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Tribunale di Terni, Sentenza n. 713/2024 del 16-09-2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa (...) rel. dott.ssa (...) dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2022 promossa da: (...) nato a (...) il (...), con il patrocinio dell'avv.to (...) con elezione di domicilio presso il difensore come da procura in atti; RICORRENTE E (...) nata a (...) il (...), con il patrocinio dell'avv.to (...) con elezione di domicilio presso il difensore come da procura in atti; RESISTENTE e con l'intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale OGGETTO: cessazione degli effetti civili del matrimonio (...) Per parte ricorrente: "a) confermarsi l'affidamento condiviso dei figli, con collocamento prevalente presso la madre; b) in forza dell'affidamento condiviso dei figli, disporsi che l'assegno unico e universale spettante venga diviso paritariamente tra i genitori; c) confermarsi il diritto del (...) di tenere con sé i figli ogni qual volta lo vorrà, previo l'accordo della (...)ra (...) e compatibilmente con le esigenze scolastiche e ricreative dei figli, anche in modo da salvaguardare il diritto dei figli al rapporto con i nonni e le famiglie paterna e materna, e prevedersi che, in caso di disaccordo, il diritto di visita del (...) venga esercitato come segue: - a settimane alterne dalle ore 18.00 del venerdì fino alla domenica sera successiva non oltre le 22:00, con pernottamento nelle notti di venerdì e di sabato; - una sera nella settimana in cui potrà tenerli con sé per il fine settimana, nel giorno di mercoledì, dalle ore 18:30 non oltre le 22:00 nel periodo invernale e non oltre le 22:30 nel periodo estivo; - due sere nella settimana in cui i figli rimarranno con la madre per il fine settimana, nei giorni di martedì e giovedì dalle ore 18:30 non oltre le ore 22:00 in orario invernale e 22:30 in orario estivo; - tre settimane, anche non consecutive, nel mese di agosto, in periodo da comunicarsi alla madre entro il 30 maggio di ogni anno; - una settimana (7 giorni continuativi) nell'arco del resto dell'anno; - durante le festività natalizie i figli staranno, ad anni alterni, dal 23 dicembre al 29 dicembre con un genitore e dal 30 dicembre al 6 gennaio dell'anno successivo con l'altro genitore; - durante le festività pasquali i figli staranno, ad anni alterni, l'intero periodo di vacanza dei figli con un genitore e l'anno successivo con l'altro; d) porsi a carico del (...) l'onere di mantenimento ordinario dei figli: - corrispondendo Euro 550,00 mensili, oggetto di adeguamento (...) da versarsi entro il giorno 5 di ogni mese, per ciascun figlio che viva presso la (...)ra (...) con l'eccezione del mese di agosto; - nel mese di agosto, in ragione della permanenza prevalente dei figli presso il padre (3 settimane su 4), corrispondendo Euro 200,00, oggetto di adeguamento (...) da versarsi entro il giorno 5 del mese, per ciascun figlio che viva presso la (...)ra (...) - nei mesi in cui dovesse trovarsi in missione all'estero per oltre 20 giorni continuativi, corrispondendo l'importo aggiuntivo mensile di Euro 300,00 per ciascun figlio che viva presso la (...)ra (...) e) confermarsi che ciascun genitore si faccia carico del 50% delle spese di natura straordinaria di cui al (...) del Tribunale di Terni, e con la precisazione che le spese di baby-sitter verranno ripartite a metà tra i coniugi solo se espressamente concordate e in ipotesi di malattia dei figli o della (...)ra (...) In presenza delle suddette spese, il relativo rimborso, da parte del genitore che non abbia provveduto all'anticipazione e a favore del genitore che abbia provveduto alla spesa, dovrà essere eseguito mensilmente, entro il giorno 5 del mese successivo all'avvenuta documentazione, a mezzo bonifico. f) nulla si preveda a titolo di assegno divorzile a favore della (...)ra (...) rigettando la relativa domanda avversaria; g) in ogni caso, rifuse le spese. Insiste per le prove orali non ammesse in particolare per l'interrogatorio formale della resistente". Per parte resistente "(...) delle condizioni di cui al provvedimento presidenziale del 20.7.2022 e in via subordinata accogliere le domande formulate dalla resistente nella memoria del 22.3.2022" Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato il (...), (...) ha chiesto che il Tribunale pronunci la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in (...) il (...) con (...) esponendo che dall'unione sono nati i figli (...) nato il 26 maggio 2006, e (...) nata il 28 giugno 2010, deducendo di vivere ininterrottamente separato dalla coniuge in virtù di separazione giudiziale pronunciata con sentenza n. (...)/2019 divenuta definitiva, emessa su conclusioni congiunte delle parti. Il ricorrente ha quindi chiesto la conferma delle condizioni di affidamento condiviso dei figli minori (chiedendo l'ampliamento dei tempi di permanenza presso di sé), la conferma dell'assegnazione alla resistente della casa familiare, e delle modalità di mantenimento dei minori (Euro 474 mensili per ciascun figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie), e chiedendo il rigetto dell'eventuale richiesta di assegno divorzile formulata dalla controparte con revoca dell'assegno di mantenimento (determinato in sede (...)Euro 400 mensili). Con vittoria di spese. Si è costituita (...) non opponendosi alla domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio sussistendone i presupposti di leggi, rimettendosi alle decisioni del Tribunale quanto all'ampliamento delle modalità di frequentazione padre figli, ma formulando proprie e diverse domande accessorie rispetto a quelle formulate dalla controparte in merito alle modalità di mantenimento dei minori chiedendo l'aumento del contributo da determinare in Euro 550,00 mensile per ciascun figlio, oltre al 60% delle spese straordinarie, e chiedendo l'imposizione a carico del ricorrente di assegno divorzile in proprio favore di euro 600,00 mensile, ovvero della somma maggiore o minore che risulterà di giustizia; chiedendo, inoltre, di disporre che durante il periodo di missione all'estero e per tutta la durata dello stesso, fosse posto a carico del ricorrente contributo mensile per il mantenimento dei figli pari a Euro 600,00 mensili complessive in aggiunta alle somme sopra indicate, al fine di sopperire alla protratta assenza e all'impossibilità per il medesimo di poter avere presso di sé i minori; con vittoria di spese da distrarsi. All'udienza presidenziale sono comparse le parti dichiarando: il ricorrente di risiedere in immobile in locazione con canone di Euro 450,00; di percepire come ufficiale dell'(...) reddito mensile netto di euro 4.000 per 13 mensilità, di essere proprietario del 50% di immobile in (...) provento eredità; e della nuda proprietà al 50% di immobile in (...) di avere risparmi per circa Euro 80.000; e di avere spese per Euro 483,16 per rata di mutuo, spese per locazione di Euro 450,00, e ulteriori spese; la resistente di vivere nella ex casa familiare in comproprietà con i figli, con rata di mutuo corrisposta dal ricorrente; di percepire come insegnate precaria reddito mensile medio di Euro 1.200 e Naspi estiva pari a circa 75% della retribuzione; di essere proprietaria del 65% casa familiare; di avere modestissimi risparmi (Euro 1.000/1,500), di non avere esposizioni debitorie. All'esito dell'udienza presidenziale, in considerazione dell'incremento dei redditi percepiti dalla resistente rispetto alla data della separazione, della richiesta del ricorrente di incrementare le frequentazioni con i figli, e di quella della resistente di aumentare il contributo a carico del padre nei periodi di permanenza all'estero per missioni di lavoro, sono state parzialmente confermate le condizioni della separazione, prevedendo alcune modifiche: un ampliamento delle modalità di frequentazione padre figli (per la serata del venerdì nei fine settimana di spettanza, e per 3 settimane continuative nel mese di agosto, oltre a un ulteriore periodo di 7 giorni continuativi nei restanti mesi dell'anno); l'aumento ad Euro 550,00 mensili del contributo per ciascuno dei figli (oltre (...) annuale); la riduzione ad Euro 250,00 mensili (oltre (...) annuale) con decorrenza dalla data della decisione (luglio 2022) del contributo al mantenimento della resistente; l'imposizione a carico del resistente di contributo ulteriore (da aggiungere al contributo mensile) per il mantenimento dei due figli di Euro 600 mensili, per ogni mese di missione all'estero superiore a 30 giorni con decorrenza dalla data della domanda (marzo 2022). Nel corso del giudizio è stata emessa, in data (...), sentenza parziale di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti n. (...)/2023. Acquisite le memorie istruttorie e la documentazione reddituale e bancaria delle parti, sono state ammesse le prove richieste ed escussi i testi sulle circostanze ammesse. All'esito dell'istruttoria la decisione è stata rimessa al Collegio con termine per il deposito di comparse conclusionali e repliche. Dato atto della emissione di sentenza parziale n. (...)/2023 di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti devono essere decise le domande accessorie. Il Collegio deve dare atto della produzione da parte della difesa della resistente di una nota, depositata in data successiva alla scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali, nella quale si evidenzia la partenza del ricorrente all'estero per un periodo prolungato per una missione di lavoro. Tale allegazione non impone la verifica della sua rispondenza al vero, poiché già nella presente decisione (cfr. infra) viene disciplinata l'eventualità della permanenza del padre all'estero per motivi di lavoro, evenienza già considerata nei provvedimenti presidenziali (supra). Preliminarmente il Collegio ritiene pienamente istruita la causa condividendo le valutazioni emesse dal GI in tema di ammissione di istanze istruttorie che devono ritenersi richiamate, con conseguente rigetto delle richieste del ricorrente di disporre ulteriore istruttoria. Affidamento dei figli minori Non sussiste contrasto tra le parti né quanto alle modalità di affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, né quanto al collocamento prevalente dei minori presso l'abitazione materna. Per quanto esposto deve essere confermata la situazione attuale con affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori e collocamento prevalente presso l'abitazione della madre. Quanto alle modalità di frequentazione padre figli, non sono emerse difficoltà a seguito dell'ampliamento dei tempi di frequentazione disposti con provvedimento presidenziale. Devono pertanto essere confermate le modalità di frequentazione padre figli, vigenti. Assegnazione della casa familiare (...) essere confermata l'assegnazione della casa familiare a (...) in quanto genitore convivente con i figli. Contributo al mantenimento dei figli (...) alle condizioni di mantenimento dei figli il Collegio ritiene di confermare le statuizioni disposte nei provvedimenti provvisori. Entrambe le parti hanno concluso concordemente chiedendo la conferma del contributo al mantenimento dei figli come determinato in sede di provvedimenti presidenziali (Euro 550 mensili per ogni figlio), oltre al 50% delle spese straordinarie. Parimenti vi è convergenza tra le conclusioni delle parti quanto alla conferma del contributo aggiuntivo da porre a carico del padre per il mantenimento della prole nei periodi di permanenza all'estero per missioni di lavoro, quanto tale periodo superi un determinato lasso temporale (individuato dal ricorrente nelle conclusioni in 20 giorni). Tale statuizione deve essere accolta confermando sul punto quanto disposto in sede di provvedimenti provvisori con la precisazione che l'importo aggiuntivo di Euro 300 mensili per ciascun figlio sarà dovuto dal padre come dallo stesso richiesto per missioni superiori a 20 giorni (trattandosi di statuizione favorevole ai minori e pertanto da recepire). Parimenti non sussiste contrasto quanto alla suddivisione delle spese straordinarie tra le parti nella misura del 50% ciascuno, dovendo essere richiamato il (...) in essere nel presente Tribunale in relazione alla individuazione delle spese straordinarie. Per l'assegno unico in presenza di affidamento condiviso deve essere applicata la disciplina legale. Unico elemento di contrasto è rappresentato dalla richiesta del ricorrente di ridurre l'assegno mensile da corrispondere nel mese di agosto in ragione della permanenza dei figli presso di sé per 3 settimane. Tale richiesta non può essere accolta poiché occorre considerare che l'assegno di mantenimento consente al genitore stabilmente convivente con i figli di far fronte alle spese periodiche di permanenza presso la di lui abitazione, con necessità pertanto di prevedere certezza di entrate anche con riferimento all'unico mese in cui i minori permangono per maggior tempo presso l'abitazione del padre. La richiesta del ricorrente deve essere pertanto rigettata. Alla luce delle risultanze sopra riportate, considerate le maggiori disponibilità reddituali del ricorrente il quale percepisce reddito lordo annuo pari a 4,5 volte il reddito lordo annuo percepito dalla resistente (cfr. infra), valutate le disponibilità patrimoniali delle parti, valutati i costi gravanti sul ricorrente le statuizioni emesse all'esito dell'udienza presidenziale devono essere confermate, risultando eque e congrue. (...) essere quindi confermato il contributo per il mantenimento della prole determinato in Euro 550 per ciascun figlio (oltre (...) annuale) e oltre al 50% delle spese straordinarie. Affinché l'importo predetto rimanga adeguato anche in futuro, si dispone che esso sia aggiornato automaticamente ogni anno secondo gli indici del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati elaborati dall'(...) unico deve essere ripartito al 50% tra i genitori. (...) essere disposto che il padre corrisponda alla madre importo mensile di Euro 300 per ciascun figlio (Euro 600 complessivi) in aggiunta al contributo mensile ordinario, in caso di assenza per missioni lavorative (nazionali o estere) che lo portino lontano dall'abitazione di residenza per periodi uguali o superiori a 20 giorni e ciò per supplire alla mancata presenza ed al mantenimento ordinario che consegue alla regolare frequentazione della prole. Assegno divorzile Le richieste delle parti divergono quanto alla domanda di assegno divorzile formulata dalla (...) nella misura di Euro 250 mensili, ed alla richiesta di rigetto di tale istanza formulata dal (...) quanto statuito nella pronuncia delle (...) della Corte di Cassazione, n. 18287, dell'11.7.2018, in materia di natura e presupposti dell'assegno divorzile (cfr. sentenza Tribunale d (...) del 21 settembre 2018): "(...) alla natura dell'assegno divorzile il Collegio di legittimità, rilevando come "lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare", ha ritenuto di riconoscere a tale contributo periodico una funzione composita, l'unica che consentirebbe di valorizzare l'intero contenuto dei criteri indicati nell'art. 5, comma 6, l. 898/1970, riconoscendo sia natura assistenziale (fondata sui parametri delle "condizioni dei coniugi" e del "reddito di entrambi") sia natura compensativo-perequativa (considerando il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla condizione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi i partner), sia natura risarcitoria (rilevando le ragioni della decisione) criterio quest'ultimo che seppure evocato nella motivazione della decisione sembra, comunque, assurgere ad un ruolo meno rilevante, stante la mancata sua riproduzione nel principio di diritto enunciato nella parte finale della decisione. Il fondamento di tale conclusione è da rinvenire, secondo il Collegio di legittimità nella necessità di mantenere rilevanza, anche nella fase dello scioglimento del matrimonio al principio di pari dignità dei coniugi "dovendo procedersi all'effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune ed alla formazione del profilo economico patrimoniale dell'altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l'entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costituzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all'assolvimento dei doveri indicati nell'art. 143 c.c.. Tali decisioni costituiscono l'espressione tipica dell'autodeterminazione e dell'autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost., la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio". (...) ermeneutica fatta propria dalla Corte di legittimità, pienamente condivisa dal Collegio, consente dunque al giudice di merito di verificare la domanda di assegno divorzile alla luce delle risultanze delle scelte operate dalle parti in costanza di matrimonio, non annullando la pregressa vita coniugale; gli ormai ex coniugi non devono essere considerati come monadi senza passato, ma come persone con una precisa storia passata, presente e futura che è la risultante di scelte pregresse condivise e di una parte di vita trascorsa in comune, scelte e percorso di vita che hanno inevitabilmente contribuito a dar vita alla situazione personale, reddituale e patrimoniale di ciascuno degli ex coniugi, anche dopo lo scioglimento del vincolo. E ciò nel pieno rispetto del "modello costituzionale del matrimonio, fondato sui principi di uguaglianza e pari dignità dei coniugi". Non dare rilevanza al passato coniugale, finirebbe per svilire il lavoro domestico vanificandone il ruolo, con conseguente negazione della pari dignità dell'ex coniuge che per scelta comune si sia dedicato in via esclusiva o prevalente all'accudimento dell'altro, della casa, dell'eventuale prole." Per dare concreta applicazione ai principi enunciati occorre partire dall'accertamento dell'esistenza e dalla quantificazione dell'entità dello squilibrio determinato dal divorzio mediante la ricostruzione della situazione economico patrimoniale dei coniugi. Ricostruita la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, occorrerà valutare se sussista una sperequazione e in presenza della stessa, per accertare la fondatezza della domanda formulata dal coniuge debole, verificare "il parametro sulla base del quale deve essere fondato l'accertamento del diritto che ha natura composita, dovendo l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarli per ragioni obiettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6, in quanto rilevatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza". Data la natura perequativo compensativa dell'assegno divorzile, che si affianca alla natura assistenziale, l'oggetto del giudizio non potrà essere limitato "a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti...dovendo procedersi all'effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell'altra parte anche in relazione alle potenzialità future". Nella sentenza n.11178/2019 del 15 marzo 2019, la Suprema Corte per riaffermare i principi espressi nella decisione delle (...) ha precisato che nel calcolo dell'assegno divorzile il giudice "a)procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri officiosi ala comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 5, comma 6, prima parte, della legge n.898/1970, e, in particolare, se quella sperequazione sia, o, meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato." Occorre, pertanto, preliminarmente determinare la situazione economico reddituale delle parti per verificare se sussista la richiesta sperequazioni. Il ricorrente ufficiale dell'esercito, ha dichiarato i seguenti redditi: dichiarazione dei redditi 2019 reddito complessivo lordo Euro 68.224; dichiarazione dei redditi 2020 reddito complessivo lordo Euro 77.348; dichiarazione dei redditi 2021 reddito complessivo lordo Euro 89.160; dichiarazione dei redditi 2022 reddito complessivo lordo Euro 88.538; dichiarazione dei redditi 2023 reddito complessivo lordo Euro 99.181; corrispondenti allo stato a reddito mensile netto pari a circa Euro 5.000,00/5.200,00 (cfr. estratti di conto corrente in atti); ha risparmi per circa Euro 80.000; è proprietario del 50% della casa in (...) (pervenuta per eredità) e del 50% di nuda proprietà di altro immobile sempre in (...) è gravato da costo di Euro 483,00 mensili per il pagamento di una rata di mutuo gravante sulla casa familiare (di proprietà della resistente e dei figli delle parti); di Euro 450,00 mensili per il canone di locazione della casa di abitazione; di Euro 58,00 mensili per assicurazione familiare; dei costi mensili per recarsi sul luogo di lavoro in (...) quantificati in circa Euro 250 mensili (quantificazione che appare congrua). Nei casi di missioni all'estero percepisce indennità aggiuntive. La resistente, insegnate precaria, ha dichiarato i seguenti redditi (precisando che sono riportati i soli redditi da lavoro, senza computare i redditi da assegno coniuge dalla stessa percepiti in forza della sentenza di separazione e dei provvedimenti provvisori di divorzio): dichiarazione dei redditi 2019 reddito complessivo lordo Euro 8.400; dichiarazione dei redditi 2020 reddito complessivo lordo Euro 16.162; dichiarazione dei redditi 2021 reddito complessivo lordo Euro 17.750; dichiarazione dei redditi 2022 reddito complessivo lordo Euro 15.045; dichiarazione dei redditi 2023 reddito complessivo lordo Euro 20.168; pari allo stato a reddito netto mensile di circa Euro 1400/1500, è comproprietaria, con i figli, della casa familiare gravata da rata di mutuo corrisposta dal resistente, non ha consistenti risparmi. Ricostruita la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, emerge con evidenza la maggiore consistenza delle disponibilità reddituali del ricorrente rispetto a quelle della resistente, superiori di 4 volte e mezzo (comparando i redditi lordi). Accertata la sussistenza dello squilibrio economico patrimoniale a vantaggio del (...) occorre procedere seguendo quanto precisato dalla Suprema Corte sul punto alla "effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell'altra parte anche in relazione alle potenzialità future" (cfr. supra). Risulta incontestato che per gran parte del matrimonio la (...) non ha svolto attività lavorativa. Dall'istruttoria espletata è emerso che la (...) laureatasi nel 2003, prima della celebrazione del matrimonio (2005), per il periodo dal 2003 al 2055 ha svolto attività lavorativa, in quanto assunta a tempo indeterminato presso una società di (...) Nel 2005 a seguito del trasferimento del marito in (...) si è licenziata. Nato il figlio primogenito, la resistente si è dedicata alla crescita del figlio, per i 5 anni di permanenza nella città di (...) Dopo la nascita della seconda figlia nel 2010, a seguito di nuovo trasferimento del marito in (...) la famiglia si è trasferita prima provvisoriamente in (...) ed infine a (...) città scelta per consentire al marito per spostarsi agevolmente in treno verso il luogo di lavoro in (...) (attualmente in (...). Dall'istruttoria espletata sono stati provati sia la cessazione dell'attività lavorativa svolta dalla moglie al momento del matrimonio dopo il trasferimento in (...) sia i trasferimenti del nucleo familiare a seguito delle trasferte del marito. Il teste (...) cugino del ricorrente, ha confermato il trasferimento a (...) la presenza di una colf di ausilio della famiglia nell'esecuzione dei lavori domestici, la rinuncia da parte del ricorrente ad una importante proposta di lavoro che avrebbe implicato il trasferimento all'estero della famiglia, il rilevante impegno lavorativo del ricorrente (lavoro a (...) dalle 6 del mattino alle 20 della sera), che non avrebbe comunque impedito al (...) di essere un padre presente ed accudente. Il teste (...) ha confermato il trasferimento della famiglia in (...) con conseguente cessazione dell'attività lavorativa a tempo indeterminato svolta dalla figlia in (...) la successiva scelta della famiglia una volta avvenuto il trasferimento lavorativo del (...) in (...) di lasciare (...) dove erano temporaneamente tornati per reperite abitazione in (...) e ciò al fine di consentire al (...) di raggiungere il luogo di lavoro in treno e non in auto. Il teste (...) fratello del ricorrente, ha riferito della offerta di carriera giunta al (...) che avrebbe implicato trasferimento all'estero rifiutata per la necessità di seguire i figli piccoli, la presenza nell'abitazione di (...) di una colf, limitandosi il teste a riferire altre circostanze secondo quanto appreso dallo stesso (...) risiedendo il teste in (...) La teste (...) amica della resistente ha confermato lo svolgimento di attività lavorativa a tempo indeterminato da parte della resistente subito dopo la laurea e nei primi anni del matrimonio, con cessazione di tale occupazione al momento del trasferimento a (...) l'impegno domestico della resistente sia a (...) sia a (...) (città scelta per favorire gli spostamenti lavorativi del marito), e la scelta di lasciare (...) la città di origine della (...) dove la famiglia si era temporaneamente trasferita da (...) Riportati sommariamente gli esiti delle dichiarazioni dei testi risulta provato che la (...) ha lasciato l'attività lavorativa svolta, al momento del trasferimento del marito in (...) La circostanza, da ritenersi pienamente provata, che la famiglia era aiutata da una colf per l'esecuzione delle faccende domestiche non può far ritenere che tale ausilio esonerasse totalmente la resistente dai gravosi compiti di accudimento di due minori in luogo lontano dalla famiglia di origine della (...) La resistente ha iniziato a svolgere attività lavorativa solo nel corso del procedimento di separazione come insegante precaria. Né può ritenersi rilevante ai fini della presente decisione la rinuncia da parte del (...) alla opportunità di trasferimento all'estero per lavoro, pienamente provata, poiché tale scelta non ha comunque pregiudicato la carriera dello stesso, in quanto il ricorrente ha raggiunto una posizione retributiva di 4,5 volte superiore a quella della resistente. Risulta dunque provato che nel corso del matrimonio dalla nascita dei figli e fino alla separazione la (...) non ha svolto attività lavorativa dedicandosi in via pressoché esclusiva (tranne il tempo speso per lo studio e il conseguimento di seconda laurea nel 2016, attività quella di studio notoriamente compatibile con l'accudimento di minori) all'accudimento della prole e della casa, mentre il (...) ha sempre svolto attività lavorativa di (...) dell'(...) con presumibile rilevante impegno orario (svolgendo la propria attività prima in città diverse da quelle di origine della moglie e poi al di fuori della città di (...) con certa impossibilità ad occuparsi a tempo pieno della prole per ragioni di lavoro). Emerge inequivocabilmente che l'organizzazione data dalle parti alla vita familiare al momento del matrimonio, ha privilegiato la posizione lavorativa del ricorrente, con sacrifico della posizione lavorativa della moglie, alla quale è stata demandata in via di assoluta prevalenza la cura della prole e della casa. Questa scelta si è necessariamente riverberata in danno della resistente che si è affacciata la mondo del lavoro solo dopo la separazione e quindi in età anagrafica molto più tarda (prossima ai 50 anni), con conseguenti minori prospettive di crescita reddituale, e con consistente irreversibile compromissione delle future aspettative pensionistiche. Da quanto esposto discende che lo squilibrio economico patrimoniale in danno della (...) ed in favore del (...) è il frutto delle scelte condivise operate nel corso del matrimonio. (...) del (...) secondo il quale la (...) avrebbe potuto dedicarsi ad attività lavorativa perché aiutata nello svolgimento delle attività domestiche da colf e dallo stesso ricorrente, non può essere rilevante in questa sede, poiché l'odierno ricorrente per la lunga vita matrimoniale ha comunque condiviso questa scelta dalla quale ha tratto indubbi benefici potendo dedicarsi alla vita lavorativa (anche con missioni all'estero) e delegando totalmente la cura dei figli alla moglie, seppure supportata da una colf comunque non dipendente a tempo pieno. Queste risultanze fanno ritenere che debba essere riconosciuto assegno divorzile per la (...) proprio in ragione della componente perequativo-compensativa del contributo, in considerazione delle opportunità di lavoro non coltivate nel periodo di matrimonio quando la stessa ha profuso le proprie energie nella crescita dei figli e nell'accudimento della casa, con conseguente perdita non solo di potenziali redditi (e quindi di propri risparmi) ma anche di contributi utili a fini pensionistici. Infatti anche se la ricorrente svolgendo attività di insegnate attualmente svolge attività presumibilmente analoga a quella che avrebbe svolto in presenza di diverse scelte matrimoniali, a causa del ritardato ingresso nel mondo del lavoro si troverà a poter fruire di trattamento pensionistico (dato atto dell'attuale sistema fondato sul regime contributivo) notevolmente inferiore rispetto a quello dell'ex coniuge in ragione delle scelte operate nel corso del matrimonio, condivise (quanto meno per facta concludentia) dall'ex marito che dell'assetto organizzativo matrimoniale, con delega alla moglie delle incombenze familiari, ha notevolmente beneficiato potendosi dedicare completamente alla propria attività lavorativa. (...) divorzile nella sua componente perequativa compensativa dovrà ristorare tale compromissione delle future aspettative di reddito della ex moglie a vantaggio dei più elevati redditi del marito. Alla luce di tali risultanze, considerata la durata del matrimonio pari a quasi 12 anni calcolata dalla data di celebrazione (2005) alla data della separazione (2017 data di iscrizione a ruolo della domanda di separazione), valutata la partecipazione della resistente alla formazione della situazione reddituale del ricorrente con l'apporto prestato nella vita matrimoniale operando sul punto la presunzione che entrambi i coniugi abbiano partecipato alla gestione della famiglia avendo la resistente contribuito con l'attività casalinga e di pressoché esclusivo accudimento materiale della prole (stante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dell'ex coniuge), considerata la disponibilità di abitazione di proprietà in capo alla resistente e gli oneri abitativi in capo al ricorrente, non considerate le disponibilità patrimoniali del ricorrente (pervenute per successione e pertanto estranee alla determinazione dell'assegno divorzile) considerato l'onere a carico del (...) per il mantenimento dei figli, per il pagamento del canone di locazione e della rata di mutuo sulla casa familiare, nonché le ulteriori spese sullo stesso gravanti, considerate le disponibilità reddituali e patrimoniali della (...) il Collegio stima equo determinare l'importo dell'assegno divorzile in Euro 250,00 mensili, oltre rivalutazione annuale (...) Sulla determinazione di tale assegno il Collegio valuta la diversa incidenza fiscale essendo tale importo onere deducibile da parte dell'obbligato, e reddito per la beneficiaria (con conseguente decurtazione in misura pari alla aliquota applicata ai redditi della (...). (...) alla decorrenza dell'assegno di divorzio, il Collegio rileva che l'assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo "status" delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, rimanendo fermi per il periodo pregresso i provvedimenti provvisori (che disciplinavano la determinazione dell'assegno di mantenimento). A tale principio ha introdotto un temperamento l'art. 4, comma tredicesimo, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, così come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987 n. 74, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio: peraltro il giudice, ove si avvalga di tale potere, è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione (Cass. 24991/10, Cass. 4424/08, Cass. 18321/07). Nel caso di specie, non sussistono elementi per giustificare la diversa decorrenza, pertanto la decorrenza dell'assegno divorzile deve essere fissata dalla data del passaggio in giudicato della decisione sullo status (dovendo comunque essere confermati i provvedimenti presidenziali emessi nel corso del giudizio quanto alla determinazione dell'assegno di mantenimento). Spese di giudizio La materia trattata le ragioni della decisione giustificano la compensazione delle spese di procedimento. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, dando atto che la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti è stata dichiarata con sentenza n. (...)/2023, così dispone: -i figli minori sono affidati ad entrambi i genitori, le decisioni più importanti per i figli relative all'educazione, all'istruzione e alla salute, saranno assunte di comune accordo da entrambi i genitori tenuto conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni della prole; le scelte ordinarie saranno assunte dal genitore che ha con sé i figli; - i figli minori dimoreranno presso l'abitazione materna, il padre potrà vedere e tenere con sé i figli, salvo diverso accordo tra le parti: a settimane alterne dalle ore 18.00 del venerdì fino alla domenica sera successiva non oltre le 22:00, con pernottamento nelle notti di venerdì e di sabato; una sera nella settimana in cui potrà tenerli con sé per il fine settimana, nel giorno di mercoledì, dalle ore 18:30 non oltre le 22:00 nel periodo invernale e non oltre le 22:30 nel periodo estivo; due sere nella settimana in cui i figli rimarranno con la madre per il fine settimana, nei giorni di martedì e giovedì dalle ore 18:30 non oltre le ore 22:00 in orario invernale e 22:30 in orario estivo; tre settimane, anche non consecutive, nel mese di agosto, in periodo da comunicarsi alla madre entro il 30 maggio di ogni anno; una settimana (7 giorni continuativi) nell'arco del resto dell'anno; durante le festività natalizie i figli staranno, ad anni alterni, dal 23 dicembre al 29 dicembre con un genitore e dal 30 dicembre al 6 gennaio dell'anno successivo con l'altro genitore; durante le festività pasquali i figli staranno, ad anni alterni, l'intero periodo di vacanza dei figli con un genitore e l'anno successivo con l'altro; - assegna la casa familiare a (...) con quanto in essa contenuto, in quanto genitore coabitante con i figli; -determina in Euro 1.100,00 il contributo mensile dovuto da (...) per il mantenimento dei due figli (Euro 550,00 per ciascun figlio), da corrispondere a (...) presso il di lei domicilio, entro il giorno 5 di ogni mese, oltre (...) annuale; -dispone che i genitori contribuiscano nella misura del 50% ciascuno alle spese straordinarie per entrambi i figli, secondo quanto indicato in motivazione; -pone a carico di (...) contributo ulteriore (che si aggiunge al contributo mensile) per il mantenimento dei due figli di Euro 600 mensili, per ogni mese di missione all'estero superiore a 20 giorni con decorrenza dalla data della domanda (marzo 2022); -dispone che l'assegno unico familiare sia suddiviso tra i genitori nella misura del 50% ciascuno; -determina in complessivi Euro 250,00 il contributo mensile dovuto da (...) a titolo di assegno ai sensi dell'art.5 L.n.898/1970, da corrispondere a (...) presso il di lei domicilio, entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dalla data del passaggio in giudicato della cessazione degli effetti civili del matrimonio, e successivo adeguamento automatico annuale secondo gli indici del costo della vita calcolati dall'(...) fermi nelle more i provvedimenti della separazione emessi nel corso del giudizio; -compensa tra le parti le spese di giudizio.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI SEZIONE CIVILE in persona del giudice dott. Alessandro Nastri, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 312 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021 del Tribunale di Terni, vertente TRA Ma.Pa. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dagli avv.ti En.De. e Lo.De. ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Terni, Via (...), giusta procura in calce all'atto di citazione - attrice E Un. S.P.A. (C.F. (...)), in persona del procuratore speciale Da.Sp., rappresentata e difesa dagli avv.ti Ma.Ca. e Ma.Di. ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Terni, Corso (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - convenuta NONCHÉ An.Ca. (C.F. (...)) e Ni.Ca. (C.F. (...)) - convenuti contumaci Oggetto: risarcimento del danno da circolazione di veicoli RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 02/02/2021 e 10/03/2021, Ma.Pa. conveniva in giudizio An.Ca., Ni.Ca. e la Un. S.P.A. (d'ora in avanti, per brevità: Un.), chiedendo la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni subiti - in qualità di terza trasportata - in conseguenza del sinistro stradale avvenuto in data 14/08/2019, alle ore 7:20 circa, in Viterbo, in corrispondenza del km 64.4 della SS675, quando l'autovettura Toyota Rav4 targata (...), di proprietà di Ni.Ca. e nell'occasione condotta da An.Ca., assicurata per la RCA con la Un., aveva impattato con il lato anteriore destro contro il guardrail posto sulla destra della carreggiata. L'attrice, premesso che il sinistro - come confermato dal rapporto redatto dai Carabinieri intervenuti in loco - era ascrivibile all'imprudente e negligente condotta di guida del Ca. e che, in ogni caso, la responsabilità del conducente e del proprietario doveva presumersi fino a prova contraria ai sensi dell'art. 2054 c.c., deduceva di aver subito a causa dell'incidente gravi lesioni refertate dapprima presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Viterbo (dove era stata immediatamente trasportata dall'ambulanza del servizio 118) e poi presso l'Ospedale di Terni (dove era stata successivamente sottoposta a due interventi chirurgici), e quantificava il danno oggetto di domanda nel complessivo importo di Euro 89.309,65 (incluso l'aumento a titolo di personalizzazione per il rilevante pregiudizio estetico, e detratto l'acconto di Euro 13.750,00 già corrisposto dalla compagnia assicurativa in data 18/11/2020) oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del sinistro sino al soddisfo. La convenuta Un. si costituiva con comparsa depositata in data 13/05/2021, precisando che la somma di Euro 13.750,00 era stata corrisposta all'attrice a soli fini transattivi ed eccependo l'assenza di responsabilità del conducente nella causazione del sinistro, determinato dal caso fortuito ed in particolare dalla presenza di uno pneumatico sulla carreggiata (che aveva costretto il Ca. ad una "sterzata" di emergenza verso destra). La compagnia assicurativa contestava inoltre l'eccessiva quantificazione dell'invalidità temporanea e permanente da parte dell'attrice ed eccepiva la mancanza di prova degli effettivi esborsi per le spese mediche da essa dedotte (comunque non causalmente riconducibili al sinistro), nonché l'insussistenza dei presupposti per l'invocata personalizzazione in aumento del danno, concludendo per l'integrale rigetto della domanda attorea. A seguito della prima udienza del 22/06/2021 (nella quale veniva dichiarata la contumacia dei convenuti An.Ca. e Ni.Ca.), del successivo deposito delle memorie di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c. e della susseguente istruttoria, consistita nell'assunzione delle prove orali ammesse e nell'espletamento di una c.t.u. medico-legale, all'udienza del 21/06/2023 lo scrivente giudice (al quale il fascicolo era stato assegnato, nelle more, in data 01/12/2022) invitava le parti a precisare le conclusioni e tratteneva la causa in decisione, con i termini di cui all'art. 190, co. 1, c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. La domanda attorea è fondata e merita accoglimento nei limiti di seguito illustrati. Va premesso che l'azione diretta dell'attrice nei confronti della Un., ad onta del generico richiamo (per tutti i convenuti) agli artt. 2054 e 2043 c.c., deve intendersi proposta ai sensi dell'art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 - come dimostra anche l'espressa domanda di accertamento della responsabilità del conducente - e non ai sensi dell'art. 141 D.Lgs. n. 209 del 2005 (non sussistendo i presupposti per l'operatività nel caso di specie di tale ultima disposizione, applicabile solo ai sinistri nei quali siano rimasti coinvolti almeno due veicoli: v. da ultimo Cass., SS.UU., 35318/2022, con la quale si è precisato tra l'altro che il giudice del merito, nel qualificare la domanda ai sensi dell'una o dell'altra disposizione, non può limitarsi a considerare la qualificazione ad essa data dalla parte attrice o le norme da essa richiamate, ma deve valutare nel loro complesso i fatti posti a fondamento della domanda e le ragioni giuridiche spese per illustrarli), con tutto ciò che ne consegue in termini di disciplina, avuto riguardo, in particolare, alla prova liberatoria a carico dei convenuti (che ha ad oggetto non già la sussistenza del caso fortuito, bensì - ai fini del superamento della presunzione di cui all'art. 2054, co. 1, c.c. - l'aver il conducente "fatto tutto il possibile per evitare il danno"). Ciò premesso, va evidenziato che non è in contestazione l'effettiva verificazione del sinistro (confermato, del resto, dal rapporto dei Carabinieri in atti, oltre che dallo stesso An.Ca. in sede di interrogatorio formale), ma il fatto - negato dall'attrice, e affermato dalla Un. sulla scorta delle dichiarazioni rese dal Ca. ai Carabinieri intervenuti in loco e confermate nel predetto interrogatorio formale - che lo stesso sarebbe stato causato dalla presenza sulla carreggiata di uno pneumatico, per evitare il conducente (esente, perciò, da qualsiasi responsabilità) sarebbe stato costretto a sterzare verso destra. A tal riguardo, se da un lato all'offerta risarcitoria formulata dalla Un. - e accettata dalla Pa. in acconto sul maggior avere - ante causam non può attribuirsi alcuna valenza confessoria circa la responsabilità del Ca. per la verificazione del sinistro (v. in tal senso Cass. 24205/2015), dall'altro gravava certamente sui convenuti, ai fini del superamento della presunzione di cui all'art. 2054, co. 1, c.c., provare l'effettiva sussistenza della summenzionata circostanza (presenza di un ostacolo sulla carreggiata, non altrimenti evitabile) idonea ad escludere la suddetta responsabilità. Tale prova, tuttavia, non può ritenersi raggiunta in base alle risultanze dell'istruttoria espletata, basandosi l'assunto della convenuta esclusivamente sulle dichiarazioni (a sé favorevoli, e quindi inutilizzabili a tal fine: v. ex multis Cass. 15873/2019 e Cass. 17199/2015) rese ai Carabinieri - e poi nell'interrogatorio formale espletato in seno al presente giudizio - dallo stesso An.Ca., peraltro in forma meramente dubitativa ("mi sembrava di vedere un oggetto in terra tipo copertone o lamiera o plastica", "mi era sembrato di vedere qualcosa sulla carreggiata": v. rispettivamente il rapporto di cui al doc. 1 attoreo e il verbale dell'udienza del 17/02/2022), rispetto alla presenza di un ostacolo sulla carreggiata che, per ammissione dello stesso Ca. ("con l'aiuto del milite cui ho reso la dichiarazione ho cercato di verificare se ci fosse stato qualcosa ma non abbiamo trovato nulla") e come evincibile dallo stesso rapporto dei Carabinieri (che non hanno riportato la presenza di tale oggetto nell'allegato schizzo planimetrico e hanno quindi ricondotto l'incidente a "cause non accertate"), non fu in realtà poi rinvenuto. Ne consegue che, dovendo ascriversi il sinistro integralmente alla responsabilità del conducente, l'attrice ha diritto al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza dell'incidente. Quanto alle conseguenze lesive del sinistro, l'entità del danno biologico subito dall'attrice va determinata in base alle condivisibili valutazioni effettuate sul punto dal consulente tecnico d'ufficio, il quale, dopo aver descritto le lesioni ("contusioni multiple e frattura scomposta del terzo prossimale dell'ulna destra con distacco dell'olecrano omolaterale"), ha quantificato le stesse nella seguente misura: 30 giorni di inabilità temporanea assoluta; ulteriori 30 giorni di inabilità temporanea parziale al 75%; ulteriori 30 giorni di inabilità temporanea parziale al 50%; ulteriori 30 giorni di inabilità temporanea parziale al 25%; invalidità permanente del 12%. Deve in proposito rammentarsi che, nel prestare adesione al parere del c.t.u., il giudice del merito non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni se non quando (e nella misura in cui) i consulenti di parte e/o i difensori abbiano avanzato alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio critiche specifiche e circostanziate, sulla cui infondatezza il giudice ha il dovere di motivare in maniera puntuale e dettagliata (v. Cass. 11917/2021, Cass. 7024/2020, Cass. 15147/2018, Cass. 23594/2017, Cass. 12703/2015 e Cass. 25862/2011), laddove nel caso di specie, in cui il consulente tecnico di parte convenuta non ha fatto pervenire alcuna osservazione, con la propria comparsa conclusionale l'attrice (il cui consulente di parte aveva precedentemente formulato alcune considerazioni critiche, alle quali il c.t.u. aveva peraltro esaustivamente risposto) ha fatto propria la quantificazione del danno operata dal consulente tecnico d'ufficio riducendo l'entità della domanda proprio in conformità a tale quantificazione. La liquidazione del danno non patrimoniale va effettuata applicando le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano (le quali garantiscono uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale: v. ex multis Cass. 1553/2019, Cass. 17018/2018, Cass. 11754/2018, Cass. 9950/2017, Cass. 3505/2016, Cass. 20895/2015, Cass. 5243/2014 e Cass. 12408/2011), nella versione vigente al momento della presente decisione (v. Cass. 8508/2020, Cass. 2167/2016, Cass. 19211/2015 e Cass. 5254/2014). In base ai valori medi di cui alle predette tabelle (inclusivi della componente relativa al danno "da sofferenza soggettiva interiore", adeguatamente allegate e da ritenersi senz'altro provate, sia pure per presunzioni, in relazione alla tipologia delle lesioni subite dall'attore e al conseguente iter chirurgico e riabilitativo: v. sul punto Cass. 25164/2020), il danno non patrimoniale dovrebbe essere liquidato nei seguenti importi: Euro 7.425,00 per l'invalidità temporanea; Euro 34.109,00 per l'invalidità permanente (avuto riguardo all'età dell'attrice, pari a 20 anni, al momento della cessazione dell'invalidità temporanea in base al calcolo complessivo della stessa operato dal c.t.u.: v. in proposito Cass. 7126/2021, Cass. 22858/2020, Cass. 28614/2019, Cass. 3121/2017 e Cass. 10303/2012). Sui predetti importi, tuttavia, si ritiene di dover applicare un incremento del 8,5% circa - a titolo di personalizzazione, con conseguente liquidazione dell'importo totale nella somma di Euro 45.000,00, in ragione delle presumibili ripercussioni del (pur lieve) pregiudizio estetico ("compromissione dell'integrità estetica di classe II (grado lieve-moderato) ? da imputare ad una visibile cicatrice fusiforme ed ipercromica estesa 11x5 cm localizzata al gomito posteriormente": v. pag. 9 dell'elaborato del c.t.u.) sulla vita di relazione di una giovane ragazza qual è l'odierna attrice. Nella liquidazione del danno non patrimoniale deve tuttavia tenersi conto dell'acconto di Euro 13.750,00 già corrisposto all'attrice dalla Un. in data 18/11/2020. Come noto, la liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, nel caso in cui il debitore abbia pagato un acconto prima della liquidazione definitiva, deve avvenire: (a) devalutando l'acconto e il credito alla data dell'illecito; (b) detraendo l'acconto dal credito; (c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto; sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata anno per anno, per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva (v. Cass. 23927/2023, Cass. 832/2023, Cass. 16027/2022, Cass. 6619/2018, Cass. 25817/2017 e Cass. 9950/2017). Poiché la somma oggi liquidata in favore dell'attrice per il ristoro del danno non patrimoniale, pari ad Euro 45.000,00, devalutata all'epoca del sinistro (14/08/2019) è pari ad Euro 38.994,80, e poiché l'acconto di Euro 13.750,00 (versato, come detto, in data 18/11/2020) devalutato all'epoca del sinistro è pari ad Euro 13.917,00, l'importo derivante dalla detrazione dell'acconto devalutato dalla somma capitale devalutata è pari ad Euro 25.077,80 (Euro 38.994,80 - 13.917,00). A tale importo vanno aggiunti rivalutazione e interessi sull'intero capitale dalla data del sinistro (14/08/2019) sino alla data della corresponsione dell'acconto (18/11/2020), per un importo di Euro -384,11, nonché rivalutazione e interessi - sulla somma residuata dopo la detrazione dell'acconto - dalla data della corresponsione dell'acconto sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, per un importo di Euro 5.555,06. La somma spettante all'attrice a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, comprensiva di rivalutazione e interessi e al netto dell'acconto già ricevuto, è dunque oggi pari ad Euro 30.248,75 (Euro 25.077,80 - Euro 384,11 + Euro 5.555,06). Il danno patrimoniale subito dall'attrice va liquidato nell'importo di Euro 192,79, in base alle spese mediche documentate reputabili come congrue e causalmente connesse al sinistro oggetto di causa, secondo la condivisibile valutazione effettuata dal consulente tecnico d'ufficio, dovendo sottrarsi all'importo di Euro 2.012,79 (erroneamente indicato dal c.t.u., per un verosimile refuso di battitura, in Euro 2.022,79): 1) la somma di Euro 1.220,00 IVA inclusa inerente alla spesa per la consulenza tecnica di parte, che è estranea al risarcimento del danno patrimoniale ed è di seguito regolata tra le spese processuali; 2) la somma di Euro 600,00 relativa alle dedotte spese per fisioterapia, trattandosi di importo non fiscalmente documentato per la cui prova è stato prodotto esclusivamente un "preavviso di parcella" privo di data e di firma, che rinvia ad un allegato certificato medico non presente in atti (v. sul tema Trib. Reggio Emilia 1 settembre 2017). In definitiva, per tutti i motivi sopra esposti, i convenuti devono essere condannati in solido - ai sensi del combinato disposto degli artt. 2054 e 2055 c.c. e dell'art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 - al pagamento in favore di Ma.Pa. delle seguenti somme: a) Euro 30.248,75, oltre interessi al saggio legale dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo, a titolo di residuo risarcimento del danno non patrimoniale; b) Euro 192,79, oltre interessi al saggio legale sulla somma progressivamente rivalutata, mediante applicazione degli indici annuali ISTAT, dalla data dei singoli esborsi sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, ed oltre ulteriori interessi al saggio legale sino al saldo, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per le spese mediche documentate. Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. (non essendovi soccombenza reciproca per il solo fatto che l'unica domanda attorea venga accolta in misura ridotta: v. Cass., SS.UU., 32061/2022) e sono quindi liquidate a carico dei convenuti, in solido tra loro ai sensi dell'art. 97 c.p.c. (in ragione della comunanza di interessi sottesa alla solidarietà passiva nell'obbligazione risarcitoria: v. Cass. 15790/2021, Cass. 9876/2018, Cass. 20916/2016, Cass. 16056/2015, Cass. 27562/2011 e Cass. 17281/2011), come da dispositivo, tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 (come aggiornata dal D.M. n. 147 del 2022), in base al valore (scaglione da Euro 26.000,01 ad Euro 52.000,00, in base al decisum di condanna, e ciò anche ai fini della quantificazione delle spese vive per contributo unificato ripetibili in quanto non superflue: v. la condivisibile motivazione di Trib. Ravenna 5 agosto 2021), alla natura e alla complessità (media) della controversia, e con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dei difensori di parte attrice, dichiaratisi antistatari (dichiarazione in alcun modo sindacabile dal giudice: v. da ultimo Cass. 8436/2019). L'attrice ha inoltre diritto a vedersi rimborsate le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, che nella specie non appaiono eccessive o superflue (v. in proposito Cass. 3380/2015, Cass. 730/2013, Cass. 84/2013, Cass. 19399/2011, Cass. 2572/96, Cass. 6056/90 e Cass. 4135/1977; v. altresì Cass. 4357/03, secondo cui la condanna del soccombente alle spese di consulenza tecnica di parte sopportate dalla controparte non presuppone la prova dell'avvenuto pagamento, essendo a tal fine sufficiente la prova che la parte vittoriosa abbia assunto la relativa obbligazione). Per la medesima ragione (soccombenza), le spese della consulenza tecnica d'ufficio, già liquidate con separato decreto, devono porsi (nei rapporti interni tra le parti) a carico dei convenuti, in parti uguali tra loro, ferma restando la solidarietà passiva ex lege di tutte le parti nei confronti del consulente (v. Cass. 29129/2021, Cass. 3239/2018, Cass. 17739/2016, Cass. 23133/2015 e Cass. 25179/2013). P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da Ma.Pa. nei confronti dei convenuti An.Ca., Ni.Ca. e Un. S.P.A., ogni altra difesa, eccezione ed istanza disattesa, così provvede: - accertata l'integrale responsabilità di An.Ca. per il sinistro oggetto di causa, condanna An.Ca., Ni.Ca. e la Un. S.P.A., in solido, al pagamento in favore di Ma.Pa. delle seguenti somme: a) Euro 30.248,75, oltre interessi al saggio legale dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo, a titolo di residuo risarcimento del danno non patrimoniale; b) Euro 192,79, oltre interessi al saggio legale sulla somma progressivamente rivalutata, mediante applicazione degli indici annuali ISTAT, dalla data dei singoli esborsi sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, ed oltre ulteriori interessi al saggio legale sino al saldo, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per le spese mediche documentate; - condanna An.Ca., Ni.Ca. e la Un. S.P.A., in solido, alla rifusione in favore di Ma.Pa. delle spese processuali, che liquida in Euro 7.616,00 (di cui Euro 1.701,00 per la fase di studio, Euro 1.204,00 per la fase introduttiva, Euro 1.806,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, ed Euro 2.905,00 per la fase decisionale) oltre spese forfettarie (15%), CPA e IVA se dovuta, nonché in Euro 1.220,00 (IVA inclusa) per spese della consulenza tecnica di parte e in Euro 296,62 per spese vive ripetibili (parte del C.U. come da motivazione, marca da bollo e spese di notifica dell'atto di citazione e dell'ordinanza di ammissione dell'interrogatorio formale), con distrazione in favore dei procuratori antistatari dell'attrice; - pone le spese della c.t.u., nella misura già liquidata con separato decreto, a carico dei convenuti per un terzo ciascuno. Così deciso in Terni il 15 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2289 R.G.A.C. dell'anno 2019 promossa DA As. S.P.A. MANDAT. R.T.I. TRA "As. S.P.A." Co. SOCIETÀ COOPERATIVA" (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RA.GI. ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dello stesso in Terni, Largo (...) PARTE ATTRICE CONTRO COMUNE DI STRONCONE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CA.LI. elettivamente domiciliato in Perugia, via (...) AURI - SUB AMBITO N. 4 (C.F. )- contumace AURI (EX ATI N.4) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.MA. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato domiciliata all'indirizzo pec (...) PARTE CONVENUTA OGGETTO: Altri contratti atipici. