità della delibera che ne dispose la nomina, rilevando, al contrario, il dato che egli ne abbia concretamente esercitato le funzioni, rimanendo questione neutra che non ne fosse stato ritualmente investito, ipotesi che avrebbe dovuto indurlo ad agire in altra sede per tutelare le proprie ragioni, ove ne avesse avuto l'interesse, anche considerato che l'azione extra contrattuale riguarda la persona in proprio e non la qualità ricoperta, che é antefatto sufficiente per configurarne lo status di contraddittore nella domanda risarcitoria. Sempre in via preliminare, a conferma dei provvedimenti ordinatori interinali in atti, va dichiarata l'ammissibilità della domanda risarcitoria avanzata dalla parte intervenuta ex art. 105 c.p.c., opinatane la tempestività secondo lo schema processuale evincibile dal combinato ex artt. 105-268 c.p.c., ferme le preclusioni già maturate, che, tuttavia, come già anticipato, non hanno impedito l'ammissione e l'assunzione dell'attività istruttoria richiesta dalla stessa, avendone fatto rituale richiesta nei termini di cui all'art. 183 c.p.c., sesto comma, n. 2. Potendosi esaminare, dunque, il merito in tutti i capi petitori avanzati dalle parti del giudizio in via principale, litisconsortile e riconvenzionale, va inquadrata in diritto, preliminarmente, la domanda risarcitoria avanzata in atti dai Mo.Gi. e C. e dalla F., che, a parere del relatore, impropriamente evocano la fattispecie ex art. 2051 c.c., noto ed indiscusso che tale ipotesi di responsabilità aggravata, di indole aquiliana, si fondi sul rapporto diretto tra il danno e la cosa custodita, che sia idonea al nocumento per caratteristiche potenzialmente lesive proprie (pericolosità intrinseca) o connesse al suo utilizzo, quando essa, pur essendone naturalmente priva (quale può essere una caldaia dismessa o conclamatamente non attiva), in quanto costrutto materiale privo di un proprio dinamismo deterministico lesivo, sia, tuttavia, idonea al nocumento allorché il fortuito o il fatto umano possano prevedibilmente intervenire, come causa unica ovvero concausa, nel processo obiettivo di produzione dell'evento dannoso, eccitando lo sviluppo di un agente o di un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa quella potenzialità lesiva naturalmente assente - pericolosità estrinseca - (Cass. 4480/01), fattori costitutivi insussistenti nel caso, in cui il danno é eziologicamente ricondotto alla colpevole ( ed ingiusta) inerzia del condominio nel predisporre gli accorgimenti (dovuti) opportunamente mirati a garantire il riscaldamento degli ambienti in proprietà esclusiva dei singoli condomini, ipotesi causale che mal si concilia con le concrete deduzioni fattuali presupposte al caso presentato. Parimenti, non convince la tesi che ne riconduce la causale in diritto all'art. 2053 c.c., che presuppone una serie produttiva dannosa connessa alla rovina di edificio, che richiede, quale ipotesi di responsabilità speciale da custodia, sempre il rapporto diretto tra la cosa in rovina ed il danno, non ravvisabile nel caso di specie, in cui, si ribadisce, la dinamica fenomenica rileva quale effetto collaterale dell'inerzia del condominio nella realizzazione di opera necessaria al sua funzionalità. Va esclusa, infine, anche la fattispecie di cui all'art. 2049 c.c., che integra ipotesi, egualmente di illecito aquiliano, la cui concreta realizzazione presuppone un rapporto tra il danneggiante/preposto ed il "padrone o committente", preponente, oggettivamente tenuto a rispondere del fatto di chi abbia cagionato un danno nell'esercizio di mansioni allo stesso assegnate, ipotesi astratta del tutto avulsa dallo schema che caratterizza i rapporti tra il condominio e l'amministratore, che, in effetti, non può essere ritenuto preposto ai fini della attribuzione di responsabilità di cui alla norma in commento. Il caso, su tali presupposti, può essere, serenamente inquadrato in una tipica ipotesi di responsabilità da neminem ledere, ex art. 2043 c.c., ricorrendone tutti gli astratti requisiti, notoriamente integrati dall'azione/omissione antigiuridica, dalla produzione di un danno ingiusto, dal nesso di causalità che lega i due fattori, ed infine dall'elemento soggettivo colposo, configurato dagli attori nell'omesso compimento di un atto dovuto dal condominio per negligenza, che ne caratterizza l'inerzia, non altrimenti giustificabile, secondo il pensiero difensivo esposto in atti. Ne deriva che, esclusa l'applicabilità dell'inversione parziale degli oneri probatori che connotano le ipotesi di responsabilità aggravata esporate, spettando ai pretendenti dimostrare tutti gli elementi che costituiscono la complessa fattispecie, ricorra l'esigenza di esaminare le emergenze