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato la As. S.P.A., quale mandataria del raggruppamento temporaneo di Imprese costituito ai sensi dell'art. 37 del D.Lgs. n. 163 del 2006 tra "As. S.p.a." società con unico socio ed il "Co. SOCIETA' COOPERATIVA" citava in giudizio il COMUNE DI STRONCONE, l'AURI - Sub Ambito n. 4 e l'AURI (ex ATI N. 4) rassegnando - per i motivi ivi indicati, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, eccezione, deduzione e domanda: I. accertare e dichiarare, per le causali esposte in narrativa, il diritto del raggruppamento temporaneo di Imprese costituito tra "As. S.p.a." ed il "Co. SOCIETA' COOPERATIVA" ad ottenere la premialità prevista dall'art. 52 del Disciplinare tecnico P14 (doc. 2) per il superamento degli obiettivi di raccolta differenziata eseguita presso il Comune di Stroncone così come descritti nella parte in fatto e diritto (motivi sub (...) e sub (...)) del presente atto per le annualità 2016 e 2017, ovvero nella misura maggiore o minore che dovesse emergere nel corso della causa anche mediante eventuale Ctu; II. per effetto dell'accoglimento della domanda sub (...)) condannare, per le causali esposte in narrativa, il Comune di Stroncone, in solido con l'AURI e AURI Sub Ambito 4, al pagamento della somma complessiva di Euro 10.867,64 ovvero della somma maggiore o minore che dovesse risultare nel corso della causa anche mediante eventuale Ctu, ovvero determinata anche in via equitativa; oltre interessi moratori, rivalutazione dal momento del dovuto sino all'effettivo soddisfo, III. condannare i convenuti al pagamento delle spese legali." (conclusioni in parte modificate con la prima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c., richiedendo il pagamento della somma di Euro 15.706,05, poi ridotta, in comparsa conclusionale, ad Euro 9.307,32 ovvero nella somma di Euro 5.007,38 (secondo i dati derivanti dalla certificazione regionale 2016), oltre interessi e condanna alle spese). Con comparsa di risposta si costituiva il COMUNE DI STRONCONE rassegnando - per i motivi ivi indicati, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito in composizione monocratica, disattesa e respinta ogni diversa e contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione: - in via pregiudiziale, accertare e dichiarare l'inammissibilità della domanda per difetto di giurisdizione dell'A.G.O. in favore della giurisdizione del G.A.; - nel merito: -in via preliminare, accertare e dichiarare la nullità e/o l'inefficacia della clausola prevista dall'art. 52 del Disciplinare Tecnico allegato al contratto di servizio e per l'effetto rigettare le domande di parte attrice; - in via principale, rigettare tutte le domande, di accertamento e condanna, formulate da parte attrice nei confronti del Comune convenuto perché inammissibili, infondate, in fatto ed in diritto, e non provate; - In via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande avversarie, porre la condanna a carico esclusivo dell'AURI Sub ambito n. 4, in persona del legale rappresentate p.t., e/o dell'AURI (ex ATI n. 4), in persona del legale rappresentate p.t.; - ancora in via subordinata: nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande avversarie, anche solo parziale, ridurne l'esorbitante ammontare, previo accertamento, in ogni caso, del diritto di credito maturato dal Comune di Stroncone nei confronti di parte attrice a titolo di penalità prevista dall'art. 52, seconda parte, del Disciplinare Tecnico P14 allegato al contratto di servizio, per il mancato raggiungimento nell'anno 2017 degli obiettivi di raccolta differenziata da parte di As. S.p.a., quale mandataria del RTI con la mandante Co. Società Cooperativa, pari ad Euro 4.016,00 o la somma, maggiore o minore, che verrà accertata in corso di causa, con conseguente compensazione, anche parziale, delle avverse pretese. In ogni caso, con vittoria di spese e compensi professionali di causa.". Con ordinanza del 31/1/2021, rinviata la merito la decisione delle questioni preliminari e pregiudiziali sollevate dalle pari, lo scrivente formulava la seguente proposta conciliativa: "pagamento da parte del COMUNE DI STRONCONE in favore della parte attrice, a definizione della controversia, della somma di Euro 7.500,00 comprensiva di interessi, Euro 1.600,00 per spese legali parametrate alla somma sopra indicata, in applicazione dei valori medi previsti del D.M. n. 55 del 2014, ridotti al 50%, on esclusione della fase istruttoria". All'udienza del 18 marzo 2021 le parti non accettavano la proposta conciliativa del giudice per i motivi ivi esposti, qui richiamati e trascritti. Con ordinanza del 28/9/2021, esaminate le posizioni delle parti, anche sulla base di quanto dalle stesse dichiarato alle udienze precedenti, veniva avanzata una nuova proposta conciliativa dal seguente contenuto: "Propone di conciliare la lite con la corresponsione da parte della convenuta in favore della parte attrice di una somma pari ad Euro 800,00, oltre un contributo di Euro 500,00, oltre accessori di legge, per spese legali. Tale proposta viene effettuata allo stato degli atti esclusivamente a scopo conciliativo tenuto conto della complessità della controversia e dei conseguenti margini di opinabilità delle questioni giuridiche". All'udienza del 21/12/2021 la proposta veniva accettata da parte convenuta mentre la parte attrice richiedeva un termine per effettuare un confronto con la controparte. Le parti depositavano note autorizzate rispettivamente in data 20/1/2022 e 21/1/2022 e, con ordinanza del 4/3/2022 veniva avanzata una nuova proposta conciliativa dal seguente contenuto: "Propone di conciliare la lite con la corresponsione da parte della convenuta in favore della parte attrice di una somma pari al settanta per cento delle premialità calcolate in base ai dati risultanti dalla certificazione regionale e dalla tariffa di smaltimento risultante dai documenti nn. 8, 9, 10 e 11 fasc. convenuta) e, quindi, pari ad Euro 791,70 (70% di Euro 1.131,00, somma calcolata applicando la tariffa di smaltimento di Euro 112 Euro per l'anno 2016 e 112,5 e per il 2017), oltre un contributo di Euro 500,00 oltre accessori di legge per spese legali. Tale proposta viene effettuata allo stato degli atti esclusivamente a scopo conciliativo tenuto conto della complessità della controversia e dei conseguenti margini di opinabilità delle questioni giuridiche". La nuova proposta veniva accettata dalla parte convenuta mentre veniva rigettata dalla parte convenuta per i motivi espressi all'udienza del 7 aprile 2022, qui richiamati e trascritti. Con ordinanza del 12 aprile 2022 la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. Con comparsa di risposta depositata in data 9/3/2023 si costituiva l'AUTORITÀ UMBRA RIFIUTI E IDRICO (A.U.R.I.) rassegnando le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Terni, contrariis reiectis, a) in via principale, dichiarare il difetto di legittimazione passiva dell'AURI (ex ATI n. 4) e dell'AURI- Sub Ambito n. 4; b) in via subordinata, rigettare le domande di Parte attrice in quanto destituite di fondamento in fatto e in diritto per i motivi sopra esposti; c) per l'effetto condannare Parte attrice al pagamento di tutte le spese del presente giudizio". All'udienza del 28 marzo 2023, ritenuta la causa matura per la decisione, stante la natura documentale della stessa, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex arto 190 c.p.c. 2.1. In primis deve essere valutata l'eccezione di difetto di giurisdizione tempestivamente sollevata da parte convenuta nella propria comparsa di risposta. L'eccezione è infondata. Al riguardo, deve essere condivisa una recente sentenza emessa ex art. 279, comma 2 n. 4 c.p.c. da questo Tribunale in un giudizio avente ad oggetto la medesima controversia oggi in esame, seppur tra soggetti, dal lato passivo, parzialmente differenti (cfr. Cass. n. 28067/2021 secondo cui "La motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell'art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l'utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni."). Si riporta quindi di seguito la parte rilevante del precedente di questo Tribunale: "?in via generale, si evidenzia che la tariffa rifiuti viene determinata dall'AURI (oggi ex art. 1, comma 528 della L. n. 205 del 2017 dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) sulla base dei Piani finanziari redatti dai Comuni ovvero dai gestori a cui può essere affidato il servizio? Nel caso di specie: - con Delib. n. 2 del 2013 e Delib. n. 13 del 2013, l'AURI approvava il Piano d'ambito rifiuti urbani, comprensivo del PEF generale e dei relativi piani finanziari per ogni singolo comune (non agli atti); in giudizio, viene prodotto solo l'indice del Piano d'ambito dove risulta indicato un "fondo di P.", il "piano finanziario della gestione" e il "piano economico finanziario" (quest'ultimo indicato come allegato; - con determinazione dirigenziale n. 18/14 l'AURI, all'esito di una procedura ad evidenza pubblica, aggiudicava il servizio in favore dell'odierno gestore; - in data 26.6.2014 veniva stipulato il contratto; - l'art. 52 del "disciplinare tecnico" allegato al contratto di servizio - e parte integrante degli atti di gara - prevede il riconoscimento di un corrispettivo aggiuntivo - per cui è causa - quale "premio" in relazione al superamento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata ivi indicati; - agli atti non è stato prodotto il PEF da cui evincere le modalità di "copertura" del suddetto corrispettivo aggiuntivo; - l'art. 7 del disciplinare tecnico allegato al contratto prevede che il gestore predispone annualmente, per ogni Comune servito, due mesi prima del termine per l'approvazione del bilancio di previsione, un Piano annuale delle attività, composto dal piano economico-finanziario (PEF) da cui risulta, fra l'altro, il quadro economico con la definizione dell'ammontare dettagliato del corrispettivo riconosciuto al Gestore per l'effettuazione del servizio (art. 7); - agli atti non risultano depositati né il Piano annuale delle attività relativi agli anni 2016-2017, né le relative delibere di approvazione dell'AURI e del Comune; - agli atti risulta solo un atto di transazione tra l'AURI ed il gestore, sottoscritto in data 5 agosto 2015, con il quale tra l'altro - preso atto di alcuni ritardi dovuti all'avvio del servizio ed alla consegna degli impianti - si confermano i "meccanismi di premialità" relativi agli anni 2016 e 2017; anche in tale atto non vi sono riferimenti al Piano annuale delle attività; - con comunicazione del 18.7.2017, l'AURI conferma la previsione dei suddetti "meccanismi di premialità" - anche in base al citato atto di transazione del 2015 - ma rileva che le penalità sono superiori alle premialità; - con Delib. n. 16 del 2017 del 29.12.2017, l'AURI approvava il PEF per l'anno 2018, non riconoscendo alcuna premialità per l'anno 2018, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017; - con nota del 11.6.2018 indirizzata ai Comuni, l'AURI "interpreta" l'art. 52 del disciplinare ritenendo che "appare viziato da nullità poiché prevede nel caso di premialità?senza la relativa posta economica che non è inserita nel PEF né può esservi inserita in quanto trasformerebbe un risparmio?con un costo, non ammesso dal metodo normalizzato?" (cfr. art. 1 del D.P.R. n. 158 del 1999); - con Delib. n. 16 del 2019 del 25.2.19 l'AURI approvava il PEF per l'anno 2019 ribadendo di non riconoscere le premialità per l'anno 2019, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017. Ciò posto, a parere dello scrivente, la presente controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e ciò per i seguenti motivi: - il corrispettivo aggiuntivo "premiale" veniva previsto nel disciplinare tecnico allegato al contratto stipulato fra le parti (art. 52); - il riconoscimento di tale corrispettivo veniva "ancorato" unicamente all'incremento della percentuale di raccolta differenziata in base ad una formula matematica, senza implicare esercizio di un potere autoritativo; - nel contratto viene attribuita all'AURI la facoltà di adeguare il corrispettivo in alcuni casi e, comunque, solo per gli anni successivi all'adeguamento stesso (art. 59); - nel caso di specie, invece, l'AURI, in sede di approvazione del PEF per l'anno 2018 (e poi anche per l'anno 2019) non ha riconosciuto il corrispettivo aggiuntivo "premiale" - non solo per gli anni 2018-2019 ma anche per gli anni 2016-2017 - poiché ha ritenuto - in "autotutela" - che la clausola contrattuale che lo prevedeva doveva ritenersi nulla in quanto contraria a norme imperative (D.P.R. n. 158 del 1999) che prevedono l'equilibrio economico-finanziario del servizio; - con le delibere sopra riportate, l'AURI non ha esercitato un potere autoritativo ma, utilizzando le parole delle S.U. della Corte di Cassazione intervenute sul tema, ha preteso "?di adoperare il proprio potere discrezionale di autotutela per eliminare vizi in realtà afferenti (non già alle determinazioni prodromiche, in sè considerate, ed alle modalità procedimentali ad esse solo proprie, bensì) al contratto ormai stipulato?" (cfr. SU Cass. n. 9861 del 14/05/2015, conf. SU Cass. n. 14859/2017, CdS n. 5745/2015); - parte attrice ha quindi dedotto in giudizio "?un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale intesa a regolamentare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione?", per cui "?la controversia continua ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario?" (cfr. Cassazione civile sez. un., 21/09/2018, n. 22428). In sostanza, le delibere dell'AURI nn. 16/17 e 16/19 - anche ove possano qualificarsi come provvedimenti amministrativi - nella parte di interesse per la presente controversia (stralcio delle "premialità"), incidono su un diritto soggettivo "perfetto", come cristallizzato nel contratto stipulato fra le parti, e non su una posizione di interesse legittimo; - l'estensione dello "stralcio" dell'art. 52 del disciplinare disposto dall'AURI con le suddette delibere anche in riferimento agli anni precedenti non è previsto dalle norme di settore e nemmeno dal contratto che, invece, prevede la possibilità di revisionare i corrispettivi solo per gli anni successivi (art. 59 del disciplinare); - il contratto de quo, peraltro, appare qualificabile come appalto di servizi più che concessione di pubblico servizio atteso che il corrispettivo del servizio è pagato esclusivamente dall'ente - Comune - che ha affidato lo stesso, senza che alcun"trasferimento" al gestore di poteri pubblici tra cui, in primis, il potere di riscuotere direttamente la tariffa dagli utenti (cfr. art. 57 del disciplinare tecnico ove si distingue tra "fase 1" e "fase 2", cfr. SU Cass. n. 17829/2007, TAR Campania, Napoli, n. 114/2015). Alla luce di quanto evidenziato, si può quindi ritenere che il petitum sostanziale della controversia - che è quello al quale occorre avere riguardo ai fini del riparto di giurisdizione - sia incentrato sulla fase esecutiva del contratto, avendo la pubblica amministrazione esercitato un'interpretazione di una clausola contrattuale e non un potere ad essa attribuito dalla legge, ravvisando la nullità di una clausola contrattuale da lei stessa predisposta. A ciò si aggiunga peraltro che lo "stralcio" di una clausola contrattuale - che prevede un corrispettivo per prestazioni già eseguite - seppur giustificato dalla violazione di norme imperative relative all'equilibrio finanziario tariffa-costi del servizio ex art. 8 del D.P.R. n. 158 del 1999 (del tutto indimostrato in concreto dal Comune/AURI) - non può essere inteso come esercizio del potere discrezionale di autotutela da parte della pubblica amministrazione al fine di eliminare vizi afferenti "?alle determinazioni prodromiche, in sè considerate ed alle modalità procedimentali ad esse solo proprie?" (cfr. SU Cass. n. 9861/2015, conf. SU Cass. n. 14859/2017, CdS n. 5745/2015), atteso che le determinazioni prodromiche alla gara non sono state in alcun modo revocate e/o annullate in autotutela. Da tutto quanto evidenziato, ne consegue che deve essere riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario con conseguente rigetto dell'eccezione formulata dalla parte convenuta." (cfr. sent. n. 363/2020, RG n. 958/2019). Sulla base delle motivazioni sopra riportate, deve essere rigettata l'eccezione formulata da parte convenuta - con affermazione della giurisdizione del giudice ordinario - nonché deve essere rigettata la tesi di parte convenuta secondo cui le delibere adottate dalla AURI - che hanno stralciato iure imperii le richieste economiche di parte attrice (voci di costo incluse quelle relative alle "premialità 2016 e 2017" che il RTI aveva inserito nella proposta del PEF previsionale 2019, analogamente a quanto già avvenuto per il PEF previsionale 2018) sarebbero inoppugnabili, in quanto decorsi i termini di legge e, quindi, vincolanti per il Comune convenuto (cfr. doc. 4 e 5, fasc. convenuta). La tesi non può essere condivisa. Invero, dalla lettura delle suddette delibere si evince con chiarezza che, con tali provvedimenti, l'AURI ha approvato i piani economici previsionali relativi agli anni 2018 e 2019 che dovevano essere utilizzati dai Comuni per elaborare la propria proposta tariffaria sempre relativa agli anni 2018 e 2019 per cui, per quanto riguarda le annualità pregresse oggetto di causa (anni 2016-2017), l'AURI non ha esercitato alcun potere autoritativo ma, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra riportata, ha preteso "?di adoperare il proprio potere discrezionale di autotutela per eliminare vizi in realtà afferenti (non già alle determinazioni prodromiche, in sè considerate, ed alle modalità procedimentali ad esse solo proprie, bensì) al contratto ormai stipulato?" (cfr. SU Cass. n. 9861/2015, conf. SU Cass. n. 14859/2017, CdS n. 5745/2015). 2.2. Ciò posto, come visto, la presente controversia riguarda una concessione-contratto di servizio per l'affidamento del servizio di trasporto e raccolta nell'ambito della gestione integrata dei rifiuti urbani nei Comuni dell'ATI n. 4 Umbria (oggi AURI). In particolare, il soggetto gestore-aggiudicatario del servizio ha chiesto - per gli anni2016 e 2017 - il riconoscimento del corrispettivo aggiuntivo - quale "premio" in relazione al superamento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata indicati nei documenti di gara e previsto dall'art. 52 del "disciplinare tecnico" allegato al contratto di servizio (pari a complessivi Euro 9.307,32, come emerso nel corso del giudizio (pag. 5 perizia dell'11.11.2019 allegata alla memoria 183 n. 2 della scrivente difesa), ovvero nella somma di Euro 5.007,38 (secondo i dati derivanti dalla certificazione regionale 2016, oltre interessi, cfr. comparsa conclusionale in atti). Nonostante le richieste stragiudiziali di pagamento indirizzate ai Comuni interessati e all'ATI (oggi Autorità umbra rifiuti e idrico, c.d. "AURI"), forma speciale di cooperazione fra enti locali, questa rigettava la richiesta, comunicando al gestore che la disposizione di cui all'art. 52 del Disciplinare Tecnico "?era inattuabile per contrasto insanabile con il metodo tariffario vigente e con i PEF approvati?". Peraltro, in sede di approvazione del PEF (Piano economico finanziario) relativo agli anni 2018-2019, l'AURI deliberava di non riconoscere alcuna somma a titolo di premialità non solo in relazione agli anni 2018-2019 ma anche in relazione agli anni 2016 e 2017. Ciò posto, in via generale, si evidenzia che la tariffa rifiuti viene determinata dall'AURI (oggi ex art. 1, comma 528 della L. n. 205 del 2017 dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) sulla base dei Piani finanziari redatti dai Comuni ovvero dai gestori a cui può essere affidato il servizio (cfr. riferimenti normativi). Come sopra evidenziato al precedente sub. n. (...)., nel caso di specie: - con Delib. n. 2 del 2013 e Delib. n. 13 del 2013, l'AURI approvava il Piano d'ambito rifiuti urbani, comprensivo del PEF generale e dei relativi piani finanziari per ogni singolo comune (non agli atti); in giudizio, veniva prodotto solo l'indice del Piano d'ambito dove risulta indicato un "fondo di P.", il "piano finanziario della gestione" e il "piano economico finanziario" (quest'ultimo indicato come allegato); - con determinazione dirigenziale n. 18/14 l'AURI, all'esito di una procedura ad evidenza pubblica, aggiudicava il servizio in favore dell'odierno gestore; - in data 26.6.2014 veniva stipulato il contratto; - l'art. 52 del "disciplinare tecnico" allegato al contratto di servizio - e parte integrante degli atti di gara - prevede il riconoscimento di un corrispettivo aggiuntivo - per cui è causa - quale "premio" in relazione al superamento degli obiettivi percentuali di raccolta differenziata ivi indicati; - agli atti non è stato prodotto il PEF da cui evincere le modalità di "copertura" del suddetto corrispettivo aggiuntivo; - l'art. 7 del disciplinare tecnico allegato al contratto prevede che il gestore predispone annualmente, per ogni Comune servito, due mesi prima del termine per l'approvazione del bilancio di previsione, un Piano annuale delle attività, composto dal piano economico-finanziario (PEF) da cui risulta, fra l'altro, il quadro economico con la definizione dell'ammontare dettagliato del corrispettivo riconosciuto al Gestore per l'effettuazione del servizio (art. 7); - agli atti non risultano depositati né il Piano annuale delle attività relativi agli anni 2016-2017, né le relative delibere di approvazione dell'AURI e del Comune; - agli atti risulta solo un atto di transazione tra l'AURI ed il gestore, sottoscritto in data 5 agosto 2015, con il quale tra l'altro - preso atto di alcuni ritardi dovuti all'avvio del servizio ed alla consegna degli impianti - si confermano i "meccanismi di premialità"relativi agli anni 2016 e 2017; anche in tale atto non vi sono riferimenti al Pianoannuale delle attività; - con comunicazione del 18.7.2017, l'AURI confermava la previsione dei suddetti "meccanismi di premialità" - anche in base al citato atto di transazione del 2015 - ma rilevava, in via generale, che le penalità erano superiori alle premialità; - con Delib. n. 16 del 2017 del 29.12.2017, l'AURI approvava il PEF per l'anno 2018, non riconoscendo alcuna premialità per l'anno 2018, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017 (cfr. doc. 5); - con nota del 11.6.2018 indirizzata ai Comuni, l'AURI si pronunciava sulla validità dell'art. 52 del disciplinare ritenendo che "?appare viziato da nullità poiché prevede nel caso di premialità?senza la relativa posta economica che non è inserita nel PEF né può esservi inserita in quanto trasformerebbe un risparmio?con un costo, non ammesso dal metodo normalizzato?" (cfr. art. 1 del D.P.R. n. 158 del 1999 e doc. 6, fasc. attrice); - con Delib. n. 16 del 2019 del 25.2.19 l'AURI approvava il PEF per l'anno 2019 ribadendo di non riconoscere le premialità per l'anno 2019, nonché - per il passato - per gli anni 2016-2017 (poi recepita con Delib. n. 7 del 25 febbraio 2019 dall'Assemblea dei Sindaci dell'AUTI (cfr. doc. 4, fasc. attrice). 2.3. Ciò evidenziato, la fattispecie in esame deve essere decisa dando continuità ad un recentissimo precedente pronunciato da questo Tribunale in un giudizio avente ad oggetto la medesima controversia oggi in esame, seppur tra soggetti, dal lato passivo, parzialmente differenti (cfr. Cass. n. 28067/2021 secondo cui "La motivazione per relationem della sentenza, ai sensi dell'art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., può fondarsi anche su precedenti di merito, e non solo di legittimità, allo scopo di massimizzare, in una prospettiva di riduzione dei tempi di definizione delle controversie, l'utilizzazione di riflessioni e di schemi decisionali già compiuti per casi identici o caratterizzati dalla decisione di identiche questioni."). Si riporta quindi di seguito la parte rilevante del pregevole precedente di questo Tribunale: "In base all'art. 52 del citato disciplinare (cfr. all. 2 citazione) veniva previsto un sistema premiante a favore del gestore. In particolare, in caso di superamento del livello di raccolta differenziata obiettivo di cui alla tabella ivi indicata ("42,6% medio nel 2013, 56,7% medio nel 2014, 65,0% medio nel 2015") e "per i soli comuni che presentano percentuali di RD 2012 inferiore ai livelli obiettivo" il gestore avrebbe maturato il diritto ad "un corrispettivo aggiuntivo pari al 50% dell'effettivo risparmio riscontrato in termini di costo di smaltimento dei rifiuti urbani in conseguenza dell'innalzamento suddetto della percentuale di raccolta differenziata secondo lo schema di calcolo" ivi indicato. Veniva, inoltre, precisato che "il livello percentuale di raccolta differenziata a base di calcolo è quello stabilito con certificazione annuale dalla Regione Umbria" (cfr. all. 2 citazione). Ai fini della presente decisione occorre, quindi, verificare se l'attrice ha dimostrato la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa creditoria azionata e, in particolare, se il Comune di Alviano presentava una percentuale di RD inferiore ai livelli obiettivo nel c.d. anno zero e, in caso affermativo, se aveva superato o meno i livelli di raccolta differenziata fissati per gli anni 2016 e 2017. A tal fine va rilevato che in data 5.8.2015 As. s.p.a. ed ATI n. 4 Umbria stipulavano un accordo transattivo ex art. 239 D.Lgs. n. 163 del 2009 con cui, preso atto che il gestore aveva avviato il servizio di raccolta e trasporto nei diversi comuni solo tra giugno 2014 e marzo 2015, veniva ridefinito il periodo di c.d. start up e differito all'1.7.2015. Venivano,conseguentemente, rideterminati anche gli "elementi temporali cui collegare l'adempimento degli obblighi contrattuali". Con precipuo riferimento al meccanismo di premialità, nell'accordo transattivo esso veniva modificato nei seguenti termini: i "riferimenti temporali degli obiettivi di raccolta differenziata (%RD) fissati dal piano d'ambito cioè 42,6% medio nel 1 anno 56,7% medio nel 2 anno 65,0% medio nel 3 anno sono sposati nel 2015 così che il primo anno corrisponde all'anno solare 2015, dal 1 gennaio al 31 dicembre" (art. 11). In aggiunta veniva stabilito che, mentre l'obiettivo del primo anno non sarebbe stato considerato né ai fini della premialità, né ai fini della penalità, l'art. 52 del disciplinare avrebbe trovato applicazione ai fini delle premialità e/o delle penalità per gli obiettivi del 2016 (56,7%) e del 2017 (65%) (art. 12). In altri termini, gli obiettivi di raccolta differenziata originariamente fissati dall'ATI all'art. 52 del disciplinare tecnico per gli anni 2013-2014-2015 venivano posticipati al triennio 2015-2016-2017. Se, da un lato, non veniva espressamente modificato il riferimento all'anno 2012 contenuto nel disciplinare tecnico ("per i soli comuni che presentano percentuali di RD 2012 inferiore ai livelli obiettivo"), le seguenti considerazioni dimostrano che un'interpretazione letterale dell'accordo transattivo porterebbe a conseguenze illogiche non compatibili con la presumibile volontà delle parti. L'art. 52 del disciplinare tecnico pare logicamente interpretabile nel senso che il meccanismo premiale spettava al gestore nel caso in cui, con la propria attività, avesse incrementato la percentuale di raccolta differenziata nei Comuni non virtuosi rispetto a quella ivi registrata prima che il servizio fosse a lui affidato. Per l'effetto, il meccanismo premiale per il triennio 2013-2015 spettava al gestore per l'attività di raccolta svolta in quei Comuni ove la percentuale era, nell'anno precedente all'avvio del servizio (2012), inferiore al livello obiettivo fissato per il primo anno. Così ricostruita la giustificazione causale sottesa al diritto del gestore a vedersi corrispondere un premio, il successivo accordo transattivo del 2015 non pare logicamente interpretabile solo sulla scorta del dato letterale. Diversamente, si finirebbe per riconoscere al gestore il diritto ad una premialità a prescindere dal fatto che, con la propria attività, abbia o meno incrementato la percentuale comunale di raccolta differenziata rispetto all'anno precedente all'inizio dell'affidamento? In altri termini, si finirebbe per riconoscere al gestore un premio per gli anni 2016 e 2017 solo sulla base del fatto che nel 2012 il Comune di riferimento non era virtuoso, poiché aveva una percentuale di raccolta differenziata inferiore al primo livello obiettivo fissato dall'ATI ed indipendentemente dal fatto che tra il 2012 ed il 2014 l'ente territoriale ben poteva aver raggiunto tale soglia, senza il contributo (meritevole di una premialità) del RTI. Conseguentemente, l'accordo transattivo del 5.8.2015 deve essere interpretato nel senso che lo slittamento delle annualità è riferito non soltanto al triennio in cui il gestore ha diritto a maturare una premialità per il raggiungimento dei livelli obiettivo, ma anche all'anno che determina l'inclusione o meno del Comune tra quelli per cui il gestore ha diritto a vedersi riconosciuto un premio, identificabile, quindi, nell'anno 2014 e non più nell'anno 2012, come originariamente previsto dal solo disciplinare tecnico. Tale interpretazione non pare possa essere sconfessata dal sol fatto che il gestore aveva partecipato alla gara per l'affidamento della concessione sulla base dei dati di raccolta differenziata registrati per l'anno 2012 nei Comuni presso cui avrebbe dovuto erogare il proprio servizio. Accertato ciò, va quindi verificato se negli anni 2016 e 2017 il gestore aveva superato gli obiettivi da ultimo fissati con l'accordo transattivo del 5.8.2015. A tal fine l'attrice valorizzava i dati della raccolta differenziata risultanti dai monitoraggi presenti sul cloud dell'ATI n. 4 Umbria (cfr. all. 4, 19, 20 e 22 citazione). Al di là della ridotta valenza probatoria di tali documenti (si noti, tra i vari, che il file sub. 22 risulta esser stato modificato il 22.8.2017 proprio dalla parte che intende avvalersi di tale documento), nel disciplinare tecnico risulta espressamente stabilito che il livello percentuale di raccolta differenziata da porre a base del calcolo si identificava con quello certificato annualmente dalla Giunta Regionale ai sensi dell'art. 3, co. 2, lett. d), della L.R. n. 11 del 2009, a mente del quale la Regione Umbria "certifica la quantità dei rifiuti urbani e assimilati prodotti e i valori di raccolta differenziata conseguiti da ciascun ATI e da ciascun comune?" (cfr. Trib. Terni, sentenza n. 440/2022, RG n. 709/2021). Nel caso di specie, quindi, chiarito il parametro di riferimento da adottare ai fini della presente decisione, la Regione Umbria risulta aver certificato per il Comune di Stroncone una percentuale di raccolta differenziata pari al 62,8% per il 2016 (cfr. D.R.G. n. 446/2017 - all. 6 citazione) e pari al 63,5% per il 2017 (cfr. D.R.G. n. 667/2018 - all. 5 citazione). Pertanto, il gestore risulta aver superato i livelli obiettivo solo per l'anno 2016 (56,70%) e non, come erroneamente allegato da parte attrice, sulla base di un diverso parametro, per l'anno 2017 (65,0%). Ciò evidenziato, occorre comunque integrare la suddetta motivazione tenendo conto del fatto che, nel presente giudizio, l'ente locale interessato si costituiva contestando decisamente la richiesta di pagamento di parte attrice e che l'AURI si costituiva, seppur pochi giorni prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni, per contestare la propria legittimazione passiva, depositando anche alcuni documenti che, in quanto tardivamente prodotti, sono inutilizzabili. Ebbene, oltre a eccepire il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo la parte convenuta contestava la richiesta avversaria deducendo: 1) l'infondatezza della domanda di condanna nei confronti del comune convenuto; 2) la nullità dell'art. 52 del disciplinare tecnico allegato al contratto di servizio per contrarietà a norme imperative (art. 1, c. 654, L. n. 147 del 2013); 3) in subordine: insussistenza del credito del RTI A.-C. nei confronti del Comune di Stroncone - penalità per l'anno 2017; secondo la parte attrice, nell'anno 2017, il Comune di Stroncone non ha raggiunto la soglia obiettivo del 65% e, quindi, nulla sarebbe dovuto per l'anno 2017 e sarebbe l'Ente convenuto ad aver maturato un diritto di credito nei confronti di parte attrice (penalità) per l'anno 2017, pari ad Euro 4.016,00, secondo i calcoli eseguiti da AURI o nella diversa somma che risulterà in corso di causa (cfr. doc. 10, fasc. attrice). 4) in subordine, la parte convenuta ha contestato la richiesta attorea anche sul quantum rilevando che per il calcolo delle premialità si deve fare riferimento alla sola tariffa di smaltimento mentre per le penalità, ai sensi dell'art. 52, comma 2, si applicano le tariffe relative al trattamento ed allo smaltimento (cfr. doc. 11, fasc. attore). In merito alla deduzione sub. n. 1, oltre a quanto già rilevato al precedente punto sub. n.(...), deve osservarsi che l'Ambito Territoriale Integrato (inteso dalla normativa nazionale e regionale sia come suddivisione del territorio regionale sia come nuovo organismo sovracomunale competente in materia di gestione dei rifiuti) è stato istituito dalla Regione Umbria con L.R. n. 23 del 2007 in attuazione dell'art. 201 del D.Lgs. n. 152 del 2006 al fine di svolgere le funzioni ivi indicate. Con L.R. n. 11 del 2013, tali funzioni sono state poi attribuite all'Autorità Umbra per Rifiuti e Idrico - AURI - che è subentrata alle ATI, dando così continuità alle sue attività istituzionali (la L.R. n. 23 del 2007 aveva istituito nn. 4 ambiti territoriali integrati poi accorpati in un'unica Autorità in considerazione della nuova delimitazione dell'ambito territoriale ottimale coincidente con l'intero territorio regionale, come previsto dall'art. 2 L.R. n. 11 del 2013 cit.; cfr. anche Delib.G.R. 22/12/2008, n. 1875 in attuazione della L.R. n. 23 del 2007, art. 17, commi 3 e 4). Trattasi di un ente a struttura associativa, costituita dai comuni in "cooperazione" tra loro - sia pure sulla base di forme e modi stabiliti dalle Regioni ed in conformità alle linee guida statali - alla quale i Comuni medesimi sono chiamati a farne parte "obbligatoriamente". Conseguentemente, il modello organizzativo prescelto dal legislatore regionale ha comportato che, per la gestione integrata dei rifiuti, l'autonomia decisionale dei comuni viene "ridotta" perché rimessa alle determinazioni adottate dall'Autorità d'ambito, titolare del potere di disporre degli affidamenti e di stipulare i relativi contratti. Tuttavia, le modalità organizzative della suddetta Autorità garantiscono la partecipazione dei singoli Comuni che concorrono alla formazione della volontà dell'Autorità ed ai quali, quindi, devono essere imputati gli effetti delle relative decisioni (cfr. art. 21 L.R. n. 23 del 2007 che attribuisce i poteri decisionali all'Assemblea d'Ambito). A ciò si aggiunga che il contratto di servizio oggetto di causa risulta sottoscritto anche dal sindaco del Comune di Narni ad ulteriore prova dell'imputabilità dei relativi effetti anche direttamente all'ente locale oggi convenuto. Infine, deve essere osservato che difetta agli atti ogni documentazione regolatoria dei rapporti tra gli enti locali e l'Autorità d'ambito convenuta per cui, in assenza di contrarie risultanze, deve essere confermata l'imputabilità degli effetti del contratto oggetto di causa sia al Comune che all'Autorità convenuta, peraltro firmataria sia del contratto che dall'atto di transazione del 5/8/2015 (cfr. 1 e 14, fasc. attrice). Tali considerazioni portano a ritenere che, in merito alla richiesta di pagamento avanzata dalla parte attrice, deve quindi essere riconosciuta anche la legittimazione passiva dell'Autorità d'ambito (oggi AURI), costituitasi in giudizio solo in data 12 marzo 2023, mentre deve essere esclusa la legittimazione passiva dell'ATI n. 4 in quanto soggetto ormai confluito nell'AURI, la cui competenza è stata estesa all'intero territorio regionale, come risulta dalla citata normativa regionale. In merito alla deduzione sub. n. (...) deve osservarsi che il corrispettivo aggiuntivo "premiale" oggetto di causa veniva previsto nel disciplinare tecnico allegato al contratto stipulato fra le parti (art. 52) e che, in caso di necessità (i.e. "modifiche normative e degli atti di regolazione"), l'AURI poteva - con "determinazione unilaterale" - aumentare o diminuire il corrispettivo in sede contrattuale solo per gli anni successivi all'adeguamento stesso (art. 59) e ciò proprio al fine di tutelare il gestore e permettergli di allocare le proprie risorse, organizzative ed economiche, in modo efficiente e sostenibile e garantire l'esecuzione del servizio di gestione dei rifiuti, a tutela della collettività. Pertanto, le delibere adottate dall'AURI negli anni 2018-2019 con le quali è stato escluso in favore della parte attrice il corrispettivo aggiuntivo "premiale" oggetto di causa - quindi retroattivamente - si pongono in aperto contrato con le previsioni contrattuali. Né a tal fine può essere condivisa l'eccezione di nullità della citata clausola n. 52 del disciplinare tecnico per contrarietà a norme di carattere imperativo, l'art. 1, comma 654, L. n. 147 del 2013, atteso che il principio di piena copertura dei costi (full recovery cost) riguarda la copertura dei costi c.d. "efficienti" o utili e, nel caso di specie, l'innalzamento della percentuale di raccolta differenziata deve essere pacificamente considerato come un costo "efficiente" In considerazione della documentazione frammentaria depositata dalle parti, resta tuttavia non del tutto chiarita la modalità di copertura di tale costo e come lo stesso sia stato considerato per determinare la tariffa atteso che, dalla lettura del Piano economico finanziario allegato al Piano d'ambito (cfr. doc. 16, fasc. convenuta), risulta la previsione di un "Fondo di P." che sembrerebbe destinato più alle utenze dei Comuni virtuosi - in termini di una riduzione della "bolletta" - che non destinato al gestore del servizio. Per quanto riguarda la contestazione di cui al punto sub. n. (...), deve convenirsi con quanto rilevato dal Comune di Stroncone secondo cui, per l'anno 2017, sulla base della certificazione regionale, la parte attrice non aveva raggiunto il livello obiettivo della raccolta differenziata (65%), presupposto per l'applicazione del contributo aggiuntivo "premiale", per cui, fondatamente, nel presente giudizio la parte convenuta ha allegato l'inadempimento della parte attrice e chiesto l'applicazione della penalità prevista dal più volte citato art. 52 del disciplinare tecnico, quantificando la stessa nella somma di Euro 4.016,00 sulla base dei calcoli effettuati dalla stessa AURI, non sostanzialmente contestati dalla parte attrice. Infine, in relazione poi alla contestazione sub. n. (...), relativa al quantum, devono condividersi nuovamente le motivazioni addotte da questo Tribunale nella citata pronuncia n. 440/2022 (RG n. 709/2021) che di seguito si riportano: "Ai fini della quantificazione della pretesa creditoria del gestore occorre tenere conto di tre fattori che, in base alla formula algebrica descritta all'art. 52 del disciplinare tecnico, concorrono alla quantificazione della premialità: (i) il differenziale tra la percentuale di raccolta differenziata raggiunta e quella fissata come obiettivo (?RD), dato dalla differenza tra i due valori; (ii) la produzione annuale complessiva di rifiuti urbani del singolo Comune, anch'essa certificata annualmente dalla Regione Umbria con d.D.G.R.; (iii) la tariffa di smaltimento dei rifiuti urbani. Con riferimento, infine, alla tariffa di smaltimento dei rifiuti, va evidenziato che, diversamente dalla formula prevista per calcolare le penalità applicabili al gestore (basate sul "costo di trattamento e smaltimento della quantità di rifiuti urbani indifferenziati eccedente"), l'art. 52 del disciplinare tecnico quantificava espressamente il premio in base al risparmio apportato al Comune in termini di mero "costo di smaltimento dei rifiuti urbani" (cfr. all. 2 citazione). La diversa terminologia utilizzata dal concedente nel regolamentare il meccanismo premiante e penalizzante - peraltro all'interno del medesimo articolo - giustifica la valorizzazione dell'elemento letterale. Non appare, infatti, illogico sostenere che il concedente avesse previsto un meccanismo di penalità maggiormente afflittivo per il gestore, in base al quale quest'ultimo avrebbe dovuto sostenere non solo il costo di smaltimento dell'eccedenza di rifiuti indifferenziati, ma anche quello relativo al trattamento. A ciò si aggiunga che l'interpretazione del disciplinare tecnico, predisposto dall'ATI n. 4 Umbria - definito come "una forma speciale di cooperazione fra gli enti locali, con personalità giuridica, autonomia regolamentare, organizzativa e di bilancio ? cui si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di enti locali" e a cui la Regione Umbria "ha attribuito ? le funzioni di cui al Capo III della Parte IV del D.Lgs. n. 152 del 2006 s.m.i." (cfr. all. 1 citazione) - e da qualificare come atto amministrativo, impone al giudice di ricostruire la volontà dell'ente pubblico (e non anche quella del suo destinatario) applicando sì le regole dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c., ma nei limiti di quanto compatibili e tenendoconto del carattere preminente che assume il dato testuale (cfr. Cass. S.U. n. 20181/2019; conf. Cass. n. 11409/1998). Né può ritenersi che l'interpretazione qui accolta violi l'art. 7 D.Lgs. n. 36 del 2003, non esonerando certo il gestore dal compiere il trattamento dei rifiuti prima di procedere al loro smaltimento. Chiarito ciò, in base all'art. 40 della L.R. n. 11 del 2009, la tariffa di conferimento dei rifiuti agli impianti, di trattamento e smaltimento viene approvata dall'ATI e, in base all'art. 34 del disciplinare tecnico P14 (cfr. all. 2 citazione), risulta da questo definita annualmente. Ebbene, in base dell'interpretazione letterale accolta, il terzo fattore di calcolo deve identificarsi nel solo costo di smaltimento annualmente fissato dall'ATI n. 4 e quantificato in 111,61Euro/t per l'anno 2016 ed in 112,51Euro/t per l'anno 2017 (cfr. allegati C perizia)." (cfr. Trib. Terni, sentenza n. 440/2022, RG n. 709/2021). Nel caso di specie, pertanto utilizzando i dati, sotto questo aspetto, non contestati fra leparti, il differenziale deve essere parametrato in base alla percentuale di raccolta differenziata certificata dalla Regione Umbria. Conseguentemente, dalla documentazione in atti (cfr. all. 5 e 6 citazione) per l'anno 2016 risulta un differenziale pari al 6,10% (62,80% - 56,7%) mentre per l'anno 2017 risulta in differenziale, in negativo, pari all'1,5% (65% - 63,50%). Passando al secondo fattore, nelle delibere adottate annualmente dalla Regione Umbria viene quantificato, sotto la voce "RU", il totale dei rifiuti urbani di ciascun Comune (espresso in tonnellate). Sulla base dei dati certificati per il Comune di Narni dalla Regione Umbria, la produzione complessiva di rifiuti urbani (PRU) ammontava per il 2016 a 1.471 tonnellate e per il 2017 a 1.689 tonnellate. Alla luce di tutte le considerazioni sinora svolte ed applicando la formula matematica descritta all'art. 52 del disciplinare tecnico, per l'anno 2016, il credito vantato dal gestore ammonta ad Euro 5.007,38 (0,5 x 89,73 x 111,61) mentre, per l'anno 2017, il debito maturato dal gestore ammonta ad ad Euro 4.015,31 (25,33 x 158,52) per l'anno 2017 (cfr. i conteggi effettuati da parte convenuta nella propria comparsa conclusionale e non contestati da parte attrice). Conseguentemente, operata una compensazione fra i due importi, come richiesto da parte convenuta nella propria comparsa tempestivamente depositata, va riconosciuto all'attrice il complessivo importo di Euro 992,07 a titolo di premialità maturato nell'anno 2016 per il servizio svolto nel Comune di Stroncone, oltre interessi al tasso legale dalla domanda al saldo, condannando le convenute - Comune di Narni e AURI - in solido al relativo pagamento. 3. Le spese possono essere compensate fra le parti attesa la soccombenza reciproca e, comunque, in considerazione dell'assoluta novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - dichiara il difetto di legittimazione passiva dell'AURI - Sub Ambito n. 4 - (già ATI n. 4); - in parziale accoglimento della domanda, condanna il Comune di STRONCONE e l'Autorità Umbra Rifiuti e Idrico (A.U.R.I.), in solido, al pagamento in favore dell'As. S.P.A., quale mandataria del R.T.I. costituto tra As. S.P.A. e Co. SOCIETA' COOPERATIVA, della somma di Euro992,07, oltre interessi nella misura legale dalla domanda sino al soddisfo; - Spese compensate. Così deciso in Terni il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI Il Tribunale, in persona del giudice dott.ssa Dorita Fratini ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 414 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2018, trattenuta in decisione all'udienza del 29.03.2023 e vertente TRA Ba.Cr. COOPERATIVO T. - Um. SOCIETA' COOPERATIVA già Cr. COOPERATIVI SOCIETA' COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. La.Br., come da procura in atti; ed elettivamente domiciliata in Terni, Via (...), presso lo studio dell'avv. To.Fi. ATTORI E Ce.Fr. E Ce.Fu. tutti elettivamente domiciliati in Orvieto, via (...), presso lo studio dell'avv.to Fr.Ro. che li rappresenta e difende, come da procura in atti; CONVENUTI E NEI CONFRONTI DI Bc. S.R.L. 2018-2 cessionaria intervenuta e per essa la mandataria Do. S.P.A., già It. S.P.A, in persona del legale rappresentante p.t., nella sua qualità di procuratore di Bc. E Np. S.R.L. 2018 rappresentati e difesi dall'avv. Ro.Ma. come da procura in atti; ed elettivamente domiciliata in Roma, Via (...), presso il suo studio; INTEREVENUTI OGGETTO: contratti bancari. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I)SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato il 16 Febbraio 2018, la Bc.Um. SOCIETÀ COOPERATIVA (già Cr. SOC. COOP.) conveniva in giudizio F. e Fr.Ce., nella loro qualità di ex soci della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. (d'ora in avanti per brevità indicata anche come Fr.Ce.), rassegnando le seguenti conclusioni, come precisate in data 28.3.2023: "Voglia l'Ecc.mo Giudice adito, contrariis rejectis, 1) Accertato il credito di Ba.Cr. (già Bc.Um. - già C.) e ora, per effetto della intervenuta cessione, di Bc. 2018- 2 srl, nei confronti della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. per l'importo di Euro 846.513,94 per saldo debitore del c/c ipotecario 612198, per rimborso del mutuo fondiario n.(...) del 3/8/2011 e per rimborso del mutuo fondiario n.(...) del 26/1/2007 somma comprensiva degli interessi maturati al 19/12/2017 come indicato in citazione oltre interessi maturati e maturandi dal 20/12/2017 al soddisfo al tasso del (...),50%, comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente, sulla somma di Euro 342.527,03; interessi al tasso convenzionale del 5,70% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 56.872,37; interessi al tasso convenzionale del 2,40% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 394.729,65- (...)) Accertato che la società Fr.Ce. snc di F. e Fr.Ce. è stata cancellata dal Registro delle Imprese il 22/9/2014 e che, per l'effetto, i rapporti obbligatori si sono trasferiti ai soci Ce.Fr. e Ce.Fu. già illimitatamente responsabili della società estinta; 3) Dichiarare gli ex soci illimitatamente responsabili F. E Fr.Ce. debitori di Ba.Cr. SOCIETA' COOPERATIVA e, per effetto della intervenuta cessione, di Bc. 2018-2 srl dell'importo di Euro 846.513,94 oltre interessi al tasso convenzionale del 15,50%, comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 20.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 342.527,03; interessi al tasso convenzionale del 5,70% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 56.872,37; interessi al tasso convenzionale del 2,40% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 394.729,65 4) Condannare gli ex soci illimitatamente responsabili F. E Fr.Ce. a pagare, insieme ed in solido tra loro, alla cessionaria Bc. 2018-(...) srl, la somma di Euro 846.513,94 oltre interessi al tasso convenzionale del 15,50%, comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 20.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 342.527,03; interessi al tasso convenzionale del 5,70% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 56.872,37; interessi al tasso convenzionale del 2,40% comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore, dal 19.12.2017 al soddisfo sulla somma di Euro 394.729,65; 5) Accertare e dichiarare la successione in favore di Ce.Fr. e Ce.Fu. nella titolarità dei beni intestati a favore di Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. gravati dalle ipoteche iscritte in favore di C., poi B.U.C. società cooperativa, poi Ba.Cr. società cooperativa e specificatamente: -Fabbricato sito in P.L.B. distinto al NCEU di detto Comune al foglio (...) numero (...) graffato con il numero 899, cat (...), r.c. Euro 3.129,73, mentre l'area dello stesso è censita al NCT di detto comune al foglio (...) numero (...) della superficie catastale di ha. 0.64.50 e numero 899 della superficie catastale di ha. 0.13.50 nonché terreni siti in Parrano distinti al foglio (...) particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); -Terreni siti in Comune di F. distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...); -Terreni siti in Comune di Montegabbione distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...), (...) e (...); (...)) Dichiarare che i detti beni sopra indicati appartengono in comunione indivisa ai sigg.ri Ce.Fr. (C.F. (...) ) nato a F. il 21.12.1950, Ce.Fu. (...) , e Ce.Fr. (C.F. (...) ) nato a F. il (...) ordinando al Conservatore dei Registri Immobiliari la trascrizione della emananda sentenza con esonero da ogni sua responsabilità al riguardo 7) Rigettare tutte le domande, anche riconvenzionali, tutte le eccezioni, nessuna esclusa, anche riconvenzionali, tutte le istanze anche istruttorie proposte dai convenuti Ce.Fr. e Ce.Fu.. Con refusione delle spese del giudizio". A fondamento della domanda esponeva di essere creditrice della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce., nonché dei soci illimitatamente responsabili della somma complessiva di Euro 846.513,94 derivante da: -saldo negativo del c/c ipotecario n. (...) pari ed Euro 342.527.03 -debito residuo relativo al mutuo fondiario n. (...) del 3.08.2011, pari ad Euro 73.036,31 (di cui 56.872,37 quale capitale residuo, Euro 4.573,42 quali interessi sulle rate scadute ed Euro 11.590,52 per interessi moratori). -debito residuo relativo al mutuo fondiario n. (...) del 26.01.2007, pari ad Euro (di cui 394.729,65 quale capitale residuo, Euro 17.951,01 quali interessi sulle rate scadute ed Euro 18.269,94 quali interessi moratori). A garanzia delle obbligazioni nascenti dai suddetti atti, la società Fr.Ce., nonché i soci Ce.Fr. e Fu. personalmente avevano concesso ipoteca a favore della banca creditrice, iscritta su diversi compendi immobiliari di proprietà della società e dei soci (come descritti a pag. 3 dell'atto introduttivo del giudizio). La banca deduceva che in data 22.9.2014 la Fr.Ce. SNC veniva cancellata dal registro delle imprese senza che si fosse proceduto alla liquidazione del patrimonio societario, con la conseguenza che i soci illimitatamente responsabili succedono nella titolarità dei beni che facevano capo alla società estinta e rispondono dei debiti della stessa rimasti insoddisfatti. La vocatio in ius fissava la data per la comparizione delle parti davanti al Tribunale di Terni in data 5.6.2018, differita ai sensi dell'art. 168, comma 4 c.p.c.. In data 1.6.2018 i convenuti F. e Fr.Ce. si costituivano in giudizio formulando una domanda di accertamento di un proprio credito verso la banca, opposto in compensazione con il credito dalla stessa azionato in giudizio e rassegnando le seguenti conclusioni "Accertato il credito vantato dai Convenuti per le ragioni sopra esposte nella misura indicata o in quella diversa che risulterà in corso di causa, disporne la compensazione giudiziale con quello di Parte attrice riducendone l'entità sino alla concorrenza del relativo importo. Piaccia altresì al Tribunale accertare e dichiarare l'operatività del beneficio della preventiva escussione sui beni da intestare in comunione ai Convenuti, già di proprietà della società estinta Fr.Ce. s.n.c. Con vittoria di spese e compenso professionale". In particolare i convenuti, nella loro qualità di soci della società estinta, affermavano che la società, oltre ai rapporti azionati dalla banca, era titolare di un conto corrente ordinario n. 10203 al quale erano collegati due conti tecnici con relative aperture di credito, un conto anticipi su fatture ed un conto anticipi salvo buon fine. Su tale conto erano state applicate poste illegittime quali commissioni di massimo scoperto, spese non pattuite e la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi. A sostegno delle proprie allegazioni, parte attrice produceva una consulenza econometrica che ricalcolava il saldo, epurato dalle poste asseritamente illegittime, il quale risultava a favore del correntista per l'importo di Euro 230.697,95. Ciò premesso, chiedeva, previo accertamento della illegittimità delle poste che avevano concorso alla formazione del saldo del conto corrente n. (...) e la rideterminazione del saldo a favore del correntista, la compensazione tra i rispettivi crediti. Eccepiva inoltre il beneficium excussionis in relazione alle domande attinenti ai beni immobili appartenenti alla società, pervenuti ai soci a seguito della cancellazione della stessa dal registro delle imprese. Alla prima udienza del 7 giugno 2018 il giudice rilevava d'ufficio, ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010, l'improcedibilità della domanda avente ad oggetto controversie in materia bancaria e finanziaria, in ragione del mancato esperimento della mediazione obbligatoria ed assegnava un termine alle parti per introdurla. La mediazione veniva incardinata davanti all'organismo forense di Terni dall'istituto di credito che depositava nel fascicolo telematico il verbale negativo del 10.07.2018, attestante la mancata comparizione dei convenuti. La causa veniva istruita attraverso il deposito di documentazione e delle memorie ex art. 183, comma VI c.p.c.. Intervenivano nel giudizio, con atto depositato in data 11.6.2019 la It. Srl, nella sua qualità di procuratore della Bc. 2018 -2 S.r.l e cessionaria dei crediti de quo, depositando un atto di intervento volontario ex art. 111 c.p.c., adesivo rispetto alle eccezioni, deduzioni e domande svolte dalla originaria attrice. In data 24.11.2022 la Bc. 2018-2 S.r.l. e per essa la mandataria D. S.p.A si costituivano in giudizio, depositando un atto di intervento volontario ex art. 111 c.p.c., adesivo rispetto alle eccezioni deduzioni e domande della originaria parte attrice. All'udienza del 29.3.2023, la prima tenuta da questo giudice istruttore, la causa veniva presa in decisione, con concessione dei termini di rito per lo scambio degli scritti conclusionali. II)SULLA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA Anzitutto, va rilevata la procedibilità della domanda giudiziale stante l'esperimento da parte della banca attrice della mediazione obbligatoria, in conformità con quanto previsto dall'art. 5, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010 (si veda verbale della mediazione depositato telematicamente in data 12.11.2018). Come si dirà meglio in prosieguo, la costituzione dei convenuti è tardiva e quindi le domande ed eccezioni riconvenzionali dagli stessi formulate nella memoria di costituzione sono inammissibili: tale valutazione assorbe ogni questione relativa alla procedibilità in relazione al mancato esperimento della mediazione obbligatoria, in mancanza di prova che la mediazione promossa dalla attrice vertesse anche sulla domanda e sulla eccezione riconvenzionale dei convenuti. Dal verbale redatto dall'organismo di mediazione emerge che l'esito negativo è una conseguenza della mancata partecipazione dei convenuti all'incontro fissato dinanzi all'organismo di Mediazione Forense di Terni. In base all'art. 8, co. 4 bis, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 28 del 2010 il Giudice, nei procedimenti per cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda, deve condannare la parte costituita in giudizio, che non abbia partecipato al procedimento di mediazione senza addurre alcun giustificato motivo, a versare all'entrata del bilancio dello Stato una somma pari all'importo del contributo unificato dovuto per il giudizio. Considerato che l'applicazione di detta sanzione è doverosa, Fr.Ce. e Fr.Ce. devono essere condannati al versamento di una somma pari all'importo del contributo unificato, che ammonta ad Euro 1.686,00. III)IL MERITO DELLA CONTROVERSIA Le domande attoree sono fondate e debbono essere accolte, mentre deve essere dichiarata l'inammissibilità delle domande ed eccezioni riconvenzionali dirette a far valere la compensazione proposte dai convenuti, per i motivi che di seguito si esporranno. A)LA CANCELLAZIONE DELLA SOCIETA' DI PERSONE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE E LA RESPONSABILITA' DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI A1)Parte attrice ha chiesto la condanna di C.F. E C.F., nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della Fr.Ce. al pagamento di una ingente somma di denaro, quale debito residuo maturato nel contesto di plurimi rapporti contrattuali intercorsi tra la suddetta società e la B.D.C.C. (alla quale ultima subentravano gli enti costituiti in giudizio ex art. 111 c.p.c.). Parte attrice ha provato il proprio interesse ad agire, documentando il credito verso la società estinta e la costituzione di una garanzia ipotecaria su alcuni beni della società specificamente elencati nell'atto introduttivo. E' provato documentalmente ed è stato ammesso anche dai convenuti che la suddetta società in data 22.09.2014 veniva cancellata dal registro delle imprese, senza che si fosse proceduto alla liquidazione di tutto il patrimonio sociale: dalla visura emerge che la cancellazione è stata volontaria (per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale) e senza apertura della liquidazione (pag. 4 all. 4 all'atto introduttivo). E' provato documentalmente (all. 4 alla citazione) ed è stato ammesso anche dai convenuti che costoro erano gli unici soci della società prima della cancellazione. Giova evidenziare in diritto che quando viene approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese ed i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi, ai sensi dell'art. 2312 c.c.. Secondo la Suprema Corte, la norma richiamata non autorizza la lettura secondo cui l'estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal Registro delle imprese, comporta anche l'estinzione dei debiti rimasti insoddisfatti che ad essa facevano capo, in quanto una simile interpretazione "finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui (magari facendo venir meno, di conseguenza, le garanzie, prestate da terzi, che a quei debiti eventualmente accedano), e ciò pare tanto più inammissibile in un contesto normativo nel quale l'art. 2492 c.c. non accorda al creditore la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione" (Cass. SU n. 6070 del 12/03/2013). Il debito di cui possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro delle imprese non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s'identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa, la propria originaria natura giuridica (Cass. Sent. n. 5113 del 3 aprile 2003) e le garanzie che lo connotano. La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, quindi, ne determina l'estinzione e priva la stessa della capacità di stare in giudizio, così dando vita ad un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, in base al regime giuridico cui erano soggetti prima della cancellazione, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente (Cass. Sez. V, n. 24955/2013; Cass. 17564/2013). I soci della società estinta, quindi, rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, in base all'art. 2291 c.c.. Alla luce dei principi richiamati, i convenuti F. e Fr.Ce., soci della società di persone estinta, sono responsabili in solido rispetto alla totalità dei rapporti debitori della suddetta società, non estinti al momento della cancellazione dal registro delle imprese ed ora riferibili alla N. S.R.L. 2018-2, in virtù degli atti di cessione del credito intercorsi tra la banca originaria creditrice e gli enti cessionari, che hanno tutti spiegato atto di intervento ex art. 111 c.p.c. nel presente giudizio. Parte attrice ha azionato un credito maturato verso la società prima della cancellazione della società, che non solo non è stato contestato nell'an e nel quantum, ma i convenuti lo hanno sostanzialmente ammesso, visto il tenore delle loro difese; inoltre il credito è stato provato documentalmente da parte attrice, attraverso la produzione in giudizio dei contratti e degli estratti del conto corrente (all. 1,(...),3 alla citazione). Il credito della B., quindi, sussiste ed è stato correttamente azionato verso i soci, in considerazione della perdita della capacità processuale della società che ha contratto i debiti ed in ragione della fattispecie successoria che connota l'estinzione delle società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese. I convenuti pertanto debbono essere condannati al pagamento a favore della N. S.R.L. 2018-2, quale cessionaria dei crediti azionati dalla parte attrice nel presente giudizio, della somma di Euro 846.513,94, quale credito residuo verso la società cancellata dal registro delle imprese, maturato prima della estinzione della stessa e rimasto insoddisfatto, oltre interessi come indicato nella citazione. A2)Parte attrice, titolare di crediti garantiti da ipoteca, iscritta sui beni della società debitrice, ha citato in giudizio i convenuti nella loro qualità di soci unici ed illimitatamente responsabili, affinchè venisse accertato che, a seguito della estinzione dell'ente, i beni immobili ipotecati sono divenuti di proprietà degli stessi soci Ce.Fr. e C.F., in comunione indivisa. Giova premettere in diritto che secondo la giurisprudenza della Suprema Corte "? qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale ma si trasferisce ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente a seconda e che "pendente societate" fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa con esclusione delle mere pretese"?. "Il subingresso dei soci nei debiti sociali, sia pure entro i limiti e con le modalità cui sopra s'è fatto cenno, suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio. Se l'esistenza dell'ente collettivo e l'autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate, di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti unificati dalla destinazione impressa loro dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s'instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni per tengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della con titolarità o della comunione." (Cass. SU n. 6070 del 12/03/2013, nonché SU nn. 6071 e 6072 del 2013; si veda anche Trib Milano- Sez. Spec., sentenza del 6 aprile 2017 in Le società-IPSOA nn.8-9/2017). Applicando tali principi alla fattispecie in oggetto si osserva che non è contestato, è provato documentalmente ed è stato ammesso anche dai convenuti, che la società Fr.Ce. S.N.C. era proprietaria di alcuni beni immobili gravati da ipoteca a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni verso la banca nascenti dai contratti di mutuo e dal contratto di apertura di credito in c/c, che non sono stati attribuiti ai soci e segnatamente: 1)Fabbricato sito in P.L.B. distinto al NCEU di detto Comune al foglio (...) numero (...) graffato con il numero 899, cat (...), r.c. Euro 3.129,73, mentre l'area dello stesso è censita al NCT di detto comune al foglio (...) numero (...) della superficie catastale di ha. 0.64.50 e numero 899 della superficie catastale di ha. 0.13.50; 2)Terreni siti in Parrano distinti al foglio (...) particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); 3)Terreni siti nel Comune di F. distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...); 4)Terreni siti in Comune di Montegabbione distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...), (...) e (...). Parte attrice ha provato il proprio interesse ad agire in quanto è titolare di un credito garantito da ipoteca, per la cui escussione è necessario l'accertamento relativo alla titolarità degli immobili, già di proprietà della Fr.Ce. srl, i quali, a seguito della cancellazione della stessa dal registro delle imprese e della estinzione, ex lege sono divenuti di proprietà degli unici soci cessati, ossia gli odierni convenuti. Come osserva la dottrina, la cancellazione della società dal registro delle imprese comporta l'estinzione dell'ente pertanto i residui attivi del suo patrimonio non possono più essere ricollegati all'ente estinto e si verifica una vicenda successoria che comporta il trasferimento ai soci, in regime di contitolarità e comunione indivisa, dei diritti e dei beni non liquidati. I rapporti giuridici delle società cancellate dal registro delle imprese sopravvivono alla estinzione e ciò vale anche per i rapporti attivi, ossia i beni che non sono stati oggetto di trasferimento nella fase della liquidazione o di attribuzione ai soci, rispetto ai quali opera ex lege un mutamento automatico della titolarità giuridica, direttamente connesso al fenomeno successorio che la cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente estinzione della società comportano. La Suprema Corte con riferimento ai crediti ha ribadito che la mera cancellazione dal registro delle imprese non può, di per sé sola, per la sua invincibile equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne una volontà abdicativa (Cass. Sez. 1, sentenza n. 9464 del 22/05/2020 in motivazione) e dunque a fortiori deve ritenersi che detta volontà abdicativa non possa sussistere rispetto ai beni di cui la società è titolare, i quali non possono restare nella titolarità di un soggetto giuridico non più esistente e non possono essere considerati res derelicta. A ciò si aggiunga che la perdurante titolarità dei beni in capo alla società estinta renderebbe irrimediabilmente vana la garanzia ipotecaria ed esporrebbe il credito all'arbitrio dei soci che, per sottrarsi all'adempimento, cancellano la società dal registro delle imprese, eludendo i debiti maturati. Il fenomeno successorio che la cancellazione automaticamente determina, invece, neutralizza eventuali condotte opportunistiche dei soci, i quali, a far data dalla cancellazione, diventano titolari dei beni della società nello stato in cui si trovano e dunque con i pesi e le garanzie ipotecarie su di essi gravanti. Nel caso di specie non è contestato che i beni immobili già di proprietà della società di persone estinta siano tutt'ora intestati alla stessa nei registri immobiliari, in quanto non oggetto di alcuna attività liquidatoria e non contemplati nel bilancio finale di liquidazione, omesso nel caso concreto, e che non siano attribuiti ai soci, circostanze incontestate e dunque provate ex art. 115 c.p.c.. I convenuti, unici soci della società al momento della cancellazione, sono divenuti titolari dei suddetti beni e parte attrice ha interesse ad ottenere l'accertamento della loro titolarità, al fine di poter escutere la garanzia ipotecaria dei crediti rimasti insoluti. Alla luce delle argomentazioni deve essere che precedono la domanda di accertamento svolta da parte attrice deve essere accolta. Parte attrice ha chiesto che fosse ordinata la trascrizione della domanda giudiziale ed in sede di precisazione delle conclusioni ha modificato la sua istanza ed ha chiesto che fosse ordinata la trascrizione della sentenza. Il Giudice ritiene che, anche a voler ritenere che la presente sentenza possa essere trascritta, alcun ordine dovrebbe essere impartito al Conservatore, il quale vi può provvedere su istanza della parte interessata, qualora la sentenza sia trascrivibile. A tal proposito si osserva che il giudice, in linea con una parte della dottrina, ritiene che l'automaticità del mutamento della titolarità dei beni, correlata al meccanismo successorio, renda non necessaria la trascrizione in quanto per ciò che attiene alla titolarità occorre fare riferimento alla risultanze storiche del Registro delle Imprese, attestanti la cancellazione della società e la composizione societaria, idonee ad assicurare la continuità delle trascrizioni. Pur nella consapevolezza della astratta necessità, per ragioni di certezza giuridica, di trascrivere un provvedimento giudiziale che abbia una portata ricognitiva della situazione proprietaria, occorre tuttavia considerare che manca una norma che consenta la trascrizione del suddetto provvedimento, il quale non rientra nell'elenco tassativo degli atti soggetti a trascrizione di cui all'art. 2643 c.c.., che prevede la trascrizione delle sentenze che hanno ad oggetto la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti previsti nei numeri precedenti (n.14); l'emananda sentenza di accertamento, invece, non presenta queste caratteristiche, pur avendo ad oggetto diritti reali (arg. ex Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13695 del 22/06/2011). B)INAMMISSIBILITA' DELLE DOMANDE ED ECCEZIONI DI PARTE CONVENUTA RIGUARDANTI LA COMPENSAZIONE DEI CREDITI I convenuti chiedono l'accertamento di un proprio credito verso la banca ed eccepiscono la compensazione con il maggior credito della attrice che non è contestato. I convenuti, tuttavia, tendono ad ottenere l'accertamento di un controcredito avente ad oggetto un rapporto autonomo e diverso da quelli dedotti nell'atto di citazione e sollevano una eccezione di compensazione "propria", che, in forza dell'art. 1241 e segg. c.c., postula l'autonomia dei rapporti dai quali nascono contrapposti crediti delle parti. Qualora i rispettivi crediti e debiti abbiano invece origine da un unico rapporto e si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere, il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione della domanda riconvenzionale, sempre che tale accertamento si fondi su circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, in quanto, diversamente, si verificherebbe un - non consentito - ampliamento del "thema decidendum". Qualora i reciproci debiti e crediti traggano origine da un unico rapporto contrattuale, si è in presenza di una ipotesi di compensazione impropria, basata sull'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare e avere e l'eccezione di compensazione c.d. impropria (detta anche atecnica o contabile) non è soggetta alle preclusioni processuali. La compensazione in senso proprio, invece, opera allorquando i contrapposti crediti e debiti delle parti scaturiscono da autonomi rapporti giuridici. L'accertamento della natura c.d. propria o impropria dell'ipotesi di compensazione sottoposta all'esame del giudice si riflette direttamente sul piano processuale atteso che, se la reciproca relazione di debito-credito trae origine da un unico rapporto (c.d. relazione impropria), l'accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice anche d'ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cd. propria che, per operare, postula l'autonomia dei rapporti e richiede l'eccezione di parte, da sollevarsi nei termini perentori previsti dal codice di rito (Cass. n. 12302/2016; conf. n. 7474/2017 ; ed 1987 n. 7924). La compensazione invocata dai convenuti non solo trova fondamento in un rapporto autonomo, ma presuppone l'accertamento giudiziale di un credito che non è certo, liquido ed esigibile. La compensazione è applicabile d'ufficio soltanto se i rispettivi crediti e debiti certi, liquidi ed esigibili, traggano origine da un unico rapporto, non quando derivano da rapporti diversi che, nel caso di specie, controparte tra l'altro non prova, quanto al titolo ed alla effettiva consistenza, formulando domande generiche che, in ogni caso, renderebbero necessari approfondimenti istruttori diretti ad accertare la effettiva consistenza del controcredito opposto in compensazione. Nel caso di specie non vi è alcun dubbio che i convenuti abbiano promosso istanze soggette a rigorosi termini di decadenza, previsti dall'art. 167 c.p.c. La loro costituzione è avvenuta in data 1.6.2018 e dunque senza il rispetto dei termini previsti dall'art. 167 c.p.c, avuto riguardo alla data della udienza di prima comparizione indicata nell'atto introduttivo (5.6.2018), con la conseguenza che deve essere dichiarata l'inammissibilità delle domande ed eccezioni riconvenzionali dagli stessi proposte. C)SUL BENEFICIO DI PREVENTIVA ESCUSSIONE I convenuti hanno invocato il beneficium excussionis previsto per le società in nome collettivo dall'art. 2304 c.c.. Tale norma prevede che i soci possano invocare detto beneficio quando la società è operativa ovvero in liquidazione e non certo nelle ipotesi in cui la società sia stata cancellata dal registro delle imprese, atteso che viene meno il soggetto giuridico a cui la banca possa rivolgere in prima istanza le sue pretese, prima di escutere il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili. A ciò si aggiunga che secondo la prevalente giurisprudenza il beneficium excussionis si atteggia diversamente a seconda che si tratti di società in nome collettivo o di società semplice - la cui disciplina si applica anche alle società di fatto - poiché, in presenza della prima il creditore non può pretendere il pagamento dal socio se non dopo l'escussione del patrimonio sociale, mentre il socio della seconda, richiesto del pagamento di debiti sociali, può invocare il beneficio indicando i beni sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi (Cass. n. 11921/1990). Secondo la giurisprudenza maggioritaria, tuttavia, il beneficio opera limitatamente alla sede esecutiva e non impedisce al creditore sociale di esercitare una azione di cognizione nei confronti del socio, prima di intraprendere l'azione esecutiva nei confronti della società (Cass. n. 6048/2003; Cass. n. 5434/1998; Cass. n. 5479/1986) in modo tale da procurarsi così un titolo esecutivo necessario per iscrivere ipoteca o per procedere ad una rapida esecuzione nei confronti del socio medesimo. L'accertamento richiesto dai convenuti, quindi, non merita accoglimento atteso che non opera alcun beneficio di preventiva escussione a favore degli stessi, che sia azionabile nel presente giudizio. Tanto premesso, applicando le coordinate teoriche richiamate al caso concreto, analogamente a qualsiasi altro fenomeno di successione particolare, i beni facenti capo alla società estinta, nella medesima consistenza e gravati dagli stessi oneri e pesi, sono passati nella titolarità dei due soci illimitatamente responsabili F. e Fr.Ce. e l'accertamento richiesto non è inficiato dalla eccezione di preventiva escussione sollevata dai convenuti. D)Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo in favore della sola attrice, posto che le società intervenute hanno partecipato solo alla fase finale del giudizio, sostanzialmente associandosi alle difese ed alle conclusioni della attrice. La liquidazione tiene conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 (come da ultimo aggiornata), in base al valore (scaglione di riferimento da Euro 520.000,01 ad Euro 1.000.000,00), alla natura e alla complessità della controversia e alla reale attività svolta in fase istruttoria, secondo i parametri minimi, in ragione della esiguità degli incombenti istruttori espletati, nella misura di Euro 14.598,00, oltre accessori come per legge (euro 2.304,00 per la fase di studio; Euro 1..520 per la fase introduttiva, Euro 6.767,00 per la fase istruttoria; Euro 4.007,00 per la fase decisoria). P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, ogni altra istanza, eccezione, domanda e conclusione disattesa o assorbita, così provvede: A)In accoglimento delle domande di parte attrice, accertata l'estinzione a far data dal 22.9.2014 della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce., (P.I. (...)), con sede in P. (T.) Loc. F. del B. e accertato il credito della Ba.Cr.T.U. (già Bc.Um. - già C.) e ora, per effetto della intervenuta cessione, di Bc. 2018- 2 srl, nei confronti della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. per l'importo di Euro 846.513,94 e dei convenuti nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della società estinta: -condanna Fr.Ce. E Fr.Ce., in solido tra loro, al pagamento a favore della Bc. 2018- 2 srl della somma di Euro 846.513,94, oltre interessi come conteggiati dall'attore; -accerta che i seguenti beni immobili: 1)Fabbricato sito in P.L.B. distinto al NCEU di detto Comune al foglio (...) numero (...) graffato con il numero 899, cat (...), r.c. Euro 3.129,73, mentre l'area dello stesso è censita al NCT di detto comune al foglio (...) numero (...) della superfice catastale di ha. 0.64.50 e numero 899 della superfice catastale di ha. 0.13.50; (...))Terreni siti in Parrano distinti al foglio (...) particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); 3)Terreni siti nel Comune di F. distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...); (...))Terreni siti in Comune di Montegabbione distinti al NCT di detto Comune al foglio (...) numeri (...), (...), (...), (...) e (...), a far data dal 22.9.2014 sono divenuti di proprietà esclusiva, in comunione indivisa, dei convenuti Fr.Ce. nato a F. il (...) (C.C.) e Fr.Ce. nato a F. il (...) (CF (...)) unici soci illimitatamente responsabili della Fr.Ce. S.N.C. Di.Fr. E Fr.Ce. prima dell'estinzione; B)Dichiara inammissibili le domande e le eccezioni riconvenzionali di parte convenuta; C)Condanna Fr.Ce. E Fr.Ce. alle refusione delle spese legali nei confronti della Ba.Cr. COOPERATIVO T. - Um. SOCIETA' COOPERATIVA, che liquida in Euro 14.598,00, oltre iva ed accessori se dovuti, nonché alla refusione delle somme di Euro 1686,00, pagata dall'attore per il contributo unificato, ed Euro 27,00 per i diritti; D)Compensa le spese tra gli intervenuti e le altre parti del giudizio; E)Condanna Fr.Ce. E Fr.Ce. in solido tra loro, al pagamento nei confronti dell'Erario della somma di Euro 1.686,00 ex art. 8, co. 4 bis, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 28 del 2010; Così deciso in Terni il 16 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERNI SEZIONE CONTENZIOSO CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Patrizia Tilli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2432/2018 promossa da: (...) ivi residente alla Via (...) rappresentato e difeso dall'Avv.(...) ) del Foro di Terni, con Studio in Terni alla (...) ove elegge domicilio giusta procura in calce, rilasciata su foglio separato ATTORE/I contro (...) SPA in persona del legale rappresentante pro - tempore, con sede in R., Via (...) (Partita Iva e Codice fiscale (...) in persona del suo procuratore p.t., rappresentata e difesa dal Prof. Avv(...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in 00197 Roma,(...) n.(...) giusta procura speciale apposta su foglio separato CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE L'attore (...) scritto a F. di T., sottoscriveva attraverso il (...) polizza assicurativa con la compagnia (...) una polizza infortuni lesioni alla persona, al fine di essere indennizzato per ogni sinistro subito durante l'esercizio dell'attività sportiva correlata al tesseramento di cui sopra per cui al signor (...) veniva rilasciata copia delle condizioni di polizza da parte dell'associazione di appartenenza. Asserisce l'attore che in data 30.01.2016, alle ore 11,00 circa, in agro di Narni, mentre era impegnato nell'attività venatoria, cadeva sul lato destro del corpo, urtando mano, braccio e spalla destra, procurandosi lesioni personali; veniva immediatamente trasportato, in quanto impossibilitato alla guida, presso la propria abitazione ove consultato il proprio medico, assumeva antidolorifici ma, stante l'aggravarsi della sintomatologia dolorosa ricorreva alle cure del Pronto Soccorso dell'Ospedale di Terni, ove veniva sottoposto a visita ed esami strumentali, con diagnosi di "trauma contusivo spalla destra con sospetta lesione della cuffia dei rotatori, contusione primo dito della mano destra", prognosi di 15 gg. in ragione della polizza indennizzo danni sottoscritta con l'associazione l'attore effettuava denuncia del sinistro, depositando la documentazione presso l'associazione F. di zona che attraverso la (...) S.p.A., a sua volta la inoltrava alla (...) assicurazione che effettivamente copriva il danno all'epoca; il numero di sinistro assegnato era (...); la corresponsione dell'indennizzo veniva richiesta ai sensi dell'art.2 e seguenti del contratto di polizza, sia per quanto riguarda l'invalidità permanente, sia per quanto riguarda la diaria di ricovero/gesso espressamente prevista all'art.9; a seguito di controlli periodici lo specialista in ortopedia consultato dava indicazione di sottoporre il signor (...) ad intervento chirurgico alla spalla dx, operazione eseguita il 31.3.2016, con correlato ricovero. Gli esiti dell'intervento chirurgico e la relativa convalescenza protraevano la malattia sino al 1.7.2016 quando il signor (...) veniva dichiarato guarito con postumi da valutare in sede medico-legale. Tuttavia l'obbligato al risarcimento (...) non provvedeva al pagamento. In data 24.1.2018 a distanza di quasi due anni dal sinistro, la (...) S.r.l., intervenuta in luogo della (...) S.p.A., quale impresa avente in gestione il sinistro per conto della (...) dichiarava che il sinistro non era indennizzabile a causa di pregressa patologia degenerativa diffusa della spalla destra, non indennizzabile ex art. II c. del contratto assicurativo: "è considerato infortunio l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna (unica e diretta) che produca lesioni fisiche obbiettivamente constatabili...". Infatti il perito assicurativo Dott.(...) pur rinvenendo "nesso di causa tra l'infortunio denunciato ed il trauma riportato", riteneva che, stante la presenza di precedenti degenerazioni artrosi che alla spalla destra del signor (...) "non si può dare esito ad indennizzo per le menomazioni della spalla destra, che non riconoscono origine traumatica". Tale perizia veniva contestata ma non si giungeva ad alcun accordo. Nelle more (...) in marzo del 2018, diventava (...) S.p.A.. L'attore dava incarico a proprio medico-legale di redigere perizia sui postumi con esito di valutazione della inabilità temporanea assoluta di 30 gg., parziale al 75% di 30 gg., al 50% di 30 gg., al 25% di 15 gg., invalidità permanente comportante una riduzione della capacità lavorativa generica del 30%, ed una riduzione della capacità lavorativa specifica del 60%. Il perito chiariva che l'invalidità permanente, di sicuro riportata dal paziente, sarebbe stata determinata in ragione del differenziale, stante una sintomatologia pregressa non traumatica. L'Attore obietta che: - nell'art.2 del contratto "Oggetto dell'Assicurazione" non si rinviene la dicitura "unica e diretta" riferita alla causa del trauma, espressione citata dalla Compagnia nella nota del 24.1.2018 (cfr doc.14) a sostegno del diniego al risarcimento; il motivo addotto per escludere l'indennizzo è di per sé inesistente, e per l'effetto illecito ed illegittimo il diniego; vi è responsabilità propria da mala gestio in capo alla Compagnia; - nell'art.5 del contratto (cfr doc.3) "Criteri di indennizzabilità", nel momento in cui si legge "...se al momento dell'infortunio non è fisicamente integro e sano, sono indennizzabili soltanto le conseguenze che si sarebbero verificate qualora l'infortunio avesse colpito una persona fisicamente integra e sana", la clausola è inapplicabile e nulla se recepita nella sua accezione assoluta; la Compagnia nel momento in cui ha deciso di non indennizzare il proprio cliente ha agito nuovamente in violazione degli artt.1175 e 1375 c.c. rileva che l'assicurazione avrebbe dovuto pretendere, all'epoca della sottoscrizione, una visita specialistica che escludesse dal novero della casistica assicurabile, anche le semplici infiammazioni o fenomeni degenerativi dovuti all'invecchiamento, e ciò ancor prima di percepire il premio assicurativo. Asserisce dunque l'attore che preso atto che l'assicurato ha denunciato il sinistro e che è stato accertato il nesso causale tra l'evento ed il trauma, al signor (...) andrà riconosciuto il pagamento dell'indennizzo, in ragione dell'invalidità permanente residuale al trauma subito, nonché il pagamento di ogni correlata indennità nei termini di polizza. Peraltro il dr.(...) consulente di parte, ha scritto quanto segue nell'elaborato in atti: "a) è fuori discussione che la spalla in oggetto fosse affetta da una patologia degenerativa (non di tipo traumatico), come oggettivato anche dalla RMN eseguita in data 8 marzo 2016 b) ritengo altresì che sia plausibile pensare che l'articolazione stessa avesse un buon livello di efficienza, tanto da permettere di imbracciare e sostenere un fucile (peso medio 3,5 chili circa) e soprattutto di reggere agli impatti generati dal rinculo c) altrettanto importante, a mio avviso, è che l'articolazione è stata danneggiata da un trauma diretto, e non da un uso forzato (tipo arrampicarsi su di un albero o sforzi simili) d) infine ritengo che la gravità del trauma sia avvalorata dalla decisione presa dal Paziente di sottoporsi a trattamento chirurgico, scelta senz 'altro impegnativa che non viene fatta a cuor leggero". Concludeva pertanto chiedendo risarcimento da valutarsi in via equitativa, e comunque nella misura non inferiore ad Euro 5.000,00, per omesso rispetto degli obblighi contrattuali, nonché al pagamento dell'indennizzo in favore del signor (...) in virtù di polizza assicurativa infortuni, nella misura di Euro 15.000,00, o comunque somma diversa, maggiore o minore, che dovesse ritenersi di giustizia, oltre Euro 305,00 a titolo di spese per redazione perizia di parte, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del sinistro fino al saldo effettivo. In ogni caso, condannare la convenuta al pagamento di spese e compensi professionali del presente giudizio, oltre rimborso forfettario, Iva e Cap come per legge, da distrarsi in favore del procuratore aritistatario. Si costituiva (...) spa assumendo che allo stato la domanda fosse improcedibile per mancanza del procedimento della negoziazione assistita, non essendo stata esperita nonostante fosse obbligatoria atteso che la domanda di pagamento non superasse i cinquantamila euro. Contestava la domanda nel merito e concludeva "voglia il Tribunale di Terni, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, preliminarmente dichiarare improcedibile la domanda per mancanza di esperimento del procedimento di negoziazione assistita; nel merito, rigettare la domanda attrice per mancanza dei presupposti di legge e/o per mancanza di prova. Con vittoria di spese e competenze.". Alla udienza di comparizione il Giudice assegnava termini per il compimento della negoziazione assistita ; alla udienza del 4.10.19 l'avv.(...) rilevava di aver inviato l'invito alla negoziazione assistita in data 08.02.2019 ma che non era pervenuta dalla controparte nessuna comunicazione in merito, pertanto chiedeva che al termine del giudizio venisse valutato il comportamento della controparte, volto unicamente a procrastinare i tempi del giudizio. Il giudice concedeva termini ex art. 183 c.p.c. e all'esito delle richieste nominava CTU chiedendo che rispondesse a quanto segue: " se è possibile in base ai documenti versati in giudizio da entrambe le parti, se le lesioni di cui si duole la parte attrice siano in rapporto causale con il sinistro descritto dalla parte attrice oppure se esse siano da ricondurre a degenerazioni precedenti" ; accerti il C.T.U., a seguito di riscontro medico legale, o visivamente (anche attraverso le certificazioni cliniche di altri operatori), descrivendo (e se necessario fotografando) escoriazioni, ferite, tumefazioni, ecchimosi, ematomi, cicatrici, alterazioni posturali, ecc. (omissis) a) la natura e l'entità delle lesioni subite dalla parte perizianda in rapporto causale con l'evento per cui è causa; b) la durata dell'inabilità temporanea, sia assoluta che relativa, precisando quali attività della vita quotidiana siano state precluse o limitate; c) se residuino postumi permanenti precisandone l'incidenza percentuale sull'integrità psicofisica globale (danno biologico), tenendo conto dell'eventuale maggior usura lavorativa; nell'ipotesi di non cogente applicazione della "Tabella delle menomazioni" (richiamata dall'art. 139 Codice delle Assicurazioni private), indichi i criteri di determinazione del danno biologico e la tabella di valutazione medico legale di riferimento (baréme); determini, infine, il consequenziale grado di sofferenza psicofisica, in una scala da 1 a 5; d) la necessità e la congruità delle spese mediche occorse e documentate, la necessità di eventuali spese mediche future." Il CTU Prof.(...) ha concluso nel senso che la pregressa patologia degenerativa a carico della spalla oggetto dell'infortunio "non consente di riconoscere alcun indennizzo in termini di invalidità permanente. E'possibile, invece indennizzare il periodo di inabilità temporanea totale e parziale, riferito naturalmente alla sola contusione della spalla destra, che sulla base delle certificazioni mediche prodotte, lo scrivente ritiene opportuno quantificare in un periodo di 30 (trenta) giorni di inabilità temporanea totale, seguito da un periodo di 30 (trenta) giorni di inabilità temporanea parziale al 50%. Net fascicolo di parte attrice non sono presenti documentate spese mediche". In risposta alla contestazione del CTP di parte attrice Dott.(...) il quale insisteva per la valutazione residua del danno permanente il Prof (...) ribadiva "Non sono residuati postumi permanenti come conseguenza diretta ed esclusiva della contusione della spalla destra. Dalla risonanza magnetica non emergono elementi a carico delle strutture muscolo-tendinee della cuffia dei rotatori che possano mettersi in relazione causale con la contusione della spalla destra.". Alla udienza del 9.4.21 il giudice invitava i procuratori delle parti ad attivarsi al fine di trovare un componimento transattivo della controversia ma alla successiva udienza del 25.6.21 le parti non raggiungevano alcun accordo. L'attore chiedeva la sostituzione del CTU che il giudice non riteneva di concedere e la causa veniva trattenuta in decisione coi termini per note, ove le parti insistevano nelle rispettive posizioni. La domanda si presenta come parzialmente accoglibile da un lato, mentre merita censura il comportamento processuale della società convenuta. In primo luogo, priva di pregio è da considerarsi l'eccezione di parte convenuta relativa alla mancata esecuzione della negoziazione assistita, in quanto, al di là di ogni valutazione sulla obbligatorietà della medesima, il giudice ha ordinato di invitare parte convenuta alla stipulazione della convenzione di negoziazione e all'invito correttamente inviato dall'attore parte convenuta non ha fornito risposta, con ciò indicando il proprio sostanziale disinteresse all'effettivo compimento della negoziazione e riportando l'eccezione formalizzata a una semplice strategia difensiva. Anche ogni valutazione sulle circostanze di accadimento dell'infortunio e della denuncia del sinistro, in assenza di specifica contestazione, deve ricondursi alla ricostruzione effettuata da parte attrice che sarà di conseguenza ritenuta attendibile e correttamente denunciata a termini di polizza. La persistente conflittualità, che non è stata superata sebbene vi sia stato sul punto specifico invito alla conciliazione del giudice precedentemente investito della decisione, va ricondotta esclusivamente alla valutazione della invalidità permanente. Non vi è dubbio che il sinistro abbia interessato la spalla destra e che tale articolazione presentasse già nella documentazione di parte attrice ( RMN dell' 8.3.16) una patologia degenerativa non riconducibile in sé all'incidente. Non è tuttavia in sé bloccante della valutazione di eventuale (lamio residuo ulteriore tale degenerazione da ricondurre presumibilmente all'età dell'attore. Né dalla documentazione contrattuale prodotta viene rilevata l'esistenza della clausola limitativa della "conseguenza diretta ed esclusiva" cui fa riferimento il CTU Prof.(...) Di fatto tale dizione specifica non risulta presente nella documentazione depositata da parte attrice né risulta deposito di documentazione contraria da parte della assicurazione convenuta. Il CTU quindi -trascurando le valutazioni di natura squisitamente giuridica che ovviamente non rientrano nella competenza del consulente medico- ha fornito una valutazione che, sfrondata dei riferimenti contrattuali, non consente di valutare come accertato ed esistente il danno residuo ulteriore. Ha infatti affermato in sede di risposta alle osservazioni del CTP Dott.(...) che "se il sig. (...) non avesse avuto un importante patologia degenerativa a carico della spalla destra, le lesioni prodotte dal trauma sarebbero guarite senza lasciare postumi permanenti". Ancora, in sede di convocazione del giudice per precisare ulteriormente sulla base delle obiezioni di parte attrice ha depositato manufatto in cui letteralmente afferma "Dalla risonanza magnetica non emergono elementi a carico delle strutture muscolo-tendinee della cuffia dei rotatori che possano mettersi in relazione causale con la contusione della spalla destra,". Quindi il CTU nega , analizzando esclusivamente sotto il profilo medico la RMN, che vi sia relazione causale tra la contusione rilevata a seguito della caduta e la situazione della cuffia dei rotatori. Non costituendo ciò una valutazione di natura giuridica, il giudice non può che rimettersi alla valutazione del CTU. Conferma invece il medesimo CTU quanto già riportato sulla inabilità temporanea totale e parziale , indicando un periodo di 30 (trenta) giorni di inabilità temporanea totale, seguito da un periodo di 30 (trenta) giorni di inabilità temporatiea parziale al 50%. Entro tali termini deve ritenersi raggiunto l'accertamento giudiziale. Ciò posto, risulta evidente che la assicurazione fosse tenuta quantomeno al pagamento al netto delle franchigie delle somme derivanti a titolo di polizza dai periodi di invalidità totale e parziale come indicati dal CTU (30+30) che, valutati sulla base della convenzione sarebbero stati pali aduna cifra di almeno Euro 1950 oltre spese vive indicate in Euro 305,00; tale cifra costituirà la determinazione della indennità dovuta dall'assicurazione. Appare inoltre corretta la liquidazione di una ulteriore comma ex art. 96 c.p.c. 3 comma in sede di condanna alle spese a titolo risarcitorio, stabilita equitativamente in Euro 5.000,00 vista la condotta della convenuta con riferimento alla mancata adesione alla negoziazione assistita pur oggetto di specifica eccezione dalla medesima proposta. Da quanto sopra discende la condanna alle spese della convenuta, che vengono liquidate alla procuratrice antistataria nei valori minimi stante il parziale accoglimento della domanda proposta. Ciò premesso, P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: Condanna (...) SPA in persona del legale rapp.te p.t. al pagamento dell'indennizzo in favore del signor (...) in virtù di polizza assicurativa infortuni, nella misura di Euro 1.950,00 oltre Euro 305,00 a titolo di spese per redazione CTP oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del sinistro fino al saldo effettivo. Condanna inoltre la società convenuta a corrispondere all'attore (...) la somma di Euro 5.000,00 (cinquemila) a titolo di determinazione equitativa del risarcimento del danno ex art. 96 3 comma. Condanna altresì la parte convenuta (...) SPA in persona del legale rapp.te p.t. a rimborsare al procuratore antistatario di parte attrice Avv.(...) le spese di lite, che si liquidano come in motivazione nei valori minimi dello scaglione entro cui è situata la domanda in Euro 264 per spese, compenso Euro 2.540,00 rimborso forfettario 381,00 cap 116,84 iva 668,32 per un totale di Euro 3.706,16 oltre spese successive. Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU. Si comunichi. Così deciso in Terni il 2 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 2 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il Giudice dott.ssa Dorita Fratini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 605 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019, vertente TRA (...), nata il (...) a R. (O V. (C.) e residente in Via A.L. n.5 F., (P.), (C.F.: (...)), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. GE.ES., che la rappresenta e difende, come da procura in atti attrice E AZIENDA (...) (CF: (...)), in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Lu., come da procura in atti, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, sito in Roma, Via (...). convenuta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE I)Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la signora (...) conveniva in giudizio l'AZIENDA (...) di S., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'attività professionale posta in essere dai sanitari del suddetto nosocomio, durante il ricovero, avvenuto nel periodo 7.11.2015/18.01.2016, quando la stessa venne operata riportando esiti invalidanti; invocava la responsabilità contrattuale dell'ente in cui sono incardinati i sanitari che la tennero in cura e quantificava i danni subiti in Euro 193.830,00 per il danno biologico, Euro 155.064,00 per danno morale, Euro 10.000,00 per danno esistenziale, Euro 48.457,5 per danno da perdita di chance, ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia, oltre agli interessi ed alla rivalutazione. Chiedeva, inoltre, la condanna della convenuta al rimborso delle spese del procedimento, con distrazione delle stesse in favore del difensore, dichiaratosi antistatario, la refusione delle spese della ctu anticipate dalla ricorrente ed il rimborso delle spese della consulenza tecnica di parte, tutte da distrarsi a favore del difensore dichiaratosi antistatario. Con riferimento alle spese della CTP chiedeva la liquidazione dei costi sostenuti dalla ricorrente in misura pari alla somma liquidata a favore dei CTU con decreto emesso in corso di causa in data 17.02.2022, oltre accessori di legge. A fondamento della domanda esponeva: -la paziente in data 30 maggio 2000, veniva ricoverata presso l'Azienda O.D.P. per essere sottoposta ad un intervento chirurgico di resezione del colon con accesso laparotomico, per il trattamento di una neoplasia del colon destro, appendicite catarrale, diverticolo colico perforato; successivamente veniva sottoposta a trattamento chemioterapico adiuvante, a cui seguivano controlli periodici, che escludevano la ripresa della malattia neoplastica; -in data 7.08.2015, nell'ambito di un normale controllo di follow-up, eseguito presso l'Ospedale di Assisi, la sig.ra L. eseguiva una indagine colonscopica, nel corso della quale l'operatore rilevava una certa difficoltà ad esplorare l'ansa ileale a causa del "calibro ridotto", ipotizzando la riferibilità della patologia ad un "atteggiamento sub-stenotico o ad inginocchiamento"; -in data 18.09.2015 veniva eseguita una TAC dell'addome presso la U.U. n.2 - P.O. di F., la quale evidenziava la normalità dei reperti; -in data 30.10.2015 un nuovo controllo TAC dell'addome con liquido di contrasto, rilevava regolare progressione gastroentero-colica del mezzo di contrasto, pur descrivendo un aspetto substenotico della anastomosi. -in data 7.11.2015, la paziente, all'epoca dei fatti di anni 56, veniva ricoverata presso l'Ospedale di Spoleto dove, in data 9.11.2015, veniva sottoposta ad intervento chirurgico di "Resezione del complesso anastomotico" e ripristino della continuità intestinale a mezzo di "Anastomosi latero-laterale in continua manuale", anche se non vi era indicazione per tale intervento, perché non si era verificato alcun evento occlusivo o subocclusivo tale da renderlo necessario; -il 12.11.2015 le condizioni generali della donna peggioravano, tanto che venivano eseguiti ulteriori esami clinici e di laboratorio, i quali evidenziavano un quadro critico, che induceva i sanitari ad eseguire un intervento urgente per la risoluzione di una complicanza insorta a seguito del precedente intervento, ossia la deiescenza della anastomosi. Dopo tale intervento, si verificava il quadro clinico si aggravava con un ulteriore peggioramento delle condizioni generali, non indagate con solerzia, tanto che l'esecuzione di esami streumentali (ecoaddome e tac) eseguiti solo a distanza di diversi giorni dall'intervento evidenziava la sussistenza di una infezione settica, che imponeva un ulteriore intervento chirurgico; -in data 8.1.2016, in sessantesima giornata, la sig.ra (...) veniva ricanalizzata, con chiusura della ileostomia e, in data 18.01.2016, veniva dimessa; -l'operato dei sanitari non è stato corretto, in quanto l'intervento chirurgico del 9.11.2015 "RESEZIONE COMPLESSO (...)", non era sorretto da una condizione patologica risultante dagli esami clinico strumentali che lo rendesse necessario e gli interventi successivi, eseguiti per porre rimedio alle complicanze del primo intervento, furono caratterizzati da ulteriori complicanze non correttamente e tempestivamente affrontate; -la commissione medica A. di F. del 24.04.2017 accertava l'invalidità della Signora L. pari al 50%. La ricorrente, richiamando la perizia di parte, assumeva che la condotta dei sanitari era connotata da negligenza, imprudenza ed imperizia, per violazione delle leges artis, ed ascriveva ad essa la causa efficiente del danno alla salute patito: inabilità temporanea totale, pari a giorni 100; inabilità temporanea parziale al 50% pari a giorni 60; danno biologico permanente, (resezione segmento ileo-colico all'intervento del 09.11.2015 e resezione ileale all'intervento dell'08.01.2016, complesso cicatriziale, indebolimento della parete addominale con dolorabilità, sindrome aderenziale) quantificato nella misura del 22%; danno esistenziale, morale e da perdita di chance. Deduceva di aver preventivamente esperito il procedimento di mediazione obbligatoria. Ritualmente instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la resistente, che eccepiva la inammissibilità e l'improcedibilità della domanda in ragione del rito azionato e della scelta di esperire la mediazione obbligatoria in luogo dell'accertamento tecnico preventivo prima della instaurazione del giudizio di merito. In via principale, chiedeva l'accertamento negativo della responsabilità dei sanitari ed in ogni caso contestava la quantificazione del danno, avuto riguardo alla mancanza di prova di alcune voci richieste, con vittoria delle spese di lite. A fondamento delle richieste poneva una ricostruzione dei fatti molto diversa da quella riferita dalla ricorrente nell'atto introduttivo, assumendo quanto segue: -il ricovero della Sig.ra (...), intervenuto in data 7 novembre 2015 e terminato il 18/01/2016, veniva programmato in accordo con il Dott. (...), chirurgo di riferimento della paziente, a causa della situazione clinica in cui ella si trovava, con una diagnosi di ingresso di "Stenosi anastomosi ileo-colica"; -la donna, infatti, da oltre un anno soffriva di dispepsia e dolori addominali, che si presentavano soprattutto dopo i pasti, tanto che aveva eseguito numerosi accertamenti nel corso dell'anno 2015, anche in ragione del fatto che nel maggio dell'anno 2000 era stata sottoposta ad un intervento urgente presso l'Ospedale di Perugia, di resezione colica con accesso laparotomico, a causa di una neoplasia del colon destro; -durante il ricovero presso l'Ospedale di Spoleto, la paziente veniva sottoposta a due TAC all'addome e ad una colonscopia, che evidenziavano una "stenosi dell'anastomosi ileo-colica", confermando la diagnosi iniziale; -in ragione della suddetta diagnosi, dopo aver acquisito il consenso informato della paziente, in data 9 novembre 2015 la stessa veniva sottoposta ad una "laparoscopia, lisi aderenze, resezione pregressa anastomosi ileo-colica più riconfezionamento di nuova anastomosi ileo-colica intracorporea", come documentato nella cartella clinica, con successiva profilassi antibiotica specifica per interventi di chirurgia colon-rettale, imposta dalle linee guida aziendali; -dopo alcuni giorni di regolare decorso post operatorio il 12 novembre 2015, si verificava un rialzo febbrile, che induceva i medici ad eseguire con urgenza una ecografia addominale ed una successiva TAC. Nello stesso pomeriggio, in considerazione dei risultati dei predetti accertamenti, che evidenziavano "sospetta deiscenza della anastomosi ileo-colica", veniva eseguito un nuovo intervento chirurgico in urgenza, che evidenziava "eritema ed edema dell'ansa ileale anatomica e presenza di fibrina in doccia parieto-colica destra, quadro compatibile con minimo filtraggio della anastomosi ileo-colica."; tale patologia induceva i medici ad eseguire una ileostomia escludente, temporanea a monte della anastomosi, che veniva rimossa con successivo intervento eseguito in data 8.1.2016; -la diagnosi della complicanza dovuta al primo intervento era stata precoce, ma il quadro clinico della paziente era altalenante e la stessa restava ricoverata fino al gennaio 2016, costantemente monitorata, come emerge dalla cartella clinica; -la lunga degenza si era resa necessaria anche in ragione delle condizioni psicologiche della paziente e della mancanza di assistenza domiciliare, tanto che la stessa rifiutava le dimissioni fino alla ricanalizzazione della ileostomia escludente, eseguita in data 8/01/2016; -il primo intervento chirurgico era il più adeguato rispetto alla patologia di cui la paziente era affetta, atteso che nel corso del 2015 ella aveva dovuto effettuare numerosi accertamenti in relazione a ricorrenti disturbi intestinali e della canalizzazione, uno dei quali, la colonscopica effettuata datata 7/08/2015 presso l'Ospedale di Assisi, aveva evidenziato una sub stenosi o inginocchiamento, in ragione della difficoltà di esplorare l'ansa ileale durante l'esame diagnostico. Tale ipotesi era avvalorata dagli esami radiologici effettuati prima del ricovero, che descrivevano "aspetto sub-stenotico dell'anastomosi" e "lieve inginocchiamento dell'anastomosi ileo-colica"; - tale diagnosi non è smentita dall'esame istologico del tessuto prelevato durante il primo intervento chirurgico, il quale non fa riferimento alla presenza di una stenosi, posto che è del tutto plausibile che la fissità dell'ultima ansa e del complesso anatomico fosse causa del temporaneo, ma ricorrente, meccanismo di alterata canalizzazione e ne giustificasse quindi il riconfezionamento; -l'intervento chirurgico eseguito il 9 novembre 2015 è stato corretto e la deiscenza della anastomosi ileo-colica, non si può attribuire con assoluta certezza ad errore medico, in ragione delle cause multifattoriali di tali eventi patologici, tra cui un difetto di vascolarizzazione del microcircolo, che rappresenta una della cause più frequenti di questa complicanza; -la paziente al momento dell'intervento versava in condizioni non buone a causa del ripetersi di episodi sub-occlusivi e delle conseguenti difficoltà di una congrua alimentazione, che hanno determinato una condizione di malnutrizione relativa, corresponsabile della complicanza chirurgica, pur in assenza di errori tecnici; -tale complicanza venne precocemente e tempestivamente diagnosticata ed adeguatamente trattata, atteso che il secondo intervento è stato eseguito entro le dodici ore dall'insorgenza del quadro clinico peggiorativo e ciò ha evitato rischi ulteriori per la salute della paziente; -la procedura chirurgica adottata per la gestione della suddetta complicanza (relaparoscopia esplorativa, individuazione e correzione del difetto di minima, toilette peritoneale e riposizionamento del drenaggio) è stata corretta e fondata sulla letteratura medica consolidata. Anche la scelta di proteggere l'anastomosi con una stomia escludente temporanea è stata corretta, in quanto veniva evidenziata una "peritonite fibrinosa iuxta-anastomotica con conseguente rischio fibrinolitico, con relativo aumento della possibilità di una ulteriore deiscenza"; -non vi sono stati ritardi diagnostici nella gestione della complicanza settica fistolosa, posto che la morbilità dopo una deiscenza anastomotica è estremamente elevata e l'evenienza di una fistola cutanea nel secondo post-operatorio rientra proprio nel novero di dette complicanze, quale esito di un processo settico a lenta risoluzione, che giustificava la decisione di escludere l'anastomosi con ileostomia; -la diagnosi di questa ulteriore complicanza e la sua gestione sono state tempestive ed hanno portato ad un monitoraggio della paziente costante nel tempo, con somministrazione di terapia antibiotica mirata e gestione conservativa, con un approccio volutamente non di tipo chirurgico, nel rispetto delle indicazioni fornite letteratura scientifica; -i postumi lamentati dalla ricorrente "complesso cicatriziale, indebolimento di parete con dolorabilità e sindrome aderenziale", non sono una conseguenza dei trattamenti chirurgici effettuati, trattandosi dei normali esiti degli interventi di chirurgia addominale iterativa, a fronte di un approccio dei medici della struttura sanitaria, tanto nel primo, quanto nel secondo intervento di tipo mini invasivo. La convenuta, in sintesi, assumeva che i sanitari del nosocomio spoletino avevano adottato tutte le cure e le precauzioni utili e possibili per preservare la salute della signora L., in assenza di errori e ritardi diagnostici nelle scelte terapeutiche effettuate dal personale medico-sanitario. Con riferimento all'operato dei medici, nel richiamare le conclusioni della propria perizia di parte e nel confutare quella avversaria, la convenuta evidenziava: -l'assenza di qualsivoglia comportamento colposo da parte dei sanitari; -il rispetto dei canoni di diligenza, prudenza e perizia imposti dalla patologia della paziente e dalle regole della scienza medica; -la elevata sensibilità dei sanitari, che, in ragione delle difficoltà psicologiche della donna, hanno prolungato il ricovero fino alla rimozione della ileostomia; -l'infondatezza della richiesta risarcitoria per carenza di prova del danno e del nesso causale tra la condotta medica ed i danni lamentati dalla ricorrente, mancando prova certa che gli stessi siano imputabili all'operato dei medici dell'Ospedale di Spoleto, potendo gli stessi essere verosimilmente ricondotti all'intervento originariamente subito ovvero ad altro operatore sanitario intervenuto durante gli accertamenti seguiti dalla ricorrente; -la eccessiva pretesa risarcitoria della ricorrente con riferimento al danno biologico, essendo apodittica ed arbitraria la quantificazione proposta dalla ricorrente, peraltro superiore a quella indicata dal consulente di parte nella relazione in atti; con riferimento al danno morale soggettivo, essendo indimostrate le sofferenze patite e comunque eccessiva la loro quantificazione; la mancanza di prova del danno da perdita di chance ed esistenziale. La causa, previa conversione del rito, in ragione della complessità della controversia, veniva istruita con l'ammissione della ctu, unico incombente