istruttorie, acquisite attraverso la produzione documentale versata in visione e con l'espletamento della prova orale, ferme ed impregiudicate le eccezioni preclusive sollevate dalle difese resistenti. Partendo dal dato, incontestato, che non fu mai realizzato un nuovo impianto centralizzato di riscaldamento (né poteva, per i motivi noti, essere sistemato quello già esistente), emerge dalle fonti acquisite un quadro non troppo chiaro in ordine agli antecedenti in fatto che determinarono l'omissione, ricondotta dal Di. a responsabilità non propria, avendo egli avvedutamente provveduto a convocare le assemblee per discutere della questione in seguito alla prima delibera preparatoria. Fatti, tuttavia, non auto-concludenti in chiave valutativa di sussistenza del diritto risarcitorio, in quanto assorbiti dalla pronuncia della Corte territoriale che aveva accertato, attraverso le indagini peritali, l'impossibilità/antieconomicità del ripristino del vecchio impianto. In tal modo, dovendosi prendere in considerazione ai fini di tale complessa valutazione l'atteggiamento tenuto dall'amministratore successivamente alla pronuncia, va osservato che egli non può di sua sponte prendere un' iniziativa innovativa quale é la realizzazione di un nuovo impianto centralizzato di riscaldamento, in effetti questione di esclusiva pertinenza dell'assemblea, avuto riguardo all'entità dell'esborso necessario (60000,00 Euro, come incontestatamente affermato dal Di.), assodata l'impraticabilità di sistemazione di quello già esistente. Ciò esclude ogni asserito contegno da colpevole inerzia ascritto all'amministratore, in difetto di prova che, in seguito al tentativo vanamente tentato di provocare una delibera, egli si fosse reso ulteriormente inerte a fronte delle giuste lagnanze degli attori, che lo diffidarono formalmente unitamente al condominio (vedasi in merito le lettere di diffida in fascicolo attoreo), anche se, ragionevolmente, rientri nella funzione amministrativa l'attività di stimolo e di esortazione dell'assemblea a deliberare sulle questioni riguardanti le parti comuni. Nondimeno, pare doveroso puntualizzare che dal momento della prima delibera in cui veniva discusso il problema caldaia (risalente al lontano 2013), proseguendo sino alla decisione della autorità giudiziaria territoriale (9/12/16) e poi ancora sino alla messa in mora dell'amministratore e del condominio a cura del procuratore incaricato (missiva del Giugno 2018) e della successiva del Dicembre 2018 (entrambe in fascicolo attoreo), andando oltre, sino alla domanda risarcitoria (datata 8/1/21) intercorresse un lasso temporale significativo, nelle cui more, era divenuto chiaro il venir meno dell'interesse dei condomini, o della maggior parte di essi, di portare a compimento l'opera, seppur già votata da precedenti delibere, come desumibile dall'incontestata evenienza, dedotta dal Di., che tutti gli altri condomini si erano dotati di impianto autonomo, risolvendo i problemi di riscaldamento. Tale circostanza rileva non solo quale espressione di volontà della maggioranza dei partecipanti di desistere dalla ormai difficoltosa, se non impraticabile, esigenza di dotarsi di una nuova caldaia condominiale, modificando radicalmente le strategie precedenti, ma soprattutto, essa fu inequivocabile indice che la dotazione di un impianto autonomo fosse attuabile con il benestare della stragrande maggioranza dei condomini, antecedente che avrebbe consigliato anche gli odierni istanti a conformarsi all'indirizzo generale, di fatto già attuato. Peraltro, fu lo stesso Mo. a prendere atto di tale impossibilità materiale, come comunicato nella missiva, sopra indicata, del Dicembre 2018 inviata all'amministratore, in cui si dava atto di tanto, sostituendo all'originaria pretesa ripristinatoria quella risarcitoria. Il che induce alle seguenti riflessioni. Nella struttura complessa che caratterizza i funzionamento del complesso condominiale abitativo, la gestione delle cose comuni indivise che servono le singole unità si determina attraverso la formazione di una volontà comune, secondo le modalità e formalità di legge e con le maggioranze semplici o qualificate previste e disciplinate dalla stessa, a nulla rilevando una (diversa) volontà del singolo, tenuto, in effetti, a conformarsi a quella super individuale, salvo il diritto all'impugnativa in caso di aperte violazioni delle norme che ne regolano il funzionamento, anche in punto meritorio. Va puntualizzato che nel caso in cui l'organo assembleare non sia in grado di funzionare o non si formino le maggioranze di legge, ognuno dei partecipanti può rivolgersi all'autorità giudiziaria per la tutela delle proprie ragioni in caso di lesione, evenienza, peraltro, verificatasi nel caso di specie, come evincibile dal carteggio offerto in visione dalla stessa parte attrice e dall'intervenuta, che approdò in una definizione della corte territoriale, dagli esiti qui consultabili, in cui il CTU incaricato escluse ogni possiblità di pristino dell'impianto esistente, aprendo la via alla ipotesi di dotare il condominio di un nuovo impianto, la cui mancata realizzazione sino all'introduzione del giudizio, fatto pacificamente acquisito, non pare attribuibile alla comunità condominiale né all'amministratore, non essendo emersi elementi certi in tale direzione, constatato, in effetti, che non vi sia traccia in atti di riunioni assembleari successive alla pronuncia. In tal modo non é dato sapere gli sviluppi successivi della vicenda, rimanendo, diversamente, chiaro che la questione rimase priva di interesse all'interno del condominio in seguito al mutamento di strategia dei condomini, di adeguarsi alla realizzazione di un impianto autonomo. La domanda, su tali basi, rimane priva dell'imprescidibile caposaldo qualificante la pretesa aquiliana, dato dalla ricorrenza di un contegno riprovevole, o antigiuridico, pur presupposto, sebbene indimostratamente, da entrambe le difese pretendenti. Inoltre, anche a voler considerare illecita l'omessa realizzazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato quale obbligo incombente sul complesso super condominiale, affermato ripetutamente dagli istanti, stante la sua esplicita previsione nel relativo regolamento, la sua attuazione, costituente innovazione in seguito alla conclamata ( e pronunciata) irrecuperabilità di quello precedente, comportando la necessità che la questione fosse portata all'attenzione dell'assemblea ed ivi discussa, non é certo che ne sarebbe conseguita l'approvazione, in ogni caso necessaria, anche vigendo l'obbligo condominiale di garantire il servizio. Da ciò deriva che gli istanti, pur pregiudicati dall'inerzia degli organi ( di cui si ribadisce non é comprovata l'antigiuridicità), non abbiano un titolo in diritto valido da opporre agli stessi, restando fermo ed indiscutibile il fatto che, a fronte dei necessari tempi di risoluzione (rileva in merito che la questione risale al 2013) e di eventuale attuazione, "interrotti" dalle azioni giudiziarie intraprese, egualmente di nota lunga durata, non abbiano per tempo provveduto ad ovviare all'emergenza, dotandosi di strumenti anche temporanei o, come più ragionevole, di un impianto autonomo, emulando il comportamento degli altri partecipanti, evitando, in tal modo, le nefaste conseguenze lamentate, e conservando il diritto, integro, di agire contro il condominio per le spese e le perdite subite per dotarsene, a parità di condizioni rispetto a tutti gli altri condomini, ovvero contribuendo per la quota spettante per dotare tutti gli appartamenti del medesimo servizio. Ne deriva che se la realizzazione dell'impianto di riscaldamento autonomo comporta una certa spesa per ogni partecipante, la stessa deve rimanere a carico di ognuno, trattandosi di servizio alternativo all'impraticabile pristino di quello centralizzato, sicché l'esborso assunto come necessario per la sua realizzazione non può costituire una voce dannosa direttamente ed immediatamente riconducibile all'evento dannoso. Rileva, in relazione al profilo risarcitorio patrimoniale da spesa occorrente per sanare i locali ammalorati e per quello non patrimoniale, il disposto di cui all'art. 1227 c.c., secondo comma, a mente del quale il risarcimento non é dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando la dovuta diligenza, intesa, secondo le espressioni ermeneutiche più accreditate, non nei termini enunciati dall'art. 1176 c.c., ma quale concreto sforzo per evitare il nocumento attraverso attività personale, oppure mediante un sacrificio economico relativamente lieve (Cass. 12439/91), presupposti la cui sussistenza non é escludibile nel caso di specie. Va dichiarata, del pari, l'irricevibilità della domanda risarcitoria spiegata in riconvenzione dal di Ba., in effetti priva di ogni deduzione sugli elementi che caratterizzano l'azione (egualmente di chiara indole aquiliana) senza alcuna deduzione esplicativa sull'essenza del nocumento asseritamente subito, sulla sua eziologia e natura, senza considerare che non é stata nemmeno supportata da richieste per dimostrarne l'ontologica esistenza, fattore necessario per ogni tipologia risarcitoria, non potendo a tale necessario presupposto supplire la formulazione equitativa, funzionale, in effetti, alla quantificazione sub iudice del nocumento quando questo sia di impossibile esatta quantificazione e non ad esonerare la parte degli oneri dimostrativi sulla