istruttorio chiesto da parte attrice e ritenuto necessario dal giudice. Espletata la ctu, alla udienza del 1.2.2023, la prima tenuta da questo giudice istruttore, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di rito per il deposito degli scritti conclusionali. II)Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del procedimento ex art. 702 bis c.p.c. avanzata da parte resistente in ragione della dedotta complessità istruttoria della controversia, in quanto la sanzione invocata dalla resistente non è prevista dal legislatore, che ha invece circoscritto le ipotesi di inammissibilità del rito sommario di cognizione ai soli casi in cui la controversia sia attribuita alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale (art. 702 ter, co. 2, c.p.c.). Quando la controversia è attribuita alla cognizione del Tribunale in composizione monocratica - quale quella promossa dalla odierna ricorrente - l'eventuale complessità dell'istruttoria viene regolamentata attraverso l'istituto del mutamento del rito (da rito sommario a rito ordinario di cognizione), con la conseguenza che la domanda non può essere ritenuta inammissibile, anche perché la complessità della istruttoria è meramente eventuale, essendo correlata alla natura delle difese svolte dalle parti. Da tale riflessione consegue che l'attore nella scelta del rito opera una valutazione in ordine alla complessità della istruttoria che la controparte prima ed il giudice poi possono non condividere e, per questa ipotesi è prevista espressamente la conversione del rito, con la conseguenza che l'iniziale scelta operata dall'attore, pur non corretta, non può essere sanzionata con l'inammissibilità. Parte resistente eccepisce l'inammissibilità anche sotto un ulteriore profilo, rilevando come la ricorrente abbia erroneamente scelto, ai fini della condizione di procedibilità, la procedura della mediazione piuttosto che quella dell'accertamento tecnico preventivo, il quale ultimo, invece era doveroso in considerazione della complessità della fattispecie ed era l'unica procedura anteriore al giudizio che avrebbe legittimato la proposizione della domanda nelle forme del rito sommario di cognizione. Tale ulteriore errore nella scelta del rito determinerebbe l'inammissibilità della domanda. La tesi difensiva non persuade in primo luogo perché il legislatore ha previsto la mediazione e l'accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c. come procedure alternative anteriori al giudizio di merito, con la conseguenza che la scelta dell'una in luogo dell'altro non può certamente essere provocare la sanzione processuale invocata dalla convenuta; in ogni caso trattasi di una fattispecie non prevista dal legislatore. Parimenti occorre considerare che l'art. 8, co. 3, della L. n. 24 del 2017, entrato in vigore in data 1.4.2017 - applicabile al presente procedimento in quanto norma processuale - prevede che colui che intenda promuovere una controversia in tema di responsabilità sanitaria introduca il giudizio di cognizione, all'esito della consulenza ex art. 696 bis c.p.c., con la forma del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., ma non esclude che il rito sommario di cognizione possa essere scelto dall'attore dopo la procedura di mediazione, qualora questi ritenga che la controversia possa essere affrontata con una istruttoria non complessa. L'applicazione di una sanzione processuale come l'inammissibilità, peraltro non prevista dalla norma, violerebbe la ratio del procedimento sommario di cognizione, ossia favorire una durata del processo più rapida in considerazione della natura della controversia, senza tuttavia frustrare le valutazioni dell'attore, che, ove non consone rispetto alla complessità istruttoria ravvisata dal giudice, possono essere superate attraverso la conversione del rito con quello ordinario e soprattutto senza imporre alla parte l'instaurazione di un nuovo giudizio con il rito corretto ravvisato dal giudice, con ciò conservando gli effetti processuali e sostanziali della domanda ed il principio di ragionevole durata del processo a cui sono ispirate le norme processuali della L. n. 24 del 2017 e quelle del codice di rito che regolamentano la conversione del rito. Nel caso di specie, peraltro, è stata disposta la conversione del rito pertanto la controversia è stata comunque trattata secondo le forme che, ad avviso della resistente, avrebbe dovuto essere scelte sin dall'inizio. Alla luce delle superiori argomentazioni le eccezioni sollevate dalla difesa della convenuta debbono essere disattese. III)Passando ad esaminare il merito della controversia, si osserva che la responsabilità della struttura sanitaria viene pacificamente ricondotta nell'alveo della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del correlativo regime di ripartizione dell'onere probatorio, del grado della colpa e della prescrizione, tipici delle obbligazioni derivanti dalla stipula di un contratto d'opera professionale. L'accettazione del paziente nella struttura sanitaria, indipendentemente dalla natura della prestazione che la stessa deve erogare, comporta la stipula del contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità, a prestazioni corrispettive, da cui discende l'obbligo di adempiere sia prestazioni principali di carattere sanitario, sia prestazioni secondarie ed accessorie, quali quelle assistenziali e latu sensu alberghiere, da cui insorgono una serie di obblighi di protezione ed accessori (ex multis Cass. SU n. 577/2008 secondo cui "In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante"; si vedano anche le successive conformi,Sez. 3, Sentenza n. 20101 del 18/09/2009;Sez. 3, Sentenza n. 1538 del 26/01/2010;Sez. 3, Sente nza n. 15993 del 21/07/2011;Sez. 3, Sentenza n. 20904 del 12/09/2013;Sez. 3, Sent. n.15490 del 08/07/2014;Sez. 3, Sentenza n. 18610 del 22/09/2015;Sez. 3, Sentenza n. 24073 del 13/10/20 17). La responsabilità dell'ente nella erogazione di tali prestazioni ha natura contrattuale in relazione sia agli inadempimenti propri della stessa, sia a quelli imputabili ai sanitari di cui si avvale, in virtù dell'art. 1228 c.c. in tema di responsabilità per fatti dolosi o colposi degli ausiliari (Cass. SU.n.577/2008;Sez. 3, Sent.n. 7768 del 20/04/2016 Sez. 3, Sentenza n. 1043 del 17/01/2019). Tale inquadramento giuridico ha trovato ampia conferma nella L. n. 189 del 2012 (Legge Balduzzi), applicabile ratione temporis al caso di specie quanto alle norme sostanziali ivi previste, nonché nella più recente L. n. 24 del 8 marzo 2017, pur non applicabile, ratione temporis, quanto alle norme sostanziali ivi previste (1), ribadisce che la struttura sanitaria risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., mentre i sanitari rispondono del loro operato in base all'art. 2043 c.c., a meno che non abbiano agito nell'adempimento di una obbligazione direttamente assunta con il paziente. Applicando i principi richiamati al caso di specie, in cui viene in rilievo la responsabilità della struttura ospedaliera, il paziente che agisce per il risarcimento del danno ha l'onere di provare la sussistenza del rapporto contrattuale, di allegare dettagliatamente l'inadempimento della struttura sanitaria, di provare il nesso di causalità tra l'inadempimento ed il danno subito; la struttura sanitaria, invece, deve dimostrare l'esatto adempimento della prestazione o l'impossibilità della stessa derivante da una causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza (così Cass. n. 18392 del 26/07/2017). Il paziente ha l'onere di dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata" (così Cass. n. 3704 del 15/02/2018; conf. Cass. n. 26700 del 23/10/2018 e Cass. nn. 28991 e 28992 dell'11.11.2019). L'attore danneggiato non deve provare la negligenza dei sanitari che lo hanno avuto in cura, in quanto può limitarsi ad allegare le condotte attive od omissive dei medici imperite, imprudenti o negligenti; mentre la struttura sanitaria ha l'onere di provare che l'inadempimento ex art. 1228 c.c. - ove sia censurato un inadempimento dei sanitari - è dovuto ad una causa non imputabile a negligenza, imprudenza o imperizia, dando prova della correttezza della diagnosi e della terapia somministrata, ovvero dell'insussistenza dell'omissione ascritta, dimostrando di aver eseguito tutto ciò che era concretamente esigibile a fronte della situazione clinica del paziente o che gli eventuali esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile, non altrimenti evitabile (2). Alla luce dei richiamati principi occorre accertare la sussistenza dell'evento dannoso, del nesso eziologico tra la condotta dei sanitari ed il danno lamentato, che impone la scomposizione del giudizio causale in due autonome e consecutive fasi: la prima diretta ad identificare il nesso di causalità materiale che lega la condotta all'evento di danno, secondo il criterio del "più probabile che non"; il secondo è diretto, invece, ad accertare il nesso di causalità giuridica tra tale evento e le conseguenze dannose risarcibili alla stregua dell'art. 1223 c.c. (cfr. Cass., Sez. 3, n. 21255/2013). L'accertamento della causalità materiale è regolata dai principi previsti dal codice penale agli artt. 40 e 41 c.p.c., anche se lo standard probatorio richiesto per affermare la sussistenza del nesso eziologico è diverso nei due settori, posto che in sede civile il criterio è quello del "più probabile che non", mentre in sede penale il canone è quello dell'"oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. S.U. n. 576 e 577/2008; conf. Cass., Sez. 3, n. 3704/2018). Il Tribunale ritiene che la domanda della ricorrente sia fondata nei termini che di seguito si esporranno, avuto riguardo alla documentazione medica in atti ed alle valutazioni dei consulenti nominati in questo giudizio, che appaiono appropriate, ben argomentate e suffragate dalla letteratura scientifica richiamata. Dai documenti in atti e dalla ricostruzione degli eventi operata dal collegio peritale nella relazione in atti emerge che la ricorrente è stata sottoposta presso l'Ospedale di Spoleto ad un intervento del colon invasivo e non necessario, che ha avuto delle complicanze, per la gestione delle quali si sono resi necessari altri interventi chirurgici, che hanno determinato un ricovero di lungo periodo. La ricorrente aveva una storia clinica caratterizzata da una neoplasia del colon, scoperta durante un intervento d'urgenza eseguito presso l'Ospedale di Perugia in data 30.05.2000, dove veniva sottoposta ad un intervento di "emicolectomia destra e a confezione di un'anastomosi ileo-colica con suturatrice meccanica", che ebbe un andamento regolare. A seguito di esame istologico venne diagnosticato il carcinoma del colon che rese necessarie cure chemioterapiche, a cui seguirono esami strumentali di controllo che evidenziavano la completa remissione della patologia. In data 07.08.2015, durante una delle visite di controllo, l'esecutore della colonoscopia accertava "in corrispondenza della anastomosi ileo-colica, ben consolidata, ricoperta da mucosa endoscopicamente normale", l'impossibilità di esplorare l'ansa ileale anastomizzata al colon trasverso per "calibro ridotto" dell'ansa ileale"; ipotizzava la presenza di una substenosi o inginocchiamento dell'ansa ileale a livello dell'anastomosi. La Tac addominale eseguita il 18.9.2015, con e senza mezzo di contrasto, era nella norma e non evidenziava segni di sub-occlusione intestinale. La signora L., riferiva dolore epigastrico con difficoltà nella digestione, pertanto il 30.10.2015 venne eseguita una nuova TAC addominale con mezzo di contrasto, che documentava la regolare progressione del mezzo di contrasto sino nell'ampolla rettale. Il referto radiologico evidenziava da un lato una anastomosi ileo-colon trasverso con aspetto substenotico e, dall'altro, che le anse digiunali a monte conservavano una regolare plicatura in assenza di dilatazione e livelli idro-aerei. Infine l'esame evidenziava "una modesta sovradistensione liquida della cavità gastrica". Il 7 Novembre 2015 la signora L. veniva ricoverata con una diagnosi di "sub-occlusione dovuta a stenosi dell'anastomosi ileo-colon trasverso confezionata nel corso dell'intervento chirurgico del G. 2000". L'anamnesi patologica prossima evidenziava che la paziente soffriva di dispepsia e da circa due mesi di dolori addominali che peggioravano dopo i pasti. Il 9 Settembre 2015, la signora L. veniva sottoposta a intervento chirurgico laparoscopico di resezione del complesso anastomotico ileo-colon trasverso (circa 5 cm), con sezione dell'ileo e del trasverso con suturatrice meccanica e confezione di anastomosi latero-laterale. Nel corso dell'intervento si repertava: "Presenza di aderenze omento-parietali che vengono lisate. In particolare, si prepara l'ultima ansa ileale adesa alla parete addominale?". L'esame istologico mostrava: "? Segmento intestinale, pervenuto aperto, della lunghezza di cm 5 comprendente anastomosi e grasso periviscerale. La mucosa è priva di alterazioni macroscopiche di rilievo. Diagnosi. Flogosi cronica aspecifica della mucosa... Flogosi cronica ricca di cellule giganti tipo corpo estraneo (filo di sutura) nella sottosierosa...". Nella terza giornata post-operatoria, il 12.11.2015 si presentava una fuoriuscita di materiale enterico dal tubo di drenaggio con leucocitosi ed aumento della Proteina C reattiva. L'ecografia dell'addome non evidenziava raccolte intraddominali. I sanitari decidevano di operare nuovamente la paziente in ragione della presenza di materiale enterico nel tubo di drenaggio. All'apertura dell'addome non si repertò materiale enterico al di fuori delle anse intestinali, che apparivano intensamente edematose. Era repertata una minuta deiscenza della sutura meccanica, che venne suturata posizionando punti di rinforzo. Nonostante l'assenza di materiale enterico in addome, si decise di confezionare un'ileostomia di protezione. Due settimane dopo tale intervento compariva una secrezione purulenta infetta dalla ferita; l'esame diagnostico strumentale eseguito non mostrava la presenza di fuoriuscita del liquido di contrasto al di fuori delle anse intestinali. A partire dal 5 dicembre 2015 vennero eseguite ulteriori tac addominali, l'ultima delle quali evidenziò lo spandimento endoaddominale del mezzo di contrasto; i sanitari decisero di non intervenire ulteriormente e di ripetere una nuova TAC il 27.12.2015, che mostrò: "? regolare progressione del mezzo di contrasto sino al retto, senza segni di spandimento di mezzo di contrasto in sede anastomotica?". In data 8 gennaio 2016, i medici eseguivano la chiusura della ileostomia di protezione e si ricanalizzava l'intestino tenue con anastomosi latero-laterale iso-peristaltica. Il 13.1.2016 un'ecografia di controllo del tessuto sottocutaneo documentava la presenza di una raccolta fluida ipoecogena di 66 x 11 mm, finemente corpuscolata, a morfologia ovalare, in corrispondenza della cicatrice e del tubo di drenaggio chirurgico. Il 18.1.2016 la Signora (...) veniva dimessa. Il ricovero ospedaliero ha avuto un durata complessiva di 72 giorni. Il collegio peritale ha accertato che l'intervento eseguito il 9 Novembre 2015 di resezione e riconfezione dell'anastomosi ileo-colon trasverso, non era necessario: esso si basava su un presupposto diagnostico - ossia la presenza di una subocclusione intestinale correlata alla stenosi dell'anastomosi ileo-colon trasverso, confezionata durante l'intervento chirurgico del 01.06.2000 -del tutto priva di riscontri clinici. L'anamnesi della paziente, la documentazione clinica e l'analisi delle immagini radiologiche disponibili, non evidenziavano alcun elemento che potesse far pensare, in un'ottica ex ante, a crisi sub-occlusive collegate ad una stenosi dell'anastomosi ileo-colon trasverso eseguita diversi anni prima. L'analisi delle immagini TAC, eseguite nel corso degli anni e dei relativi referti, non consentiva di identificare alcun segno radiologico di occlusione o sub-occlusione intestinale. Inoltre mancavano segni istologici di fibrosi o alterazioni della parete intestinale a livello o a monte dell'anastomosi ileo-colon trasverso. In assenza di tali elementi patologici, quindi, non vi era alcuna indicazione per l'intervento chirurgico eseguito di resezione dell'intestino. La scelta eseguita dai sanitari, quindi, non è stata corretta ed è censurabile in termini di imprudenza, in quanto vi era una condotta terapeutica alternativa ed utile per fronteggiare i disturbi riferiti dalla paziente (dispepsia e dolore addominale,) attraverso approcci di tipo conservativo ed un più accurato iter diagnostico. L'intervento fu eseguito sulla base dell'anamnesi di dolore addominale post-prandiale, dei risultati delle indagini radiologiche e della colonscopia eseguita il 7 Agosto 2015 e la TAC del 30-10-2015 che refertava un "aspetto substenotico dell'anastomosi ileo-colon trasverso". Una attenta analisi delle immagini, tuttavia, evidenziava l'assenza di una sub-occlusione intestinale ed il referto della colonscopia del 7 Agosto 2015 può essere ricollegato alla esecuzione dell'esame, ovvero, all'intervento avvenuto anni prima, avuto riguardo alla descrizione dello stesso che evidenzia una ansa ileale, la quale spiega perché fosse difficile, se non impossibile, l'esame in quel tratto, come evidenziato dall'esecutore della colonoscopia. Questa aderenza intestinale non ostacolava il transito tra ileo e colon sino al retto, come emerge dalle immagini della TAC e dunque non offriva alcuna indicazione per l'intervento, eseguito in totale assenza di elementi che lo rendessero necessario, basati su esami diagnostici o sulla sintomatologia clinica della paziente. L'intervento, quindi, pur elettivo rispetto alla diagnosi, non era indicato nel caso concreto, perché non vi erano elementi che potessero suggerire la presenza di una subocclusione intestinale, non emersi neppure dall'esame istologico, che descrive "una struttura normale della parete intestinale, senza la fibrosi tipica delle stenosi anastomotiche". I consulenti hanno identificato i trattamenti sanitari alternativi a quelli eseguiti, caratterizzati da approcci non invasivi e soprattutto conservativi dell'intestino, che avrebbero evitato i danni patiti dalla paziente, in quanto la scelta di eseguire un intervento non necessario ha esposto la donna al rischio di patire le complicanze che poi si sono verificate, rilevanti in termini di danno biologico. I consulenti hanno chiarito a tal proposito che non sussistono errori o ritardi nella diagnosi e nella gestione di tali complicanze, con la conseguenza che non è censurabile la condotta dei sanitari nella gestione degli eventi che si sono succeduti dopo il primo intervento, in quanto trattasi di "complicanze incolpevoli e non dipendenti da censurabili condotte in capo ai sanitari della convenuta A.U. 2". I consulenti evidenziano, tuttavia, che è censurabile l'atto operatorio originario, posto in essere in data 9.11.2015, pertanto le complicanze di tale intervento debbono essere considerate quale conseguenza evitabile della censurabile condotta originaria, in quanto "la paziente, per condotta imprudente, venne esposta ad un rischio incongruo del verificarsi di complicanze, poi puntualmente verificatesi". Il Tribunale, nel condividere, le valutazioni dei consulenti, ritiene che, pur non essendo ascrivibili agli stessi condotte omissive nella fase post operatoria dell'intervento eseguito il 9.11.2015, come prospettate dal ricorrente, in ogni caso gli esiti invalidanti che gli interventi successivi hanno causato alla paziente debbono essere ricondotti alla errata scelta iniziale dei sanitari, per averla sottoposta, sulla scorta di una errata diagnosi, ad un trattamento invasivo e non conservativo dell'intestino. Sul punto è utile ricordare i principi espressi dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ambito penale, utili, per quanto già detto, anche in sede civile, secondo cui "L'accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento va condotto su base totalmente oggettiva, con un giudizio "ex post", mediante il procedimento cd. di eliminazione mentale e va tenuto ben distinto rispetto alla diversa e successiva indagine sull'elemento soggettivo del reato che deve essere valutato, invece, con giudizio "ex ante", allastregua delle conoscenze del soggetto agente" (Cass. Pen., sez. IV, sent. 3 febbraio - 15 febbraio 2021, n. 5806, in un caso di malpractice medica). Nel caso di specie, il processo di eliminazione mentale consente di affermare la sussistenza del nesso causale tra la scelta errata di eseguire l'intervento del 9 novembre 2015 e le complicazioni successive ad esso, che hanno richiesto altri interventi, da cui è scaturito un danno biologico alla paziente, che non si sarebbe verificato se l'errato intervento iniziale non vi fosse stato. Il giudizio ex ante, che riporta l'indagine sull'operato del soggetto agente al momento della scelta terapeutica, rivela la colpa dei sanitari in termini di imprudenza, perché costoro potevano affrontare le problematiche che la signora lamentava in modo diverso con tecniche conservative, scelta che, ad avviso di questo giudicante, si imponeva in modo particolare nel caso concreto, in ragione del fatto che la donna aveva già subito, anni prima, una resezione dell'intestino per la cura di una malattia che si era rivelata di origine neoplastica. Il Tribunale ritiene dunque sussistente il nesso causale tra la condotta dei sanitari ed il danno biologico patito dalla paziente e che vi sia la colpa degli stessi in termini di imprudenza, non potendosi condividere le osservazioni critiche alla ctu sollevate dalla convenuta, che sono state puntualmente superate dalle controdeduzioni del Collegio peritale, il quale le confuta con argomenti logici suffragati dalle evidenze documentali in atti (3). Alla stregua delle superiori considerazioni si ritiene accertato il nesso causale e la condotta colposa dei sanitari e, per l'effetto, la responsabilità contrattuale dell'Azienda convenuta. Passando ad esaminare i cd danni conseguenza, questo giudicante condivide le conclusioni dei consulenti che, pur operando un ridimensionamento della prospettazione attorea e confutando le osservazioni critiche mosse dal consulente di parte attrice alla ctu (si veda relazione pagg. 22 ss), ritengono che le condotte dei sanitari dell'ospedale di Spoleto abbiano causato conseguenze lesive per la salute psicofisica della paziente. Il Tribunale condivide l'assunto dei consulenti che ravvisano una invalidità temporanea correlata alla lunga degenza ospedaliera, che la paziente non avrebbe subito se fosse stato scelto l'approccio terapeutico conservativo in regime ambulatoriale. L'invalidità temporanea assoluta è riferita a tutto il periodo del ricovero (7.11.2015-18.1.2016), per un totale di 72 giorni. Il Collegio dei consulenti ha ravvisato una invalidità temporanea parziale al 50% con riferimento a 30 giorni di convalescenza, che, pur in assenza di documentazione medica di riferimento, debbono essere riconosciuti in ragione della delicatezza degli interventi subiti e della necessità di un periodo di cure e riposo dopo le dimissioni ospedaliere. I consulenti hanno escluso le patologie evidenziate dal ct di parte attrice Prof. (...) (sindrome aderenziale e indebolimento della parte addominale) in quanto non suffragate da referti medici successivi alle dimissioni ospedaliere e dall'esame obiettivo della paziente eseguito durante le operazioni peritali, il quale ha evidenziato come "gli esiti attuali, a livello addominale, siano di minima entità, e dunque tali da non determinare necessità di ricorso a specialisti o strutture sanitarie". Con riferimento agli esiti permanenti il danno biologico viene quantificato nella misura del 7-8 per cento, avuto riguardo: a) agli esiti cicatriziali, comunque di modesta entità, presenti e diversi da quelli riferibili al pregresso intervento dell'anno 2000, non considerati ai fini del conteggio; b) alle "resezioni operate a livello colico, di minima estensione e senza reliquati e quella ileale, sempre di entità contenuta e senza apprezzabili reliquati funzionali". Gli ausiliari infine hanno accertato che la condizione clinico-patologica ed invalidante della paziente è totalmente stabilizzata e non sono necessarie spese mediche future che possano attenuare i postumi permanenti riscontrati; con riferimento alle spese sostenute non è stata possibile alcuna quantificazione, in mancanza di documentazione di supporto. Il Tribunale non condivide le critiche mosse dal ct di parte attrice alla consulenza tecnica d'ufficio, alla quale aderisce con riferimento alle valutazioni sull'an debeatur, contestando quelle relative al quantum. Sul punto è utile preliminarmente richiamare in diritto l'orientamento della Suprema Corte, al quale questo giudicante intende dare continuità, secondo cui il giudice del merito che riconosce convincenti le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento poiché l'obbligo di motivazione è assolto con l'indicazione delle fonti dell'apprezzamento espresso, dalle quali sia possibile desumere che le deduzioni delle parti siano state anche implicitamente respinte, anche all'esito delle risposte fornite dal CTU agli argomenti specifici sollevati dalle parti in sede di osservazioni critiche (Cass., n. 23637/2016; Cass., n. 7266/2015; Cass., n. 22713/2015; Cass., n. 5229/2011 in motivazione; Cass., n. 19475/2005; Cass., n. 14638/2004). Il Tribunale ritiene che le risultanze della CTU non siano state confutate dalle osservazioni critiche formulate dalla attrice, che muove da un assunto, ossia la sussistenza di un quadro clinico addominale attuale "grave", non suffragato dall'esame obiettivo, che ha mostrato "un addome trattabile, non dolente alla palpazione, senza difetti di parete, con peristalsi presente e valida", condizioni che escludono la presenza di aderenze intestinali. Manca la prova che la signora (...) abbia avuto necessità di cure mediche dopo l'intervento, con la conseguenza che l'unico danno biologico provato è quello occorso in conseguenza della asportazione di un tratto di ileo non necessaria e frutto di un approccio terapeutico errato ed imprudente. I ctu hanno esaminato e valutato le cicatrici della signora, ma hanno correttamente tenuto conto di quelle riferibili al precedente intervento, che non possono assumere rilievo ai fini che ci occupano, perché significherebbe addossare alla azienda ospedaliera danni conseguenza non ascrivibili alla condotta dei medici che hanno avuto in cura la donna da ultimo. Il Tribunale ritiene condivisibili le considerazioni dei ctu anche con riferimento alla classe S. 2016 prescelta, atteso che quella invocata dal consulente di parte attrice non appare corretta, in quanto non tiene conto del fatto che gli esiti cicatriziali dovuti all'intervento errato si inseriscono in un quadro clinico già connotato dalla presenza delle cicatrici di un pregresso intervento chirurgico all'addome. I ctu hanno, infatti, chiarito che la I classe S. 2016 è quella corretta e adeguata al caso di specie, tenuto conto della morfologia, della lunghezza e della natura delle cicatrici riconducibili alle condotte colpose dei medici oggetto di causa (). Tale valutazione appare coerente con il principio generale in tema di causalità, di cui è espressione l'art. 1223 c.c., che impone al danneggiante di risarcire il danno che sia eziologicamente connesso alla condotta tenuta, il quale opera anche in termini di limitazione della responsabilità, nel senso che nessuno può essere chiamato a rispondere del danno che non sia scaturito dalla propria condotta. In questa prospettiva si ritiene corretta la valutazione del danno eseguita nella consulenza tecnica d'ufficio, che lo ravvisa nella misura del 7/8 per cento. La determinazione concreta del danno non patrimoniale deve essere affidata alle Tabelle previste dall'art. 7, comma 4, L. n. 24 del 2017, che prescrive che il danno biologico e non patrimoniale conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria sia da risarcire sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209. L'applicazione della c.d. Legge G. - B. a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore è possibile perché non incide negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ma si limita a fissare criteri di liquidazione del danno non patrimoniale sulla base, appunto, delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni. Tale valutazione trova conforto nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui "In tema di risarcimento del danno alla salute conseguente ad attività sanitaria, la norma contenuta nell'art. 3, comma 3, del D.L. n. 158 del 2012 (convertito dalla L. n. 189 del 2012) e sostanzialmente riprodotta nell'art. 7, comma 4, della L. n. 24 del 2017 - la quale prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni private) - trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a taledata (con il solo limite del giudicato interno sul "quantum"), in quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno" (Cass. sez. 3, Sentenza n. 28990 del 11/11/2019). Applicando dunque gli importi aggiornati con il D.M. 08 giugno 2022, pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 144 del 22/06/2022, si giunge alla liquidazione del danno biologico prendendo come riferimento i detti parametri, la percentuale di invalidità dall'8 percento (ossia quella massima individuata dai C.T.U) e l'età della parte danneggiata che, al momento del fatto, aveva 56 anni. Il danno biologico da invalidità permanente è da calcolarsi in Euro 11.266,87. Con riferimento al danno biologico da invalidità temporanea, tenuto conto del punto del danno non patrimoniale determinato nel richiamato D.M. del 2021 pari ad Euro 50,79 per ciascun giorno, poiché il consulente ha accertato una durata dell'invalidità temporanea assoluta di giorni 72 e al 50% per 30 giorni, deve essere quantificata rispettivamente in Euro 3656,88 (50,79 X 72) ed in Euro 761,85 (25,39 x 30), per un importo complessivo di Euro 4.418,73. Il danno non patrimoniale risarcibile ammonta a complessivi Euro 15.685,60 (di cui Euro 11.266,87 a titolo di invalidità permanente ed Euro 4.418,73 a titolo di danno biologico temporaneo), a cui deve essere applicata una personalizzazione del 20%. Appare utile ricordare che il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l'applicazione dei criteri di valutazione equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento, anche attraverso la cd. personalizzazione del danno (Cass. Sez Un. n. 26972/08). Con particolare riferimento alla c.d. personalizzazione, la Suprema Corte ha precisato che "il grado di invalidità permanente espresso da un barème medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima. Pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del dannoestetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età. Tali circostanze debbono essere tempestivamente allegate dal danneggiato, ed analiticamente indicate nella motivazione, senza rifugiarsi in formule di stile o stereotipe del tipo 'tenuto conto della gravità delle lesioni" (Cass. 23778/2014). Il risarcimento forfettariamente individuato, in base ai meccanismi tabellari, può essere aumentato esclusivamente nel caso in cui il giudice ravvisi circostanze di fatto del tutto peculiari, idonee a superare le conseguenze ordinarie, tenuto conto di tutte le conseguenze patite dalla vittima, tanto nella sua sfera morale (ossia nel rapporto che il soggetto ha con sé stesso), quanto in quella dinamico-relazionale (che riguarda il rapporto del soggetto con la realtà esterna) e tale accertamento, unitario ed omnicomprensivo, deve avvenire in concreto (Cass. Ord. n. 20795/2018; Sent. n.14364/2019). Il Tribunale ritiene che debba essere applicata una personalizzazione del danno nella misura del 20%, ex art. 139 Codice delle Assicurazioni, con riferimento a tutte le voci del danno non patrimoniale. A tal proposito da un lato si deve tenere conto delle conseguenze estetiche subite dalla signora, in relazione alle cicatrici dalla stessa riportate a seguito degli interventi di cui si è detto, che hanno sicuramente aggravato il complesso cicatriziale già presente riconducibile al pregresso intervento addominale. In particolare si deve considerare la natura e la collocazione delle cicatrici in un parte del corpo visibile ed alle difficoltà relazionali che le stesse provocano in considerazione della età della donna e del forte disagio che la stessa patisce ogni volta che deve esporsi in pubblico, disagio provato in via presuntiva sulla scorta degli elementi di fatto richiamati. Si deve applicare la personalizzazione suddetta anche per l'inabilità temporanea, in quanto è emerso che la signora abbia sofferto di insonnia durante il ricovero ospedaliero e che abbia rifiutato le dimissioni in ragione delle sue condizioni psicologiche, tanto che i medici hanno preferito assecondarla, in considerazione anche della fatto che la stessa non poteva beneficiare di una assistenza domiciliare, come affermato dalla convenuta nei suoi scritti e non contestato dalla attrice. Questa condizione ha reso sicuramente più penosa dell'ordinario anche la successiva fase della convalescenza. Il Tribunale ritiene che il fatto stesso di essere stata sottoposta a ben tre interventi chirurgici nell'arco di 72 giorni, uno dei quali in urgenza per una grave complicazione, siano elementi probatori sufficienti a fondare la personalizzazione del danno nel caso concreto nella misura del 20 per cento. Il danno non patrimoniale risarcibile, tenuto conto della personalizzazione ammonta a complessivi Euro 18.822,72 (di cui Euro 3.137,12 a titolo di personalizzazione del danno nella misura del 50%). Trattasi di importo già rivalutato e liquidato ai valori attuali (Cass. n. 7272/2012; Cass. 5503/03). Sulle somme complessivamente riconosciute, trattandosi di risarcimento del danno e, dunque, di debito di valore, sono riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione, pertanto sulla somma dovuta a titolo di danno non patrimoniale, liquidata ai valori monetari attuali e già rivalutata ad oggi, spettano i soli interessi legali dalla data dell'intervento 9.11.2015 calcolati sulla sorte capitale svalutata a tale data e via via rivalutata anno per anno, il tutto secondo gli indici Istat e fino alla data del deposito della presente sentenza. Il Tribunale non ritiene di poter liquidare ulteriori voci di danno ed in particolare il cd danno da perdita di chance indicato nell'atto introduttivo del giudizio, che, per giurisprudenza costante, richiamata anche da parte attrice, richiede la sussistenza di elementi di fatto forniti dal danneggiato che consentano di accertare in via presuntiva e probabilistica, la sussistenza "ex ante" di concrete e non ipotetiche possibilità di conseguire vantaggi economici apprezzabili. In altri termini chi invoca questa posta risarcitoria deve fornire, anche mediante presunzioni o secondo parametri di probabilità, la prova dei suoi elementi costitutivi e, cioè, di una plausibile occasione perduta, del possibile vantaggio perso e del correlato nesso causale (ex multis Sez. L, Sentenza n. 7110 del 09/03/2023). Nel caso concreto manca la stessa allegazione della sussistenza nella sfera giuridica della danneggiata di una seria e apprezzabile possibilità di conseguire un risultato atteso, ma precluso dall'esecuzione di un intervento chirurgico non indicato, pertanto tale richiesta deve essere disattesa. Parte ricorrente ha chiesto la liquidazione delle spese della consulenza tecnica di parte, di cui non ha indicato la misura, chiedendo che fossero liquidate nella stessa misura stabilita a favore dei consulenti tecnici d'ufficio, con distrazione a favore del difensore domiciliatario. L'istanza non può essere accolta in mancanza di prova degli esborsi eseguiti a favore del ct di parte, nel caso concreto neppure allegati, non potendosi accedere ad una liquidazione equitativa degli stessi per relationem rispetto a quella liquidata a favore del collegio dei periti. E' opinione costante della giurisprudenza che le "spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 1, della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue" (Cass. civile sez. III, n.21402 del 06/07/2022, che richiama Cass. Sez. 2, sent. 3 gennaio 2013, n. 84; Cass. Sez. 3, sent. 22 febbraio 2015, n. 3380). La Suprema Corte ha precisato che non è possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento delle spese relative ad una consulenza di parte, in mancanza di prova dell'esborso sopportato dalla parte vittoriosa" (Cass. Sez. 1, sent. 7 febbraio 2006, n. 2605, Rv. 586818-01). E' noto a questo giudicante l'orientamento secondo cui fra le spese processuali che la parte soccombente è tenuta a rimborsare rientrano non solo quelle effettivamente già sostenute dalla parte vittoriosa, ma anche quelle dalla medesima ancora dovute, sebbene all'atto della condanna in suo favore essa non ne abbia ancora compiuto il pagamento (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 30289 del 20/11/2019 e precedenti conformi), che tuttavia non si addice al caso di specie. Parte attrice non ha fornito prova degli esborsi eseguiti a favore del consulente di parte e neppure la prova di quelli richiesti da quest'ultimo, ma non ancora pagati, per lo svolgimento dell'attività professionale svolta a favore della ricorrente. Sul punto la Suprema Corte ha osservato che l'assunzione dell'obbligazione non è sufficiente a dimostrare l'avvenuto pagamento, occorrendo viceversa prova "dell'esborso sopportato", oppure secondo la diversa prospettazione richiamata occorre quanto meno una prova dell'esborso richiesto dal consulente di parte, elemento imprescindibile per la valutazione del giudice, avuto riguardo al giudizio che lo stesso deve compiere anche in ordine alla non superfluità e non eccessività degli esborsi richiesti a tale titolo, peraltro sicuramente eccessivi ove parametrati a quanto liquidato a favore del collegio peritale. Le spese di lite del presente giudizio debbono essere liquidate tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornata dal D.M. n. 147 del 2022, vigente al momento della liquidazione, in quanto l'attività difensiva si è svolta anche successivamente alla entrata in vigore della novella (art.6), avuto riguardo alla udienza di precisazione delle conclusioni ed alle memorie conclusionali depositate. I nuovi parametri sono applicabili con riferimento a tutte le prestazioni svolte, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, che, valorizzando il criterio interpretativo fondato sulla globalità della prestazione e del compenso, applica i parametri in vigore al momento della liquidazione anche alle prestazioni professionali effettuate prima della entrata in vigore delle nuove tabelle (5). Per quanto attiene al valore della controversia e dunque alla individuazione dello scaglione di riferimento, trova applicazione l'art. 5, co. 1 del predetto D.M., secondo cui nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, ai fini della determinazione del valore della causa si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice, piuttosto che a quella domandata e dunque nel caso di specie trova applicazione lo scaglione da 5.201,00 a 26.000,00. Applicati i parametri medi si ritiene equo liquidare la somma di Euro 5.077,00 (Euro 919,00 per la fase di studio, Euro 777,00 per la fase introduttiva, Euro 1680,00 per la fase istruttoria, Euro 1701,00 per la fase decisionale), oltre spese forfettarie, IVA se dovuta e c.p.a. come per legge, da distrarsi a favore del difensore dichiaratosi antistatario. Le spese della CTU, liquidate con il decreto emesso in corso di causa, vanno definitivamente poste a carico della convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1)condanna l'AZIENDA (...), in persona del legale rappresentante p.t, al pagamento in favore della attrice, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, della somma di Euro 18.822,72, oltre interessi e rivalutazione come in motivazione; 2)condanna parte convenuta a rifondere al difensore di parte attrice, dichiaratosi antistatario, le spese di patrocinio legale, liquidate in Euro 5.077,00 a titolo di compenso professionale, oltre al rimborso per spese generali, i.v.a., C.A.P. come per legge; 3)pone le spese di c.t.u., come separatamente liquidate, definitivamente a carico della parte convenuta, condannandola al rimborso in favore della attrice delle somme anticipate. Così deciso in Terni il 26 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il Giudice, dott.ssa Dorita Fratini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 480 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, alla quale è riunita la causa civile di I grado iscritta al n. 486 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, vertente TRA (...) nata a (...) il (...) ((...)), elettivamente domiciliata in Terni, Corso (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Sc., che la rappresenta e difende, come da procura in atti; ricorrente (...) nato a (...) il (...) ((...)), elettivamente domiciliato in Terni, Corso (...), presso lo studio dell'avv. Gi.Ga., che lo rappresenta e difende, come da procura in atti; ricorrente E AZIENDA (...) (P. IVA (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Pa., come da procura in atti, elettivamente domiciliata presso l'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore (...) resistente in entrambi i procedimenti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE I) Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato in data 6.3.2020 - a seguito di procedimento per ATP ex art. 696 bis c.p.c. e art. 8 L. n. 24 del 2017 (R.g.n. 69 del 2019) - iscritto al numero 480 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2020, (...) conveniva in giudizio l'Azienda (...), per sentirla condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti iure proprio in conseguenza della morte del marito (...), per omessa diagnosi della patologia che lo affliggeva e conseguente mancanza di idoneo trattamento terapeutico. Con analogo ricorso ex art. 702 bis c.p.c. - promosso a seguito del procedimento per ATP ex art. 696 bis c.p.c. e art. 8 L. n. 24 del 2017 (R.g.n. 65 del 2019)- depositato in data 7.3.2020 ed iscritto al numero 486 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2020, (...), figlio del defunto (...), formulava analoghe domande risarcitorie nei confronti della convenuta. (...) e (...), nel richiamare la ricostruzione dei fatti compiuta nei ricorsi per accertamento tecnico preventivo, affermavano che l'Azienda O. durante il ricovero del (...) avvenuto il 17-19 marzo 2014, a seguito di un persistente dolore toracico riconducibile ad una malattia cardiaca, adottava un comportamento negligente nella diagnosi e nella scelta della terapia, omettendo accertamenti, indagini cliniche e la somministrazione di farmaci adeguati, soprattutto, disponendo troppo precocemente le dimissioni dall'ospedale in data 19 marzo 2014, nonostante il persistere del dolore toracico, senza eseguire ulteriori accertamenti e senza attendere gli esiti di quelli già eseguiti durante il ricovero. Dopo le dimissioni, nel persistere del dolore toracico, il (...) si recava presso l'ambulatorio del medico di famiglia, dott.ssa (...), la quale prescriveva una terapia farmacologica, che lo stesso assumeva la sera stessa. Il 21 marzo 2014 il (...) si recava nuovamente presso l'ambulatorio del medico di famiglia riferendo un peggioramento delle proprie condizioni generali e gli veniva prescritta una ulteriore terapia farmacologica; giunto a casa, riferiva alla moglie il proprio malessere e, mentre si accingeva ad uscire di casa, si accasciava sulle scale della propria abitazione e decedeva. I ricorrenti assumevano che la morte del loro prossimo congiunto è ascrivibile alla condotta colposa dei sanitari dell'azienda O., evidenziando come l'omessa diagnosi, le dimissioni precoci, la mancata somministrazione di una opportuna terapia antiaggregante e betabloccante avevano causato il secondo e letale episodio anginoso, che aveva determinato l'infarto del miocardio e l'evento infausto. I ricorrenti domandavano il risarcimento dei danni subiti, secondo la seguente prospettazione. (...) dichiarava di aver subito: i) un danno iure proprio, non patrimoniale, da perdita del rapporto parentale, calcolato attraverso le Tabelle di Milano aggiornate al 2019, che quantificava in Euro 441.301,50 pari a 45 punti del sistema tabellare, moltiplicati per il valore del punto base pari ad Euro 9.806,70, calcolati in base ai parametri dell'età delle vittime primaria e secondaria, avendo riguardo alla convivenza delle stesse, nonché alla mancanza di altri parenti oltre al figlio nel proprio nucleo familiare; ii) un danno patrimoniale iure proprio per la perdita del sostegno economico che il coniuge apportava al nucleo familiare calcolato sulla base dell'aspettativa di vita media di un uomo, pari ad 80 anni, tenuto del parametro reddituale della c.d. pensione sociale pari ad Euro 515,07 per un totale di Euro 47.901,51 (pari al 25 per cento di sua spettanza). (...), figlio del defunto, chiedeva che gli fosse riconosciuto: i) il danno non patrimoniale iure proprio, da perdita del rapporto parentale, calcolato attraverso le Tabelle di Milano aggiornate al 2019, che quantificava in Euro 441.301,50 (pari a 45 punti del sistema tabellare moltiplicati per il valore del punto base pari ad Euro 9.806,70), tenuto conto dei i parametri dell'età delle vittime primaria e secondaria, della convivenza, nonché all'essenza di altri parenti nel nucleo familiare; ii) il danno patrimoniale iure proprio per la perdita del sostegno economico che il padre apportava al nucleo familiare, calcolato sulla base dell'aspettativa di vita media di uomo pari a circa 80 anni, utilizzando come parametro reddituale quello della c.d. pensione sociale pari ad Euro 515,07 per un totale di Euro 47.901,51 (pari al 25 per cento di sua spettanza). Le parti, in via subordinata alla prospettata quantificazione del danno, chiedevano la liquidazione nella misura minore o maggiore ritenuta di giustizia. I ricorrenti chiedevano, altresì, il rimborso delle spese della consulenza medico legale di parte per un ammontare di Euro 2.000,00, oltre iva, con condanna della controparte alla refusione delle spese di lite. La R. ed il (...) sono stati ammessi al patrocinio a spese dello Stato con delibera dell'Ordine degli avvocati di Terni del 4.9.2018. In entrambi i giudizi si costituiva l'Azienda (...), contestando le pretese dei ricorrenti ed affermando in particolare: i) il corretto comportamento dei medici dell'ospedale che avevano avuto in cura il (...), i quali hanno adottato procedure diagnostiche idonee e congrue secondo le linee guida internazionali in materia; ii) l'erroneità delle conclusioni del Collegio peritale nominato nel precedente procedimento di accertamento tecnico preventivo; iii)la nullità della CTU depositata nel suddetto procedimento in quanto il collegio non avrebbe preso in considerazione le osservazioni delle parti, con richiesta di espletamento di una nuova CTU medica; iiiii) la genericità delle sofferenze psicofisiche addotte dai prossimi congiunti in relazione alla perdita del rapporto parentale; iiiiii) l'applicabilità delle Tabelle di Milano aggiornate alla data dell'evento dannoso e non a quella della domanda; iiiiiii) la riduzione alla metà della quota addebitabile all'ospedale del danno risarcibile, in ragione della presenza di due cause concomitanti nella causazione dell'evento mortale, ossia la condotta dei sanitari dell'ospedale e quella successiva del medico di famiglia, secondo la ricostruzione operata nel procedimento di accertamento tecnico preventivo. All'udienza del 18.11.2020, il Giudice disponeva la riunione al procedimento R.G. N. 480/2020 del processo successivamente iscritto (R.G. N. 486/2020) promosso da (...), rilevando una connessione oggettiva e soggettiva tra le cause; disponeva, inoltre, l'acquisizione degli atti del procedimento per ATP con ordinanza del 18.11.2020. Alla successiva udienza del 3.3.2021 il giudice istruttore, ritenuto di non poter procedere con le forme del procedimento ex art. 702 bis, in considerazione delle eccezioni svolte dalle parti, della natura della causa e della complessità dell'istruttoria da espletare, in accoglimento della istanza della parte resistente, disponeva il mutamento del rito, con concessione dei termini ex art. 183, VI comma c.p.c. A seguito del deposito delle memorie e della susseguente istruttoria consistita nell'assunzione delle prove testimoniali, ammesse con ordinanza del 12.07.2021, all'udienza del 1.2.2023 dinanzi a questo Giudice istruttore, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione di termini ex art. 190 c.p.c per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. II)Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di nullità della CTU espletata nella procedura di ATP, formulata da parte resistente, che lamenta il mancato rispetto del contraddittorio. Parte resistente eccepisce la lesione del contradditorio e la nullità della consulenza, assumendo che il collegio peritale non avrebbe tenuto in considerazione le osservazioni inoltrate dai consulenti di parte, ma non fornisce alcuna prova in merito all'effettivo invio delle stesse al collegio dei periti. Ai sensi dell'art. 170 c.p.c, i referenti del CTU sono le parti costituite e non anche i consulenti tecnici e l'azienda O. non ha dato prova di aver inoltrato al collegio peritale le osservazioni dei propri consulenti di parte, non assolvendo a tale scopo il documento n. 5 allegato alla comparsa di costituzione, che, ad avviso del Tribunale, introduce la prova contraria all'assunto difensivo. Il documento n. 5 contiene la copia di un messaggio di posta elettronica non certificata (che non offre alcuna prova dell'avvenuta consegna) ed indica quale destinatario - verosimilmente per un errore - il signor (...), soggetto del tutto estraneo al presente procedimento, il quale non componeva il collegio peritale nominato dal giudice. La suddetta mail è stata inoltrata per conoscenza anche al difensore di parte resistente, ma non vi è prova che questi o la parte abbiano inoltrato le osservazioni alla bozza di ctu ai consulenti nominati dal giudice. Il Collegio peritale correttamente ha preso in considerazione le sole osservazioni inoltrate nei termini assegnati dal giudice (3.01.2020), nella redazione della versione definitiva dell'elaborato del 6 gennaio 2020 e non ha potuto prendere posizione sulle osservazioni di parte resistente perché mai inoltrate, con la conseguenza che non si profila alcuna lesione del contraddittorio che ridondi nella nullità della consulenza. E' dunque corretta la scelta adottata dal precedente giudice istruttore di non rinnovare la ctu, perché la stessa è valida e, come si dirà oltre, condivisibile nel merito, sia pure mei limiti che si esporranno nel prosieguo. Con riferimento al valore probatorio della consulenza adottata nel procedimento di accertamento tecnico preventivo ed alla sua rilevanza in concreto si osserva che in base al combinato disposto degli artt. 696 e 696 bis c.p.c., la procedura delineata da tali norme assolve ad una finalità non solo conciliativa, ma anche probatoria rispetto alle parti che ritualmente abbiano partecipato alla fase ante-causam. La L. 8 marzo 2017, n. 24 (cd Legge Gelli-Bianco), applicabile ratione temporis al caso di specie quanto alle norme processuali ivi contemplate, prevede espressamente che la parte che intenda promuovere un'azione risarcitoria in materia di responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie è tenuta, ai sensi dell'art. 8, co. 1, ai fini della procedibilità della domanda giudiziale, a proporre il ricorso ex art. 696-bis c.p.c., in alternativa al procedimento di mediazione. L'art. 696 bis c.p.c. prevede che la CTU sia diretta all'accertamento e alla quantificazione della pretesa creditoria derivante da inadempimento contrattuale o da fatto illecito, con la conseguenza che, nell'ambito del procedimento di istruttoria preventiva, vengono svolti accertamenti tecnici sia in ordine all'an, sia in ordine al quantum debeatur e tali accertamenti sono opponibili a tutte le parti che hanno preso parte al procedimento. Nel caso di specie tutte le parti del presente giudizio hanno preso parte anche al procedimento per accertamento tecnico preventivo le cui risultanze si sono formate nel rispetto del contradditorio. La circostanza che questo giudice, come si dirà più avanti, abbia condiviso parzialmente le conclusioni dei consulenti non rendeva necessario l'espletamento di una ulteriore CTU, come richiesto da parte convenuta, in quanto la ripetizione del mezzo istruttorio si sarebbe posta in netto contrasto con i principi di economia processuale, posto che il Tribunale disponeva di tutti gli elementi necessari per decidere. La parziale condivisione delle conclusioni del collegio peritale, infatti, si fonda essenzialmente su valutazioni giuridiche, che non inficiano la valutazione in ordine alla correttezza del loro operato ed alla esaustività della loro analisi. III)L'eccezione di parte convenuta in ordine alla tardività della seconda memoria istruttoria depositata nell'interesse di (...) deve essere disattesa, in quanto vi è una attestazione di cancelleria del 23.6.2021 che indica l'avvenuto deposito telematico in data 5 maggio 2021 e dunque la sua tempestività, chiarendo anche che vi è stato un disguido di natura informatica nel deposito telematico, non imputabile al difensore. IV)Le domande proposte dagli attori sono meritevoli di accoglimento nei termini che di seguito si esporranno. A)Giova premettere in diritto che, secondo costante giurisprudenza di legittimità "la responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati "iure proprio" dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall'altro i parenti non rientrano nella categoria dei "terzi protetti dal contratto", potendo postularsi l'efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l'interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch'esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale" (Cass. Sez. 6, Ord. n. 21404 del 26/07/2021;conformi: Sez. 3, Sent. n. 14258 del 08/07/2020; Sez. 3 , Sent. n. 14615 del 09/07/2020; Sez. 6, Ord. n. 21404 del 26/07/2021; Sez. 3, Sent. n. 11320 del 0 7/04/2022). Questa ricostruzione incide sulla ripartizione dell'onere della prova, con la conseguenza che incombe sul prossimo congiunto, che invochi il risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del rapporto parentale iure proprio, l'onere di provare l'evento, il danno, il nesso causale, la colpa. Il Tribunale ritiene che gli attori abbiano assolto compiutamente al suddetto onere della prova. Dalla documentazione prodotta e dalla analisi operata dal collegio peritale, è possibile ricostruire i fatti che hanno determinato il decesso di (...) come segue. (...) di anni 49 era un soggetto fumatore, con abitudine tabagica molto significativa, il quale in data 17.3.2014 accedeva al Pronto Soccorso dell'Ospedale Santa Maria di Terni lamentando un dolore toracico, che durava da circa 4 giorni, tanto che il medico di famiglia gli consigliava di recarsi in ospedale. I medici del Pronto Soccorso ospedaliero refertavano: "Riferito dolore toracico con irradiazione alla spalla sinistra della durata di pochi minuti recidivante con incremento della sintomatologia dolorosa" e prescrivevano alcuni accertamenti (ecg, analisi ematologiche, RX del torace) all'esito dei quali veniva disposto il ricovero in urgenza presso il reparto di cardiologia. I medici del suddetto reparto diagnosticavano "Dolore toracico a riposo e da sforzo (vari episodi da alcuni giorni)" e