stessa incombenti. La pretesa risarcitoria, in definitiva, priva degli elementi che qualificano la fattispecie aquiliana sia in punto di fatto che di diritto, va disattesa, così come la riconvenzionale, assorbite le tematiche insorte nei rapporti tra il convenuto Di. e la Compagnia terza chiamata, mentre le spese, avuto riguardo alla complessità ermeneutica ed alle difficoltà applicative di istituti di diritto attinti alla presente motivazione, possono essere compensate tra tutte le parti in causa. P.Q.M. Il Tribunale, come costituito, definitivamente pronunciando sulla domanda in atti, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, rigetta le domande risarcitorie avanzate dagli attori e dalla parte intervenuta, così come la riconvenzionale spiegata dal Di., assorbita la domanda di manleva promossa dal Di. nei confronti della Compagnia terza chiamata, compensando integralmente le spese di lite tra tutte le parti in causa. Così deciso in Taranto il 3 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, in composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario di Pace, avv. Damiano Matarrelli, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 579/2021 R.G. promossa da St.Gi., rappresentato e difeso dagli avv.ti Lu.De. e Gi.Ru.; - attore - contro Re. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ri.Gu.; -convenuta- OGGETTO: Vizi della cosa venduta Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione in rinnovazione ritualmente notificato, St.Gi. conveniva in giudizio innanzi all'intestato Tribunale la Re. S.p.A. esponendo: a ) di aver acquistato da quest'ultima, nel mese di luglio del 2020, la nuova autovettura Dacia Duster tg. (...)al prezzo di Euro 16.724,00; b) dopo circa una settimana dal ritiro del veicolo, riscontrava una serie di difetti sulla parte meccanica, non visibili e caratterizzati da un fenomeno di ossidazione e conseguente sviluppo di ruggine, come meglio descritti nella propria perizia di parte a firma dell'Ing. Da.Ru., in atti; la Re. S.p.A., preso in carico il veicolo a seguito della tempestiva denuncia dei vizi da parte dell'attore, lo riteneva conforme a quanto previsto dalla casa costruttrice e quindi non abbisognevole di alcuna lavorazione, come da e-mail del 22.9.2020 pure in atti; invano veniva richiesto all'odierna convenuta, a mezzo pec del 24.09.2020, di provvedere alla sostituzione dell'autoveicolo al fine di evitare di chiedere la risoluzione del contratto di acquisto. Chiedeva quindi, in via principale, dichiararsi la risoluzione del contratto di acquisto, con condanna della convenuta alla restituzione della somma di Euro 16.724,00, pari al prezzo di acquisto della vettura già interamente corrisposto, oltre interessi e rivalutazione dall'esborso al soddisfo, ovvero, in via subordinata, ridurre il prezzo di vendita di quanto necessario alla riparazione della vettura, da accertarsi a mezzo di espletanda CTU, con condanna della convenuta al pagamento delle spese e compensi di lite. La Re. S.p.A. si costituiva in giudizio respingendo ogni addebito e chiedendo il rigetto della domanda attorea, con vittoria di spese e competenze di lite. Alla udienza del 05.06.2023 la causa, istruita a mezzo produzione documentale dalle parti e CTU meccanica, veniva riservata in decisione sulle conclusioni delle parti come da verbale in atti e con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Va in primo luogo rilevato come il caso di specie, riguardante un addotto difetto di conformità esistente al momento della consegna di un veicolo acquistato a seguito di un contratto concluso tra una persona fisica (l'attore), che non risulta abbia agito per fini rientranti nell'attività commerciale o professionale eventualmente svolta, e un venditore (la società convenuta), nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, vada regolato dalle norme di cui al c.d. Codice del Consumo ((D.Lgs. n. 206 del 2005), il quale, nel testo vigente all'epoca dei fatti di causa, fra l'altro prevede che: il venditore ha l'obbligo di consegnare al consumatore un bene conforme al contratto di vendita (art. 129, comma 1), ovvero corrispondente alla descrizione, alla quantità, alla qualità e alle altre caratteristiche previste dal contratto e idoneo all'utilizzo voluto dal consumatore; il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene (art. 130, comma 1); il venditore è responsabile, a norma dell'articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene (art. 132, comma 1). Ancora, in presenza di un difetto di conformità del bene, il comma 7 del citato art. 130 mette a disposizione del consumatore, qualora il venditore non abbia provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro un termine congruo, il rimedio della riduzione del prezzo o della risoluzione del contratto, non escludendo la scelta di un rimedio la possibilità di avvalersi di un altro. L'unico limite a tale facoltà di scelta è quindi dato dalla gravità del difetto; nell'ipotesi in cui il difetto non sia tale da pregiudicare l'utilizzo del bene, può pertanto essere richiesta non la risoluzione del contratto, ma la riduzione del prezzo. Ne consegue che, nella fattispecie in esame, legittimamente l'attore si è rivolto alla venditrice Re. S.p.A., unico soggetto con il quale è intercorso il rapporto contrattuale, per chiedere, in caso di accertamento in sede giudiziale del lamentato difetto di conformità del veicolo acquistato, la risoluzione del contratto o, in via subordinata, la riduzione del prezzo. Nel merito, sono rimaste incontestate in giudizio le circostanze addotte dall'attore riguardo alla tempestiva denuncia alla venditrice del difetto di conformità asseritamente riscontrato a distanza di una sola settimana dalla consegna del veicolo, nonché al mancato riconoscimento dell'esistenza del difetto da parte della Re. S.p.A., dopo la sua presa in consegna del veicolo, come peraltro attestato dalla e-mail del 22.09.2020 della convenuta, con la quale l'attore veniva invitato a ritirare il veicolo in quanto "conforme e perfettamente marciante". A mezzo della espletata CTU meccanica, depositata in data 11.01.2023 e da condividersi in quanto immune da vizi sotto l'aspetto tecnico-giuridico (posto che peraltro, al contrario di quanto infondatamente - oltre che tardivamente e irritualmente - eccepito dalla società convenuta nella propria comparsa conclusionale, sono stati pienamente rispettati dal CTU designato i dettami dell'art. 195 c.p.c. in ordine ai termini stabiliti dal giudicante alla udienza di cui all'art. 193 c.p.c., compreso quello della trasmissione alle parti della relazione peritale, avvenuta in data 19.12.2022), può poi dirsi raggiunta la prova, sia pure nei termini di seguito precisati, dell'esistenza, già al momento della consegna del veicolo, del difetto di conformità per cui è causa. Come infatti si legge nella sua relazione, il CTU ha constatato nella vettura esaminata la presenza di ruggine su alcune parti meccaniche (scatola dello sterzo, assale posteriore, ammortizzatori anteriori, braccetti anteriori, montanti sospensione anteriori, tubi di scarico), tale da compromettere la stabilità dell'auto e la sicurezza degli occupanti. Ha riferito ancora il CTU che per eliminare i difetti riscontrati, si rende necessaria la sostituzione di tutti i pezzi intaccati dalla ruggine, per un costo pari ad Euro 4126,58 comprensivo di Iva se dovuta, con 2 giorni e 70 minuti di fermo tecnico. Il CTU ha infine concluso che "dalle verifiche effettuate, e dalla constatazione diretta del bene per cui è causa, si può asserire, che molto probabilmente il bene in questione, dopo la sua produzione ed uscita dalla catena di montaggio è rimasta custodita per tempo indeterminato in modo non idoneo, in ambienti evidentemente umidi e probabilmente anche caratterizzati da rilevanti agenti salini tanto da intaccare tutte le parti meccaniche che sono state visionate". Tanto, perdipiù, ove si consideri che comunque la società venditrice (limitandosi a formulare una richiesta di inammissibile prova testimoniale perché, per un verso, implicante giudizi e valutazioni non demandabili ai testi, nonché, per un altro verso, riguardante fatti genericamente indicati, oltre che irrilevanti ai fini del decidere) non ha dato alcuna prova che il veicolo fosse pienamente conforme, cioè che il difetto lamentato dall'attore fosse sopravvenuto rispetto alla consegna, incombendo su di essa convenuta tale onere, atteso che: "salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che taleipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità" (art. 132, comma 3, del previgente testo Codice del consumo). Sicché alla luce di quanto emerso in sede di istruttoria processuale può trovare accoglimento la domanda dell'attore di riduzione del prezzo del veicolo acquistato, non essendo il difetto di conformità accertato dal CTU di gravità tale da pregiudicare in via definitiva l'utilizzo del veicolo (e quindi tale da giustificare una pronuncia di risoluzione del relativo contratto), ma di possibile correzione mediante la sostituzione dei suoi componenti danneggiati dalla ruggine. Il parametro di riferimento per i criteri da applicare per determinare l'importo della riduzione del prezzo si ritiene possa essere poi quello del costo della sostituzione dei pezzi danneggiati, quantificato dal CTU, come già visto, in Euro 4.126,58, Iva compresa, con un ulteriore costo per il fermo tecnico di 