ripetevano l'elettrocardiogramma alla mezzanotte del giorno di ricovero ed alle ore 10:00 del mattino successivo. La rilettura del tracciato operata dai consulenti (il secondo elettocardiogramma non risulta refertato) evidenziava delle modifiche rispetto al precedente tracciato, indicanti una condizione patologica ("inversione dell'onda T nella derivazione DIII associata a sotto-slivellamento del tratto ST di circa 1 mv."). Il paziente veniva dunque sottoposto ad un ECG sotto sforzo e venivano eseguiti ulteriori prelievi ematici, quindi venivano disposte le dimissioni per il giorno successivo, con somministrazione di farmaci. Il diario infermieristico, alla data del 18 marzo 2014, indicava la necessità di ripetizione degli esami ematici per il giorno successivo, tra cui quelli enzimatici; il giorno seguente, tuttavia, il paziente veniva dimesso, senza attendere l'esecuzione dei suddetti esami programmati (si veda il documento n. 2 allegato alla comparsa di costituzione ed il doc. 6 del ricorso R.). Il 19 marzo 2014 il paziente veniva sottoposto ad un ulteriore ECG. La rilettura del tracciato eseguita dai consulenti nominati in sede di ATP evidenzia la persistenza della condizione patologica emersa nei tracciati precedenti ed un ulteriore modifica degli stessi in senso patologico. Alle ore 9:00 di quello stesso giorno il (...) veniva dimesso con diagnosi di "toracoalgie atipiche in assenza di segni clinico/strumentali probativi di patologia cardiaca; dislipidemia mista. Paziente 49enne con abitudine tabagica ed anamnesi personale e familiare negativa per patologia CV, è giunto alla ns osservazione per sensazione oppressiva antero-toracica di lieve entità, ricorrente. ECG basale seriato: assenza di segni orientativi per sofferenza ischemica. Ecocardiogramma: non segni patologici. RX torace: assenza di alterazioni pleuroparenchimali. Test cicloergometrico: prova max negativa per ridotta riserva coronarica. Assenza di incremento significativo dei marcatori di miocardiocitolisi. Si segnala alterazione del profilo lipidico. (?.). Da quanto sopra riportato, non emergono elementi probativi per la genesi coronarica della sintomatologia in oggetto. Consigli di terapia: rivalutazione del profilo lipidico dopo 45 giorni di dieta ed eventuale correzione tramite omega 3 1 g a pranzo e a cena, atorvastatina 1 cp dopo cena. Stop fumo! Eseguire ambulatorialmente eco-doppler TSA con valutazione spessori medio-intimali. Follow up cardiologico." Nella cartella clinica del reparto di cardiologia veniva riportata la diagnosi principale "Osservazione per sospetto di malattia cardiovascolare"(pag 7 doc. n. 6 allegato al ricorso) e nel foglio di dimissioni i medici escludevano la "genesi coronarica della sintomatologia in oggetto" con indicazione di un follow up cardiologico (pag. 15 doc.6 cit.). Il giorno stesso delle dimissioni ospedaliere, il sig. (...) si recava presso l'ambulatorio del proprio medico di famiglia, riferendo un dolore toracico e gli veniva prescritto il farmaco (...) in fiale. Il 21 marzo 2014 il sig. (...) si recava nuovamente presso il medico di famiglia che prescriveva una terapia farmacologica di Brufen e Lansox (si vedano i documenti nn. 7 e 8 allegati al ricorso). Lo stesso giorno il (...), tornato a casa, si accasciava sulle scale e alle ore 19:10 ne veniva constatato il decesso (si veda certificato di morte in atti, doc. n.2 di parte ricorrente). L'esame autoptico evidenziava che "la morte di (...) è stata causata da un'acuta insufficienza cardiocircolatoria conseguente ad un infarto del miocardio, in soggetto portatore di cardiopatia ischemica ed angina vasospastica". Il Tribunale ritiene che la morte del (...) sia riconducibile esclusivamente all'operato dei sanitari dell'azienda O. che lo ebbero in cura, ritenendo parzialmente condivisibili le conclusioni dei consulenti nominati, che hanno ravvisato una concorrente e paritaria responsabilità colposa del medico di famiglia e dei medici ospedalieri. In particolare i consulenti hanno evidenziato che "durante la degenza presso l'Azienda (...), i tracciati elettrocardiografici dal giorno 17 al giorno 19 marzo 2014, secondo le riletture degli stessi effettuate alla luce delle linee guida vigenti all'epoca dei fatti, evidenziavano una evoluzione che imponeva una serie di scelte terapeutiche, che avrebbero ridotto notevolmente il rischio che il paziente andasse incontro agli eventi patologici che ne hanno determinato la morte ed in particolare: evitare la dimissione, che deve dunque ritenersi intempestiva; ripetere il tracciato elettrocardiografico ma, soprattutto, alla luce delle risultanze del tracciato del 19 marzo mattina, che questo fosse comprensivo di studio delle derivazioni precordiali destre; considerare l'instaurazione di opportuna terapia (antiaggreganti e betabloccanti); sottoporre il paziente a studio emodinamico (coronarografia)". Secondo i consulenti l'omissione di tali atti diagnostico-terapeutici, tutti doverosi in base alle linee guida vigenti, esponeva il paziente al rischio di subire un ulteriore episodio anginoso, rischio che si concretizzava il giorno stesso e due giorni dopo la dimissione ospedaliera, chiaro segno di una "progressione della malattia coronarica sottostante, con occlusione coronarica dovuta a complicazione della placca per sopravvenuta trombosi." Secondo le valutazioni dei consulenti quando (...), in conseguenza di ulteriore sintomatologia dolorosa, ricorreva alle cure del medico di medicina generale "vi erano ancora residui tempi di intervento per porre in essere presidi terapeutici certamente con minore possibilità di efficacia, stante il complicarsi della situazione patologica sottostante e sicuramente più difficili da porre in essere in senso risolutivo, stante il fatto che il paziente avrebbe dovuto nuovamente passare dal Pronto Soccorso ed essere sottoposto nuovamente ad un iter diagnostico per dolore toracico. Su tale base deve riconoscersi una concausalità nel determinismo del decesso di quanto successivamente verificatosi, ovvero nel mancato ricorso ad idonei presidi nel momento in cui il dolore toracico si ripresentava nei giorni seguenti la dimissione intempestiva. In capo ai sanitari della resistente (...) possono essere riconosciute censurabili condotte che si ritengono concausa del decesso per una quota parte del 50%". Il Tribunale ritiene che, alla luce delle stesse valutazioni dei consulenti, la condotta del medico di famiglia non possa essere qualificata come concausa dell'evento infausto. Secondo le regole della derivazione causale, concausa di un evento è qualunque fatto naturale o umano, che concorre alla verificazione dello stesso. Il parametro normativo di riferimento per assegnare rilievo alle concause è l'art. 41 c.p., che declina principi rilevanti anche in ambito civile, per giurisprudenza e dottrina consolidate. Le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dalla azione o dalla omissione del soggetto agente, di per sé non escludono il rapporto di causalità fra l'azione, l'omissione e l'evento; le cause sopravvenute escludono il nesso causale quando da sole sono sufficienti a determinare l'evento. Tali principi si applicano anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui. In tema di responsabilità civile, qualora l'evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell'art. 41, c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l'esclusiva efficienza causale di una di esse. La Suprema Corte ha chiarito che qualora una delle cause consista in una omissione, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso, ovvero a ridurne le conseguenze, non potendo esserne esclusa l'efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11903 del 13/05/2008 e successive conformi Cassazione civile, sez. III, 02/02/2010, n. 2360; Cassazione civile, sez. III, 06/05/2015, n. 8995). In tema di responsabilità contrattuale e di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, nel senso che è provocato da più soggetti, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento, che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (Cass. Sez. L - , Sentenza n. 24405 del 09/09/2021 e precedente conforme N. 7618 del 2010). I consulenti nominati assumono quale concausa dell'evento infausto anche la condotta omissiva del medico di famiglia (al quale il paziente si era rivolto nei giorni successivi alle dimissioni, lamentando la persistenza dei dolori toracici), il quale avrebbe errato nel prescrivere unicamente una terapia farmacologica, senza invitare il paziente a recarsi nuovamente e prontamente in ospedale. Tale condotta omissiva, alla luce dei principi richiamati, può assurgere a causa dell'evento solo se vi è prova che la condotta doverosa omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso, ovvero a ridurne le conseguenze. Nel caso di specie sulla base delle valutazioni dei consulenti, suffragate dalla documentazione in atti, è emerso che qualora i sanitari non avessero dimesso intempestivamente il paziente, eseguendo gli esami già programmati e quelli necessari a fronte del riferito e persistente dolore toracico, l'evento infausto non si sarebbe verificato con un ragionevole grado di certezza. Con riferimento alla condotta omissiva del medico di famiglia il collegio peritale ha accertato che, in ogni caso, anche se questi avesse dato al paziente l'indicazione terapeutica corretta, ossia recarsi in ospedale, in ogni caso il paziente non si sarebbe salvato, perché comunque sarebbe stato necessario sottoporlo al triage ospedaliero previsto in caso di accesso al Pronto Soccorso ed all'iter diagnostico previsto per i dolori toracici. I consulenti, infatti, rilevano che vi erano dei presidi terapeutici ancora possibili, ma "con minore possibilità di efficacia, stante il complicarsi della situazione patologica sottostante e sicuramente più difficili da porre in essere in senso risolutivo". Da queste valutazioni emerge che l'adozione di presidi medici astrattamente esistenti, nel caso concreto,non sarebbe stata efficace, perché il quadro del paziente, quando si è recato dal medico di famiglia per la seconda volta dopo le dimissioni, era già fortemente ed irrimediabilmente compromesso dal progredire della malattia coronarica, con la conseguenza che anche se il medico di famiglia lo avesse invitato a recarsi in ospedale, non vi è prova che si potesse salvare. Il paziente, infatti, è deceduto nella sua abitazione a distanza di pochissimo tempo dall'ultimo accesso all'ambulatorio del medico di famiglia, con la conseguenza che alcuna indicazione dello stesso avrebbe potuto impedire l'evento infausto, in ragione della repentina evoluzione del quadro patologico, certamente non prevedibile da parte del medico di famiglia. L'evoluzione in senso peggiorativo era prevedibile solo da parte dei medici specialisti che lo avevano visitato in ospedale, i quali disponevano delle competenze professionali specifiche per formulare una corretta diagnosi e dunque avevano il dovere, alla luce della stessa documentazione medica redatta e di una sintomatologia dolorosa che persisteva da giorni, di prescrivere un ecodoppler, che, se eseguito in ospedale, avrebbe rivelato la sussistenza della patologia coronarica in atto, causa della sofferenza cardiaca (di cui il dolore toracico persistente è un chiaro sintomo), che ha portato all'infarto del miocardio ed al decesso. Analoghe valutazioni debbono essere compiute con riferimento al primo accesso eseguito dal (...) presso lo studio del medico di famiglia, il giorno stesso delle dimissioni ospedaliere: il medico di famiglia ha ragionevolmente riposto affidamento sulle valutazioni degli specialisti cardiologi che lo avevano visitato poco prima, quindi non è ravvisabile una sua condotta omissiva che possa essere qualificata come causa efficiente dell'evento infausto, a fronte del quadro "rassicurante" che emergeva dal referto diagnostico elaborato in occasione delle dimissioni ospedaliere. Nella relazione medica dei consulenti nominati dal Tribunale, del resto, è chiaramente indicato che vi è stata una omissione negli atti diagnostico-terapeutici eseguiti in ospedale ed in particolare non è stata eseguita una coronarografia; tale omissione ha esposto il paziente all'evento morboso che ne ha determinato la morte causata da una "occlusione coronarica dovuta a complicazione della placca per sopravvenuta trombosi" come evidenziato anche nel referto autoptico, che riporta tale grave patologia Orbene, tenuto conto della causa del decesso e della progressione della malattia coronarica, si ritiene che l'omissione di un esame quale la coronarografia e le dimissioni anticipate siano la causa unica dell'evento infausto e che lo stesso sia ascrivibile alle condotte omissive degli specialisti che hanno visitato il paziente in ospedale, i quali non hanno riconosciuto le cause del dolore toracico e non hanno predisposto gli accertamenti opportuni, optando per dimissioni precoci e per un follow up a distanza di ben 45 giorni, chiaro segno di un completo fraintendimento della gravità della situazione, che, attraverso esami specifici e tempestivi, poteva essere apprezzata e curata. Tali esami, peraltro, apparivano particolarmente doverosi nel caso concreto, in ragione delle condizioni personali del paziente, fumatore da oltre trenta anni, elemento che di per sé lo esponeva a patologie cardiovascolari ed arteriose. I consulenti, in risposta alle note critiche di parte attrice allegate alla relazione, hanno chiarito che al momento del ricovero ospedaliero era in atto un quadro elettrocardiografico instabile e sarebbe stato prudente, sulla base di una corretta interpretazione dei segni strumentali emergenti, trattenere il paziente in regime di ricovero e sottoporlo ad una coronarografia. Tali atti terapeutici, doverosi ed utili secondo le linee guida, in quanto idonei ad evitare il decesso, sono stati omessi e ciò consente di affermare la sussistenza della colpa dei sanitari sotto il profilo della negligenza, della imprudenza ed anche della imperizia. Nel determinismo causale che ha portato all'evento infausto si ritiene che la condotta omissiva dei medici ospedalieri assurga a causa unica ed efficiente del decesso del paziente e che non sussista alcuna condizione di concausalità, valutazione che fonda la responsabilità integrale dell'ente convenuto, come ravvisato anche dai ricorrenti nelle osservazioni critiche alla ctu, alle quali questo giudice intende dare seguito, per le ragioni già esposte. In ogni caso si osserva che, anche a voler ritenere un concorso di cause tra la condotta omissiva dei medici ospedalieri e del medico di famiglia, verrebbe in rilievo una solidarietà passiva nella obbligazione risarcitoria ex art. 1292 c.c. in capo a tutti i corresponsabili della causazione dell'evento, circostanza che non determina l'obbligo del creditore di chiedere l'adempimento frazionato nei confronti di tutti, ma legittima quest'ultimo ad agire per l'intero verso ognuno di essi, con conseguente liberazione di tutti i debitori a seguito dell'adempimento integrale eseguito da uno di essi. Anche sotto tale ulteriore profilo, quindi, l'azione risarcitoria promossa dai ricorrenti nei confronti dell'azienda O. per l'intero importo dovuto è sicuramente meritevole di accoglimento. B)Passando ad esaminare i danni risarcibili, gli attori hanno chiesto il risarcimento del danno iure proprio derivante dalla perdita del rapporto parentale, offrendone piena prova. Giova premettere in diritto che il danno da perdita del rapporto parentale è una tipologia di danno non patrimoniale, consistente non già nell'evento della violazione del rapporto familiare in sé e per sé considerato, quanto piuttosto nelle conseguenze che discendono dall'irreversibile venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, comprese le sofferenze interiori transeunti. La prova di tale pregiudizio è, secondo la regola di cui all'art. 2697 c.c., a carico del danneggiato, potendo comunque essere fornita, come nel caso di specie, anche a mezzo di presunzioni semplici, rientrando nell'id quod plerumque accidit e in decorsi di regolarità causale, la sofferenza per la perdita di un familiare. Quanto alle modalità di accertamento di un simile pregiudizio deve inoltre rimandarsi anche a quanto osservato da Cass. civ. n.10527 del 2011, la quale osserva che nel dedurre dal fatto noto quello ignoto il giudice di merito incontra il solo limite del principio di probabilità (Cass., 12/6/2006, n.13546) e non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l'operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza basate sull' id quod plerumque accidit (cfr. Cass., 30/11/2005, n.6081; Cass., 6/6/1997, n.5082). Dunque, in presenza di tali allegazioni, il giudice deve quindi ritenere, sulla base della presunzione fondata essenzialmente sulla tipicità di determinati fatti alla stregua della regola di esperienza di tipo statistico, provati gli effetti che da tale fatto normalmente derivano, avendo riguardo ad una apparenza basata sul tipico decorso degli avvenimenti, incombendo alla parte a cui sfavore opera la presunzione di dare la prova contraria idonea a vincerla. Orbene la morte di una persona fa presumere da sola, ex art.2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti, in tal caso, gravando sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che, di conseguenza, la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22397 del 15/07/2022). Parte convenuta, nel caso di specie, non ha assolto tale onere, né vi sono state specifiche contestazioni ex art. 115 c.p.c. dei fatti introdotti e provati da parte ricorrente, che evidenziano la sussistenza di un legame affettivo tra il (...), la moglie ed il figlio, solidissimo e profondo. Nel caso di specie è provata la coabitazione tra gli attori e la vittima sulla base della documentazione anagrafica in atti e delle numerose testimonianze assunte (di seguito richiamate ai fini della liquidazione) da cui emerge la solidità del loro rapporto familiare e, dunque, è provato l'elemento che consente di inferire la sofferenza patita in conseguenza della perdita del prossimo congiunto. Per la valutazione di questa posta risarcitoria occorre anzitutto muovere dalle più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, le quali hanno evidenziato che, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione concreta (Cass. Sent. n.10579/2021 e Cass. sent. n.26300/2021). Orbene il giudicante intende avvalersi delle ultime tabelle (aggiornate al 2022) in uso presso il Tribunale di Milano secondo quanto recentemente osservato dalla Suprema Corte, che valorizza le tabelle di Milano, pubblicate nel giugno del 2022, quale criterio idoneo per la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale (Cass. Ord. n.37009/2022), in quanto fondate su un sistema "a punto variabile" (il cui valore base è stato ricavato muovendo da quelli previsti dalla precedente formulazione "a forbice") che prevede l'attribuzione dei punti in funzione dei cinque parametri corrispondenti all'età della vittima primaria e secondaria, alla convivenza tra le stesse, alla sopravvivenza di altri congiunti e alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta, sia in termini di sofferenza interiore patita, da provare anche in via presuntiva come spiegato nelle stesse note di accompagnamento delle tabelle, sia in termini di stravolgimento della vita della vittima secondaria secondo una dimensione dinamico relazionale allegata e provata, anche con presunzioni; ferma restando la possibilità, per il giudice di merito, di discostarsene procedendo ad una valutazione equitativa "pura", purché motivata. In linea con la prevalente giurisprudenza di legittimità, trovano applicazione le tabelle in vigore al momento della liquidazione del danno risarcibile (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5013 del 28/02/2017) e non quelle vigenti al momento del fatto o della domanda, come ipotizzato dalle parti. Tanto premesso, dalle prove acquisite emergono i seguenti elementi utili per la valutazione del danno risarcibile. (...) all'epoca del decesso aveva 49 anni; il figlio (...) aveva 14 anni e conviveva con i genitori, anche se si allenava a (...), essendo una promessa del calcio; J. era profondamento legato al papà, come emerge chiaramente dalle testimonianze: (...) era un padre dedito, interessato al figlio, al suo rendimento scolastico, molto presente, che condivideva con il figlio la passione per il calcio; J. confidava al padre gli aspetti intimi della sua vita, come pure gli amici di J., per i quali il (...) era un vero e proprio punto di riferimento (vedi verbale del 30.11.2021 con particolare riguardo alle dichiarazioni degli insegnanti S. e P., del M. (compagno di università di J.) ed all'allenatore G., tutti soggetti terzi rispetto agli accadimenti, ed estranei ai fatti di ausa, pertanto assolutamente attendibili, anche in ragione della concordanza delle loro dichiarazioni); è provato inoltre il significativo cambiamento di vita che il ragazzo ha dovuto subire a seguito della morte del proprio padre. (...), sopraffatto dal dolore per una perdita così grande, ha scelto di lasciare l'importante squadra di calcio giovanile che lo aveva ingaggiato (si veda la deposizione della zia (...)). Inoltre è provato che, a seguito delle difficoltà economiche, si è dovuto trasferire con la madre in una casa popolare, subendo la perdita dei punti di riferimento e delle amicizie legate al quartiere dove era cresciuto, condizioni particolarmente gravose anche in considerazione della età adolescenziale che egli stava vivendo (si veda allegato n. 8 al ricorso). Applicando i criteri suddetti alla posizione di (...) allo stesso possono essere riconosciuti 102 punti: 74 punti obbiettivi, dati dall'età, dalla convivenza e dalla composizione del nucleo familiare (20 punti per età della vittima primaria; 26 punti per età della vittima secondaria; 16 punti per la convivenza; 14 punti per la composizione del nucleo familiare); ai quali si devono aggiungere i punti correlati alla l'intensità e qualità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto pari a 26 punti. La sommatoria die punti consente di giungere alla liquidazione del massimo risarcibile pari ad Euro 336.500,00. Per ciò che attiene invece alla posizione di (...), le vanno riconosciuti 82 punti e segnatamente: 20 punti in relazione alla età della vittima primaria; 22 punti in relazione alla età della vittima secondaria; 16 punti per la convivenza; 14 punti per la composizione del nucleo familiare; 20 punti per lo stravolgimento di vita che ella ha subito, in ragione della solidità del rapporto familiare e del trasferimento dalla casa familiare dovuto alle difficili condizioni economiche sopravvenute, tali da rendere necessario l'aiuto dei familiari ed il trasferimento in una casa popolare di ridotte dimensioni. I testimoni escussi hanno confermato che la famiglia era molto unita (testi S. e P.), tanto che era un piacere frequentarla (teste M.). La signora (...) ha subito un forte stravolgimento di vita, con importanti ripercussioni psicologiche e riflessi negativi sulla vita di relazione e sociale, caratterizzata, dopo la morte del marito, da un significativo isolamento (teste (...)). Assumendo il valore del punto base pari ad Euro 3.365,00 è possibile liquidare a favore di (...) la somma di Euro 309.580,00 (valore del punto base 3.365,00 x 92 punti). Tale importo è già rivalutato e liquidato ai valori attuali (Cass. 7272/2012 in motivazione e Cass. 5503/03 e successive conformi, tra cui Sez. 3, Sentenza n. 21396 del 10/10/2014). Considerato che il credito azionato dagli attori è un credito di valore, alle somme come sopra liquidate, vanno aggiunti gli interessi al saggio legale tenuto conto della somma devalutata alla data del decesso (20.03.2014) e progressivamente rivalutata, mediante applicazione degli indici annuali ISTAT, sino alla data di pubblicazione della presente sentenza. Tali interessi sono dovuti secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità a titolo di danno da lucro cessante ex art. 2056 c.c. per il mancato godimento della somma equivalente al danno subito (Cass. S.U. sent. n. 1712 del 17.2.1995 e successive conformi, tra cui in particolare Sez. 3, Ordinanza n. 24468 del 04/11/2020 secondo cui in particolare "?nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria - quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni - e che il giudice di merito deve attribuire gli uni e l'altro anche se non espressamente richiesti, pure in grado di appello, senza, per ciò solo, incorrere in ultrapetizione"). Dalla data della pubblicazione della sentenza il debito diventa di valuta, producendo solo interessi al saggio di legge sino all'effettivo pagamento (sul cumulo tra interessi e rivalutazione nella quantificazione del risarcimento del danno da fatto illecito ex multis, Cass. 12140/2016, Cass. 18243/2015, Cass. 12698/2014, Cass. 4184/06 e Cass. 9517/02). B)Gli attori hanno chiesto anche il risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla perdita del sostegno economico apportato da (...) al nucleo familiare, danno contestato da parte convenuta, che richiama lo stato di inoccupazione del defunto al momento del fatto, circostanza non contestata. Sul tema è utile richiamare l'insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui ai prossimi congiunti del deceduto in conseguenza del fatto illecito provocato da un terzo, spetta anche il risarcimento del danno patrimoniale qualora questo, sulla scorta di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alle circostanze del caso concreto, si prospetti come effettivamente probabile in base ai parametri di regolarità causale; tale condizione sussiste quando, sulla base dei suddetti criteri, si ritiene che il soggetto deceduto, in ragione della sua giovane età, degli studi intrapresi, dei lavori svolti ed in generale della sua professionalità, avrebbe presumibilmente trovato un utile impiego la cui retribuzione sarebbe stata devoluta almeno in parte, ai bisogni dei prossimi congiunti (Cass. 5099/2020 che lo riconosce anche nel caso di morte di una madre giovanissima e dunque mai entrata nel mondo del lavoro; si veda anche Cass. 1 marzo 2007, n. 4791; 3 aprile 2008, n. 8546; 19 novembre 2009, n. 24435). Il danno de quo consiste nella perdita dei benefici economici che la vittima destinava alla famiglia, per legge (si vedano gli artt. 143 e 147 c.c.) o per costume sociale, le quali, se la vittima fosse rimasta in vita, sarebbero continuate per l'avvenire, a condizione che non si trattasse di sovvenzioni episodiche, che ovviamente a cagione della loro sporadicità non consentirebbero di presumere ex art. 2727 c.c. (Cass. sent. n. 32649/2021 del 09.11.2021). Nel caso di specie, tenuto conto della condizioni di vita del nucleo familiare, vi sono plurimi elementi che consentono di ritenere che il (...) - considerata la solidità del rapporto familiare, la sua giovane età, la non occupazione della moglie da lungo tempo ed al momento del fatto, la minore età del figlio e quindi l'assoluta necessità di mantenersi e mantenere i propri congiunti - pur disoccupato al momento della morte, avrebbe necessariamente ripreso il lavoro; è inoltre ragionevole ritenere che egli avrebbe trovato un utile impiego utilizzando la propria professionalità di restauratore, dato che in passato aveva svolto tale attività, ovvero altro analogo lavoro retribuito, idoneo a consentirgli di provvedere ai bisogni economici propri e dei prossimi congiunti. Ritenuto dunque che lo stato di inoccupazione del (...) non sia ostativo al riconoscimento di questa voce di danno, si ritiene equo adottare come parametro liquidativo, ai sensi dell'art. 1227 c.c.., quello indicato dall'art. 137 del codice delle assicurazioni private, ovvero il triplo dell'assegno sociale che, aggiornato al 2023, ammonta ad Euro 503,27, per 13 mensilità annue, per un importo complessivo annuo pari ad Euro 6.542,51. A tal proposito appare utile richiamare l'insegnamento della Suprema Corte, secondo cui tale parametro può essere utilizzato in via equitativa, quando sia stato accertato lo stato di disoccupazione o uno stato a questo assimilabile per modestia o sporadicità del reddito, ovvero quando la vittima ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa o sia impossibile stabilire o presumere il reddito reale della stessa (ex multis Cass. 8896/2016 e successiva conforme). Il Tribunale ritiene che questo criterio possa trovare applicazione anche in contesti diversi dalla infortunistica stradale, quale parametro equitativo di fonte normativa al quale fare riferimento quando sussista una delle condizioni delineate dalla giurisprudenza, come lo stato disoccupazione (arg. ex Cass.Sez. 3, Ord. 25370 del 12/10/2018; Sez. 3, Ord. n. 17690 del 25/08/2020), pacificamente sussistente nel caso concreto. Secondo la giurisprudenza, quando si deve liquidare a favore del congiunto della vittima il danno di natura patrimoniale derivante dalla perdita della fonte di reddito ricollegabile all'attività lavorativa della vittima per quella parte che presumibilmente essa non destinava ai suoi bisogni personali, ma alla comunione familiare con il congiunto, al momento della liquidazione giudiziale la perdita ascrivibile al periodo che intercorre tra il decesso del de cuius fino al momento della liquidazione rappresenta un danno emergente già verificatosi, mentre la perdita ascrivibile al venir meno della fonte di reddito per il periodo successivo si configura come danno futuro e, dunque, come danno da lucro cessante, la cui liquidazione deve avvenire considerando il presumibile periodo di protrazione della capacità della vittima di produrre il reddito di cui trattasi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10321 del 30/04/2018; si veda anche Cass. sent. n. 11719 del 13.10.2020 in motivazione e precedenti conformi ivi richiamati ). Da ciò consegue che con riferimento al periodo che intercorre tra la morte della vittima fino alla pubblicazione della sentenza, la liquidazione tiene conto della somma maturata con il cumulo di interessi e rivalutazione senza applicare alcun coefficiente di capitalizzazione, trattandosi di un danno emergente; la liquidazione del danno successivo alla decisione, trattandosi di un danno futuro, richiede l'applicazione di un coefficiente di capitalizzazione (Cass. n. 10321/2018 cit.), il quale assolve alla funzione di rendere attuale il valore di una rendita futura e, come tale, deve corrispondere alla data in cui si effettua la liquidazione del danno e non dell'illecito. Con riferimento alla scelta del coefficiente di capitalizzazione, appare utile richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui "il giudice di merito può liberamente adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purché aggiornati e scientificamente corretti, quali quelli approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali (cfr. tabelle Inail), oppure elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano" (Cass., sez. III, sent. n. 20615 del 14.10.2015; Cass. sez. III, sent. n. 10499 del 28.4.2017; sent. n. 16913 del 25 giugno 2019). Ha inoltre precisato che i coefficienti di capitalizzazione previsti dal R.D. n. 1403 del 1992 non assicurano l'integrale ristoro del danno patrimoniale pertanto il loro utilizzo non è consentito neppure per procedere alla liquidazione del danno in via equitativa, con la conseguenza che il danno patrimoniale da lucro cessante deve essere calcolato utilizzando coefficienti più affidabili, ossia quelli stabiliti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali e assistenziali (Cass. sent. n. 11719 del 13.10.2020 cit.). La Suprema Corte ha anche chiarito che si deve fare riferimento ad un coefficiente che tenga conto della età della vittima al momento della liquidazione, atteso che il procedimento di capitalizzazione è una operazione di matematica finanziaria che consente di calcolare il valore capitale di una rendita e tale valore non può essere rapportato alla età della vittima al momento del fatto, avuto riguardo alla funzione della operazione suddetta, che mira a rendere attuale il valore di una rendita futura (Cass.11719/2020-21 cit. e Sent. n. 2463 del 4.2.2020). In sintesi la liquidazione in forma di capitale del danno patrimoniale futuro richiede: -la determinazione del reddito della vittima al momento della morte; -la decurtazione della quota presumibilmente destinata ai bisogni personali della vittima, oppure al risparmio (cd quota sibi); -la moltiplicazione di tale risultato per il coefficiente di capitalizzazione delle rendite temporanee, se sia ragionevole ritenere che, in mancanza dell'illecito, il superstite avrebbe continuato a godere del sostegno economico del defunto per un periodo di tempo determinato. Applicando gli insegnamenti della Suprema Corte al caso di specie, si osserva quanto segue. (...) era disoccupato al momento del fatto, ma si può assumere quale quota annuale del reddito quella risultante dalla applicazione del triplo della pensione sociale, come già detto. La signora (...), come da storico del centro impiego, da tempo non esercitava alcuna attività lavorativa ed il figlio J. era minorenne all'epoca del decesso, pertanto è ragionevole ritenere che il (...) destinasse alla famiglia la metà del reddito annuo come sopra determinato e dunque l'importo annuo di Euro 3.271,25, che deve essere ulteriormente suddiviso tra la moglie ed il figlio nella misura del 50%, in assenza di elementi per adottare un diverso criterio di ripartizione della somma suddetta tra i familiari. La quota annua di reddito spettante a ciascuno dei superstiti, quindi, è pari ad Euro 1.635,625. La liquidazione tiene conto dell'aspettativa di vita dell'uomo secondo gli indicatori Istat aggiornati al 7 aprile del 2023, che pongono per le persone di sesso maschile l'età di anni 80.5. La liquidazione tiene conto altresì del fatto che (...), all'epoca della morte del padre, aveva 14 anni ed avrebbe avuto diritto ad essere mantenuto fino alla propria indipendenza economica o comunque fino al raggiungimento della maturità lavorativa. A tal proposito il Tribunale ritiene equo prendere quale parametro di riferimento per l'obbligo di mantenimento ex art. 142 c.c. quello utilizzato per determinare la spettanza del diritto alla pensione di reversibilità in favore del figlio maggiorenne a carico del genitore (deceduto) che non presti attività lavorativa, diritto che viene riconosciuto dall'Inps non oltre il 26 anno di vita del beneficiario. Il Tribunale ritiene che i coefficienti più adeguati al caso concreto siano quelli previsti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali elaborati nelle tabelle INAIL, indicati nel D.M. del 22 novembre 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 295 del 19.12.2016, s.o. n. 56, in quanto corroborati dal requisito della certezza normativa ed in particolare quelli previsti nella Tavola 12 con riferimento alla moglie del defunto e nella Tavola 18 con riferimento al figlio. Tenuto conto della data della data del decesso della vittima (19 marzo 2014) e dell'anno di pubblicazione della presente sentenza (2023) si possono liquidare le seguenti somme a favore dei superstiti: -a favore di (...) e (...) la somma di Euro 16.607,88 per ciascuno di loro a titolo di danno emergente ; -a favore di (...) la somma di Euro 1.663,92 a titolo di lucro cessante -a favore di (...) la somma di Euro 21.933,077 a titolo di lucro cessante e così complessivamente la liquidazione del danno patrimoniale ammonta: - a favore di (...) Euro 38.540,957 (16.607,88 + 21.933,077) - a favore di (...) Euro 18.271,8 (16.607,88 + 1.663,92) Considerato che nelle obbligazioni di valore il debitore è in mora dal momento della produzione dell'evento di danno, sull'importo, liquidato all'attualità, devono essere altresì riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato godimento tempestivo dell'equivalente pecuniario del bene perduto. Gli interessi compensativi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. civ., SS.UU., n. 1712 del 17.2.95), decorrono dalla produzione dell'evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano non sulla somma già rivalutata ma, di anno in anno, sulle somme iniziali, ossia devalutate alla data del fatto illecito, a mano a mano incrementate nominalmente secondo la variazione dell'indice Istat. In applicazione dei principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, appare congruo adottare, anche in applicazione del principio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c., come criterio di risarcimento del pregiudizio da ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell'arco temporale considerato e di tutte le circostanze accertate, quello degli interessi legali, calcolati con le seguenti modalità: sulla somme come sopra liquidate devalutate all'epoca dell'evento lesivo (19.03.2014) e poi progressivamente rivalutata, di anno in anno, secondo gli indici I.S.T.A.T. dal 19.03.2014 fino alla presente sentenza; sull'importo come determinato all'attualità sono successivamente dovuti gli ulteriori interessi legali, ex art. 1282 c.c., dalla presente pronuncia e fino al saldo effettivo. C)Le spese di lite del presente giudizio debbono essere liquidate tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornata dal D.M. n. 147 del 2022, vigente al momento della liquidazione, in quanto l'attività difensiva si è svolta anche successivamente alla entrata in vigore della novella (art.6), avuto riguardo alla udienza di precisazione delle conclusioni ed alle memorie conclusionali. I nuovi parametri sono applicabili con riferimento a tutte le prestazioni svolte, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, che, valorizzando il criterio interpretativo fondato sulla globalità della prestazione e del compenso, applica i parametri in vigore al momento della liquidazione anche alle prestazioni professionali effettuate prima della entrata in vigore delle nuova tabelle. Per quanto attiene al valore della controversia e dunque alla individuazione dello scaglione di riferimento, trova applicazione l'art. 5, co. 1 del predetto D.M., secondo cui nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, ai fini della determinazione del valore della causa si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice, piuttosto che a quella domandata e dunque nel caso di specie trova applicazione lo scaglione da 260.000,01 a 520.000,00, (peraltro coincidente con quello indicato dai difensori nelle rispettive note spese), tenuto conto della natura e della complessità della controversia. Applicati i parametri minimi alla luce dell'opera complessivamente prestata e delle questioni giuridiche sottese al giudizio, ridotti del 50 per cento ai sensi dell'art. 130 D.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 18167/2016), in ragione della ammissione al patrocinio a spese dello Stato di entrambi i ricorrenti, si ritiene equo liquidare la somma di Euro 5.614,50, oltre spese forfettarie, IVA se dovuta e c.p.a. come per legge (Euro 1772,00 per la fase di studio, Euro 1169,00 per la fase introduttiva, Euro 5206,00 per la fase istruttoria, Euro 3082,00 per la fase decisionale; riduzione del 50%) a favore di ogni difensore. Le spese legali dell'accertamento tecnico preventivo ante causam devono essere prese in considerazione, nel successivo giudizio di merito, come spese giudiziali, da regolare in base agli ordinari criteri di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 6, n. 9735 del 26/05/2020; conf. Cass., n. 14268 del 08/06/2017). Il regolamento delle spese di lite con riferimento alla fase dell'accertamento tecnico preventivo, anche in tal caso, è ancorato alla valutazione della soccombenza, la quale, a sua volta, presuppone l'accertamento della fondatezza o meno della pretesa fatta valere dall'attore, che esula dalla funzione dell'accertamento tecnico preventivo e resta di esclusiva competenza del giudizio di merito (cfr. Cass. n. 18918 del 11/9/2020). Alla luce dei parametri richiamati, le spese di lite della fase di merito e del procedimento di accertamento tecnico preventivo seguono la soccombenza sostanziale e, a fronte dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato di entrambi i ricorrenti, devono essere liquidate a favore dell'Erario ai sensi dell'art. 9 del D.M. n. 140 del 2012 e dell'art. 133 D.P.R. n. 115 del 2002, nella misura di Euro 1.151,25 per ciascun difensore, determinata per la fase dell'ATP con ordinanza del 1.6.2023 (RG n. 65/2019) e nella misura sopra indicata con riferimento al presente giudizio di merito. Le spese della CTU, liquidate nel procedimento di ATP n.r.g. 65/2019 con decreto del 1.6.2023, a favore di ognuno dei componenti del collegio peritale nella misura di Euro 515,73, vanno poste a carico dell'Ospedale S. Maria di Terni, soccombente nel giudizio di merito, che eseguirà il pagamento a favore dell'Erario, in ragione dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato delle parti vittoriose. Non è possibile in questa sede provvedere sulla regolamentazione delle spese relative alla consulenza tecnica di parte allegata al ricorso per accertamento tecnico preventivo, che i ricorrenti hanno chiesto di porre a carico della parte soccombente (cfr. relazione del ctp- doc. n. 9 e notula pro forma -doc. 11- allegati al fascicolo dell'ATP RG N. 65/2019), in quanto dette spese non sono state liquidate dal magistrato competente per la fase dell'accertamento tecnico preventivo, in mancanza di una specifica istanza di liquidazione delle stesse presentata in quel giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte: -condanna l'Ospedale Santa Maria di Terni al pagamento in favore di (...) dell'importo di Euro 309.580,00 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 38.540,957 a titolo di danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, come indicato in parte motiva; -condanna l'Ospedale Santa Maria di Terni al pagamento in favore di (...) dell'importo di Euro 336.500,00 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 18.271,8 a titolo di danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, come indicato in parte motiva; -condanna l'Ospedale Santa Maria di Terni al pagamento a favore dell'Erario delle spese processuali del giudizio promosso da (...) nella misura di Euro 1.151,25, oltre accessori di legge, con riferimento al procedimento per ATP e nella misura di Euro 5.614,50, oltre accessori di legge, con riferimento al presente giudizio; -condanna l'Ospedale Santa Maria di Terni al pagamento a favore dell'Erario delle spese processuali del giudizio promosso da (...) nella misura di Euro 1.151,25, oltre accessori di legge, con riferimento al procedimento per ATP e nella misura di Euro 5.614,50, oltre accessori di legge, con riferimento al presente giudizio; -condanna l'Ospedale Santa Maria di Terni al pagamento in favore dell'Erario delle spese della consulenza tecnica d'ufficio depositata nel procedimento di accertamento tecnico preventivo RG N. 65/2019, nella misura liquidata con decreto del 1.6.2023. Così deciso in Terni il 7 giugno 2023. Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TERNI Il giudice del lavoro dott.ssa Luciana Nicolì, alla odierna udienza del 3 maggio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE nella causa iscritta al n. 158/2022 R.G., promossa da (...), difeso e rappresentato dagli avvocati Ch.La. e Lu.Za., come da procura in atti; RICORRENTE contro (...) - soc. coop., in persona del proprio legale rappresentante pro tempore; CONVENUTO CONTUMACE Oggetto: differenze retributive MOTIVAZIONE IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 14 marzo 2022 (...) deduceva: - di avere prestato attività di guardiania non armata, portierato e receptionist presso la (...) s.p.a. di Terni dal marzo 2017 al novembre 2021, inquadrato al livello D) del CCNL Sefi; - che gli veniva corrisposta una paga base lorda oraria di Euro 5,37 (pari ad Euro. 930,00 lordi mensili per 173 ore); - che tale retribuzione era inferiore, di circa il 30-35%, a quella prevista da altri CCNL per lavoratori adibiti allo svolgimento delle stesse mansioni (in particolare, CCNL Multiservizi e CCNL Terziario); - che tale trattamento retributivo non rispettava l'art. 36 cost., che riconosce il diritto ad una retribuzione proporzionale e sufficiente, di diretta e immediata applicazione; - che la paga base tabellare mensile applicata dall'odierna resistente era inferiore rispetto al tasso soglia di povertà indicato dall'ISTAT che prevede un importo minimo variabile da Euro. 1329,92 (nel 2018) ad Euro. 1355,04 (nel 2020); - che la resistente aveva omesso di versargli il contributo mensile per l'iscrizione al fondo (...), previsto dall'art. 32, titolo X, del CCNL applicato, per il quale aveva maturato un credito di Euro 1860; - che, dal raffronto tra la paga base applicata e quella prevista dal CCNL Multiservizi, ne scaturiva un credito di Euro 11485,86 di cui chiedeva il pagamento; per l'ipotesi di mancato accoglimento della predetta domanda, eccepiva che la società aveva illegittimamente derogato alla disciplina contrattuale in tema di emolumenti (lavoro supplementare, lavoro straordinario feriale diurno fino alla 48 ora, lavoro straordinario feriale diurno dalla 49 ora, lavoro straordinario feriale notturno, lavoro domenicale - festivo diurno e notturno, lavoro straordinario domenicale - festivo e lavoro straordinario domenicale - festivo notturno, di cui al Titolo III del CCNL Vigilanza - Sezione Servizi Fiduciari) in virtù di due regolamenti interni (del 2013 e del 2017) che tuttavia non erano conformi all'art. 6 c. 1 L. n. 142 del 2001, non ricorrendo in concreto alcuna crisi aziendale idonea a giustificare la deroga; pertanto, chiedeva riconoscersi il proprio diritto a percepire le maggiorazioni di cui al CCNL Vigilanza - Sezione (...), Titolo III ed art. 11 con conseguente condanna di (...) - Soc. Coop. a versare in favore del ricorrente la differenza tra quanto percepito e quanto dovuto per lavoro diverso dal normale. In subordine, in caso di mancato accoglimento della predetta domanda, chiedeva pronunciarsi condanna della resistente al pagamento, a far data dal 16/09/2018 e sino alla fine del rapporto lavorativo la differenza tra quanto percepito e quanto dovuto per lavoro diverso dal normale secondo quanto stabilito dall'allegato A del Regolamento Interno del 14/09/2018, che richiama a sua volta le previsioni del CCNL (...), in quanto in concreto non applicato. In ogni caso chiedeva accertare e dichiarare il diritto di parte ricorrente a che la voce AFAC - Euro 20,00 mensili di cui all'art. 24 CCNL Vigilanza Privata, venisse ricompresa negli elementi fissi della retribuzione pienamente retributiva e computata ai fini del calcolo della paga base e di tutti gli istituti diretti e differiti per il periodo Marzo 17-Giugno 21 incluso il trattamento di fine rapporto con riserva di agire con separato giudizio per il ristoro delle somme maturate a tale titolo nel precitato periodo lavorativo. Nessuno si costituiva per la convenuta società per cui il giudice, verificata la regolarità della notifica del ricorso introduttivo, ne dichiarava la contumacia all'udienza del 1 giugno 2022. Con la prima domanda, formulata in via principale, si contesta la non rispondenza, della retribuzione prevista dal CCNL applicato, al parametro costituzionale della proporzionalità e sufficienza di cui all'art. 36 cost., con conseguente richiesta di applicazione dei parametri dettati da altro ccnl applicabile alla stessa categoria e in presenza dello svolgimento delle stesse mansioni del ricorrente. Dalle produzioni documentali (cfr lettera di incarico a socio per rapporto di lavoro in forma subordinata del 4 marzo 2016; buste paga) emerge che al socio lavoratore veniva applicato il CCNL per "dipendenti da Istituti e Imprese di VP. e (...)", per un orario di lavoro a tempo pieno, livello di inquadramento D, cui appartengono i lavoratori ".. adibiti ad operazioni di media complessità, anche con l'utilizzo di mezzi informatici per la cui esecuzione sono richieste normali conoscenze ed adeguate capacità tecnico-pratiche comunque acquisite; A titolo esemplificativo e non esaustivo: 1) Addetto all'attività per la custodia, la sorveglianza e la fruizione di siti ed immobili; 2) Addetto all'attività di gestione degli incassi e di riscossione delle contravvenzioni in genere e bollette; 3) Addetto all'attività di controllo degli accessi, regolazione del flusso di persone e merci; 4) Addetto all'assistenza, al controllo ed alle attività di safety in occasione di manifestazioni ed eventi; 5) Addetto ad attività ausiliarie alla viabilità e fruizione dei parcheggi. 