2 giorni e 70 minuti riconosciuto dal CTU che si liquida in via equitativa in Euro 300,00, per un ammontare complessivo di Euro 4.426,58 (Iva compresa per l'acquisto dei pezzi di ricambio), da sottrarre al prezzo di vendita del veicolo di Euro 16.724,00 già corrisposto interamente dall'attore (come peraltro emerso in corso di causa a seguito allegazione in atti della ricevuta del bonifico di Euro 7.700,00, eseguito dall'attore in data 15.07.2020 in favore della Re. S.p.A. a titolo di saldo dell'acquisto), nonché da rimborsare all'attore con gli interessi legali dal dì della proposizione della domanda al soddisfo. L'accoglimento della domanda attorea nei termini sopra emarginati giustifica infine la compensazione per un terzo fra le parti delle spese e compensi di lite, che si liquidano come in dispositivo, ad eccezione del costo della espletata CTU meccanica nella misura liquidata con separato decreto e che in via definitiva si pone interamente a carico della società convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Taranto, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1) Accoglie, per quanto di ragione, la domanda attorea e, per l'effetto, riduce il prezzo di vendita della vettura Dacia Duster tg. (...)della somma di Euro 4.426,58 (Iva compresa per l'acquisto dei pezzi di ricambio) e, per l'effetto, condanna la convenuta Re. S.p.A. a rimborsare all'attore St.Gi. la ridetta somma di Euro 4.426,58, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo; 2) Compensa per un terzo tra le parti le spese e i compensi di lite, che si liquidano per l'intero in complessivi Euro 2.900,00, condannando la convenuta Re. S.p.A. al pagamento dei restanti due terzi, oltre rimborso forfettario e tributi di legge, con distrazione in favore dell'avv. Avv. Gi.Ru., codifensore dell'attore dichiaratosi anticipatario. 3) Pone definitivamente a carico della convenuta Re. S.p.A. il pagamento della espletata CTU meccanica, come liquidata con separato decreto. Così deciso in Taranto l'8 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TARANTO - SEZ. II CIVILE Il Giudice Delegato, in composizione monocratica, nella persona del G.O. Dott. Antonio Taurino, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile in primo grado, iscritta nel ruolo contenzioso civile al n. 1549/2021 R.G., avente ad oggetto opposizione a precetto di pagamento delle rate di rientro della convenzione di mutuo intercorsa inter partes, riservata per la decisone all'udienza del 5/12/23, vertente tra: La. SOC. COOP. EDILIZIA A r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché Ca.Fr., entrambi rappresentati e difesi in giudizio dagli avv.ti M.Li. e M.Co. per mandato in atti ATTORI IN OPPOSIZIONE E Pe. srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. F.Pa. per mandato in atti CONVENUTA OPPOSTA FATTO Con atto ritualmente notificato, opponevano parti intimate (ex art. 615-617 c.p.c. ai sensi del capoverso, vertendosi in ipotesi di esecuzione non ancora iniziata) il precetto di pagamento loro notificato il 3/11/20 per l'importo di Euro 51734,51, eccependone la nullità per assunta insussistenza del diritto del creditore di agire in executiviis (relativa credito dall'opposta società acquistato da Gr.In. nell'ambito di una operazione di cessione cartolarizzata) e fondato sulla convenzione di mutuo fondiario stipulato il 16/9/04, garantito da ipoteca, successivamente, giusta atto del 29/9/06, frazionata in lotti, dei quali i numeri 6 e 13 ( ricadenti su beni, rispettivamente, di proprietà Ca. e Ba.) sarebbero oggetto dell'intimazione per omesso pagamento del relativo credito, tanto da determinarne la risoluzione anticipata. A sostegno causale della pretesa oppositiva, evidenziavano: - l'inidoneità degli atti pubblici sottesi all'intimazione a fungere da titolo esecutivo, imprescindibile condizione dell'azione espropriativa, contenente un credito certo, liquido ed esigibile; - il difetto di legittimazione passiva dei sigg.ri Ba. e Ca.; - gradatamente, l'insussistenza della pretesa creditoria nell'an e nel quantum, pregressa violazione degli artt. 1346, 1418, 1419 e 1284 c.c., presenza di usura ex art. 644 c.p.; - nullità del contratto di mutuo e del successivo frazionamento per violazione degli artt. 2, 14,20, 33 e 34, L. n. 287 del 1990, art. 41 Cost., e art. 101 del Trattato UE, 2697 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c. e della disciplina antitrust. Su tali postulati impeditivi, lamentandosi, altresì, l'improcedibilità dell'atto di precetto per mancata notificazione preventiva del titolo esecutivo, concludeva, previa concessione della sospensiva cautelare dell'efficacia esecutiva del titolo, per la declaratoria di nullità/annullabilità/illegittimità del contratto di mutuo, nonché per la nullità del precetto per difetto di legittimazione passiva dell'opponente Ca.Fr., per la declaratoria di insussistenza del credito in ragione delle eccezioni di nullità sollevate in atti, gradatamente per la operatività della compensazione di quanto pagato dagli opponenti sul minor dovuto all'intimante, reclamando un credito in favore della società pari ad Euro 33789,42, salvo l'importo di giustizia, vinte le spese con distrazione. La pretesa veniva resistita dall'intimante, che, premettendo la sussistenza dell'esposizione debitoria dell'opponente società nei limiti domandati in precetto, per non aver essa rispettato i termini di adempimento contrattualmente pattuiti, precisando che la notificazione dell'intimazione anche ai terzi datori di ipoteca fosse atto dovuto per legge, affermata recisamente la valenza di titolo esecutivo del contratto di muto fondiario, sostenuta la legittimazione passiva del Ca. al processo esecutivo, giusta previsione ex artt. 602-604 c.p.c., puntualizzando la natura meramente processuale dell'intimazione per quanto rivolta nei confronti dei soggetti non debitori (in effetti solo notiziati e non intimati del pagamento), negata fondatezza alle allegazioni difensive di parte sa in punto di diritto che contabile (censurando la perizia di parte attrice sia in metodo che nel merito (soffermandosi in particolare sulla determinatezza e certezza delle pattuizioni inerenti agli interessi), esclusa la pattuizione di interessi oltre il tasso soglia e di ogni ascritta illegittimità del contratto stesso, sostenuta l'ultorneità della transizione difensiva opponente su presunte violazioni della disciplina antitrust (non vertendosi in ipotesi di fideiussione), concludeva per il rigetto dell'infondata opposizione, gradatamente, in caso di denegato accoglimento, anche parziale, delle altrui eccezioni, per la condanna dell'opponente alla ripetizione dell'importo accertato, vinte le spese. Pronunciata la sospensiva cautelare per i motivi meglio delineati nell'ordinanza del 10/5/21, disposta ed espletata CTU tecnico contabile, la causa veniva rimessa a decisione sulle rassegnate conclusioni, rinunciati congiuntamente i termini di difesa ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI In limine va disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ca. in proprio, noto che, in tema espropriativo ex artt. 602 segg. c.p.c., il titolo esecutivo ed il precetto devono essere notificati al terzo proprietario, quando oggetto dell'espropriazione é un bene gravato da ipoteca per un debito altrui, poiché il secondo é tenuto ad adempiere ed il primo risponde, con bene ipotecato dell'eventuale inadempimento, e ciò anche se, secondo il sistema delineato, il pignoramento e gli altri atti esecutivi debbono essere compiuti nei soli confronti del terzo proprietario, unico legittimato passivo dell'espropriazione (Cass. 20580/2007, a conferma della risalente 4369/78)". Su tali presupposti, il terzo datore di ipoteca deve intendersi legittimato passivo formale della preannunciata esecuzione. Con riferimento all'eccezione di omessa notificazione preventiva del titolo esecutivo, pare chiaro che parte opponente non abbia contestato la sua ontologica inesistenza quanto la inidoneità del contratto di mutuo stesso a fungere da titolo esecutivo, che, in tale spiegata dimensione, pare confliggere con le previsioni di legge, essendo tale documento considerato a tutti gli effetti quale titoli legittimante l'esecuzione, giusta previsione ex art. 474 c.p.c., comma 2, n. 3, che ricomprende tra i titoli che legittimano l'esecuzione forzata di cui al capoverso, anche "gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato a riceverli". Per quanto attinente all'omessa formalità di notifica in sé, va evidenziato che l'art. 41 TUB parrebbe derogare alla previsione di cui all'art. 603 c.p.c., disponendo esplicitamente che in tema di crediti di carattere fondiario non occorra la preventiva notifica del titolo esecutivo, enunciato che puo opinarsi prevalere, quale norma speciale, su quella codicistica (rimanendo superata, dunque, la motivazione di cui all'ordinanza scrutinata, che, per altro profilo, non può inficiare la decisione definitiva, nota la mera strumentalità/provvisorietà che caratterizza i provvedimenti interinali). Ciò anche se, in tema, la giurisprudenza non pare univoca, rilevandosi un precedente di merito orientato nella direzione sposata dalla difesa opposta (Trib. Napoli, n. 9686/21, citata in atti dalla società opposta), mentre alcun approfondimento specifico ha inteso elaborare in merito l'opponente, che, in effetti, ha inteso soffermarsi prettamente sulle tematiche