6) Addetto all'attività di prevenzione e di primo intervento antincendio; 7) Addetto alle attività tecnico-organizzative per la custodia, la sorveglianza e la regolazione della fruizione dei siti ed immobili; 8) Addetto all'attività di reception, attività di gestione centralini telefonici, attività di front desk, gestione della corrispondenza, immissione dati; 9) Referente tecnico-operativo per i rapporti con il committente; 10) Ausiliario alle attività di contazione". Deduce il ricorrente di aver svolto attività di guardiania non armata, portierato e receptionist presso la (...) s.p.a., quindi riconducibile al profilo professionale come sopra descritto. Si precisa che il sudetto CCNL è stato stipulato da associazioni sindacali di sicura rappresentatività sul territorio nazionale, avendo visto l'intervento, dalla parte del lavoratore, di FILCAMS - CGIL e FILCAMS-CISL. A tale livello di inquadramento corrisponde una paga base oraria di Euro 5,37 lordi (come emerge dalla busta paga), pari ad Euro. 930,00 lordi mensili per 173 ore, corrispondente ad una retribuzione base netta mensile di Euro 630,63. Si tratta quindi di verificare se il giudice, pur in presenza di una specifica pattuizione contenuta nel contratto individuale, che rimanda ad una determinata contrattazione collettiva per la quantificazione del trattamento retributivo, possa sindacarne la adeguatezza. Si deve in proposito poter affermare che sia la giurisprudenza di merito che di legittimità riconoscono pacificamente al giudice del merito il potere di sindacare l'adeguatezza della retribuzione in rapporto ai parametri dell'art. 36 cost, secondo cui la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e tale da assicurare al lavoratore e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. In tal senso ad esempio dalla lettura della ordinanza della Corte, n. 38666 del 6/12/2021, si evince che la retribuzione prevista dal contratto collettivo è assistita da una presunzione relativa di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, superabile attraverso il parametro stabilito dall'art. 36 Cost., "esterno" rispetto al contratto (Cass. 16 maggio 2006, n. 11437; Cass. 28 ottobre 2008, n. 25889; Cass. 4 luglio 2018, n. 17421), la cui verifica in concreto è rimessa al giudice del merito. Analoghe affermazioni si rinvengono in Cass., s.n. 546/2021 in cui si legge che, una volta accertata da parte del giudice la violazione del parametro costituzionale, la clausola contrattuale di determinazione della retribuzione è nulla e, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell'art. 1419 c.c., comma 2, il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri dell'art. 36, con valutazione discrezionale, massima prudenza e adeguata motivazione "giacchè difficilmente è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all'assetto degli interessi concordato dalle parti sociali (cfr. Cass. 1.2.2006 n. 2245)". Tale criterio di "prudenza" indicato dalla Cassazione, impone di valutare con cautela le deduzioni del ricorrente, e quindi valutare in concreto la conformità al canone costituzionale, tenendo conto sia della sua condizione personale e familiare sia del trattamento astrattamente assicurato da altri ccnl che pure sono stati stipulati per la disciplina delle retribuzioni nello stesso settore, potendo essi essere ragionevolmente assunti come parametro di comparazione. Inoltre, l'art. 36 comprende due principi: quello della proporzionalità e quello della sufficienza della retribuzione; il primo legato alla funzione corrispettiva, e più propriamente al sinallagma contrattuale, e il secondo espressione della funzione sociale della retribuzione e, quindi, del valore sociale assegnato al lavoro dalla Carta costituzionale (cfr Tribunale di Milano, 1 luglio 2021). Si tratta di due facce ricomposte in una nozione unitaria di retribuzione che tiene insieme le due funzioni, rispondenti rispettivamente a una logica economicistica e a una logica sociale (cfr. Cass. n. 24449/16, in motivazione: "l'art. 36, 1 co, Cost. garantisce due diritti distinti, che, tuttavia, nella concreta determinazione della retribuzione, si integrano a vicenda": quello ad una retribuzione proporzionata garantisce ai lavoratori una ragionevole commisurazione della propria ricompensa alla quantità e alla qualità dell'attività prestata, mentre quello ad una retribuzione sufficiente da diritto ad una retribuzione non inferiore agli standards minimi necessari per vivere una vita a misura d'uomo, ovvero ad una ricompensa complessiva che non ricada sotto il livello minimo, ritenuto, in un determinato momento storico e nelle concrete condizioni di vita esistenti, necessario ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. In altre parole, l'uno stabilisce un criterio positivo di carattere generale, l'altro un limite negativo invalicabile in assoluto."). E infatti, nello stesso comparto vengono applicati altri due CCNL a personale addetto a svolgere le stesse mansioni, ovvero, il CCNL Multiservizi e il CCNL Terziario ugualmente sottoscritti dalle OS maggiormente rappresentative (in particolare, il CCNL Multiservizi vede la partecipazione per la parte dei lavoratori di CONFALS, e il CCNL Terziario è stato sottoscritto, per i lavoratori, da FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL, ULTRATRASPORTIUIL). Il CCNL Terziario prevede all'art. 96 che sia riconosciuto il VI livello a tutti i lavoratori che compiono lavori che richiedono il possesso di semplici conoscenze pratiche, ossia, tra gli altri, usciere, guardiano di deposito, custode, operaio comune, con una paga mensile conglobata di Euro. 1.323,94 oltre scatti futuri, oltre 13 e 14 (doc. 5, pag. 124). Il CCNL Multiservizi prevede al livello 2 proprio i lavoratori che svolgono funzioni di custodi o sorveglianza non armata (doc. 6, pag. 27) con una paga base mensile conglobata pari ad 1.183,00 nel 2016, oltre scatti futuri, oltre 13° e 14°. Procedendo alla valutazione delle previsioni del CCNL Servizi Fiduciari secondo il parametro della proporzionalità, si esegue il raffronto con il trattamento previsto dagli altri due CCNL applicabili alle stesse mansioni, relativamente alla sola "paga base" che, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce il "minimo costituzionale" (cfr Cass., s. n. 944/2021). Dal raffronto tra le paghe orarie, non emerge uno scostamento così significativo da indurre a valutare, quale non proporzionato all'attività svolta, il compenso previso dal CCNL Servizi Fiduciari; infatti, a fronte di una paga oraria di Euro 5,37 di quest'ultimo CCNL, il CCNL Multiservizi (del quale si chiede l'applicazione ai fini del calcolo delle differenze retributive) prevede una paga oraria di Euro 6,84 (Euro 1183:173 - divisore mensile indicato all'art. 19) e il CCNL Terziario prevede una paga oraria di Euro 7,8 (Euro 1323,94: 168, divisore orario indicato all'art. 190). La violazione del precetto costituzionale emerge invece quando si passa ad esaminare la retribuzione sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa; in proposito, va precisato che in tale valutazione non rientra più solo il c.d. minimo costituzionale, ma occorre avere riguardo all'intera retribuzione corrisposta (cioè all'intero trattamento economico di fatto percepito dal lavoratore). La Corte Costituzionale (sent. n. 470/2002, n. 227 del 1982) ha infatti affermato che "al fine di accertare la legittimità della retribuzione dei lavoratori dipendenti in relazione al disposto dell'art. 36 Cost., occorre fare riferimento non già alle singole componenti, ma al complesso della retribuzione". E il motivo è evidente, in quanto è al trattamento globale che il lavoratore fa ricorso per provvedere al mantenimento di se stesso e della famiglia, attingendo anche ai trattamenti integrativi della paga base previsti dai diversi contratti collettivi (quali in primo luogo scatti di anzianità, tredicesima, quattordicesima, maggiorazioni per lavoro supplementare e straordinario, premi di produzione, di rendimento ecc. ). Si ritiene adeguato, quale parametro oggettivo al quale rapportare il trattamento percepito dal ricorrente, il cosiddetto tasso soglia di povertà indicato dall'ISTAT. Sul sito dell'Istituto, si legge che "La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all'età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza". Dai CUD allegati al ricorso emerge che il ricorrente ha fiscalmente a carico 4 figli e ha indicato (nella dichiarazione sostitutiva reddituale ai fini dell'esenzione dal pagamento del C.U.) come facenti parte del nucleo familiare due figli, uno maggiorenne e uno minorenne. Inserendo nel "calcolatore" che si rinviene sul sito "Istat" un nucleo familiare composto da due persone di età compresa tra i 18 e i 59 (il ricorrente e il figlio (...)) e una di età compresa tra 11 e 17 anni (la figlia (...) nata il (...)), in una città del centro Italia con più di 50.000 abitanti qual è Terni, la soglia di povertà assoluta oscilla da Euro 1302 del 2017 a Euro 1335 del 2021 (il periodo oggetto di esame va dal marzo 2017 al novembre 2021). Scorrendo le buste paga prodotte si evince che la retribuzione netta percepita oscilla in maniera variabile mese per mese (si trovano buste paga di Euro 998, di Euro 880 ma anche di Euro 4010 - agosto 2018). Si è proceduto pertanto ad assumere come campione l'anno 2018 ( del quale sono state prodotte tutte le buste paga); dalla sommatoria di tutte le buste, ne deriva una retribuzione complessiva netta, compresa la tredicesima mensilità, di Euro 16.356 che divisa per dodici mensilità corrisponda ad Euro 1363 mentre per l'anno 2018 la soglia di povertà calcolata dall'ISTAT è pari a Euro 1314,25. La retribuzione percepita si attesta pertanto poco sopra quella soglia oltre la quale la persona è considerata in condizioni di povertà. Ciò tuttavia non consente di concludere per il positivo superamento del vaglio di costituzionalità; invero, non solo la soglia è superate di soli Euro 49, ma occorre valorizzare il fatto che il ricorrente è padre di altri due figli (nati nel 1997) e che in tutti i CUD prodotti sono indicati come fiscalmente a carico. Pertanto, all'esito della valutazione della concreta situazione personale del ricorrente, padre di 4 figli (si deduce altresì una condizione di separazione, ancorchè non documentata) deve concludersi che la retribuzione percepita non corrisponde al canone della adeguatezza quantomeno sotto il profilo della sufficienza ad assicurare una esistenza dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia. E' possibile applicare, per la determinazione della retribuzione conforme al canone costituzionale, il CCNL Multiservizi al quale lo stesso ricorrente fa richiamo per conteggiare gli importi oggetto della domanda di condanna della controparte. La differenza fra la paga base del livello D CCNL Sefi e il CCNL Multiservizi ammonta ad Euro 1,47 (Euro. 6,84-5,37). Tale differenza, moltiplicata per le ore retribuite come indicate nelle buste paga, evidenzia un credito totale complessivo lordo di Euro 11.485,86; i conteggi eseguiti dal ricorrente possono essere assunti a base della presente decisione in quanto conformi alle previsioni del CCNL suddetto e alle risultanze delle buste paga. La seconda domanda formulata dal ricorrente riguarda il mancato pagamento del contributo mensile per l'iscrizione al fondo (...), previsto dall'art. 32, titolo X, del CCNL applicato, per il quale il ricorrente deduce di aver maturato un credito di Euro 1860. Il CCNL "Servizi Fiduciari" prevede, all'art. 32, rubricato "Assistenza sanitaria integrativa" che: "Per il personale adibito ai servizi fiduciari è dovuto un contributo a carica dell'azienda pari a 12 Euro/mese, a partire dal 1 luglio 2013, per l'iscrizione al fondo F. Le parti si danno atto che il contributo a carico dell'azienda è parte integrante del trattamento economico contrattuale, conseguentemente l'azienda che ometta il versamento delle quote di cui al precedente comma sarà tenuta ad erogare un elemento distinto della retribuzione non assorbibile di importo pari ad Euro 30 lordi mensili, da corrispondere per 13 mensilità e che rientra nella retribuzione di fatto, di cui all'art. 23". A fronte del chiaro tenore della norma, nulla si evince dalle buste paga in merito all'avvenuto pagamento di tale somma, né la società ha provato alcunchè, rimanendo contumace. Ne deriva pertanto un credito lordo di Euro. 1860,00 ossia Euro. 30,00 x 62 mensilità calcolato da Marzo 17 a Novembre 21. Infine, parte ricorrente formula domanda volta ad accertare che l'emolumento riconosciuto all'art. 24 del CCNL Servizi Fiduciari venga considerato come elemento fisso della retribuzione e quindi computato ai fini del calcolo della paga base e di tutti gli istituti diretti e differiti per il periodo Marzo 17-Giugno 21 incluso il trattamento di fine rapporto. Il ricorrente fa rilevare che, come si evince dalla lettura della busta paga, questo emolumento è escluso dalla paga base conglobata e, nel cedolino, risulta collocato nella parte bassa, peraltro per un valore inferiore ad Euro. 20,00. Secondo l'art. 24 suddetto "Le parti, al fine di evitare gli effetti distorsivi derivanti dall'eccessivo prolungamento delle trattative di rinnovo, così verificatosi in occasione del presente rinnovo e garantire un'adeguata continuità nella dinamica dei trattamenti salariali, concordano che gli Istituti erogheranno a decorrere dal 01 marzo 2016 a tutti i dipendenti una copertura economica di Euro 20 mensili anche a titolo di acconto sui futuri aumenti contrattuali. Gli importi erogati a detto titolo saranno assorbiti dai futuri aumenti contrattuali". Si condivide in questa sede la lettura della norma che si rinviene nella sentenza del Tribunale di Milano del 15/4/2021; invero, il precedente articolo 23 nel definire la nozione di "retribuzione normale" stabilisce che per essa si intende la paga base tabellare conglobata di cui all'art. 24; pertanto, la lettura di tali due disposizioni evidenzia come la componente in questione - per quanto provvisoria - entri tuttavia a far parte dello stipendio ordinario e, così, della base di calcolo degli istituti spettanti alla lavoratrice (cfr. Corte d'Appello di Milano, sentenza n. 2067/2019). Deve quindi ritenersi che l'emolumento in questione abbia natura di retribuzione normale di lavoro, con conseguente diritto del ricorrente alle relative incidenze sui singoli istituti contrattuali e di legge, diretti e differiti. Restano invece assorbite le domande formulate in via subordinata, per la sola ipotesi del mancato accoglimento della domanda di accertamento della violazione dell'art. 36 cost. Infine deve dichiararsi inammissibile la domanda di trasmissione della sentenza agli Istituti Previdenziali; in questa sede non è stata infatti formulata nessuna domanda di regolarizzazione contributiva per cui resta rimesso, ad autonoma iniziativa dell'interessato, l'eventuale coinvolgimento degli enti assicurativi. Segue la pronuncia di cui in dispositivo. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate facendo applicazione dei valori minimi previsti per lo scaglione da Euro 5201 a Euro 26.000 del D.M. n. 147 del 2022 in ragione del carattere seriale del contenzioso, e con esclusione della fase istruttoria in quanto non espletata. P.Q.M. il Giudice del Lavoro del Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando sul ricorso promosso da (...) nei confronti di (...) - soc. coop., in accoglimento del ricorso così dispone: - condanna parte resistente al pagamento in favore di parte ricorrente della complessiva somma lorda di Euro 13345,86 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo; - accerta e dichiara che il ricorrente ha il diritto a che la voce AFAC - Euro 20,00 mensili di cui all'art. 24 CCNL Vigilanza Privata, venga ricompresa negli elementi fissi della retribuzione e computata ai fini del calcolo della paga base e di tutti gli istituti diretti e differiti per il periodo Marzo 17 - Giugno 21 incluso il trattamento di fine rapporto; - Condanna parte resistente al pagamento nei confronti di parte ricorrente delle spese di lite che si liquidano nel complessivo importo di Euro 2109,00 oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Terni il 3 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2750 R.G.A.C. dell'anno 2017 promossa DA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CE.CH. con domicilio eletto presso il suo studio in Terni, Via (...), PARTE ATTRICE CONTRO (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)) QUALI EREDI DI (...) con il patrocinio dell'avv. FI.LO., elettivamente domiciliati in VIA (...) 05100 TERNI presso il difensore avv. FI.LO. PARTE CONVENUTA (...) (C.F. (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Fa.Ve., C.F. (...), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Terni, Via (...) TERZO CHIAMATO OGGETTO: Vendita di cose immobili. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) citava in giudizio (...) e (...) rassegnando - per i motivi ivi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Terni adito, contrariis reiectis, accertata e dichiarata la responsabilità contrattuale delle Sig.re (...) e (...), ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dagli artt. 1490 e 1494 c.c., per tutte le ragioni ampiamente esposte in narrativa, condannarle in solido con il Per. Ind. (...) e/o dell'(...) spa in persona del legale rapp.te p.t., qualora il Giudicante dovesse ravvisare anche nei confronti di questi ultimi un profilo di responsabilità in ordine a quanto accaduto, nella misura e nelle modalità che verranno accertate nel corso del giudizio, al risarcimento nei confronti dell'attore di tutti i danni dal medesimo subiti a seguito del loro comportamento che si quantificano in Euro 7312, ovvero nella maggiore o minore somma ritenuta equa e di giustizia, per tutte le ragioni ampiamente esposte in narrativa. Con vittoria di spese e competenze professionali da distrarsi in favore del procuratore antistario" (cfr. prima memoria ex art. 183, comma 6 c.p.c.). Con comparsa di risposta si costituivano in giudizio (...) e (...) rassegnando - per i motivi ivi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito autorizzare la chiamata in causa del Geom. Ind. (...), in manleva delle convenute e pertanto fissare una nuova udienza di comparizione delle parti al fine di consentire la chiamata del terzo, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., nel rispetto dei termini e delle garanzie di legge. Nel merito voglia rigettare integralmente la domanda attorea perché infondata in diritto e condannare la controparte alla refusione delle spese di lite. Voglia, altresì, dichiarare che il chiamato in causa Sig. (...) è tenuto a manlevare le convenute da ogni pretesa attorea condannando lo stesso a rifondere alle stesse quanto saranno eventualmente tenute a pagare all'attore. Con riserva di formulare le istanze istruttorie per mezzo delle memorie difensive". Con ordinanza del 6/2/2018 veniva autorizzata la chiamata in causa di (...) che, a sua volta, chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa la (...) S.P.A. rassegnando peraltro le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ecc.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così provvedere: 1) In via pregiudiziale , autorizzare la chiamata in causa della (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in 34123 T. (T.), L. U. I. n. 1, in qualità di Impresa Assicuratrice per la responsabilità civile professionale verso terzi, in virtù del dedotto rapporto contrattuale di manleva assicurativa, previsto dalla polizza in atti, affinché, ove occorra, possa manlevarla da eventuali pretese responsabilità e, per l'effetto, Voglia fissare altra udienza ai sensi dell'art. 269 c.p.c. per consentire la chiamata in causa della stessa, nel rispetto dei termini di cui all'art. 163 bis c.p.c.; 2) Nel merito , rigettare la domanda attorea, poiché infondata in fatto e in diritto, per tutte le ragioni ampiamente esposte nella comparsa di costituzione e risposta , nonchè rigettare la domanda di chiamata in causa proposta dalle sigg.re (...) e (...) nei confronti del Per. Ind. (...), non sussitendo qualsivoglia responsabilità nei confronti dello stesso per tutte le ragioni argomentate in atto; In via subordinata 3) nella denegata e non creduta ipotesi che la domanda dell'attore e quella avanzata dalle parti convenute vengano accolte, in tutto o in parte, dichiarare il terzo, (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in legale in 34123 T., L. U. I. n. 1, tenuta a garantire e a tenere indenne il Per. Ind. (...) da qualsiasi eventuale risarcimento, pregiudizio, onere o spesa derivante dalla presente lite con condanna della (...) s.p.a. al pagamento di quelle somme eventualmente accertate e/o liquidate in corso di causa in favore dell'istante. 4) Voglia, altresì, condannare la compagnia assicuratrice, (...) s.p.a. al pagamento delle spese e dei compensi di lite in favore del convenuto chiamato, Per. Ind. (...), da distarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario". Con ordinanza del 10/7/2018 veniva autorizzata la chiamata in causa della (...) S.P.A. che rimaneva contumace. Con ordinanza del 19/10/2020 il giudizio veniva interrotto per l'intervenuto decesso della parte convenuta, (...); riassunto il giudizio dalla parte attrice, con comparsa depositata in data 9/6/2021 si costituivano (...) e (...), quali eredi della (...), reiterando le conclusioni della convenuta già in atti. Il giudizio veniva quindi istruito mediante prova orale (interrogatorio formale e prova per testi); con ordinanza del 15/9/2022, il Giudice formulava la seguente proposta conciliativa: "pagamento da parte dei convenuti, in solido fra loro, in favore della parte attrice della somma onnicomprensiva pari ad Euro 2.000,00, oltre Euro 400,00 a titolo di contributo spese legali". All'udienza del 18/10/2022 solo la parte attrice dichiarava di accettare la proposta conciliativa del Giudice per cui, ritenuta la causa matura per la decisione, all'udienza del 15/11/2022, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. 2. Con la presente azione la parte attrice ha chiesto di accertare la responsabilità contrattuale delle convenute ai sensi degli artt. 1490 e 1494 c.c. per avergli venduto - con contratto di compravendita a rogito Notaio (...) sottoscritto in data 24/6/2016 (doc. 1) - un immobile - sito in T., Strada di P. n. 33 (censito al catasto fabbricati del Comune di Terni al foglio (...) part. (...) z.c. 2 cat. (...), classe (...) vani 8,5 rendita 658,48 e al foglio (...) part. (...) z.c. 2 C/6, classe (...) mt 17) - viziato perché dotato di un impianto idrico in pessimo stato di manutenzione. Infatti, secondo la parte attrice, quando nei primi giorni di settembre 2016 l'utenza idrica veniva collegata alla linea centrale di adduzione del Servizio idrico integrato si verificava una copiosa perdita di acqua in uno dei primi punti di accesso alla casa; tale perdita, secondo quanto accertato dal tecnico all'uopo incaricato (rel. Arch. (...) del 23 settembre 2016, cfr. doc. 4), era riconducibile al cattivo stato di manutenzione dell'impianto idrico e dalla rottura di parte delle tubazioni. La perdita, puntualmente comunicata alle venditrici/convenute (cfr. comunicazione del 23 settembre 2016, doc. 5), rendeva necessaria la sostituzione ed il ripristino del sistema idrico - stante anche l'inerzia delle convenute - e la riparazione dei danni dovuti dalle infiltrazioni d'acqua causati dalla rottura parziale delle tubature. Peraltro, alcuni mesi prima della stipula del contratto di compravendita, le venditrici avevano prodotto un'attestazione di idoneità dell'impianto idrico/idraulico redatta da un tecnico specializzato (cfr. attestazione Per. Inf. (...), doc. 3). Per tali motivi, con la presente azione, la parte attrice ha chiesto la condanna delle convenute al risarcimento dei danni quantificati nella somma di Euro 7.312,00 corrispondente alla somma dell'importo dei lavori commissionati per il ripristino dell'impianto idrico e dell'importo richiesto dal tecnico incaricato, Arch. (...), per redigere la propria relazione di accertamento delle cause delle infiltrazioni e dei relativi danni. Di contro, le convenute hanno respinto ogni richiesta rilevando l'assenza di colpa come emergerebbe dal fatto che: - "... le convenute hanno messo a disposizione dell'attore l'immobile, prima dell'acquisto, proprio affinché questi potesse verificarne le condizioni essendo da tempo disabitato; - le convenute hanno incaricato un tecnico affinché accertasse l'idoneità dell'impianto idraulico (attività che certamente non avrebbero potuto compiere da sole); - Il danno non si presentava identificabile prima che venisse allacciata la linea di carico dell'acqua potabile, pertanto le venditrici non potevano essere a conoscenza dei vizi; - L'immobile non era abitato da diversi anni e le utenze staccate da allora - circostanza di cui l'attore era informato;?" (cfr. comparsa in atti). Peraltro, sempre secondo le convenute, si vi è stata negligenza la stessa deve essere attribuita allo stesso compratore/parte attrice (che aveva la disponibilità dell'immobile prima dell'acquisto) ovvero al tecnico che aveva verificato l'idoneità dell'impianto; in ogni caso, il danno di cui si chiede il risarcimento non sarebbe più verificabile perché il (...) effettuava con immediatezza i lavori di ripristino senza dare la possibilità alle convenute di valutare l'entità dei danni e le cause che li avevano determinati, nonostante la disponibilità da loro manifestata. Anche il tecnico incaricato dalle venditrici/convenute (indicato loro dall'agenzia immobiliare che aveva assistito le parti nella compravendita) - Per. ind. (...) - ha respinto ogni addebito rilevando che l'incarico conferitogli aveva ad oggetto solo la dichiarazione di rispondenza degli impianti elettrico, termico e idrico-sanitario alle norme di legge (e non il funzionamento degli stessi) al fine di ottenere l'agibilità dell'immobile prima della stipula dell'atto di compravendita. Tale incarico non prevedeva la verifica da parte del tecnico della efficienza degli impianti e ciò anche perché tale verifica - attraverso la prova della pressione dell'acqua nelle tubazioni -sarebbe stata impossibile atteso che l'utenza dell'acqua era "staccata" da diversi anni. Pertanto, secondo il (...), il presunto danno subito dal (...) sarebbe imputabile alle venditrici - per difetto di manutenzione dell'impianto - ed allo stesso compratore il quale avrebbe potuto prevedere che l'immobile - costruito oltre 20 anni prima e disabitato da circa 5 anni (con possibile ossidazione delle tubature dell'acqua) - avrebbe potuto avere gli impianti deteriorati; il danno, infatti, come riconosciuto dallo stesso tecnico della parte attrice, non poteva essere identificato prima dell'allaccio della linea di carico dell'acqua. Peraltro, sempre secondo il (...), lo stesso andava ben oltre gli accertamenti demandatigli "...e, solo per suo eccesso di zelo, controllava, seppure non dovuta, anche la tenuta degli impianti, nei limiti delle possibilità consentite, vista l'inesistenza di acqua negli impianti da tanto tempo, per causa imputabile alle venditrici, e provava l'efficienza dello scarico del bagno, attraverso il versamento nello stesso di più catini d'acqua, prendendo atto che l'acqua confluiva regolarmente nelle tubazioni", nonché "... verificava ... la sola tenuta dell'impianto idrico-sanitario ... con aria compressa a 0,3 BAR (1 decimo della pressione di esercizio) ... Dopo mezz'ora, l'istante verificava che l'aria compressa immessa nel circuito era rimasta stabile a 0,3 BAR, non subendo oscillazioni di alcun genere, facendo, così, ritenere che l'impianto idrico non perdeva ...". In merito agli accertamenti dovuti, il (...) ribadiva che lo stesso era tenuto solo a rilasciare una dichiarazione di rispondenza (c.d. DIRI) - che richiede solo l'accertamento della rispondenza dell'impianto ai requisiti minimi richiesti dalla normativa di settore (esistenza della tubazione di adduzione dell'acqua, di scarico e di ventilazione nei wc) per ottenere l'agibilità - e non la Dichiarazione di conformità degli impianti (c.d. DiCo) - che richiede invece l'accertamento della funzionalità dell'impianto, prescritta dal D.M. n. 37 del 2008 solo per gli immobili costruiti dopo il 2008 (e non per quello oggetto di causa, costruito invece nell'anno 1988, cfr. concessione edilizia rilasciata dal Comune di Terni). Ciò posto, ritiene lo scrivente che la domanda di parte attrice sia infondata per i motivi di seguito indicati. Risulta agli atti che la parte attrice, con la raccomandata del 28/9/2016, ha denunciato il degrado dell'impianto idraulico necessitante della sostituzione integrale delle tubature atteso che, attivata l'utenza idrica, si verificava una copiosa perdita d'acqua e che, dalle verifiche effettuate, risultava il pessimo stato di manutenzione delle tubature; pertanto, invitava le convenute ad accedere presso l'immobile al fine di risolvere la questione, rilevando che le opere necessarie per ottenere un impianto funzionale erano stimate nella somma di Euro 5.700,00. Quanto sopra è stato poi sostanzialmente non contestato da tutte le parti del giudizio. Al riguardo, occorre fare riferimento a quanto condivisibilmente affermato dalla Suprema Corte secondo cui "... in caso di vendita di un bene ... di costruzione molto risalente nel tempo, i difetti materiali conseguenti al concreto ed accertato stato di vetustà ovvero alla risalenza nel tempo delle tecniche costruttive utilizzate, non integrano un vizio rilevante ai fini previsti dall'art. 1490 c.c. ... La garanzia in esame, infatti, è esclusa tutte le volte in cui, a norma dell'art. 1491 c.c., il vizio era facilmente riconoscibile, salvo che, in quest'ultimo caso, il venditore non abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi ... ... l'esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell'art. 1491 c.c. (che costituisce, come accennato, applicazione del principio di autoresponsabilità, e consegue all'inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione), non consenta di predicare inastratto il grado della diligenza esigibile, dovendo essere apprezzato in relazione al caso concreto, avuto riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell'acquirente, essendo la garanzia in esame esclusa tutte le volte in cui, a norma dell'art. 1491 c.c. il vizio era facilmente riconoscibile salvo che il venditore abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi ..." (cfr. Cass. n. 17058/2021). Nella specie non si lamentano imperfezioni e difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa tali da integrare la fattispecie di cui all'art. 1490 c.c. Infatti, la parte attrice non tiene conto del fatto che l'immobile compravenduto era stato realizzato circa 25 anni prima dell'acquisito, che l'impianto idrico era risalente al momento della costruzione, che l'abitazione risultava disabitata da circa cinque anni e che la verifica di tenuta dell'impianto era stata effettuata prima che venisse allacciata l'utenza idrica e, quindi, senza la pressione dell'acqua. Invero, lo stesso tecnico del (...) ha affermato che il danno "non si presentava identificabile prima che venisse allacciata la linea di carico dell'acqua ..." e che, peraltro, la rottura più evidente aveva interessato il punto di adduzione dell'acqua esterno all'immobile il cui tubo mancava di "... qualsiasi isolamento ..." e, quindi, secondo lo scrivente, il vizio era, anche per questo motivo, percepibile dall'acquirente (cfr. rel tecnico di parte attrice). A ciò si aggiunga che, come affermato dallo stesso tecnico di parte attrice, quest'ultima avrebbe allacciato l'utenza idrica già nel mese di luglio del 2016 e solo nel settembre dello stesso anno si verificavano le infiltrazioni oggi denunciate per cui non si ritiene raggiunta la prova che, al momento della vendita dell'immobile, lo stesso non presentasse i requisiti per ottenere l'agibilità. Peraltro, dalla lettura della fattura allegata all'atto introduttivo, si evince che i lavori di sostituzione delle tubature hanno interessato unicamente un bagno dell'immobile (presumibilmente quello posto al piano terra) per cui le tubature sostituite - perché "corrose" ed interessate dalla "microperdita" indicata dal tecnico di parte - hanno interessato solo una parte dell'impianto idrico a servizio dell'immobile (composto da un bagno posto al piano interrato, da una cucina posta al piano terra e da un altro bagno posto al piano superiore non interessati dai lavori di sostituzione). Pertanto, dalle prove orali assunte e dalle considerazioni sopra svolte, si ritiene che non sia emerso che il danno sia imputabile a colpa dell'alienante che ha provato di aver, senza colpa, ignorato i suddetti vizi avendo presentato la domanda di agibilità dell'immobile allegando una "verifica di rispondenza" redatta da un tecnico abilitato (odierno terzo chiamato). Anche quest'ultimo deve essere ritenuto esente da responsabilità atteso che la verifica effettuata sull'impianto idrico - dichiarazione di rispondenza (c.d. DIRI) - è stata effettuata senza la pressione dell'acqua e poteva quindi limitarsi solo ad accertare la rispondenza dell'impianto ai requisiti minimi richiesti dalla normativa di settore vigente al momento della sua installazione (primi anni novanta) e non la Dichiarazione di conformità degli impianti (c.d. DiCo) che richiede invece l'accertamento della funzionalità dell'impianto, prescritta dal D.M. n. 37 del 2008 solo per gli immobili costruiti dopo il 2008 (e non per quello oggetto di causa, costruito invece nell'anno 1988, cfr. concessione edilizia rilasciata dal Comune di Terni). Pertanto, deve ribadirsi che, in caso di vendita di un bene di risalente costruzione, i difetti materiali conseguenti al concreto ed accertato stato di vetustà ovvero al tempo di realizzazione delle tecniche costruttive utilizzate, non integrano un vizio rilevante ai fini previsti dall'art. 1490 c.c., essendo la garanzia in esame esclusa tutte le volte in cui, a norma dell'art. 1491 c.c., il vizio era facilmente riconoscibile, salvo che, in quest'ultimo caso, il venditore abbia dichiarato che la cosa era immune da vizi (Cass. n. 3348/2018; Cass. n. 24343/2017). Tale dichiarazione non è stata resa da parte venditrice come risulta dal rogito in atti dal quale risulta che la stessa ha consegnato al compratore solo l'attestazione "... della prestazione energetica degli immobili compravenduti ..." - ovverosia l'attestazione in ordine alle caratteristiche di consumo energetico degli edifici nel loro complesso (cfr. art. 1 del contratto, doc. 1, fasc. attrice) - e che, in data 4/4/2016, aveva presentato la domanda per ottenere il certificato di agibilità (perfezionato, evidentemente, per silenzio assenso non risultando allegato alcun provvedimento espresso). In ogni caso, il bene, vetusto, era in condizioni materiali tali che l'acquirente avrebbe dovuto attentamente esaminarlo, onde riscontrare, se non i vizi in seguito manifestatisi, quanto meno le cause della loro possibile verificazione le quali, pertanto, sebbene in fatto ignorate, erano conoscibili con un minimo sforzo di diligenza (Cass. n. 24343/2017 citata). Pertanto, nonostante la pronuncia di legittimità sopra indicata (Cass. n. 17058/2021) si riferisca ad un immobile costruito negli anni sessanta, si ritiene che i principi ivi affermati possano essere applicati anche al caso di specie valorizzando il fatto che la cattiva condizione delle tubature interessate dalla perdita d'acqua - almeno quello esterna all'immobile - era pacificamente visibile, che la verifica di tenuta effettuata dal Per. (...) era stata effettuata senza la pressione dell'acqua e che la parte acquirente era consapevole che l'immobile era disabitato da circa cinque anni. Deve quindi concludersi nel senso sopra indicato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese fra le parti, inclusa la parte terza chiamata, in considerazione dell'estensione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità sopra indicata al caso di specie. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: 1. rigetta la domanda proposta da (...); 2. compensa le spese fra le parti. Così deciso in Terni il 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di TERNI SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Nicla Michiorri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1156/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FO.MA. e dell'avv. FA.MA. ((...)) Indirizzo Telematico; , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. FO.MA. ATTORE contro COMUNE DI TERNI (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SI.FR. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in PIAZZA RIDOLFI, 1 TERNI presso il difensore avv. SI.FR. CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione depositato il 18/5/2021 , (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) e dall'avv. (...) , chiamava in causa il Comune di Terni chiedendo al tribunale " Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, nel merito e in via principale: accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità del Comune di Terni, in persona del Sindaco pro tempore, per le lesioni subite dalla signora (...) in seguito al sinistro di cui in narrativa, ai sensi dell'art. 2051 c.c. o, in via subordinata, ai sensi dell'art. 2043 c.c.; - per l'effetto , condannare il Comune di Terni, Piazza (...), a risarcire in favore della signora (...) in danni alla persona subiti a causa del sinistro per un importo pari ad Euro 22584,00 o quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria alla data del sinistro al saldo.- Con vittoria di spese e competenze di lite del presente giudizio da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari". In data 21/9/2021 i costituiva il Comune di Terni , rappresentato e difeso dall'avv. (...) il quale contestando le richieste avversarie chiedeva al tribunale "Il Comune di Terni, come in epigrafe rappresentato, insiste per la reiezione, sia in rito che nel merito, della domanda, per tutti i motivi in narrativa e comunque, perché inammissibile, quanto infondata ed indimostrata". All'udienza del 22/9/2021 il giudice concedeva i termini ex 183 VI comma c.p.c. e rinviava all'udienza del 19/01/2022 quando ammettendo le prove orali rinviava al 9/3/2022 . Il giudice procedeva all'escussione testimoniale nelle udienza del 9/3/2022 , del 13/4/2022, dell'11/5/2022 quando si riservava e , a scioglimento della riserva, nominava CTU il dott. Luigi Carlini e successivamente, per incompatibilità il dott . Fabio Suadoni che giurava all'udienza del 23/6/2022. All'udienza del 26/10/2022 si rinviava all'udienza del 14/12/2022 per la precisazione delle conclusioni In tale ultima udienza il giudice tratteneva la causa in decisione concedendo i termini ex 190 c.p.c.. MOTIVI Parte attrice nell'atto introduttivo afferma che in data 27/9/2017 alle ore 10,35 passeggiava lungo il marciapiede di via G. D. V. all'altezza del numero civico 13 cadeva a terra a causa del disfacimento dell'asfalto da cui usciva un pezzo di rete elettrosaldata di centimetri 20 per 5; riportava lesioni fisiche refertate al pronto soccorso dell'(...) come " trauma cranio- facciale. Frattura parcellare della testa del condilo mandibolare destro. Frattura composta arco medio VII costa di destra. Frattura composta arco anteriore della VI costa di sinistra come risulta dalla certificazione medica allegata con prognosi di 30 giorni clinici" e periziate dal Dott. Lu.Ca., chiedeva il risarcimento ai sensi dell'art. 2051 c.c. o, in via subordinata ex art. 2043 c.c.. Si costituiva il Comune di Terni il quale affermava che la disconnessione " era facilmente evitabile con l'uso dell' ordinaria prudenza e diligenza, essendo peraltro verificatosi il sinistro in orario diurno ed in perfette condizioni climatiche" e che "sconnessione si trovava al centro del marciapiede e rimaneva spazio sufficiente per aggirare l'ostacolo in modo agevole risultando liberi mt. 4.40 lato parete e mt. 3.10 lato carreggiata (come rilevato dagli agenti di PM intervenuti sul luogo del sinistro)" Sig.ra (...) risulta risiedere nelle immediate vicinanze del luogo del sinistro (Strada delle Grazie n.1/A) per cui si presume che la stessa conoscesse bene lo stato dei luoghi". Invocava il caso fortuito nella causazione dell'evento escludendo la responsabilità dell'ente Comune di Terni. Nel corso dell'istruttoria venivano escussi dei testimoni. All'udienza del 89/3/2022 (...) affermava di essersi trovata sui luoghi al momento del fatto, di non conoscere l'attrice e confermava l'avvenuta caduta , in particolare precisava riguardo al punto di caduta ""posso dire che le reti elettrosaldate non si vedevano perché avevano lo stesso colore del manto stradale cioè erano scure me ne sono accorta dopo quando ho aiutato la signora a rialzarsi". Affermava su capitolo 7 "è vera la circostanza posso precisare che le sanguinava il viso sullo zigomo destro , altri presenti hanno chiamato il pronto soccorso che è arrivato e ha preso la signora". Alla stessa udienza era escusso C.S. dipendente del Comune coordinatore tecnico dell'ufficio strade il quale affermava che sulla Via G. D. V. in T., all'altezza del civico n. 13, sul marciapiedi la cui larghezza è di circa metri 7,50, non vi erano stati recenti interventi di rinnovo dell'asfalto e confermava la corrispondenza intercorsa tra l'avv. Silvi e il testimone dello stesso tenore. Alla successiva udienza del 13/4/2022 veniva escussa (...) la quale affermava di trovarsi sul luogo al momento dei fatti affermava " io mi trovavo sul luogo in quanto ho l'ufficio di gestioni condominiali nel civico 11 stavo uscendo dal portone con A. che è il mio datore di lavoro " e affermava di aver visto cadere a terra l'attrice mentre passeggiava lungo il marciapiede di Via G. D. V. in T., all'altezza del numero civico 13; rispondeva positivamente sulla presenza di un disfacimento del manto stradale da cui fuoriuscivano pezzi di rete elettrosaldata precisando " preciso che c'era del breccino di asfalto sfaldato che un po' copriva i ferri" e precisava ulteriormente " "posso dire che c'era del breccino come ho già detto, al momento attualmente è stata fatta una toppa di asfalto sul punto e su altri dello stesso marciapiede". Alla stessa udienza era escusso A.R. il quale, rispondendo al capitolo 1 affermava " è vera la circostanza io ero presente in quanto ho l'ufficio al numero 11 della via"; rispondeva positivamente al capitoli della memoria n 2 ex 183 Vi comma cpc di parte attrice e precisava che sul punto di caduta " c'era il residuo dell'asfalto rovinato". Riguardo al capitolo 7 precisava "è vero presentava ferite, è stata portata acqua e ghiaccio dal bar accanto , poi la signora ci ha dato un numero di telefono di un parente che uno dei presenti ha chiamato e sono andato via quando è arrivato il parente perciò non so dire circa l'accompagnamento in ospedale". All'udienza dell'11/5/2022 era escusso il testimone di parte attrice (...), agente della polizia locale che aveva sottoscritto il verbale, il quale affermava di essere intervenuto insieme al collega (...), confermava il verbale e riguardo alla mancanza di avvisi precisava "se non abbiamo scritto di sbarramenti o cartelli vuol dire che non c'erano e abbiamo attivato l'ufficio strade ; normalmente quando facciamo segnalazioni aspettiamo che venga il dipendete che si occupa di tali segnalazioni (sempre dipendente del Comune) su disposizione di servizio". Dall'istruttoria pertanto è emerso che l'attrice nel giorno e nell'ora indicata in citazione cadeva in un punto del marciapiede di Via di V. all'altezza del n 13. Nel verbale della polizia locale , allegato 1, dell'atto di citazione si legge "La signora presentava varie ferite provocate a suo dire da una caduta causata da un pezzo di rete elettrosaldata fuoriuscita dal marciapiede asfaltato. La signora P.I. veniva accompagnata al nostro arrivo in ospedale dal nipote ( sig Foddai Massimiliano). La parte del marciapiede segnalata dall'infortunata presentava il disfacimento dell'asfalto da cui fuoriusciva un pezzo di rete elettrosaldata di cm 20 per 15 circa come da foto allegata. La parte indicata dalla signora era a m. 4,40 dalla parete e a m 3,10 dal bordo del marciapiede lato carreggiata". Dalla descrizione fatta dalla polizia locale e dai testimoni e soprattutto dalla fotografia allegata appare che la buca si trovasse circa al centro del marciapiede (marciapiede di rilevanti dimensioni: almeno m. 4,40 più 3,10), che al suo interno fossero presenti fili di ferro posti a forma di croce trattandosi di una rete elettrosaldata. Non ha rilievo la contestazione sul fatto se fossero stati fatti interventi recenti o meno da parte del Comune visto che la foto è stata fatta a pochi minuti dal fatto oggetto di causa restando irrilevante l'eventuale successivo intervento dell'Ente Comune che ha la manutenzione delle strade. La responsabilità dell'Ente Comune nei riguardi dei danni causati da pericoli stradali si configura come responsabilità ex 2051 c.c., Questo articolo, creando una responsabilità di tipo oggettivo, ribalta l'onere della prova previsto dall'art. 2043 c.c.. Infatti il custode, al fine di respingere le proprie responsabilità deve provare il "caso fortuito". La Suprema Corte di Cassazione, nell'interpretazione dell'art. 2051 si è espressa con copiosa giurisprudenza. La Sez. 6 - 3 nell'ordinanza Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018 afferma "Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva (ma anche Sez. 3 - , Ordinanza n. 2481 del 01/02/2018; Sez. 3) Sempre la Suprema Corte di Cassazione con Ordinanza n. 37059 del 19/12/2022 ha precisato che "In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1 o 2, c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento". Rilevante anche il pronunciamento della Sez. 3 nell' Ordinanza n. 2345 del 29/01/2019 "In tema di danno cagionato da cose in custodia, il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno estraneo alla cosa deve essere parametrato sulla natura della cosa stessa e sulla sua pericolosità; sicché, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è tale da essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte del danneggiato, tanto più influente deve considerarsi l'efficienza causale dell'imprudente condotta della vittima, fino ad interromperne il nesso tra la cosa ed il danno ed escludere, dunque, la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c.". Riguardo alla presenza dell'insidia, il Comune non ha provato che si trattasse di "una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa" che avrebbe potuto avere in sé i caratteri del caso fortuito (Cassazione Sez. 3 - , Ordinanza n. 11096 del 10/06/2020) La buca sul selciato in corrispondenza della quale è avvenuta la caduta , come si vede nella foto fatta dalla polizia locale nell'allegato 1 del fascicolo di parte attrice, ha al suo interno dei fili di ferro di rete metallica elettrosaldata. La buca si trova circa al centro del marciapiede calpestabile quindi appare visibile ma presenta , oltre alla pericolosità in sé (che potrebbe essere superata ponendo la dovuta attenzione a porci sopra il piede) una insidia ulteriore che solo con una verifica attenta poteva essere evidenziata. Si ravvisa pertanto da un lato la mancanza di normale cautela nell'evitare la disconnessione visibile ed evitabile viste le rilevanti dimensioni del marciapiede , che connota un comportamento imprudente nella vittima, dall'altro la presenza di una efficienza causale con specificità tali da non poter porre la caduta a completa responsabilità a carico dell'attrice residuando una insidia ulteriore. La responsabilità dell'evento va posta pertanto a carico delle parti al 50%. Il CTU dott. Fa.Su., nella perizia depositata il 28/9/2022 ha riscontrato un periodo di inabilità temporanea biologica totale al 100% di 15 giorni ed un periodo di inabilità temporanea biologica parziale al 50% di 15 giorni e un danno biologico permanente nella misura dell'8% del totale Tutte le spese mediche documentate in atti che ammontano ad un totale di Euro 1.051,00 sono state ritenute adeguate e congrue. Considerata l'età dell'attrice al momento dei fatti il danno biologico per invalidità permanente ammonta ad euro : Euro 9.145,19 quello per Inabilità temporanea biologica di tipo assoluto ad euro Euro 761,85, quello per Inabilità temporanea biologica parziale ad euro Euro 380,93 che con le spese mediche ammonta ad un totale di Euro 11.338,97. P.Q.M. Il giudice, definitivamente decidendo nella causa n. 1156/2021, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa o respinta, condanna il Comune di Terni al pagamento in favore di (...) di Euro 5669,48, al pagamento delle spese di CTU al 50%, come liquidate con separata ordinanza, e al pagamento delle spese di lite al 50% in favore degli avvocati dichiaratisi antistatari avv. (...) e dall'avv. (...) che si quantificano in Euro 919,00 per fase studio, Euro 777,00 per fase introduttiva, Euro 1680,00 per fase istruttorie ed Euro 1701,00 per fase decisoria, 15% forfetario per spese generali oltre IVA e CPA come per legge. Così deciso in Terni il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Claudia Tordo Caprioli, ha emesso ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1902 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020, trattenuta in decisione all'udienza del 14.12.2022 e vertente TRA (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Firenze, Via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione in opposizione; opponente E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Terni, Via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta; opposta OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo CONCLUSIONI: come da note di trattazione scritta rassegnate per l'udienza del 14.12.2022, celebrata in modalità cartolare ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. h), d.l. 18/2020 ss., qui da intendersi integralmente richiamate e trascritte. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato in data 19.6.2020 la (...) S.R.L. ricorreva dinanzi all'intestato Tribunale affinché venisse ingiunto nei confronti della (...) S.R.L. il pagamento della somma di Euro 26.700,00, quale saldo residuo delle fatture n. 86 del 30.6.2019 per Euro 195.089,37 e n. 125 del 10.10.2019 per Euro 17.593,62. A sostegno delle proprie ragioni, la ricorrente deduceva di vantare un credito maturato quale corrispettivo dei lavori svolti in favore della (...) S.R.L. tra il 10.6.2019 ed il 10.10.2019 e la cui corretta esecuzione non era mai stata contestata dalla committente, tanto che, al contrario, quest'ultima aveva provveduto al pagamento parziale delle fatture, per l'importo di Euro 185.982,99. Secondo la ricostruzione della ricorrente, il credito azionato era comprovato dall'e-mail del 15.1.2020 con cui la (...) S.R.L. aveva riconosciuto un debito residuo di Euro 35.593,62 e contestualmente proposto un piano di rientro rateizzato. Ulteriore elemento di prova a sostegno della pretesa era il fatto che, alla scadenza pattuita, la committente aveva eseguito un bonifico di Euro 8.893,62, così che residuava solo il credito azionato, pari ad Euro 26.700,00. In data 19.7.2020 il Tribunale di Terni emetteva il decreto ingiuntivo n. 383/2020, che veniva notificato all'ingiunta il successivo 31.7.2020. Con atto di opposizione tempestivamente notificato il 9.10.2020, la (...) S.R.L. chiedeva all'intestato Tribunale: (a) in via principale, di accertare l'inadempimento contrattuale della (...) S.R.L., per aver realizzato le opere non a regola d'arte e di condannarla ad eliminare, a proprie spese, i vizi ovvero, in alternativa, previo accertamento dei costi occorrenti per l'eliminazione dei vizi, dichiarare che l'opponente nulla doveva all'opposta e, per l'effetto, revocare il decreto ingiuntivo opposto; (b) sempre nel merito, in accoglimento dell'eccezione ex art. 1460 c.c., revocare in tutto o in parte il decreto ingiuntivo opposto; (c) in via subordinata, dichiarare l'incolpevole inadempimento dell'opponente ex art. 91 del D.L. n. 18/2020; (d) in ogni caso, condannare l'opposta al pagamento delle spese di giudizio. A sostegno delle rassegnate conclusioni, la (...) S.R.L. deduceva la non debenza del credito opposto in ragione: i) dell'operatività della garanzia per vizi dell'opera disciplinata all'art. 1667 c.c.; ii) dell'eccezione di inesatto adempimento della prestazione erogata dall'opposta ai sensi dell'art. 1460 c.c.; iii) del disconoscimento dell'e-mail contenente il riconoscimento di debito; iv) dell'assenza di qualsiasi responsabilità nell'inadempimento, dovuto a causa di forza maggiore ai sensi dell'art. 91 del D.L. n. 18/2020. Con comparsa depositata il 9.3.2021 si costituiva in giudizio la (...) S.R.L., chiedendo al Tribunale di rigettare l'opposizione avversaria per infondatezza, con conferma del decreto ingiuntivo opposto e vittoria delle spese di lite. A sostegno delle proprie ragioni l'opposta evidenziava che le fatture portanti il credito azionato non erano mai state contestate, tanto che l'opponente aveva pagato buona parte del compenso pattuito. Quanto ai vizi, segnalava di non aver mai ricevuto alcuna contestazione dall'opponente, se non una segnalazione relativa a delle imperfezioni che erano state prontamente ripristinate in fase esecutiva e prima di avviare il procedimento monitorio. Per tale motivo denunciava la pretestuosità dell'eccezione d'inadempimento e la carenza di buona fede dell'ingiunta, affermando di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione. Contestava la ritualità del disconoscimento operato dall'opponente, oltre che l'assenza di valido fondamento, anche in ragion del fatto che pagando la prima rata, la debitrice aveva confermato il contenuto della missiva disconosciuta. Deduceva che, in ogni caso, all'esito del collaudo, la (...) S.R.L. aveva già trattenuto una somma pari a circa Euro 9.000,00 a titolo di garanzia per i difetti originariamente riscontrati e che tale importo non era stato conteggiato nel credito azionato. Con ordinanza del 31.3.2021 veniva concessa la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto. La causa veniva istruita documentalmente e a mezzo prova testimoniale. All'udienza del 14.12.2022, svoltasi in modalità cartolare ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. h), d.l. 18/2020 ss., il giudice tratteneva la causa in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti con le rispettive note di trattazione scritta, assegnando i termini di cui all'art. 190, co. 1, c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e delle memorie di replica, decorrenti dalla comunicazione del verbale d'udienza datata 15.12.2022. 2. L'opposizione non merita accoglimento per i motivi di seguito illustrati. 2.1. Prima di esaminare il merito, è opportuno chiarire quale sia il compendio probatorio utilizzabile ai fini della decisione. L'opponente ha disconosciuto il documento 5 allegato al fascicolo monitorio - riprodotto nell'allegato B5 alla comparsa - e, precisamente, ne ha disconosciuto '"formalmente l'autenticità, nonché la conformità del documento (...) all'originale informatico ed al suo contenuto" (cfr. pag. 6 citazione). Sul tema, merita condivisione l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca a conformità ai fatti o alle cose medesime" (così in Cass. n. 11606/2018; conf. Cass. n. 19155/2019). Ebbene, "l'onere di disconoscere la conformità tra l'originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l'uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell'efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensivi' (cfr. Cass. n. 28096/2009, conf. Cass. n. 14416/2013). In particolare, la contestazione "va operata - a pena di inefficacia - in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale" (così in Cass. n. 7175/2014; conf. Cass. n. 7105/2016). Peraltro, anche ove il documento venga ritualmente disconosciuto ai sensi dell'art. 2712 c.c., diversamente dal disconoscimento di cui all'art. 215, c. 2, c.p.c. - che preclude l'utilizzazione della scrittura se non viene avanzata una istanza di verificazione avente poi esito positivo - non è precluso al giudice accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (cfr. Cass. n. 3122/2015). Nondimeno, alla stregua dei parametri esegetici richiamati, il disconoscimento operato dall'opponente, in quanto privo di un'esatta indicazione degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale, risulta irritualmente formulato e, come tale, inefficace. Conseguentemente, il documento sub. 5 allegato al fascicolo monitorio risulta pienamente utilizzabile ai fini della decisione e riferibile all'opponente. 2.2. Chiarito ciò, va ricordato che l'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente. Al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione tacita la consegna dell'opera al committente e, come fatto concludente, la ricezione senza riserve da parte di quest'ultimo, anche se non si è proceduto alla verifica dell'opera (cfr. Cass. n. 4021/2023). Invero, il comma 3 qualifica la verifica come un onere del committente, nel senso che se quest'ultimo non vi provvede si attiva un meccanismo di silenzio-assenso per cui l'opera si considera accettata. L'accettazione dell'opera assume rilievo dirimente poiché libera l'appaltatore dalla responsabilità per vizi palesi e riconoscibili, che il committente deve far valere in sede di verifica o collaudo (cfr. Cass. n. 11/2019). L'accettazione dell'opera segna il discrimen anche ai fini della distribuzione dell'onere della prova: finché l'opera non è stata (espressamente o tacitamente) accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, dopo l'accettazione, spetta al committente dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate (cfr. Cass. n. 19146/2013). Chiarita l'importanza dell'accettazione dell'opera, possono ravvisarsene i presupposti quando il committente prende in consegna l'opera e paga all'appaltatore il relativo prezzo (così in Cass. n. 19019/2017 e, più di recente, Cass. n. 10452/2020). Ciò in quanto "l'accettazione dell'opera che, ai sensi dell'art. 1665 c.c., si verifica quando il committente tralasci di procedere alla verifica senza giusti motivi o non ne comunichi il risultato entro breve termine (comma 3), oppure riceva la consegna dell'opera senza riserve (comma 4), si distingue sia dalla verifica che dal collaudo perché la prima si risolve nelle attività materiali di accertamento della qualità dell'opera e il secondo consiste nel successivo giudizio sull'opera stessa; l'accettazione, invece, è un atto negoziale che esige che il committente esprima, anche per "facta concludentia" il gradimento dell'opera stessa" (cfr. Cass. n. 4051/2016). 2.3. Così ricostruito il quadro esegetico di riferimento, si rende opportuno ricostruire il rapporto negoziale intercorso tra le parti. Rientra tra i fatti non specificamente contestati ai sensi dell'art. 115 c.p.c. che le parti abbiano stipulato un contratto di subappalto di lavori che la (...) S.R.L. si era impegnata ad eseguire presso il cantiere "Pam" sito in Bologna, Via (...) nell'interesse dell'opponente. In particolare, la prestazione cui l'opposta si era obbligata consisteva nella fornitura e posa in opera di facciate e serramenti in alluminio per interni: una "sottostruttura in acciaio realizzata con profili sezione 120x30x3, zincato a caldo e verniciato a polveri poliestere con cottura a forno 180°/200°, completi di staffe di attacco superiori e bulloneria in acciaio zincato, tasselli ad espansione per fissaggio su cordolo/pannello in c.a." ed i serramenti elencati nella fattura n. 86/2019 (cfr. fascicolo monitorio). Il tutto trova conferma documentale nel contratto subappalto sottoscritto dalle parti in data 20.4.2019 (cfr. all. 3 citazione). Anzitutto, è indubbio che l'opera sia stata consegnata alla committente (cfr. all. 5 citazione). In secondo luogo, dal compendio probatorio acquisito - e di seguito esaminato - deve affermarsi che la (...) S.R.L. aveva anche accettato l'opera. A seguito della comunicazione del 17.12.2019 (cfr. all. 5 citazione), in data 23.1.2020 l'odierna opponente, in persona del suo direttore amministrativo, evidenziava di aver eseguito delle "ritenute a garanzia" per "i problemi lamentati dal ns. Geom. (...)" - ritenute che l'opposta quantificava in Euro 9.688,43 - proponendo il pagamento del residuo importo di Euro 35.593,62 in quattro rate mensili, con scadenza tra febbraio 2020 e maggio 2020 (cfr. all. B5 comparsa di costituzione). Rientra, inoltre, tra i fatti non specificamente contestati, ai sensi e per gli effetti dell'art. 115 c.p.c., l'avvenuto pagamento della prima rata, pari ad Euro 8.893,62, nel termine stabilito (29.2.2020). Ebbene, è evidente che l'opponente, abbia così espresso il complessivo gradimento dell'opera, al netto dei difetti in precedenza lamentati e di cui aveva già tenuto conto in sede di quantificazione del prezzo residuo che intendeva versare ("alcune Vs. lavorazioni necessitano di sistemazioni varie e (...) per queste ha sollecitato numerose volte il Vs. intervento senza ricevere risposte. Alla luce di ciò riteniamo corretto mantenere la ns. proposta di pagamento relativamente alla somma di Euro 35.593,62= e rimandare la definitone delle modalità di pagamento delle trattenute." - così in all. B5 comparsa di costituzione). Sussistono, quindi, i presupposti per ritenere che l'opera era stata accettata dalla committente, con ogni conseguenza in termini di distribuzione dell'onere probatorio nella garanzia per vizi. A tal riguardo, va preliminarmente osservato che non risultano eccepiti vizi diversi da quelli per i quali l'opponente aveva eseguito le già menzionate "ritenute" (cfr. all. B5 e C comparsa di costituzione). Alla luce di questa premessa, va considerato che l'opposta aveva tenuto conto delle menzionate contestazioni, azionando solo il credito residuo, ossia al netto delle "ritenute" e della prima rata già corrisposta dall'opponente. In secondo luogo, va osservato che dalle risultanze probatorie acquisite (cfr. all. 5 comparsa di costituzione) i vizi di funzionamento del nottolino delle porte interne dei bagni sembrano esser stati eliminati. Emerge, infatti, che ad ottobre 2019, all'esito del collaudo provvisorio, la (...) S.R.L. aveva mosso delle prime contestazioni nei confronti della (...) S.R.L. inerenti difetti di funzionamento di alcune maniglie e la mancata regolazione degli scorrevoli (cfr. all. 4 citazione), giustificando, sulla scorta di tali vizi, il mancato pagamento dell'intero corrispettivo dovuto e reputando come inesigibile parte del prezzo, per circa Euro 9.000,00. Tuttavia, con successiva e-mail del 17.12.2019, risulta che l'opponente, all'esito di un sopralluogo, aveva circoscritto i vizi caratterizzanti l'opera al solo inesatto funzionamento del meccanismo "libero/occupato" del nottolino della porta dei bagni, in quanto non allineato al meccanismo di chiusura ed apertura della serratura (cfr. all. 5 citazione). La circostanza appare confermata anche dal teste escusso all'udienza del 20.4.2021, (...), il quale ha riferito che l'unica contestazione di cui era a conoscenza riguardava, infatti, il colore libero/occupato del nottolino della serratura della porta del bagno (cfr. verb. ud. 20.4.2021). Diversamente da quanto prospettato dall'opponente in sede di comparsa conclusionale, non può esser messa in discussione l'attendibilità del teste per il sol fatto di aver riferito, in un primo momento, di esser "titolare e dipendente della (...) s.r.l..", avendo poi opportunamente precisato di essere "un lavoratore subordinato alle dipendente della società opposta da luglio 2017' deputato alla gestione operativa della società, ma di non esserne amministratore, giacché tale ruolo era rivestito da (...). Del resto, anche la convergenza degli elementi probatori sinora esaminati destituisce di fondamento le generiche contestazioni in merito all'attendibilità della deposizione e ad un potenziale ed astratto conflitto d'interessi del testimone. Come accennato, l'opposta ha contestato la persistenza dei vizi denunciati, avendo provveduto al ripristino. A sostegno dell'assunto, ha depositato anche una conversazione datata 27.1.2020 relativa ad un intervento di lavori eseguito a Bologna (cfr. all. C comparsa) che asserisce esser intercorsa con l'opponente. Si noti che quest'ultima non ha contestato la riferibilità di detta conversazione a sé medesima. Del resto, anche tale circostanza appare confermata dalla deposizione del teste (...), il quale ha riferito che la (...) S.R.L. aveva provveduto alla sostituzione della serratura, risolvendo le criticità segnalate dall'odierna opponente (cfr. verb. ud. 20.4.2021). Per tutti i motivi suesposti, deve affermarsi che la (...) S.R.L. non abbia dato prova dell'attuale esistenza dei vizi originariamente denunciati. 