sostanziali, dimostrando, in tal modo, di attribuire interesse marginale alla questione, come evincesi, peraltro, dalla mancata trasfusione della causale impeditiva in una conclusione specifica (vedasi atto di citazione, conclusioni meritorie). Infine, e ciò pare dirimente, in applicazione del principio di strumentalità delle forme, tale questione si palesa come causale neutra in chiave deifinitoria, considerato che la parte opponente non ha lamentato, a parte la mera lesione del contraddittorio, alcuna ragione per la quale tale lesione abbia comportato l'ingiustizia del processo, causata dall'impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette (considerato allegato difensivo necessario ai fini dell'ammissibilità dell'opposizione agli atti da Cass. 24532/09, conf. 22279/10, per cui, nel caso, sarebbe addirittura inammissibile l'opposizione per difetto di interesse). L' eccezione, non sostenuta, in effetti, dalla prospettazione di un pregiudizio concretamente scaturente dall'omesso compimento della formalità (tenuto conto che la parte ha potuto difendersi compiutamente), va disattesa, rimanendo, tuttavia, fermi e salvi i rilievi di nullità mossi dalla difesa opponente avverso il contratto di mutuo/titolo esecutivo, e per la cui delibazione va attinto alle risultanze peritali. Il CTU, con elaborato di alto profilo, congruamente motivato, anche approfondito in sede di risposta alle osservazioni delle parti, quindi condiviso nel metodo e nel merito, dimostrando di aver colto le esigenze di indagine trasfuse nei quesiti conferiti, elaborando il calcolo del TEG sulla base dei criteri contabili indicati (tenendo conto degli orientamenti giurisprudenziali in tema) previa verifica di conformità delle pattuizioni contrattuali alle previsioni di di legge (escludendo, dunque, ogni violazione delle previsioni di cui agli artt. 1346, 1418, 1419 e 1284), verificava che il tasso stabilito non fosse superiore al tasso soglia, evidenziando, sul punto, le "pecche" metodologiche della perizia di parte, mentre l'esigenze di ricalcolo del dare/avere tra le parti veniva frustrata dalla mancanza in atti attorei (che, quale pretendente, se ne doveva fare carico in attuazione delle regole ripartitorie degli oneri probatori), di modo che non é ricevibile la domanda mirata a ricalcolare il dare avere riferita al lotto per cui il CTU riscontrava una lieve differenza tra il pattuito e quello concretamente applicato, comunque sempre inferiore al tasso soglia ed in ogni caso riguardante uno dei lotti risultanti dal frazionamento non oggetto di intimazione. Va, per quanto argomentato, disattesa, egualmente, la domanda di nulità del contrato di mutuo per violazione della normativa antitrust, esclusi i presupposti per dare ingresso a tale tipologia contestativa, e così anche per gli ulteriori profili di illegittimità eccpiti nel capo 4) del libello introduttivo, avuto riguardo alla mancanza di ogni elemento integrante l'ascritta illegittimità sulla base degli allegati difensivi sviluppati a sostegno. La domanda avversativa va, in definitiva, disattesa, mentre le spese, avuto riguardo al quadro estremamente frammentario e disomogeneo che caratterizza gli arresti giurisprudenziali nella materia specifica, possono essere compensate per il 50%, con ripetizione del residuo a carico della soccombente (esclusa, diversamente, per il Ca., in effetti mero partecipante formale al giudizio), tenuto conto dei criteri tariffari e dell'attività difensiva effettivamente compiuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinta o assorbita ogni contraria istanza ed eccezione, revoca l'ordinanza di sospensione della efficacia esecutiva del titolo, rigettando la domanda di opposizione in tutti i capi esplicitati in atto di citazione, dichiarando, in accoglimento della riconvenzionale spiegata dall'opposta nel primo capo delle conclusioni meritorie di cui alla comparsa di risposta, la legittimità e la valenza di titolo esecutivo del contratto di mutuo e del successivo atto di erogazione e quietanza di cui in atti, condannando la sola società la N.C. Soc. Coop. Edilizia a r.l. al pagamento del 50% delle spese di lite in favore dell'opposta Pe. srl, che si liquidano, già ridotte in frazione, in Euro 3000,00, di cui nulla per borsuali, oltre 15%, nonché IVA e CAP, se dovuti, come per legge, dichiarando compensata la residuale quota, con ulteriore declaratoria di compensazione integrale delle stesse nei rapporti tra l'opposta con il Ca.Fr.; - pone le spese da CTU definitivamente a carico della medesima soccombente parte opponente. Così deciso in Taranto il 2 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'8 gennaio 2024.
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