2.3. Anche l'eccezione di inadempimento sollevata dall'opponente risulta immeritevole di accoglimento. Anche accedendo alla ricostruzione dell'opponente in ordine alla sussistenza dei vizi in questione, il censurato inadempimento non integrerebbe gli estremi di un fatto impeditivo della pretesa creditoria azionata dalla (...) S.R.L.. Invero, nei contratti con prestazioni corrispettive, quando una parte giustifica la propria inadempienza con l'inadempimento dell'altra ai sensi dell'art. 1460 c.c. occorre procedere ad una valutazione comparativa del comportamento dei contraenti, con riferimento non solo al dato cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche al rapporto di proporzionalità delle stesse rispetto alla funzione economico-sociale del contratto. Ciò implica che quando l'inadempimento di una parte non è grave, il rifiuto della controparte di adempiere la propria obbligazione non è sorretto da buona fede (cfr. C.d.A. Milano del 16.9.2022 e nella giurisprudenza di legittimità Cass. n. 22626/2016; Cass. n. 4565/1990; Cass. n. 3371/1988). In assenza di proporzionalità - come nel caso di specie - l'eccezione d'inadempimento non sarebbe, comunque, legittimamente sollevata (cfr. Cass. n. 8760/2019). In aggiunta, a tali fini, la contestazione dell'inadempimento deve essere tempestiva, in modo tale da non determinare un pregiudizio irreparabile alla controparte, che deve essere in grado di assumere le iniziative opportune per salvaguardare l'interesse o l'utilità perseguita con l'attuazione del contratto (cfr. Cass. n. 26973/2017). Applicando tali principi al caso di specie, va ricordato che l'imperfetto funzionamento del nottolino delle serrature e degli scorrevoli risulta aver già dato luogo alla mancata corresponsione di una parte del prezzo dovuto, pari a circa Euro 9.000,00. Pertanto, in assenza di ulteriori vizi denunciati dalla committente - sia in fase stragiudiziale, sia nella presente sede giudiziale - la prestazione assunta dalla (...) S.R.L. con il contratto di subappalto de quo non può dirsi inadempiuta. Ad ogni buon conto, gli unici vizi denunciati - al di là di ogni valutazione (già svolta) in merito alla loro odierna persistenza - non appaiono idonei ad impedire il pagamento del prezzo residuo pari ad Euro 26.700,00 per difetto di proporzionalità. 2.4. Infine, va esaminato l'invocato art. 91 del D.L. n. 18/2020, a mente del quale "il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti' e che, quindi, riconosce al giudice il potere di valutare la responsabilità del debitore in relazione alla pandemia da Covid-19. In merito alla portata della disposizione si possono ricostruire due diverse chiavi di lettura. Secondo una prima, le obbligazioni pecuniarie - quale quella per cui la (...) S.R.L. chiede la condanna all'adempimento - non rientrano nel perimetro della norma, poiché non si estinguono per impossibilità sopravvenuta della prestazione. E' principio noto che l'impossibilità che rileva ai fini dell'estinzione dell'obbligazione ai sensi dell'art. 1256 c.c. è solo quella assoluta, che non si identifica con una semplice difficoltà di adempiere. Tale impossibilità avrebbe dovuto consistere in un impedimento obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, riferito alla prestazione contrattuale in sé e per sé considerata. Invece, è sempre possibile reperire denaro, data la sua convertibilità in tutti i beni presenti e futuri. Secondo la giurisprudenza di merito, quindi, "la difficoltà finanziaria del debitore - anche se generata dalla pandemia da covid 19 - non può assurgere a causa di giustificazione o estinzione dell'obbligazione pecuniaria" (così in Trib. Roma del 7.4.2022 n. 5950). Anche aderendo ad un'interpretazione meno restrittiva della norma invocata dall'opponente, l'eccezione non appare fondata. Va, infatti, osservato che detta previsione non giustifica determina l'estinzione dell'obbligazione, né esenta il debitore dall'adempimento, rendendo la prestazione inesigibile. Piuttosto, essa incide sull'obbligo del debitore inadempiente di risarcire il danno causato dal proprio tardivo o mancato adempimento, ma non lo libera dagli obblighi contrattuali assunti (cfr. C.d.A. Bologna n. 1118 del 18.4.2022). Il giudice non può discrezionalmente ritenere la prestazione inesigibile: la norma assolve solo la funzione di restringere la portata risarcitoria dell'inadempimento ove sussista un nesso causale tra quest'ultimo e la situazione emergenziale da Covid-19 ovvero imporre al giudice di tenere conto anche delle cause che hanno determinato l'inadempimento in sede di valutazione della sua gravità ai sensi dell'art. 1455 c.c. (cfr. C.d.A. Bologna citata). In conclusione, la presenza di misure di contenimento nel periodo emergenziale non vale ad escludere la responsabilità della debitrice nell'inadempimento di una prestazione pecuniaria e, in aggiunta, va opportunamente valorizzato il fatto che l'opposta si è limitata a chiedere la condanna della (...) S.R.L. all'adempimento dell'obbligazione pecuniaria assunta, e non il risarcimento danni o la risoluzione del negozio. Per tutti i motivi suesposti, l'opposizione promossa dalla (...) S.R.L. deve essere respinta, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo n. 383/2020, già dichiarato provvisoriamente esecutivo. 3. Infine, va dato atto che non paiono sussistere i presupposti per una condanna dell'opponente per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Invero, la semplice prospettazione di tesi giuridiche errate non integra un comportamento sleale e fraudolento, tale da comportare trasgressione del dovere di lealtà e probità, rilevante ai fini della condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., salvo che la parte interessata non deduca e dimostri nell'indicato comportamento la ricorrenza di dolo o colpa grave, nel senso della consapevolezza o dell'ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell'infondatezza delle suddette tesi (cfr. Cass. n. 15629/2010). 4. Le spese di lite del presente giudizio seguono la regola della soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. 55/2014, come aggiornata dal D.M. n. 147/2022, in base al valore della controversia determinato ai sensi dell'art. 5 del citato D.M. e, quindi, compreso tra Euro 26.001 ed Euro 52.000, fatta applicazione dei parametri minimi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, stante la ridotta complessità delle questioni giuridiche trattate, e dei parametri medi per la fase istruttoria, considerata l'assunzione di prove costituende. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra difesa, eccezione ed istanza disattesa e/o assorbita, così provvede: - rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto; - condanna la (...) S.R.L. alla refusione in favore della (...) S.R.L. delle spese processuali anche del giudizio di opposizione, liquidate in Euro 4.712,00 per compensi, oltre spese forfettarie (15%), CPA e IVA se dovuta. Così deciso in data 3 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI SEZIONE CIVILE in persona del giudice dott. Alessandro Nastri, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2303 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 del Tribunale di Terni, vertente TRA (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ba.Ba. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Terni, Via (...), giusta procura in calce all'atto di citazione - attrice E A.T.E.R. UMBRIA - AZIENDA TERRITORIALE PER L'EDILIZIA RESIDENZIALE DELLA REGIONE UMBRIA (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore Em.Na., rappresentata e difesa dall'avv. Cl.Bi. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Terni, Corso (...), giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - convenuta Oggetto: responsabilità ex art. 2051 c.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 01/12/2020, (...) conveniva in giudizio l'A.T.E.R. UMBRIA, esponendo quanto segue. In data 01/11/2018 l'attrice, mentre camminava nell'androne del condominio sito in Narni (TR), Via (...) n. 235, dirigendosi verso la propria abitazione, era caduta a terra a causa della presenza di acqua sul pavimento, avvertendo un forte dolore alla caviglia destra. Dopo l'immediato trasporto con l'autoambulanza del 118 al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Narni e la prima diagnosi ivi effettuata di "frattura bimalleolare caviglia destra", in data 05/11/2018 era stata ricoverata presso il medesimo Ospedale per l'esecuzione - poi avvenuta in data 08/11/2018, previa nuova diagnosi di "frattura trimalleolare caviglia dx" - di un intervento chirurgico di riduzione ed osteosintesi con placca e viti, seguito da un lungo percorso riabilitativo all'esito del quale le era residuata un'invalidità permanente del 15%, preceduta da 60 giorni di invalidità temporanea assoluta, ulteriori 60 giorni di invalidità temporanea parziale al 75% ed ulteriori 60 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%, con pregiudizi anche di natura morale ed esistenziale. Ciò esposto in fatto, l'attrice invocava la responsabilità dell'Ente convenuto ai sensi dell'art. 2051 c.c. (ovvero, in subordine, ai sensi dell'art. 2043 c.c.) e chiedeva quindi al Tribunale di accertare e dichiarare "la responsabilità esclusiva del condominio, in persona dell'amministratore p.t. e dell'Ater quale ente gestionario del condominio suddetto", e conseguentemente di "condannare il condominio, in persona dell'amministratore p.t. e dell'Ater quale ente gestionario del condominio suddetto (...)" al risarcimento dei danni quantificati nel complessivo importo di Euro 49.623,30 (di cui Euro 28.128,00 per l'invalidità permanente, Euro 2.812,80 a titolo di personalizzazione in aumento del 10%, Euro 16.537,60 per l'invalidità temporanea, ed Euro 2.145,00 a titolo di rimborso delle spese mediche conseguenti al sinistro) oltre interessi e rivalutazione monetaria. Con comparsa depositata in data 07/05/2021 si costituiva la convenuta A.T.E.R. UMBRIA, la quale eccepiva: a) il proprio difetto di legittimazione passiva, non essendo stato specificato dall'attrice il titolo giuridico in forza del quale era stata evocata in giudizio, e non sussistendo comunque in capo ad essa la qualità di gestionaria o di rappresentante del condominio; b) l'infondatezza della domanda attorea, sia per la mancanza di prova circa la reale dinamica del sinistro, sia perché, in ogni caso, l'attrice ben conosceva lo stato dei luoghi e le condizioni della pavimentazione (priva di irregolarità o anomalie, e tale quindi da non costituire insidia o trabocchetto), dovendo eventualmente attribuirsi la verificazione dell'evento alla condotta imprudente della stessa attrice, la quale, in condizioni di perfetta visibilità e luminosità (alle ore 10.30 del mattino), avrebbe - per sua stessa prospettazione - intrapreso l'attraversamento dell'androne pur essendosi accorta che il pavimento era "interamente allagato dall'acqua", peraltro in un giorno festivo (01/11/2018) in cui il custode non avrebbe potuto intervenire neppure con l'ordinanza diligenza. La convenuta contestava l'avversa pretesa anche sotto il profilo del quantum, concludendo per l'integrale rigetto della domanda proposta dall'attrice nei suoi confronti, ovvero, in subordine, per la riduzione del risarcimento. A seguito della prima udienza del 01/06/2021, del successivo deposito delle memorie di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c. e della susseguente istruttoria, consistita nell'assunzione delle prove orali ammesse con ordinanza del 18/01/2022, all'udienza del 24/01/2023 lo scrivente giudice invitava le parti a precisare le conclusioni e tratteneva la causa in decisione, con termini di giorni trenta per il deposito delle comparse conclusionali e di giorni venti per il deposito delle memorie di replica. La domanda attorea non merita accoglimento, per i motivi di seguito illustrati. Va anzitutto esaminata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla convenuta A.T.E.R. UMBRIA. Come noto, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione a contraddire deve aversi riguardo alla domanda, sicché la legittimazione passiva dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell'obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio (v. per tutte Cass. SS.UU., 2951/2016). Nel caso in esame, anche alla luce della condotta tenuta prima dell'instaurazione del giudizio dall'attrice (che ha sempre rivolto le proprie pretese nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA), deve ritenersi che l'ambigua formulazione originaria della domanda risarcitoria, rivolta nei confronti del "condominio, in persona dell'amministratore p.t. e dell'Ater quale ente gestionario del condominio suddetto", sia stata superata dalla precisazione effettuata nel corso della prima udienza del 01/06/2021 dal difensore di parte attrice, il quale ha chiarito di aver dedotto la responsabilità dell'A.T.E.R. in quanto "ente proprietario dell'alloggio (...) nonché custode dell'androne del condominio di cui in citazione, su cui incombe l'obbligo di vigilanza", sicché, in definitiva, la domanda deve intendersi proposta nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA quale asserito custode dell'androne. Nel merito, tuttavia, tale domanda non è fondata. L'affermazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. postula anzitutto l'assolvimento dell'onere della prova, da parte del danneggiato, della sussistenza del rapporto di custodia tra il soggetto convenuto come responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo (v. ex multis Cass. 16211/2013 e Cass. 20057/08). Con particolare riferimento alla custodia delle parti comuni degli immobili di edilizia residenziale pubblica, tale custodia permane in capo all'Ente gestore solo fino a quando non venga costituito un condominio (v. in tal senso Trib. S. Maria Capua Vetere 25 novembre 2015, e Trib. Benevento 12 gennaio 2010), che in quanto tale diviene - dal momento della sua costituzione - custode e gestore delle parti comuni dell'edificio, e dunque titolare dell'obbligazione passiva risarcitoria ex art. 2051 c.c. sussistendone i presupposti (v. ex multis Cass. 6499/09). Dunque, poiché nel caso di specie è stata la stessa attrice a dedurre l'esistenza di un condominio e di un suo amministratore (essendo, come detto, le conclusioni rivolte nei confronti del "condominio, in persona dell'amministratore p.t. (...)"), e poiché la circostanza dell'avvenuta costituzione del condominio - prevista, peraltro, come fisiologica evenienza dall'art. 12 della "Carta dei servizi Ater Umbia" (prodotta proprio dall'attrice in allegato alla seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c.) - risulta confermata dalla deposizione resa dal testimone (...) (avendo quest'ultimo, escusso all'udienza del 28/10/2022, riferito che "anche nel 2018 all'epoca dell'incidente c 'era e c'è un condominio in cui ATER è proprietaria solo di parte delle porzioni immobiliari pur avendo la maggioranza dei millesimi condominiali", oltre che dal documento f) allegato alla seconda memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c. di parte convenuta (lettera di convocazione dell'assemblea condominiale del 07/06/2019 da parte dell'amministratore del condominio (...) e stralcio del relativo verbale), non può ritenersi raggiunta la prova del rapporto di custodia tra l'A.T.E.R. UMBRIA e l'androne condominiale in cui è caduta l'odierna attrice, la quale avrebbe dovuto, piuttosto, convenire in giudizio il condominio. La domanda attorea appare inoltre infondata anche sotto il profilo della sussistenza del caso fortuito, integrato dall'imprudente condotta della stessa attrice. Come noto, nell'ambito del caso fortuito ex art. 2051 c.c. possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello dello stesso danneggiato (v. Cass. 27724/2018 e Cass. 12027/2017), qualora quest'ultimo abbia tenuto un comportamento incauto in correlazione alla situazione di pericolo percepibile con l'ordinaria diligenza (v. ex multis Cass. 11526/2017). Nel caso in esame, la stessa attrice ha riferito - in sede di interrogatorio formale - di aver visto che il pavimento (privo di sconnessioni) era bagnato, circostanza che, peraltro, si verificava abitualmente a causa della mancanza parziale di copertura (v. sul punto anche le deposizioni dei testimoni (...) e (...), escussi all'udienza del 19/05/2022), e di aver (ciò nonostante) intrapreso l'attraversamento dell'androne confidando nel fatto di aver già altre volte attraversato l'androne con il pavimento bagnato senza avere problemi (v. il verbale dell'udienza del 01/04/2022). Appare quindi evidente l'imprudenza della condotta dell'attrice, la quale, perfettamente a conoscenza dello stato dei luoghi e in presenza di un'insidia ben visibile e tutt'altro che imprevedibile, non si è astenuta dal camminare sul tratto reso scivoloso dalla pioggia (v. in casi simili Cass. 11592/2010, nonché, nella giurisprudenza di merito, Trib. Frosinone 27 maggio 2016). Per tutti i motivi sopra esposti, la domanda proposta da (...) nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA deve essere rigettata. Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell'art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto degli importi di cui alla tabella allegata al D.M. 55/2014 (come aggiornata dal D.M. 147/2022), in base al valore (scaglione da Euro 26.000,00 ad Euro 52.000,00), alla natura e alla complessità (media) della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti dell'A.T.E.R. UMBRIA - AZIENDA TERRITORIALE PER L'EDILIZIA RESIDENZIALE DELLA REGIONE UMBRIA, ogni altra difesa, eccezione ed istanza disattesa, così provvede: - rigetta la domanda; - condanna (...) alla rifusione in favore dell'A.T.E.R. UMBRIA delle spese processuali, che liquida in Euro 7.616,00 (di cui Euro 1.701,00 per la fase di studio, Euro 1.204,00 per la fase introduttiva, Euro 1.806,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, ed Euro 2.905,00 per la fase decisionale) oltre spese forfettarie (15%), CPA e IVA se dovuta. Così deciso in Terni il 28 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI in persona del giudice del lavoro Dott.ssa Manuela Olivieri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero 477 del registro generale dell'anno 2021 promossa DA (...), quale titolare dell'omonima ditta individuale, con sede legale in T., via T. A. n.27, in proprio ai sensi dell'art.6, comma 9 del D.Lgs. n. 150 del 2011 OPPONENTE CONTRO ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO TERNI - RIETI (succeduto ope legis alla Direzione Territoriale del Lavoro di Terni), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Terni, via (...), rappresentato e difeso in giudizio, ai sensi e per gli effetti dell'art.6 del D.Lgs. n. 150 del 2011 già art.23 IV comma della L. n. 689 del 1981 dal Direttore pro tempore Dott. St.Ol., congiuntamente e disgiuntamente, dai funzionari Avv.ti Gi.Gu., Avv. An.Fu., Avv. Ma.Tr. e Dott.ssa Si.Fo. giusta delega direttoriale in calce alla comparsa di costituzione. OPPOSTO OGGETTO: opposizione ad ordinanza ingiunzione ex art.22 L. n. 689 del 1981 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso spedito in data 12.06.2021 (pervenuto presso la cancelleria del Tribunale in data 16.07.2021) parte ricorrente ha premesso: - che in data 12.06.2021 gli venivano notificate n.5 ordinanze ingiunzioni (n.54/2021 caso n.513417013 del 7.11.2016 prot. n.(...), n. 55/2021 caso n.513417087 del 7.11.2016 prot. n. (...), n. 56/2021 caso n. 513417088 del 7.11.2016 prot. n. (...), n.57/2021 caso n. 513417090 del 7.11.2016 prot. n. (...), n.58/2021 caso n.513417089 del 7.11.2016 prot. n. (...)) con le quali l'Ispettorato Territoriale di Terni gli ingiungeva il pagamento della somma di Euro 1.290,00 (oltre spese di notifica) per ciascuna ordinanza ingiunzione, per aver violato l'art. 53, comma 5 del D.P.R. n. 1124 del 1965 per aver omesso di denunciare la malattia professionale di (...) entro il termine di 5 giorni dalla notizia a mezzo certificato medico. Per tale violazione veniva irrogata una sanzione di Euro 1.290,00 (oltre spese di notifica) per ogni ordinanza ingiunzione". Ha allegato che le ordinanze ingiunzione sono riconducibili ad un solo evento e che erroneamente il medico competente avrebbe elaborato n.5 certificati medici, laddove il lavoratore è uno solo, così come la richiesta di accertamento della malattia professionale, tanto è vero che sia l'INAIL che l'Ispettorato del Lavoro, nelle ordinanze ingiunzione, danno atto che i certificati sono riconducibili ad una sola apertura di accertamento malattia professionale verso (...). Ha citato, pertanto, davanti al Tribunale di Terni l'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni - Rieti chiedendo, previa sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, in via principale l'annullamento dell'atto impugnato e l'applicazione di una sola sanzione con il minimo edittale pari ad Euro 1.317,05. Si è costituito l'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni - Rieti affermando l'infondatezza dell'opposizione ed insistendo per il rigetto del ricorso. L'istruttoria si è articolata nella produzione documentale offerta dalle parti. Sulle conclusioni indicate la causa veniva discussa e decisa con sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 429, primo comma, c.p.c. come modificato dall'art. 53, secondo comma, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in assenza delle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE Giova premettere che nel giudizio di opposizione ad una ordinanza ingiunzione in materia di sanzioni amministrativa il relativo oggetto non è l'accertamento della legittimità dell'atto amministrativo, ma la pretesa sanzionatoria. Difatti il Giudice, al quale sono riconosciuti poteri istruttori esercitabili ex officio, deve pronunciarsi, non tanto sull'operato della Pubblica Amministrazione (da ritenersi lecito sino a prova contraria), ma sulla responsabilità dell'opponente, che va provata in giudizio. A tal fine assume rilievo il principio di diritto costantemente affermato dalla Suprema Corte in forza del quale "Nel procedimento di opposizione al provvedimento irrogativo di una sanzione amministrativa pecuniaria l'Amministrazione, pur essendo formalmente convenuta, assume sostanzialmente la parte di attrice; spetta, quindi, ad essa, ai sensi dell'art. 2697 c.c., fornire la prova dell'esistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata e della loro imputabilità all'intimato, mentre compete all'opponente, che assume la veste di convenuto, la prova dei fatti impeditivi od estintivi. Con l'ulteriore precisazione che l'Amministrazione può avvalersi anche di presunzioni (essendo anche questi mezzi di prova dei fatti giuridici) che trasferiscono a carico dell'opponente l'onere della prova contraria" (cfr., da ultimo, Cass., sez. VI-2, ord. 23.02.2018 n. 4424:; Cass., sez. VI, ord. 24.01.2019 n. 1921). Tanto premesso, è possibile passare all'esame delle censure formulate dall'odierna parte opponente, specificando che avendo inviato l'istante n.5 ricorsi in opposizione alle 5 ordinanze ingiunzione emesse dall'Ispettorato convenuto, il presente giudizio ha ad oggetto l'impugnazione della seconda ordinanza ingiunzione emessa dall'Amministrazione convenuta n. 55/2021 caso n. 513417087 del 7.11.2016 prot. n. 523 notificata in data 12.06.2021 allegata al ricorso in opposizione. Fatta questa premessa, è opportuno richiamare la normativa violata dall'opponente art. 53, comma 5, del D.P.R. n. 1124 del 1965 a mente del quale: "La denuncia delle malattie professionali deve essere trasmessa sempre con le modalità di cui all'art. 13 dal datore di lavoro all'istituto assicuratore, corredata da certificato medico, entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d'opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia". La medesima disposizione normativa precisa che: "Il certificato medico deve contenere, oltre l'indicazione del domicilio dell'ammalato e del luogo dove questi si trova ricoverato, una relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dallo ammalato stesso e di quello rilevata dal medico certificatore". Una sua lettura sistematica impone di ritenere che anche per le malattie professionali operi il medesimo principio espressamente enunciato per gli infortuni professionali dal comma 1, a mente del quale l'obbligo del datore di lavoro di effettuare la denuncia all'istituto assicuratore "è indipendente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di legge per l'indennizzabilità". La fattispecie de qua, unitariamente intesa, risulta difatti riconducibile al genus dei cc.dd. "illeciti di scopo", in cui l'ordinamento stigmatizza comportamenti idonei a pregiudicare solo indirettamente il bene giuridico presidiato. Coerentemente, dunque, con la ratio della disposizione e con la morfologia dell'illecito dalla medesima sanzionato, deve ritenersi che il bene giuridico tutelato in via diretta sia l'interesse dell'Istituto Previdenziale a verificare la sussistenza del diritto all'indennizzabilità ed a procedere, nel più breve tempo possibile, alla relativa liquidazione. In tal modo si garantisce, in via indiretta, il vero bene della vita a tutela del quale il precetto di comando è posto, ossia il diritto del lavoratore a beneficiare delle prestazioni assicurative di natura previdenziale allorché costui sia attinto da conseguenze pregiudizievoli derivanti da un infortunio o da malattia professionale. E' pacifico che il ricorrente, in qualità di datore di lavoro di (...) ha inviato all'Inail la denuncia di malattia professionale dell'assicurato in data 21.02.2017, pur avendo avuto notizia della malattia professionale in data 28.11.2016, quando ha ricevuto dall'INAIL la richiesta di denuncia della malattia professionale a mezzo racc. a/r con allegato il certificato medico (cfr. ordinanza ingiunzione in atti). Allega in fatto l'Amministrazione convenuta, e la circostanza è documentalmente provata, che la dott.ssa (...) elaborava un unico certificato medico di malattia professionale per la lavoratrice (...) nel quale indicava n. 5 malattie professionali (sindrome tunnel carpale bilaterale, rizoartrosi bilaterali, ernie dicali, grave artrosi con uncoartrosi cervicale e allergia respiratoria), deducendo, quindi in diritto, che trattandosi di cinque diverse malattie necessariamente l'Inail doveva procedere a cinque accertamenti medici separati, in quanto ogni patologia richiede specifiche verifiche affidate a diversi specialisti che potrebbero avere esiti diversi, con la conseguente apertura di n.5 pratiche di accertamento necessitanti l'invio da parte del datore di lavoro delle corrispondenti denunce. Invero, nel caso di specie viene in rilievo l'ipotesi in cui è lo stesso dipendente a dare impulso al procedimento per il riconoscimento della malattia professionale, laddove il datore di lavoro ha avuto contezza della malattia del dipendente tramite l'Inail. Ad avviso di chi scrive la ratio legis sottesa alle norme di riferimento è quella di consentire l'avvio delle procedure per l'erogazione delle prestazioni assistenziali anche mediante la successiva tempestiva denuncia del datore di lavoro, il quale è venuto a conoscenza degli eventi coperti dall'assicurazione attraverso la richiesta di denuncia da parte dell'Istituto erogatore. La presentazione della denuncia da parte del datore di lavoro costituisce dunque, sia per l'infortunio che per la malattia professionale, l'atto necessario per l'avvio dei compiti istituzionali dell'Istituto assicuratore in ordine al riconoscimento delle prestazioni assistenziali e consente, altresì, il rispetto degli adempimenti previsti dalla legge, a nulla rilevando che la notizia dell'evento sia stata acquisita dal lavoratore o dall'Inail. Ciò posto, come è stato condivisibilmente affermato dallo stesso Ministero del lavoro in sede di interpello da parte dell'Ordine dei Consulenti del lavoro: "l'inoltro della certificazione sanitaria, pur ponendosi come momento centrale ai fini della notizia della tecnopatia contratta dal lavoratore, non è sufficiente ad assicurare il rispetto degli obblighi prescritti dall'art. 53 D.P.R. n. 1124 del 1965. Infatti, la sanzione amministrativa ivi prevista concerne non solo le violazioni attinenti il rispetto dei termini ma anche quelle relative a omissioni o infedeli indicazioni dei dati richiesti dalla normativa in esame, quali risultano dai commi 4, 5 e 6 del citato articolo" (cfr. Interpello n. 5/2009 del 6 febbraio 2009). In definitiva, così come il datore di lavoro, per non incorrere nella sanzione per cui è causa, ha l'obbligo di trasmettere all'Inail, nel termine di legge, la denuncia di malattia, unitamente al certificato medico ed alla relazione particolareggiata della sintomatologia accusata dall'ammalato stesso e di quella rilevata dal medico certificatore, al pari, anche nella ipotesi in disamina in cui la denuncia è avvenuta direttamente dallo stesso assicurato all'Inail, l'Istituto è tenuto a trasmettere al datore di lavoro, oltre al certificato medico, anche la relazione particolareggiata. Mette conto evidenziare, infatti, che la tempestività della denuncia è diretta a consentire all'Istituto di verificare la sussistenza del diritto all'indennizzabilità ed altresì a procedere, nel più breve tempo possibile e comunque nel termine di legge, sia alla liquidazione dell'indennità per inabilità temporanea assoluta, sia all'accertamento di eventuali postumi invalidanti di grado indennizzabile. Orbene nella fattispecie al vaglio trattasi di un solo certificato medico elaborato dal medico competente nel quale sono state indicate n.5 patologie asseritamente contratte dalla lavoratrice (...) in un unico periodo continuativo di lavoro prestato alle dipendenze del ricorrente (funditus dal 1995 al 2016) svolgendo sempre le stesse mansioni, vale a dire la commessa nel negozio - panificio gestito dal (...), con esposizione al medesimo rischio costituito da sforzi fisici e pesi (cfr. identiche denunce del datore di lavoro in atti). Ad avviso dello scrivente Giudice, in disparte la circostanza pacifica che il datore di lavoro abbia inviato in ritardo, rispetto al termine di legge, la denuncia di malattia, tuttavia appare incomprensibile, nella misura in cui non è dato rinvenire l'aggancio normativo, la ragione fondante la necessità da parte dell'Inail di aprire n.5 pratiche di accertamento, posto che, nel caso di specie, trattasi degli stessi lavoratore e datore di lavoro, nonché del medesimo ambiente lavorativo, rimaste immutate le mansioni disimpegnate dalla prestatrice (...) per tutto il periodo oggetto di esposizione a rischio, dal 1995 al 2016, e conseguenziale accertamento da parte dell'INAIL. Non si discute, risultando verosimile per ragioni di organizzazione nella liquidazione degli indennizzi, che l'Istituto assicuratore apra tante pratiche quante sono le malattie denunciate dal lavoratore, tuttavia, non si rinviene ai fini per cui è causa, prima ancora della disposizione specifica impositiva, finanche la necessità logica di imporre al datore di lavoro tante denunce quante sono le malattie contratte dallo stesso lavoratore nel medesimo ambiente lavorativo ed indicate in un solo certificato, laddove l'esposizione al rischio professionale sia rimasta invariata per l'intero periodo oggetto di accertamento, come avvenuto nel caso al vaglio. Non si vede quale possa essere l'elemento di novità che l'Inail avrebbe potuto acquisire ai fini dell'accertamento delle noxe professionali cui è stata esposta la lavoratrice, imponendo al datore di lavoro di inviare n.5 denunce, avendo ricevuto risposte identiche al questionario allegato ad ognuna di esse (cfr. doc.ti in atti al fascicolo dell'Ispettorato). Appare al Tribunale, peraltro, alquanto improbabile che l'Istituto possa chiamare a visita per ben 5 volte la stessa lavoratrice che nel periodo denunciato è stata esposta sempre allo stesso rischio (sforzi fisici e pesi cfr. risposte ai questionari), anche in un'ottica di ottimizzazione delle risorse e dei tempi di definizione delle procedure. Diversamente a dirsi laddove si fosse trattato di eventi differenti, quali ad esempio infortunio sul lavoro generato da causa violenta e malattia professionale, ovvero di un mutamento nel periodo da considerare di mansioni e di datore di lavoro, circostanze che necessitano anche di questionari diversificati da sottoporre al denunciante. L'organizzazione interna all'Istituto strumentale alla definizione delle pratiche, laddove la suddivisione in tabelle delle malattie come invocata dall'Amministrazione convenuta nulla dice in merito all'obbligo di smembrare le denunce a fronte di un unico certificato medico ai fini accertativi, che ha determinato la richiesta all'odierno ricorrente di inviare n.5 denunce professionali, spedite pacificamente in ritardo rispetto ai termini di legge, sebbene comprensibile non può essere la fonte dell'irrogazione di 5 sanzioni amministrative, apparendo, invece, corrispondente al dato normativo invocato dalla resistente la commissione di una sola violazione da parte del (...) dell'art.53, comma 5 del D.P.R. n. 1124 del 1965 posta in essere con l'inoltro tardivo della prima denuncia di malattia professionale che ha dato origine alla prima ingiunzione di pagamento con ordinanza n.54/2021 (caso n.513417013 del 7.11.2016 prot. n. (...)) non oggetto della presente opposizione ed ancora sub iudice (giudizio R.G. n.480/2021 assegnato alla Dott. F.). Sulla scorta delle ragioni che precedono, il ricorso è meritevole di accoglimento, con conseguente annullamento dell'ordinanza ingiunzione in oggetto. Nulla sulle spese di lite essendosi l'opponente costituito personalmente in giudizio ai sensi dell'art.6, comma 9 D.Lgs. n. 150 del 2011. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in funzione di Giudice del lavoro in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - In accoglimento dell'opposizione per le ragioni di cui alla parte motiva, annulla l'ordinanza ingiunzione emessa dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Terni - Rieti n. 55/2021, prot. n. (...) del 1.06.2021, notificata in data 12.06.2021; - Nulla sulle spese di lite. Così deciso in Terni il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TERNI SEZIONE LAVORO in persona del giudice del lavoro Dott.ssa Manuela Olivieri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero 337 del registro generale dell'anno 2020 promossa DA (...), elettivamente domiciliata in Terni, via (...), presso lo studio dell'Avv.to An.Ma. e rappresentata e difesa dall'Avv.to Ma.Pi. giusta procura in atti RICORRENTE CONTRO MINISTERO DELL'ISTRUZIONE e del MERITO (già Ministero dell'Istruzione, Dell'Università e Della Ricerca), in persona del legale rappresentante pro tempore, patrocinato dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia ed elettivamente domiciliato ex lege presso l'Ufficio della stessa in Perugia, via (...) RESISTENTE OGGETTO: ricostruzione della carriera e riconoscimento anzianità pre ruolo. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 18 giugno 2020 parte ricorrente premette: - di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze del Ministero convenuto in qualità di docente non di ruolo con reiterati incarichi di insegnamento a tempo determinato e di essere stata immessa in ruolo nell'anno scolastico 2014/2015; - di avere diritto alla progressione professionale retributiva per tutto il servizio prestato alle dipendenze del Ministero convenuto anche in virtù dei contratti a tempo determinato con valorizzazione di tale progressione anche successivamente all'immissione in ruolo con condanna dell'Amministrazione alle relative differenze retributive. Contesta, in particolare, la correttezza della ricostruzione di carriera basata sull'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994, cioè omettendo di valorizzare l'intero periodo di "precariato" (lavoro con contratti a tempo determinato), in contrasto con la clausola n. 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato recepito dalla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell'Unione Europea (Direttiva 1999/70/CE), in forza della quale il lavoratore a tempo determinato ha diritto al medesimo trattamento del personale assunto a tempo indeterminato secondo la clausola: "Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive" - punto 1; inoltre "i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive" - punto 4. La ricorrente conviene, pertanto, il Ministero dell'Istruzione dinanzi all'intestato Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, chiedendo: - di accertare la natura discriminatoria della ricostruzione della carriera della ricorrente, come effettuata con decreto dei singoli Dirigenti scolastici; - disapplicare l'art. 485 (in combinato con l'art.66 del CCNL) del D.Lgs. n. 297 del 1994 in conseguenza del contrasto con la Clausola 4 della Direttiva Comunitaria 1999/70/CE; - per l'effetto condannare il Ministero, in persona del Ministro pro tempore, a rideterminare la ricostruzione della carriera della ricorrente, valorizzando l'integrale periodo di servizio prestato dalla stessa con i contratti a tempo determinato prima della immissione in ruolo ed attribuendo ad essa, pertanto, con decorrenza ex tunc il corretto ed esatto grado di anzianità dovuta ai fini economici e giuridici; condannare, inoltre, per tutti i motivi esposti in narrativa, il Ministero al risarcimento del danno cagionato alla ricorrente a causa del mancato corretto recepimento nell'ordinamento nazionale della Direttiva 1999/70/CE danno da calcolarsi in misura pari alle somme che sarebbero state loro dovute, se correttamente inquadrati nella anzianità di servizio, in base al CCNL, con vittoria delle spese di lite da distrarsi. Si è costituito il MIUR: - eccependo il difetto di giurisdizione e l'incompetenza territoriale del Giudice adito con riferimento alla domanda risarcitoria; - eccependo, in via ulteriormente preliminare, la prescrizione quinquennale dei diritti retributivi azionati dalla ricorrente; - nel merito deducendo l'infondatezza delle avverse pretese, in quanto l'Amministrazione scolastica ha effettuato la valutazione dei servizi pre-ruolo in piena aderenza a quanto prescritto dall'art. 485 del D.Lgs. n. 294 del 1994, ha insistito per il rigetto del ricorso. Parte resistente ha fatto, altresì, rilevare che l'art. 485 D.Lgs. n. 294 del 1994 citato prevede un meccanismo di favore - cd. bonus valutativo - nel calcolo della anzianità di servizio, consentendo di valutare il servizio pre-ruolo prestato per almeno 180 giorni all'interno dell'anno reale come anno scolastico intero, con la conseguenza che la procedura applicata dall'Amministrazione convenuta non ha inciso negativamente sulla ricostruzione di carriera della ricorrente. L'Amministrazione scolastica ha, infine, escluso la valutabilità ai fini della ricostruzione di carriera dei servizi svolti presso istituti paritari, insistendo per il rigetto della domanda. La causa è stata istruita con la sola produzione documentale. Nelle more del giudizio la causa, a seguito del trasferimento ad altro Ufficio della dott.ssa (...), veniva assegnata allo scrivente Giudice. Lo scrivente Giudice con riservata ordinanza del 17.05.2022, che qui si richiama, invitava la parte ricorrente a riformulare i conteggi. Quindi, sulle conclusioni indicate la causa veniva discussa e decisa come sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 429, primo comma, c.p.c. come modificato dall'art. 53, secondo comma, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in assenza delle parti. MOTIVI DELLA DECISIONE Parte ricorrente lamenta di aver lavorato per numerosi anni con contratti a tempo determinato alle dipendenze del MIUR senza che le sia mai stata riconosciuta la progressione stipendiale attribuita ai dipendenti - ATA e docenti - a tempo indeterminato. Si duole parte ricorrente dell'avvenuta violazione dell'art. 4 dell'Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla Direttiva 1999/70/CE per la discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato e chiede la condanna del MIUR a rideterminare la ricostruzione della carriera, valorizzando l'integrale periodo di servizio prestato dalla stessa con i contratti a tempo determinato prima della immissione in ruolo, attribuendole, con decorrenza ex tunc, il corretto ed esatto grado di anzianità dovuta ai fini economici e giuridici. Nel merito la giurisprudenza della Suprema Corte aveva ormai univocamente statuito che "nel settore scolastico, la clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l'anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai finidell'attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato" (vd. Sez. L., Sentenza n. 20918 del 05/08/2019; Sez. L., 22558/2016). E' nel frattempo intervenuta la sentenza della CGUE del 20/9/2018 C - 466/2017 (Motter) che ha statuito "La clausola 4 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale, la quale, ai fini dell'inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi". Invero l'art. 485 T.U. n.297/94 dispone per il personale docente che "1. Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all'estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché' ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo. 2. Agli stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di ruolo e non di ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei predetti educandati e quelle all'estero, nonché nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie. 3. Al personale docente delle scuole elementari è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti fissati dal comma 1, il servizio prestato in qualità di docente non di ruolo nelle scuole elementari statali o degli educandati femminili statali, o parificate, nelle scuole secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari, sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non di ruolo prestati nelle scuole materne statali o comunali. 4. Ai docenti di cui al comma 1, che siano privi della vista, ed al personale docente delle scuole elementari statali o parificate per ciechi il servizio non di ruolo comunque prestato è riconosciuto per intero ai fini giuridici ed economici. 5. Al personale docente contemplato nel presente articolo è riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti precedentemente indicati, il servizio prestato in qualità di docente incaricato o di assistente incaricato o straordinario nelle università. 6. I servizi di cui ai precedenti commi sono riconosciuti purché prestati senza demerito e con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo. 7. Il periodo di servizio militare di leva o per richiamo e il servizio civile sostitutivo di quello di leva è valido a tutti gli effetti". L'art. 489 (Periodi di servizio utili al riconoscimento) prevede poi che "1. Ai fini del riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli effetti della validità dell'anno dall'ordinamento scolastico vigente al momento della prestazione. 2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento", ove L. 3 maggio 1999, n. 124 ha disposto art. 11, comma 14 che "il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1 febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale". A seguito di detta sentenza, la Suprema Corte con sentenza n. 31149/2019 ha confermato il principio sopra esposto chiarendo però che, quanto al personale docente "9.1 (...) un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l'anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 D.Lgs. n. 297 del 1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 D.Lgs. n. 297 del 1994, perché solo in tal caso l'attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all'assunto a tempo indeterminato. 9.2. Nel calcolo dell'anzianità occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l'assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l'assunto a tempo indeterminato ( congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 12 RG n.2220/2017 e n.17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento delcompletamento delle attività di scrutinio. Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 485, perché il medesimo beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti dall'uno all'altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina alcuna discriminazione alla rovescia. 9.3. Qualora, all'esito del calcolo effettuato nei termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a quello ottenuto con l'applicazione dei criteri di cui all'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994, la norma di diritto interno deve essere disapplicata ed al docente va riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all'insegnante assunto a tempo indeterminato, perché l'abbattimento, in quanto non giustificato da ragione oggettiva, non appare conforme al diritto dell'Unione. Come già ricordato nel punto 6.1 lett. a), la clausola 4 dell'accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell'Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusa l'interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Ro. Sa. punti da 49 a 56). Non è consentito, invece, all'assunto a tempo determinato, successivamente immesso nei ruoli, pretendere, sulla base della clausola 4, una commistione di regimi, ossia, da un lato, il criterio più favorevole dettato dal T.U. e, dall'altro, l'eliminazione del solo abbattimento, perché la disapplicazione non può essere parziale né può comportare l'applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può giovarsi l'assunto a tempo indeterminato comparabile. (...)". La Cassazione con la medesima pronuncia ha ribadito che rimane confermato quanto già statuito " 10. Riprendendo quanto già anticipato al punto 6, deve essere rimarcato che le ragioni valorizzate dalla Corte di Giustizia nella pronuncia relativa alla ricostruzione della carriera del personale docente restano circoscritte a quest'ultimo perché il personale tecnico, amministrativo e ausiliario non può giovarsi della fictio iuris di cui al richiamato art. 11, comma 14, della L. n. 124 del 1999, con la conseguenza che resta alla radice esclusa ogni possibilità della paventata "discriminazione alla rovescia". (?)11. Una volta esclusa la sussistenza di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento quanto alla valutazione dell'anzianità di servizio, correttamente la Corte territoriale ha disapplicato la norma di diritto interno che prevede l'abbattimento dell'anzianità riconoscibile dopo l'immissione in ruolo perché, come già ricordato nel punto 8.1 lett. a), la clausola 4 dell'accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali, tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle norme del diritto dell'Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono disapplicare, ove risulti preclusal'interpretazione conforme, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011, Ro. Sa. punti da 49 a 56). 12. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, perché la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto che la Corte ritiene di dovere enunciare nei termini che seguono: "L'art. 569 del D.Lgs. n. 297 del 1994 relativo al riconoscimento dei servizi preruolo del personale amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE nella parte in cui prevede che il servizio effettivo prestato, calcolato ai sensi dell'art. 570 dello stesso decreto, sia utile integralmente a fini giuridici ed economici solo limitatamente al primo triennio e per la quota residua rilevi a fini economici nei limiti dei due terzi. Il giudice, una volta accertata la violazione della richiamata clausola 4, è tenuto a disapplicare la norma di diritto interno in contrasto con la direttiva ed a riconoscere ad ogni effetto al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell'amministrazione, l'intero servizio effettivo prestato". Deve osservarsi che effettivamente l'art. 1, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 122 del 2013 ha disposto "b) le disposizioni recate dall'articolo 9, comma 23, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2013", ove tale norma prevedeva "23.Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti" (anni poi recuperati con il D.I. n. 3 del 14 gennaio 2011 e CCNL del comparto scuola sottoscritto il 13/3/2013). Alla luce dei principi sopra richiamati deve pertanto concludersi che per quanto riguarda la fattispecie al vaglio - docente immessa in ruolo nell'a.s. 2014/2015 - potrà affermarsi che vi è discriminazione quando tenuto conto del solo servizio effettivo prestato (cfr. contratti a tempo determinato allegati al ricorso), maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l'assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l'assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), esclusi gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, ed esclusi, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, nonché tenuto conto del servizio prestato in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall'art.485, il servizio riconosciuto con l'abbattimento ex art. 485 TU è inferiore. Fatta questa premessa di ordine generale e venendo all'esame del decreto di ricostruzione della carriera, deve prendersi atto che l'Amministrazione scolastica non ha tenuto conto a tal fine dei periodi lavorativi pre-ruolo su posti di sostegno senza la relativa abilitazione, rispetto ai quali la domanda attorea merita accoglimento applicando i principi fatti esposti nella sentenza n.16420/2019 della Corte di cassazione. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha ricostruito la problematica del riconoscimento dei servizi pre-ruolo su posto di sostegno senza la relativa abilitazione nei seguenti termini: "Il diritto all'integrazione scolastica dell'alunno con disabilità, che trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2, 3, 30, 34 e 38, comma 3, della Carta fondamentale (Corte Cost. n. 215/1987), ha ispirato gli interventi legislativi con i quali, a partire dagli anni '70, è stato superato il principio della necessaria separazione dagli altri degli alunni affetti da handicap, principio che stava alla base dell'istituzione di scuole speciali e di classi differenziali (R.D. n. 577 del 1928; L. n. 1859 del 1962; L. n. 444 del 1968). Il legislatore ordinario ha progressivamente "aperto" le classi cosiddette comuni alla frequenza da parte dei disabili (D.L. n. 5 del 1971; L. n. 517 del 1977) ed il diritto ha trovato definitiva consacrazione nella L. n. 104 del 1992, che ha individuato nell'attività di sostegno svolta da insegnanti specializzati lo strumento principale per la realizzazione dell'integrazione. Ai sensi dell'art. 13, comma 6, della richiamata L. n. 104 del 1992 i docenti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi nelle quali operano e partecipano alla programmazione educativa e didattica in tutte le sedi collegiali nelle quali l'attività si svolge, sicché è stato sottolineato dalla dottrina che gli stessi costituiscono una risorsa per l'intera comunità didattica e non costituiscono "una protesi" dell'alunno disabile, in quanto l'integrazione scolastica si realizza anche sul piano della funzione docente. 2.1. I medesimi principi che ispirano la normativa in tema di disabilità sono stati posti alla base della disciplina dettata dal T.U. n. 297/1994 che, all'art. 127, ha ribadito che i docenti di sostegno: fanno parte integrante dell'organico di circolo; assumono la contitolarità delle classi in cui operano; programmano ed attuano progetti educativi personalizzati per gli alunni disabili ma partecipano anche a tutte le attività di competenza dei consigli di classe, di interclasse e dei collegi dei docenti. Il comma 2 dell'art. 127 prevede che, dopo un periodo minimo ai assegnazione al ruolo dei docenti di sostegno, gli insegnanti possono chiedere il trasferimento nei ruoli comuni ed il comma 4 stabilisce che "l'utilizzazione in posti di sostegno di docenti privi dei prescritti titoli di specializzazione è consentita, nei modi previsti dall'articolo 455, unicamente qualora manchino docenti di ruolo o non di ruolo specializzati". Il diritto di precedenza riconosciuto, nell'assegnazione a posti di sostegno, agli insegnanti in possesso del titolo di specializzazione è ribadito dall'art. 319, comma 5, che, quanto alla natura ed alla disciplina del titolo stesso, richiama l'art. 325 del T.U., a norma del quale " Il personale direttivo e docente preposto alle scuole per non vedenti e per sordomuti, alle scuole con particolari finalità ed alle sezioni e classi delle scuole comuni che accolgono alunni portatori di handicap deve essere fornito - fino all'applicazione dell'articolo 9 della L. 19 novembre 1990, n. 341 - di apposito titolo di specializzazione da conseguire al termine di un corso teorico-pratico di durata biennale presso scuole o istituti riconosciuti dal Ministero della pubblica istruzione. I programmi del predetto corso sono approvati con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione. 2. Al predetto corso sono ammessi coloro che siano in possesso dei requisiti prescritti per l'accesso ai posti di ruolo a cui si riferisce la specializzazione. 3. Sono validi altresì quali titoli di specializzazione i titoli conseguiti in base a norme vigenti prima della data di entrata in vigore del D.P.R. 31 ottobre 1975, n. 970, anche se il loro conseguimento abbia avuto luogo dopo tale data, purché a seguito di corsi indetti prima della data medesima.". Alle modalità di assegnazione del personale docente ai posti di sostegno è dedicato anche l'art. 481 del T.U., secondo cui va data priorità agli insegnanti in possesso del titolo di specializzazione e, fra questi, a quelli di ruolo rispetto a quelli non di ruolo, di modo che l'utilizzazione di personale privo del titolo è possibile, ma solo a condizione che i posti disponibili non possano essere tutti coperti dai docenti specializzati. 2.2. Il quadro normativo sopra richiamato, che delinea le peculiarità proprie dell'attività di sostegno nell'ambito della funzione docente, va tenuto presente nella soluzione della questione qui controversa, che verte sulla riconoscibilità del servizio non di ruolo prestato su posti di sostegno da insegnante privo del titolo di specializzazione in anni scolastici antecedenti all'entrata in vigore della L. n. 124 del 1999. Il legislatore del T.U. del 1994, nel disciplinare il riconoscimento del servizio agli effetti della carriera, ha sostanzialmente riprodotto la disposizione già dettata dall'art. 3 della L. n. 370 del 1970, ed ha previsto, all'art. 485, che i servizi non di ruolo sono riconosciuti, nei limiti previsti dallo stesso decreto, " purché prestati senza demerito e con il possesso, ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo". Il D.Lgs. n. 297 del 1994 non contiene, quanto alla ricostruzione della carriera, alcuna normativa specifica per gli insegnanti di sostegno, normativa che, invece, è stata dettata dall'art. 7, comma 2, della L. n. 124 del 1999 secondo cui "il servizio di insegnamento su posti di sostegno, prestato dai docenti non di ruolo o con rapporto di lavoro a tempo determinato in possesso del titolo di studio richiesto per l'ammissione agli esami di concorso a cattedra per l'insegnamento di una delle discipline previste dal rispettivo ordine e grado di scuola, è valido anche ai fini del riconoscimento del servizio di cui all'art. 485 del testo unico". Il comma 1 della stessa disposizione disciplina le modalità di partecipazione degli insegnanti in possesso del titolo di specializzazione di cui al D.P.R. n. 970 del 1975 alla sessione riservata di esami prevista dall'art. 2 della legge ed aggiunge, poi, che "nelle operazioni di nomina in ruolo sui posti di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado è data la priorità al personale in possesso del titolo di specializzazione conseguito ai sensi del citato D.P.R. n. 970 del 1975"." La sentenza, dopo aver dato atto dell'esistenza di orientamenti difformi sull'interpretazione del suddetto quadro normativo di riferimento, conclude: "3. Questa Corte ritiene non condivisibili gli argomenti posti a fondamento della tesi più restrittiva, perché gli stessi, oltre a mortificare il tenore letterale della disposizione normativa, prescindono dalla valutazione complessiva della disciplina dettata per l'insegnamento in posti di sostegno, i cui aspetti salienti sono stati evidenziati al punto 2.1. 3.1. Il legislatore del T.U. ha ben chiara la distinzione fra titolo di studio e titolo di specializzazione, distinzione sulla quale è fondata la disciplina dettata dagli artt. 402 e 403 in relazione ai requisiti necessari per essere ammessi ai concorsi banditi per l'assegnazione di cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. In particolare mentre l'art. 402 richiede il possesso del solo titolo di studio, l'art. 403 stabilisce che "Per i concorsi a cattedre o a posti di insegnamento nelle scuole aventi particolari finalità, in aggiunta ai titoli di studio di cui all'articolo 402 è richiesto il titolo di specializzazione". L'art.485, quindi, nella parte in cui richiede, ai fini del riconoscimento del servizio non di ruolo, il possesso del solo titolo di studio, esprime una precisa scelta del legislatore di considerare unicamente quest'ultimo condizione imprescindibile ai fini della ricostruzione della carriera, scelta che per quanto attiene all'insegnamento di sostegno risulta in linea con l'intero impianto della normativa. Quest'ultima, si è detto, nel disciplinare le modalità di assegnazione delle cattedre in posti di sostegno, non richiede quale requisito necessario il possesso del titolo di specializzazione, perché consente, sia pure in via residuale, di assegnare alle stesse docenti, di ruolo o non di ruolo, privi del titolo specializzante, che costituisce, pertanto, un mero titolo di precedenza. 3.2. La valorizzazione del solo possesso del titolo di studio trova la sua ratio anche nella particolarità della funzione docente affidata all'insegnante di sostegno il quale, si è già rimarcato, assume la contitolarità dell'intera classe e partecipa alle attività didattiche e di programmazione che coinvolgono la totalità degli studenti, sicché si trova a svolgere contemporaneamente sia funzioni specificamente finalizzate all'integrazione scolastica del disabile, sia attività che trascendono il rapporto insegnante di sostegno/persona affetta da disabilità e coinvolgono l'intera comunità scolastica. E' pacifico che per gli insegnanti che svolgono unicamente dette ultime funzioni il servizio non di ruolo è riconosciuto sulla base del solo possesso del titolo di studio, sicché, evidentemente, l'art. 485 esprime anche la volontà del legislatore di nondifferenziare rispetto a questi ultimi gli insegnanti di sostegno che, seppure non in possesso del diploma di specializzazione, a pieno titolo assumono la contitolarità della classe alla quale sono assegnati. 3.3. Non si può, pertanto, riconoscere natura innovativa all'art. 7, comma 2, della L. n. 124 del 1999 perché la norma, seppure non qualificabile di interpretazione autentica, ha solo reso esplicito e chiarito un principio già desumibile dal precedente quadro normativo. Al riguardo si deve osservare che non è impedita al legislatore la produzione di una norma che, sia pure senza vincolare per il passato l'interprete e senza fare esplicito riferimento alla esegesi di una data disposizione, "produca fra le sue conseguenze, in virtù dell'unità ed organicità dell'ordinamento giuridico, anche quella di chiarire il significato di detta disposizione.." ( Cass. n. 2289/1974). L'interprete, quindi, all'esito di una comparazione fra il quadro normativo previgente e quello modificato, ben può escludere il carattere innovativo della disposizione e ritenere che il precetto, reso esplicito, fosse già desumibile dalla precedente disciplina (in tal senso in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014). 3.4. D'altro canto la tesi che dal carattere innovativo dell'art. 7, comma 2, della L. n. 124 del 1999 fa discendere la riconoscibilità del servizio non di ruolo solo se prestato, in assenza di specializzazione, negli anni scolastici successivi all'entrata in vigore della legge, finisce per introdurre una disparità di trattamento fra situazioni che non presentano alcun profilo di diversità quanto all'aspetto che le qualifica, ossia l'essere l'attività resa in difetto del titolo specializzante. Nella scelta fra le due opzioni interpretative deve, allora, essere preferita quella che non espone la norma al sospetto di incostituzionalità perché l'obbligo del giudice di addivenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione si arresta e cede il passo all'incidente di legittimità solo qualora l'interpretazione stessa "sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si riveli del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca" ( Corte Cost. n. 36/2016), evenienze, queste, che certo non ricorrono nella fattispecie.". Lo scrivente Giudice condivide la soluzione interpretativa adottata dalla Cassazione con la sentenza suddetta, riconoscendo la fondatezza della doglianza formulata dalla ricorrente circa il mancato riconoscimento dei servizi pre-ruolo sul sostegno per i periodi anteriori all'entrata in vigore della L. n. 124 del 1999. Invece, nella ricostruzione della carriera non può tenersi conto del servizio prestato dalla ricorrente presso istituti paritari, come emerge anche dal decreto di ricostruzione della carriera dove l'a.s. 1987/1988, sebbene anno intero di servizio, non è stato poi considerato nel calcolo finale in quanto servizio prestato presso scuola privata. La richiesta di parte ricorrente non può trovare riconoscimento in parte qua, poiché il giudice della nomofilachia ha chiarito che il servizio pre-ruolo prestato presso istituti scolastici paritari non è equipollente a quello prestato presso istituti statali ai fini della ricostruzione della carriera. Nella sentenza n. 32386/2019 la Corte di Cassazione ha enunciato infatti il principio secondo cui: "ai fini dell'inquadramento e del trattamento economico dei docenti non è riconoscibile il servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie in ragione della non omogeneità dello "status" giuridico del personale, che giustifica il differente trattamento, nonché della mancanza di una norma di legge che consenta tale riconoscimento, contrariamente a quanto avviene ai fini della costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato per il servizio prestato nelle scuole pareggiate oltre che in quelle materne statali e comunali". Il condivisibile percorso argomentativo della Suprema Corte prende le mosse dalla constatazione che la L. n. 62 del 2000 ha configurato il sistema nazionale di istruzione secondo un modello pluralistico integrato, in quanto costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e pubbliche degli enti locali. Con la nuova normativa il legislatore nazionale senza dubbio ha "inteso riconoscere all'insegnamento svolto nelle scuole paritarie private lo stesso valore di quello che viene impartito nelle scuole pubbliche, garantendo un trattamento scolastico equipollente agli alunni delle une e delle altre, da intendere tale equipollenza non solo con riguardo al riconoscimento del titolo di studio, ma anche con riguardo alla qualità del servizio di istruzione erogato dall'istituzione scolastica paritaria". Il predetto riconoscimento, però, non dà luogo ad una automatica equiparazione del rapporto di lavoro instaurato con una scuola paritaria con quello intercorrente con una scuola pubblica e dunque in regime di pubblico impiego privatizzato, "attesa la persistente non omogeneità dello status giuridico del personale docente, come si evince già dalla modalità di assunzione, che nel primo caso può avvenire al di fuori dei principi concorsuali di cui all'art. 97 Cost". In mancanza di una espressa norma di legge che sancisca la riconoscibilità del servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie, stante la non omogeneità delle posizioni professionali radicata sulla differente modalità di reclutamento dei docenti, viene meno la possibilità di una estensione in via interpretativa o analogica ai servizi di insegnamento pre-ruolo prestati presso le scuole paritarie della disciplina dettata dall'art.485 del D.Lgs. n. 297 del 1994, dall'art. 2 co. 2 della L. n. 333 del 2001 e dall'art. 2 del D.L. n. 370 del 1970 convertito con L. n. 576 del 1970, tutte disposizioni pur sempre riferibili a fattispecie riconducibili al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato. L'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 equipara invece, ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo, le scuole di istruzione secondaria ed artistica statali e quelle "pareggiate". L'equiparazione, però, si fonda su un presupposto che attiene proprio alle modalità di reclutamento dei docenti. Occorre ricordare, infatti, che prima della L. n. 62 del 2000 esistevano nell'ordinamento scolastico, accanto alle scuole statali, due tipologie di scuole private, quelle che rilasciavano titoli di studio non aventi valore legale e quelle, per l'appunto pareggiate, legittimate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale. Per la concessione del pareggiamento occorreva, tra l'altro, "che le cattedre fossero occupate da personale nominato, secondo norme stabilite con regolamento, in seguito ad apposito pubblico concorso, o che sia risultato vincitore, o abbia conseguito la votazione di almeno sette decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o pareggiate o in esami di abilitazione all'.insegnamento corrispondente, ovvero per chiamata, dal ruolo di scuole di pari grado, statali o pareggiate, ai sensi della lettera b) dell'articolo unico del R.D. 21 marzo 1935, n. 1118". Si trattava, dunque, di una modalità di reclutamento omogenea a quella dei docenti della scuole statali che non sussiste invece per le scuole paritarie ex L. n. 62 del 2000. Non è quindi giustificata, in assenza di una norma legislativa che lo consenta, la assimilazione delle scuole paritarie ex L. n. 62 del 2000 a quelle "pareggiate" di cui all'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994 ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo alla stessa stregua di quello prestato nelle scuole statali. Và anche tenuto in considerazione l'art. 1, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 122 del 2013 per cui non può essere considerato il servizio prestato nel 2013. Alla luce delle considerazioni in diritto che precedono lo scrivente Giudice ha onerato parte ricorrente di riformulare il calcolo dei giorni effettivi di servizi pre ruolo osservando i dettami della Suprema Corte n.31149/2019, sopra citata, per quanto riguarda il personale docente precario immesso in ruolo (cfr. ordinanza riservata del 17.05.2022 in atti). Nelle note d'udienza depositate in data 19.09.2022 la difesa attorea adempiendo all'ordinanza citata ed in ossequio ai principi in diritto esposti, tenendo in considerazione il prospetto riportato dall'Amministrazione convenuta nel decreto di ricostruzione della carriera, ha calcolato il servizio pre ruolo in anni 12 da cui ha detratto l'anno 2013, in quanto, ai sensi dell'art.1, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 122 del 2013, l'anzianità riconosciuta per effetto del servizio di insegnamento pre-ruolo prestato nell'anno 2013 non è utile alla maturazione delle posizioni stipendiali, giungendo, all'anno di immissione in ruolo 2014/2015, a determinare il servizio effettivo in anni 10, mesi 8 e giorni 12. Deve conseguentemente ritenersi che i servizi prestati dalla ricorrente presso istituti scolastici statali in forza di contratti a termine prima della assunzione a tempo indeterminato e rilevanti ai fini della ricostruzione di carriera sono pari ad anni 10, mesi 8 e giorni 12. Il decreto di ricostruzione di carriera prot n. (...) del 17.03.2016 (all. 1 al ricorso) ha invece riconosciuto alla ricorrente, in applicazione dell'art. 485 D.Lgs. n. 297 del 1994, una anzianità pre-ruolo, ai fini giuridici ed economici, di anni 9 e mesi 4 dunque inferiore a quella effettivamente maturata e calcolata secondo i criteri enunciati dalla Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata. La ricorrente ha pertanto subito un trattamento discriminatorio rispetto al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato, in violazione del principio di cui alla clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Deve conseguentemente disapplicarsi la norma interna confliggente di cui all'art. 485 D.Lgs. n. 294 del 1994 citato, con conseguente riconoscimento in favore di (...) di una anzianità pre-ruolo pari ad anni 10, mesi 8 e giorni 12. Per l'effetto, il Ministero dell'Istruzione deve essere condannato a collocare la ricorrente nella posizione stipendiale corrispondente alla anzianità effettivamente maturata, sia ai fini giuridici che economici. Nelle note di discussione depositate il 29.04.2022 la ricorrente, per il tramite del difensore munito di procura speciale, ha dichiarato di rinunciare ""agli atti, limitatamente alla parte della domanda (subordinata) per la quale si richiede ""...condannare, inoltre, per tutti i motivi esposti in narrativa, il MI al risarcimento del danno cagionato ai singoli ricorrenti a causa del mancato corretto recepimento nell'ordinamento nazionale della Direttiva 1999/70/CE, e comunque per l'ingiusta limitazione subita, danno da calcolarsi in misura pari alle somme che sarebbero state loro dovute, se correttamente inquadrati nella anzianità di servizio, in base al CCNL"" insistendo nel resto per l'accoglimento del ricorso. Orbene tale rinuncia deve essere correttamente qualificata come rinuncia alla domanda, anzi in particolare ad una parte di essa. La rinuncia alla domanda infatti "rientra fra i poteri del difensore (che in tal guisa esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell'impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato), distinguendosi così dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale, nelle forme rigorose previste dall'art. 306 cod. proc. civ., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte" (cfr. Cass. Civile sez. III del 04/02/2002, sent. n.1439) Secondo la giurisprudenza citata: "Diversamente, la rinunzia agli atti del giudizio può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale nelle forme rigorose previste dall'art. 306 c.p.c., e non produce effetto senza l'accettazione della controparte (Cass. 7 marzo 1998, n. 2572, che evidenzia, ancora, come la rinunzia alla domanda si contrapponga,altresì, anche alla disposizione negoziale del diritto in contesa, che costituisce esercizio di un potere sostanziale spettante come tale alla parte personalmente o al suo procuratore munito di mandato speciale siccome diretto a determinare la perdita o la riduzione del diritto stesso). In altri termini, la rinuncia a singoli capi della domanda rientra nella fattispecie di cui all'art. 184 c.p.c. (modifica della domanda) e non in quella di cui all'art. 306 stesso codice (rinuncia agli atti del giudizio) e non richiede pertanto l'osservanza di forme rigorose (Cass. 10 aprile 1998, n. 3734; Cass. 30 gennaio 1998, n. 946; Cass. 28 gennaio 1995, n. 1047)". Non controverso, in diritto, quanto precede, è palese che, nella specie, nonostante i termini impropri utilizzati dalla difesa attorea si è di fronte ad una rinunzia a un capo di domanda e non di rinunzia agli atti del giudizio per il perfezionarsi della quale non è affatto necessario nè una manifestazione di volontà della parte rappresentata nè l'accettazione della controparte (cfr. conf. Cass. Civ. sent. N. 23749/2011). Inoltre, sempre in merito a tale rinuncia, la giurisprudenza di legittimità ha precisato: "costituisce consolidato orientamento di questa Corte (cfr., e pluribus e tra le ultime, sentt. nn. 2268 del 1999 e 5390 del 2000), integralmente condiviso dal Collegio, quello, secondo cui la rinuncia all'azione - a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, che, per avere efficacia, deve essere accettata nei modi prescritti dal codice di rito (art. 306) - preclude ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall'accettazione dell'altra parte, perché, estinguendo l'azione stessa, assume l'efficacia di una pronuncia di rigetto, nel merito, della domanda e fa, quindi, venir meno l'interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio, al fine di ottenere una pronuncia negativa sull'azione proposta (e rinunciata); - che, conseguentemente, la pronuncia di cessazione della materia del contendere, per intervenuta rinuncia all'azione, si raccorda a quest'ultima sulla base di un tipico rapporto causa - effetto" (cfr. Cass. n. 1112 del 1982, 808 e 5286 del 1993)" (cfr. Cass. Civ. sez. I, del 10/09/2004, sent. n.18255) Alla luce di ciò, con riferimento alla domanda di risarcimento del danno, va pertanto dichiarata cessata la materia del contendere per rinuncia della parte ricorrente alla stessa, cui segue l'omesso esame delle eccezioni sollevate dal Ministero con riferimento a tale domanda. Atteso l'esito della lite con rinuncia ad un capo che della domanda che equivale a rigetto del ricorso, le spese del giudizio possono essere compensate nella misura della metà; il Ministero comunque soccombente deve essere condannato al pagamento in favore della parte ricorrente della metà delle spese di lite come liquidate in dispositivo, tenuto conto della serialità del contenzioso, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, il Tribunale di Terni, in funzione di Giudice del lavoro, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - Disapplicata la normativa interna legale e contrattuale per contrasto con la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva del consiglio dell'unione europea 28 giugno 1999/70/CEE, dichiara che la ricorrente (...) alla data dell'immissione in ruolo del 1.09.2014 aveva maturato un servizio pre-ruolo di anni 10, mesi 8 e giorni 12, integralmente valutabili a fini giuridici ed economici; - Per effetto della pronuncia di cui al capo che precede condanna il convenuto Ministero dell'Istituzione al riconoscimento dei medesimi per intero in sede di ricostruzione della carriera, ai fini giuridici ed economici, in conformità al predetto riconoscimento integrale dell'anzianità di servizio pre-ruolo, come accertato nella parte motiva; - dichiara cessata la materia del contendere per rinuncia della parte ricorrente alle ulteriori domande; - Compensa tra le parti le spese di lite nella misura della metà; - Condanna il Ministero dell'Istruzione al pagamento in favore di parte ricorrente della metà delle spese di lite che liquida in Euro 700,00 per compensi professionali ed Euro 24,50 per spese vive, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Così deciso in Terni il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI TERNI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice dott. Tommaso Bellei, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2594 R.G.A.C. dell'anno 2017 promossa DA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) presso il cui studio in Pomigliano d'Arco, alla (...), elettivamente è domiciliato PARTE OPPONENTE CONTRO (...) - SOCIETÀ' COOPERATIVA (C.F. (...)), ora (...) SOCIETÀ COOPERATIVA, con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata in Terni, Via (...) presso lo Studio dell'Avv. (...) PARTE OPPOSTA OGGETTO: Contratti bancari. CONCLUSIONI All'udienza del 24/05/2022 le parti hanno concluso come risulta dal verbale d'udienza qui richiamato e trascritto. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso per decreto ingiuntivo, la (...) società cooperativa in proprio e quale procuratore speciale e mandataria di (...) spa (già (...) SPA - (...) SPA) esponeva che: - 1) con apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria a S.A.L. in POOL del 22/01/2010 a rogito Notaio (...) registrato telematicamente il 27/01/2010 rep.n. 1751 le banche partecipanti (...) Banca di Credito Cooperativo società cooperativa - (...) Banca per il Leasing delle (...) spa - (...) società cooperativa, hanno concesso a (...) S.R.L. con sede in Città della Pieve Via (...) in persona di (...) nato a Napoli il (...), in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società, una apertura di credito in conto corrente fondiario a s.a.l. sino alla concorrenza di Euro 2.400.000,00 per le rispettive quote di: (...) Euro 240.000,00 - Banca (...) spa Euro 1.440.000,00 - (...) Euro 720.000,00 da utilizzare nelle forme in uso presso le banche partecipanti ed avente durata 36 mesi sino al 31/03/2010 al tasso nominale annuo del 3,20% - A garanzia della somma finanziata, dei relativi accessori e di tutte le obbligazioni derivanti dal contratto la (...) srl ha concesso ipoteca sui seguenti beni immobili: DESCRIZIONE DIRITTI DI PIENA PROPRIETA' Unità immobiliari nel Comune di Città della Pieve, località (...) e precisamente: - Appezzamenti di terreno edificabile della superficie complessiva di mq.3995 costituenti il lotto 1 (p.lla (...) del foglio (...)), 3 (p.lla (...) del foglio (...)), e 6 (p.lla (...) del foglio (...)) della lottizzazione denominata "(...)" approvata dal Comune di Città della Pieve con deliberazione del Consiglio Comunale n.79 del 22/9/2006, con sovrastanti edifici in corso di costruzione, confinanti nel loro insieme con Strada Vicinale di Coposodo, Via (...), area collinare. Il tutto individuato all'Ufficio del Territorio di Perugia Catasto Terreni del Comune di Città della Pieve con i seguenti dati catastali: DATI CATASTALI - Fol 46, p.lla (...), are 14.91, seminativo di classe 3, R.D. Euro 6,16, R.A. Euro 6,93; - Fol 46, p.lla (...), are 18.69, vigneto di classe 2, R.D. Euro 13,05, R.A. Euro 8,69 - Fol 46, p.lla (...), are 06.35, vigneto di classe 2, R.D: Euro 4,43, R.A. Euro 2,95; - Con il medesimo atto si sono costituiti fidejubenti per tutte le obbligazioni assunte dalla parte correntista la società (...) srl in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante Sig. (...), il Sig. (...) nato a Napoli il 10/06/1964 in proprio, e il Sig. (...) nato a Napoli il 04/04/1965 sino a concorrenza di Euro 3.600.000,00; - 2) Con apertura di credito in conto corrente con ipoteca fondiaria a S.A.L. in POOL del 18/02/2014 a rogito Notaio (...) registrato a Perugia il 18/02/2014 le banche partecipanti (...)-(...) società cooperativa - (...) SPA - già (...) (...) spa, hanno concesso a (...) S.R.L. con sede in Città della Pieve Via (...) snc in persona di (...) nato a Napoli il 10/06/1964, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società, una apertura di credito in conto corrente fondiario a s.a.l. sino alla concorrenza di Euro 500.000,00 per le rispettive quote di: (...) Euro 50.000,00 - (...) spa Euro 300.000,00 - (...) Euro 150.000,00 da utilizzare nelle forme in uso presso le banche partecipanti ed avente durata 19 mesi sino al 18/09/2015 al tasso nominale annuo al momento della stipula del 3,20% - A garanzia della somma finanziata, dei relativi accessori e di tutte le obbligazioni derivanti dal contratto la (...) srl ha concesso ipoteca sui seguenti beni immobili: DESCRIZIONE DIRITTI DI PIENA PROPRIETA' Unità immobiliari nel Comune di Città della Pieve, località (...) e precisamente: - Appezzamenti di terreno edificabile della superficie complessiva di mq.3995 costituenti i lotto 1 in via (...) (p.lla (...) del foglio (...)) con edificio trifamiliare e relativi accessori e pertinenze; il lotto 3 (p.lla (...) del foglio (...)) costituito da edificio condominiale, costituito da 23 unità abitative e 26 box auto ed un locale sgombero; ed il lotto 6, in prossimità di Via (...) (p.lla (...) del foglio (...)) costituito da edifico a schiera, composto da 7 contigue unità, tutti della lottizzazione denominata "(...)" approvata dal Comune di Città della Pieve con deliberazione del Consiglio Comunale n.79 del 22/9/2006, in corso di completamento ed accatastamento, confinanti nel loto insieme con strada (...), via (...), area collinare. Il tutto individuato all'Ufficio del Territorio di Perugia Catasto Terreni del Comune di Città della Pieve con i seguenti dati catastali: DATI CATASTALI - Fol (...), p.lla (...), are 06.35, vigneto di classe 2, R.D. Euro 4,43, R.A. Euro 2,95 - Fol (...), p.lla (...), are 18.69, vigneto di classe 2, R.D. Euro 13,05, R.A. Euro 8,69 - Fol (...), p.lla (...), are 14.91, seminativo di classe 3, R.D. Euro 6,16, R.A. Euro 6,93; - Con il medesimo atto si sono costituiti fidejubenti per tutte le obbligazioni assunte dalla parte correntista la società (...) srl in persona dell'Amministratore Unico e legale rappresentante Sig. (...), il Sig. (...) nato a Napoli il 10/06/1964 in proprio, e il Sig. (...) nato a Napoli il 04/04/1965 sino a concorrenza di Euro 750.000,00- dette Banche, a seguito degli atti sopra descritti, sono creditrici della "(...) S.R.L." con sede in Città della Pieve Via (...) snc in persona dell'Amministratore Unico Sig.(...) nato a Napoli il 10/06/1964 delle seguenti somme: - SUB.1) Apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria a S.A.L. in Pool rep.n.1751 del 22/01/2010 - saldo debitore c/c n.7654 (...) - in linea capitale Euro 263.538,09 -saldo debitore c/c n.290 (...) - già (...) in linea capitale Euro 1.587.546,02 per un totale di Euro 1.851.084,11 - SUB.2) Apertura di credito in conto corrente con ipoteca fondiaria a S.A.L. in Pool rep.n.4892 del 18/02/2014 -saldo debitore c/c n.8454 (...) - in linea capitale Euro 34.213,82 -saldo debitore c/c n.479 (...) - in linea capitale Euro 226.123,17 per un totale di Euro 260.336,99 - SUB.1-SUB.2) -saldo debitore c/c n. 69300 (...) società cooperativa - in linea capitale Euro 899.469,74 TOTALE COMPLESSIVO Euro 3.010.890,84; - il finanziamento di cui all'apertura di credito del 22/01/2010 è stato integralmente effettuato. La parte correntista affidata ha omesso in toto di effettuare il rimborso del finanziamento contratto il 22/01/2010 violando le disposizioni contrattuali e legittimando il recesso e la decadenza dal beneficio del termine. - Il finanziamento di cui all'apertura di credito del 18/02/2014 è stato effettuato mentre la parte correntista affidata ha omesso in toto di effettuare il rimborso del finanziamento contratto il 18/02/2014. - Con lettera del 30/06/2016, (...) quale Banca capofila ha comunicato alla società debitrice e ai garanti il recesso dei contratti di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria di cui ai punti sub.1 e sub.2 con contestuale invito al saldo ma senza esito. - La società debitrice versa in stato di insolvenza e la ricorrente, in proprio e nella qualità, ha urgenza di canonizzare il credito per garantirsi adeguatamente, anche mediante iscrizione di ipoteca giudiziale, e poiché sussistono gli estremi di legge per la emissione di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per il pericolo di grave pregiudizio nel ritardo e ex art. 642 I comma in quanto il credito si fonda su atti ricevuti da Notaio; - Con decreto n. 740/2017, questo Tribunale ingiungeva quindi alla (...) S.R.L., alla (...) S.R.L., nonché a (...) e (...) di pagare, in solido, alla parte ricorrente per le causali di cui al ricorso, immediatamente 1. la somma di Euro 3010890,84; 2. gli interessi come da domanda; 3. le spese di questa procedura di ingiunzione, liquidate in Euro 5440,50 per compenso, in Euro 84.3,00 per esborsi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. ed oltre alle successive occorrende. Ciò posto, con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo n. 740/2017, (...), in qualità di fideiussore, conveniva in giudizio la (...) società cooperativa rassegnando - per i motivi vi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Terni, in persona del Giudice designato alla procedura, contrariis rejectis, così giudicare. In via preliminare: A) Previa valutazione del fumus della presente opposizione, ricorrendone gravi motivi, disporre ex art. 649 c.p.c., inaudita altera parte e/o previa fissazione di apposita udienza, la sospensione della provvisoria esecutorietà dell'impugnato decreto ingiuntivo; In via preliminare e pregiudiziale: B) Accertare e dichiarare ex artt. 28 e 29 c.p.c. l'incompetenza territoriale del Tribunale di Terni nell'emissione dell'ingiunzione di pagamento e, per l'effetto revocare il D.I. n. 740/2017, con sentenza ed invito alla riassunzione della procedura nei termini di legge innanzi al Tribunale di Roma quale foro convenzionale esclusivo, almeno con riguardo alla garanzia prestata relativamente alla seconda apertura di credito in conto corrente; Sempre in via preliminare e nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della preliminare eccezione d'incompetenza: C) All'esito della decisione sulla competenza territoriale da adottarsi in prima udienza di comparizione, rilevata l'improcedibilità del presente giudizio, sospenderne lo svolgimento nel merito, per l'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione ex art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010, vertendosi in materia di contratti bancari; Nel merito: D) Accertare e dichiarare ex artt. 1175,1337,1338,1366,1418 e 1495 c.c. la nullità del contratto di finanziamento del 18/02/2014 per contrarietà del comportamento delle concedenti alla buona fede, lealtà e correttezza in contrahendo; E) Accertare e dichiarare ex artt. 1175,1337,1338,1366,1418 e 1956 c.c. la nullità della fideiussione prestata dall'opponente relativamente alla somma di Euro 500.000,00 di cui al contratto di finanziamento del 18/02/2014 per contrarietà ai principi di correttezza, buona fede e lealtà nella conclusione del contratto fideiussorio da parte degli istituti bancari; F) Accertare e dichiarare ex art. 1283 c.c. gli inadempimenti nell'esecuzione del contratto posti in essere dalle banche concedenti come meglio descritti in narrativa sub nn. 3 e 4 e, per l'effetto, dichiarare inefficaci ex artt. 1375 e 1956 c.c. le fideiussioni prestate dall'opponente relativamente ad entrambi i contratti di finanziamento; G) Revocare l'opposto decreto ingiuntivo ex artt. 1832 e 2697 c.c., nonché 119 co. 3 t.u.b., per carenza dei requisiti del credito di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. ed inidoneità della prova offerta dalla ricorrente; H) In ogni caso e/o conseguentemente, dichiarare nullo e/o annullabile, inefficace e, comunque, privo di giuridico effetto e conseguentemente revocare l'impugnato decreto ingiuntivo, tenendo indenne l'opponente da qualsivoglia pretesa creditizia avversaria; I) In via gradata, revocare l'opposto decreto ingiuntivo e determinare, previa rettifica del saldo contabile anche all'esito di C.T.U. contabile, per tutti i conti impugnati, l'effettivo dare - avere aggiungendo al capitale effettivamente erogato nel tempo dalle banche concedenti gli interessi al saggio legale semplice, con esclusione di qualsiasi altra remunerazione del capitale; L) In ogni caso, accertarsi e dichiararsi il diritto di regresso di surroga dell'odierno opponente nei confronti di tutti i coobbligati principali ed in garanzia; M) Con vittoria di spese documentate e compenso all'avvocato patrocinante come previsti dal D.M. n. 55/2014, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% (art. 2 D.M. 55/14), c.p.a. al 4%, i.v.a. al 22% e successive spese occorrende, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.". In sostanza, la parte opponente deduceva quanto di seguito: - 1) incompetenza territoriale del Tribunale di Terni in favore del Tribunale di Roma in relazione al secondo contratto di finanziamento come previsto dall'art. 13 del medesimo contratto; - 2) improcedibilità della domanda proposta dalla ricorrente per mancato esperimento della mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010; - 3) nullità del contratto di finanziamento del 18/02/2014 ex artt. 1175, 1337, 1338, 1366 e 1418 c.c. in assenza dei criteri di meritevolezza del credito in capo alla correntista conosciuti dalla concedente in relazione al contratto di credito in c/c del 18/02/2014, rep. n. 4892 - Nullità della fideiussione ad esso relativa per violazione degli artt. 1175, 1337, 1338, 1366, 1418 e 1956 c.c.; a sostegno del proprio motivo parte opponente esponeva che non tutto il concesso è stato erogato ed i lavori si sono fermati al 93% del loro completamento nell'agosto del 2015 così come si può evincere dalla perizia giurata redatta dal tecnico nominato dalle banche stesse. La perizia attesta che i lavori eseguiti al costo ed al netto del valore del suolo sono decisamente superiori a quanto dalle banche erogato ed ammontano ad un valore pari ad Euro 5.000.000,00 circa. Con il suo comportamento la banca ha agito in aperta violazione dei principi di buona fede, lealtà e correttezza in contraendo ed ha contribuito al sovra-indebitamento della correntista; ne consegue ex artt. 1175, 1337, 1338, 1366 e 1418 c.c., la nullità del contratto di finanziamento, di cui pertanto ex art. 1495 c.c. si chiede l'accertamento con conseguente revoca del decreto ingiuntivo emesso. Né tali informazioni sono state trasmesse al fideiussore al momento della sottoscrizione dell'accessoria garanzia (contratto di finanziamento del 2014), aspetto questo che si pone in aperta violazione con il dovere ex art. 1956 c.c. di esposizione delle condizioni economico-finanziarie in cui versa il debitore principale. Nel caso di specie il garante Sig. (...) non era a conoscenza delle difficoltà economico-finanziarie in cui versava il debitore principale anche in considerazione del fatto che tali indicazioni erano rinvenibili soprattutto da un'approfondita analisi dei dati presenti nella Centrale Rischi - Banca d'Italia, informazioni queste in possesso invece delle banche concedenti e che già testimoniavano, nei mesi antecedenti la concessione del nuovo credito e quindi per tutto il 2013 un chiaro stato di difficoltà finanziaria della (...) s.r.l., visti gli sconfinamenti cronici della correntista nel rimborso del finanziamento mediante ratei di pagamento perduranti anche oltre i 180 giorni. La copertura fideiussoria relativa alla seconda apertura di credito in c.c. con garanzia ipotecaria a S.A.L. è avvenuta in violazione dei principi di correttezza e buona fede. La stessa concessione di credito è avvenuta senza che le banche concedenti abbiano adeguatamente informato il fideiussore circa il peggioramento delle condizioni economico-finanziarie del debitore principale, violazioni che inducono alla nullità della garanzia come da disposizioni ex artt. 2 Cost., 1175, 1337, 1338, 1366, 1418 e 1956 c.c. - 4) Accessorietà delle fideiussioni ai contratti di finanziamento - Violazione dell'art. 1283 c.c. - Contestazione del credito ingiunto e del suo ammontare - Illegittima capitalizzazione degli interessi anatocistici - Illegittimità delle fideiussioni ex artt. 1375 e 1956 c.c. A sostengo del proprio motivo, la parte opponente denunciava l'applicazione da parte delle Banche finanziatrici della capitalizzazione degli interessi in violazione dell'art. 1283 c.c. come da relazione econometrica svolta e redatta dal consulente finanziario Dott. (...), allegata alla presente opposizione; nell'ambito dell'intercorso rapporto con la correntista, infatti, gli istituti bancari concedenti, pur prevedendo contrattualmente le disposizioni di capitalizzazione su base trimestrale hanno poi posto in essere procedimenti che configurano la tipica fattispecie di anatocismo espressamente vietata dalla legge, concretizzatasi per effetto delle violazioni, sia formali che sostanziali, nella condizione di capitalizzazione annuale. Orbene, per i soprandicati motivi di diritto il saldo a valere sui conti correnti per cui è causa andrà ricalcolato espungendo la capitalizzazione degli interessi e, in ogni caso, depurando il conto dagli effetti anatocistici anche occulti, ricostruendo inoltre l'intero rapporto per cui è causa senza sottoporre gli interessi e gli altri oneri accessori a debito, come invece fatto dalla ricorrente. Con riguardo al caso di specie, devono pertanto considerarsi illegittime le capitalizzazioni trimestrali avvenute dal 2014 e ritenersi improprie tutte le capitalizzazioni annuali riscontrate nei rapporti di conto corrente prodotti dalla ricorrente. Con riguardo alla di fideiussione rilasciata dall'opponente, la mala fede in contraendo della convenuta banca nella determinazione ed applicazione del costo effettivo applicato agli impugnati rapporti, determina altresì l'inefficacia delle garanzie fideiussorie rilasciate in favore della correntista - 5) Contestazione delle somme ingiunte - Carenza dei requisiti di cui all'art. 633 e ss. c.p.c. e del requisito di cui all'art. 642 c.p.c. nella documentazione prodotta dalla ricorrente (lettere di apertura di credito, documenti di sintesi, estratti conto, ecc.): violazione degli artt. 1832 c.c., 2697 c.c. e 119, 3 co. t.u.b. Secondo l'opponente, dagli atti notarili emerge in maniera incontrovertibile che la correntista e gli obbligati in solido sono debitori nei confronti della ricorrente della complessiva somma pari ad Euro 2.900.000,00 (ossia Euro 2.400.000,00 relativamente al primo finanziamento ed Euro 500.000,00 relativamente al secondo finanziamento), mentre le somme richieste dalla ricorrente ed ingiunte dal Giudice adito sono pari ad Euro 3.010.890,84 oltre interessi. Ma, per ciò che attiene al quantum, ossia alla corretta determinazione del credito, parte ricorrente non si avvale solo dei citati atti notarili, bensì di un calcolo unilateralmente realizzato sulla base di estratti conto e documenti di sintesi che in assenza di prova della loro comunicazione alla correntista (che per l'appunto parte ricorrente non ha fornito), sono e restano documenti di parte, confezionati unilateralmente. La documentazione presa in visione mostra con evidenza un vuoto documentale per quanto concerne i rapporti di credito intrattenuti tra la (...) S.p.A. e la (...). In particolare, la parte creditrice ha omesso di allegare la documentazione di conto che possa permettere di verificare le movimentazioni intercorse dal 01/04/2016 al luglio del 2016, nei conti n. 290 e n. 479 ((...)). Tale vuoto non permette un pieno riscontro dei saldi richiesti. In particolare non è possibile rinvenire, nel fascicolo monitorio, idonea documentazione sottesa all'importo di Euro 1.587.546,02 (c/c 290) ed all'importo di Euro 226.123,17 (c/c 479) richiesti dalla (...) per conto di (...). Inoltre da un'approfondita analisi delle movimentazioni relative al conto 8454 ((...)) non si riscontrano gli importi ingiunti, pari ad Euro 34.213,82, somme - quest'ultime - non rilevabili né ricostruibili dalla documentazione allegata al fascicolo. Con comparsa di risposta si costituiva in giudizio la (...) società cooperativa rassegnando - per i motivi vi dedotti, qui richiamati e trascritti - le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ecc.mo Giudice adito, contariis rejectis, in via preliminare - rigettare la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto e pertanto confermare la p.e. del decreto; - rigettare le eccezioni avversarie relative alla presunta incompetenza del Tribunale di Terni per tutto quanto dedotto ed eccepito nel corpo del presente atto; in ogni caso - rigettare tutte le eccezioni e domande avversarie e pertanto rigettare integralmente la opposizione avversaria confermando il decreto ingiuntivo opposto e per l'effetto condannare il Sig. (...), nato a Napoli il (...) e domiciliato in Giugliano in Campania (NA) Via (...) (cf (...)), insieme ed in solido con (...) Srl, (...) Srl, (...), a pagare in favore di (...), in proprio e nella sua qualità, come rappresentata e domiciliata, la somma complessiva di Euro. 3.010.890,84 oltre interessi: - al tasso del 3,20% - comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore - dal 25/07/2016 al soddisfo sulla somma di Euro. 263.538,09; - al tasso del 5,20% - comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore- dal 01/07/2016 al soddisfo sulla somma di Euro. 1.587.546,02 - interessi al tasso del 3,20% - comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore- dal 29/07/2016 al soddisfo sulla somma di Euro. 34.213,82; - al tasso del 4,00% -comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore - dal 01/07/2016 al soddisfo sulla somma di 226.123,17; - al tasso del 5,00%-comunque contenuto nei limiti del tasso soglia via via vigente qualora inferiore- dal 01/07/2016 al soddisfo sulla somma di 899.469,74 oltre spese della procedure e successive occorrende. Con vittoria di spese, funzioni onorari di giudizio". Con ordinanza del 23.02.2018, il Giudice rigettava l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto ed assegnava alle parti termine per l'introduzione del procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda, rinviando la causa all'udienza del 5 luglio 2018; con successiva ordinanza del 24.01.2019 il giudice concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e, con ordinanza del 1.12.2019, rigettava le richieste istruttorie formulate dall'opponente rinviando per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 13.02.2020. Con successiva ordinanza il Giudice onorario Dott.ssa Scarpa, rilevati i propri limiti giurisdizionali (cause di valore superiore ad Euro 50.000,00), rimetteva la causa alla Presidente del Tribunale per ogni valutazione. Assegnato il procedimento allo scrivente in data 21.02.2020, il giudizio veniva rinviato all'udienza del 16.3.2021 per la precisazione delle conclusioni. Con comparsa di costituzione e risposta del 29.12.2020 la BANCA (...), Banca risultante dalla fusione per incorporazione di (...) in (...), si costituiva in giudizio in luogo di (...) SOCIETA' COOPERATIVA ai fini della prosecuzione del giudizio, riportandosi a tutti gli atti, le istanze, difese, eccezioni e deduzioni svolte precedentemente da (...). All'udienza del 16.03.2021, tenutasi con modalità trattazione scritta, il Giudice, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti e rilevato che il procedimento era stato istruito da altro giudicante e ritenuto quindi opportuno valutare la richiesta formulata da parte opponente di revoca dell'ordinanza emessa in data 01/12/2019, riservava la decisione e, con ordinanza del 21.05.2021, ritenuto opportuno disporre una consulenza tecnico-contabile unicamente in merito alla capitalizzazione attiva e passiva applicata ai rapporti oggetto del giudizio a decorrere dall'1 gennaio 2014, proponeva, impregiudicato il merito della causa, il pagamento da parte di (...) in favore della parte opposta della somma onnicomprensiva di euro 2.500.000,00, oltre il pagamento di euro 15.000,00 a titolo di compenso di avvocato, oltre IVA e CAP; veniva poi fissata l'udienza del 13 luglio 2021 per sentire le parti e, preso atto della mancata accettazione di parte opponente, il giudizio veniva rinviato per il conferimento dell'incarico al C.T.U. Con ordinanza del 30/12/2021 veniva affidata e disposta la CTU al dott. (...) che, in data 24.03.2022, depositava la propria relazione definitiva. All'udienza del 24/5/2022 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. 2.1. In via preliminare deve essere esaminata l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Terni in favore del Tribunale di Roma in relazione al secondo contratto di finanziamento come previsto dall'art. 1.3 del medesimo contratto. L'eccezione è infondata. Al riguardo, deve convenirsi con quanto affermato dalla Suprema Corte secondo cui "In tema di competenza territoriale, il foro convenzionale, anche se pattuito come esclusivo, è derogabile per connessione oggettiva ai sensi dell'art. 33 c.p.c., sicché la parte che eccepisce l'incompetenza del giudice adito, in virtù della convenzione che attribuisce la competenza esclusiva ad altro giudice, ha l'onere di eccepirne l'incompetenza pure in base ai criteri degli artt. 18 e 19 c.p.c., in quanto richiamati dall'art. 33 c.p.c. ai fini della modificazione della competenza per ragione di connessione" (cfr. Cass. n. 26910/20). (Regola competenza) Nel caso di specie se, da una parte, all'art. 13 del contratto di apertura credito del 18/02/2014 veniva previsto il foro esclusivo del Tribunale di Roma, dall'altra, sussiste un'evidente connessione oggettiva con la controversia avente ad oggetto il contratto di apertura di credito sottoscritto dalle stesse parti in data 22/01/2010 al fine di realizzare il complesso residenziale sito in Città della Pieve ivi indicato e costituente lo stesso "scopo" che ha determinato le parti a sottoscrivere il citato finanziamento del 2014. A ciò si aggiunga che, comunque, non sussistono dubbi sul fatto che la competenza territoriale di questo Tribunale risulta non solo dall'art. 13 del contratto di apertura di credito del 22/01/2010 ma anche dal chiaro disposto dell'art. 19 c.p.c. atteso che la società mutuataria - (...) - ha la propria sede legale in Città della Pieve che, al momento del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, apparteneva ancora al circondario di questo Tribunale (cfr. art. 1 della legge n. 222/2017, entrata in vigore in data 2/2/2018, che ha inserito i Comuni di Città della Pieve, Paciano e Piegaro nel circondario del Tribunale di Perugia). 2.2. In relazione all'eccezione di improcedibilità deve darsi atto dell'avvenuto espletamento della procedura di mediazione in corso di giudizio. 2.3. In relazione all'eccezione di nullità del contratto di finanziamento del 18/02/2014 ex artt. 117.5, 1337, 1338, 1366 e 1418 c.c. poiché stipulato in assenza dei criteri di meritevolezza del credito in capo alla correntista conosciuti dalla concedente in relazione al contratto di credito in c/c del 18/02/2014, rep. n. 4892 si osservi quanto di seguito. Analogamente infondata è l'eccezione sollevata dagli opponenti in merito alla invocata liberazione del fideiussore per obbligazione futura ai sensi dell'art. 1956 c.c. in violazione del principio di buona fede in sede di esecuzione del contratto. Come affermato da una condivisibile pronuncia della Suprema Corte, la norma di cui all'art. 1956 c.c. non si applica quando il fideiussore è socio della società garantita: la ratio dell'art. 1956 c.c. infatti è quella di tutelare il fideiussore inconsapevole, mentre il socio, in quanto tale, deve essere sempre informato delle condizioni economiche della società e attivarsi per impedire la negativa gestione sella società stessa (cfr. doc. contabile allegata da parte opposta). Secondo la Corte di Cassazione, infatti, "Il socio che abbia prestato fideiussione per ogni obbligazione futura di una società a responsabilità limitata, esonerando l'istituto bancario creditore dall'osservanza dell'onere impostogli dall'art. 1956 c.c., non può invocare, per ottenere la propria liberazione nonostante la sottoscritta clausola di esonero, la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del creditore per avere quest'ultimo concesso ulteriore credito alla società benché avvertito dallo stesso fideiussore della sopravvenuta inaffidabilità di quest'ultima a causa della condotta dell'amministratore. In tale situazione, infatti, per un verso, non è ipotizzabile alcun obbligo del creditore di informarsi a sua volta e di rendere edotto il fideiussore, già pienamente informato, delle peggiorate condizioni economiche del debitore e, per altro verso, la qualità di socio del fideiussore consente a quest'ultimo di attivarsi per impedire che continui la negativa gestione della società (mediante la revoca dell'amministratore) o per non aggravare ulteriormente i rischi assunti (mediante l'anticipata revoca della fideiussione)" (Cass. 2902/2016). Nel caso di specie, risulta per tabulas, oltreché non contestato tra le parti, che l'odierno opponente era socio dalla debitrice principale (cfr. doc. 8 allegato al ricorso monitorio); a ciò si aggiunga, comunque, che la contestazione dell'opponente è del tutto generica ex art. 2697 c.c. non avendo dimostrato che, successivamente alla prestazione della fideiussione, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito alla debitrice principale, pur essendo consapevole dell'intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (fra le tante, Cass., n. 2524/2006). 2.4. e 2.5. In relazione all'illegittima capitalizzazione degli interessi anatocistici asseritamente applicata dalle mutuatarie ed all'asserito difetto di prova del credito ingiunto si osservi quanto di seguito. Invero, la parte opponente, da una parte, ha ammesso che i rapporti contrattuali oggetto di esame prevedono espressamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e passivi ma, dall'altra, ha affermato del tutto genericamente che, nel concreto, la parte opposta avrebbe effettuato annualmente la capitalizzazione degli interessi. Tale censura è rimasta del tutto indimostrata non avendo parte opponente fornito alcun dato oggettivo di supporto; nemmeno la perizia econometrica allegata all'atto di opposizione riporta alcun dato al riguardo ma si limita ad affermare, del tutto genericamente, che "...Nell'ambito degli intercorrenti rapporti, infatti, gli istituti convenuti pur prevedendo contrattualmente le disposizioni di capitalizzazione su base trimestrale hanno posto in essere procedimenti che configurano la tipica fattispecie di anatocismo espressamente vietata dalla legge, concretizzatasi per effetto delle violazioni, sia formali che sostanziali, della condizione di capitalizzazione annuale..." (cfr. doc. 10 atto di opposizione). Invece, la capitalizzazione degli interessi applicata a far data del 1° gennaio 2014 fino alla data di estinzione dei rapporti bancari oggetto di causa (25/7/2016) deve invece ritenersi illegittima atteso che l'art. l, comma 629, della L. n. 147 del 2013 ha modificato l'art. 120 TUB vietando con effetti ex nunc l'applicazione della capitalizzazione anche ai rapporti in corso di causa (sulla immediata applicabilità del divieto di anatocismo v. l'ampia motivazione, che questo giudice condivide avuto particolare riguardo alla ratio legis, di Trib. Milano, sez. VI, 25 marzo 2015 e Trib. Roma, 20 ottobre 2015). Pertanto, in risposta a quesito posto, il CTU, sulla base degli estratti disponibili (dall'apertura dei conti sino al 25/7/2016, cfr. integrazione documentale di parte opposta con la propria comparsa di riposta ad integrazione di quanto depositato con il ricorso per decreto ingiuntivo) e con accertamento motivato ed esente da vizi logici, ha quantificato gli interessi addebitati in eccesso dalla banca sui conti correnti oggetto di causa per una somma complessiva pari ad euro 11.389,70 (cfr. rel. CTU, allegato n. 6). Deve quindi procedersi alla rideterminazione del credito vantato da parte opposta che si quantifica nella somma di euro .3.002.440,55, oltre interessi di mora dal 25/7/2016 al tasso convenuto fra le parti sino al soddisfo. 2.6. Infine, le censure afferenti alla violazione dell'art. 1957 c.c. devono invece ritenersi del tutto tardive perché addirittura avanzate oltre lo sbarramento delle preclusioni assertive (cfr. Cass. n. 8989/2012 secondo cui "La prima udienza di trattazione e le memorie, di cui all'art. 183 cod. proc. civ., possono essere utilizzate solo per precisare le domande e le eccezioni già formulate, e non per introdurre nel giudizio nuovi temi di indagine, che non siano conseguenza diretta delle difese avversarie. Ne consegue che il fideiussore, nell'opporsi al decreto ingiuntivo contro di lui ottenuto dal creditore garantito, non può eccepire nel corso del giudizio la decadenza di questi per mancato esercizio del diritto contro il debitore principale, ai sensi dell'art. 1957 cod. civ., se nell'atto di citazione in opposizione si sia limitato ad invocare l'invalidità del contratto di fideiussione"). 3. Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate secondo i valori medi previsti dal DM n. 55/2014, ridotti non oltre il 50% attesa la non particolare complessità delle questioni trattate. Le spese di CTU sono poste a carico della parte opponente che ne ha dato causa. P.Q.M. Il Tribunale di Terni, definitivamente pronunciando, ogni diversa eccezione, istanza e deduzione disattesa, così provvede: 1) Revoca il decreto ingiuntivo n. 740/2017 emesso da questo Tribunale in data 17 luglio 2017 (R.G. n. 1956/2017); 2) Accerta che, con riferimento ai rapporti bancari oggetto di causa (cfr. indicazione rel. CTU in atti, pag. 3) sussiste al 25/7/2016 un saldo passivo pari ad euro 3.002.440,55, oltre interessi di mora al tasso convenuto fra le parti e, quindi, un pari credito in favore della (...) società cooperativa (ora (...)) in proprio e quale procuratore speciale e mandataria di (...) spa (già (...) SPA - (...) SPA) e, per l'effetto, condanna (...) al pagamento in favore della Banca opposta della somma pari 3.002.440,55, oltre interessi di mora al tasso convenuto fra le parti dal 25/7/2016 al soddisfo; rigetta nel resto le ulteriori domande avanzate dalle parti; 3) Condanna (...) al pagamento in favore della Banca opposta delle spese di lite che liquida in euro 25.000,00 per onorari, oltre spese forfettarie, oltre IVA e CAP; 4) Pone le spese di CTU definitivamente a carico di parte opponente. Così deciso in Terni il 15 dicembre 2022.
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