Sentenze recenti Tribunale Treviso

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  • La dichiarazione falsa resa dal privato in un atto pubblico, anche se sotto forma di dichiarazione sostitutiva ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, integra il reato di falsità ideologica di cui all'art. 483 c.p., in quanto tali dichiarazioni sono considerate come fatte a pubblico ufficiale e hanno la funzione di provare la verità dei fatti attestati. Il dolo richiesto per la configurazione del reato sussiste anche quando la falsa dichiarazione sia stata resa per mero errore materiale, in quanto tale circostanza è sintomatica della consapevolezza del dichiarante di agire contro il dovere giuridico di affermare il vero. Ai fini della responsabilità penale, è irrilevante che la falsa dichiarazione non abbia prodotto alcun vantaggio per l'imputato, essendo sufficiente il mero pericolo per la fede pubblica, unico bene giuridico tutelato dalle norme in materia di falsità ideologica.

  • Il reato di truffa si configura quando l'agente, mediante artifici e raggiri, induce in errore la persona offesa, determinandola a compiere un atto di disposizione patrimoniale da cui consegue un ingiusto profitto per l'agente stesso o per un terzo, a danno del patrimonio della persona offesa. A tal fine, non rileva la diversità tra la persona fisica indotta in errore e il soggetto che subisce il danno patrimoniale, purché tra l'induzione in errore e l'atto di disposizione patrimoniale, da cui deriva il danno per il titolare del patrimonio, sussista un nesso causale. Il dolo del reato di truffa si evince sia dal fatto che l'agente abbia affermato falsamente di essere un soggetto autorizzato all'azione, sia dall'accertata alterazione di elementi identificativi, finalizzata a celare la propria identità e a sottrarsi alle conseguenze della condotta illecita. La recidiva reiterata infraquinquennale, che comporta un aumento di pena, sussiste quando l'imputato risulti gravato, al momento della commissione del reato, da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi, espressivi di una maggiore pericolosità sociale, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice. Il riconoscimento della recidiva reiterata è giustificato dalla mancata efficacia deterrente delle precedenti condanne, che evidenziano l'accresciuta pericolosità sociale dell'imputato.

  • Il furto commesso in concorso da più soggetti, con sottrazione di merce di valore non esiguo dagli scaffali di un esercizio commerciale, integrando il reato di cui all'art. 110 e 624 c.p., è punito con la pena della reclusione e della multa, con possibilità di sospensione condizionale della pena per il soggetto incensurato, mentre per il recidivo reiterato specifico infraquinquennale si applica l'aumento di pena previsto dalla legge. Il riconoscimento fotografico effettuato dalle persone offese, pur non essendo regolato dal codice di rito, costituisce una prova atipica ai sensi dell'art. 189 c.p.p. la cui forza probatoria discende dalla valutazione della attendibilità della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione testimoniale.

  • Il reato di evasione si configura anche nel caso di allontanamento di breve durata dal luogo di detenzione disposto con misura cautelare degli arresti domiciliari, essendo sufficiente la consapevolezza e volontà del reo di usufruire di una libertà di movimento vietata, a prescindere dai motivi che hanno determinato la condotta. Tuttavia, ove l'allontanamento non sia caratterizzato da particolare sfrontatezza e gravità, e il reo si trovi in una situazione di contingente disagio psicofisico, possono essere concesse le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena, purché non sussistano precedenti ostativi.

  • Il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) è integrato dalla reiterazione di condotte di minaccia e molestia, anche attraverso danneggiamenti di beni, idonee a cagionare nella vittima un grave e perdurante stato di ansia o paura, o a ingenerare in essa il fondato timore per la propria incolumità o a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita. Il dolo richiesto è di tipo generico, essendo sufficiente la consapevolezza dell'abitualità della condotta e della sua idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma, senza necessità di preordinazione delle singole azioni. Il reato di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 338 c.p.) richiede invece che la condotta sia finalizzata a incidere sull'attività dell'organo collegiale nel suo complesso, non essendo sufficiente che essa sia diretta al singolo componente per ragioni di carattere personale. Pertanto, ove le minacce e le molestie, anche attraverso danneggiamenti, siano rivolte al sindaco per ragioni personali e non per influenzare l'attività dell'organo di cui egli fa parte, non è configurabile il reato di cui all'art. 338 c.p. Ai fini della liquidazione del danno morale in favore della persona offesa, occorre valutare la durata e l'intensità della condotta persecutoria, mentre per il danno patrimoniale in favore dell'ente pubblico danneggiato vanno considerati i costi sostenuti per la riparazione dei beni e il pregiudizio derivante dalla temporanea indisponibilità degli stessi.

  • Il dipendente infedele che, abusando della propria posizione di fiducia, si appropria indebitamente di denaro o valori affidatigli per ragioni di ufficio, integra il reato di appropriazione indebita, aggravato dall'abuso della prestazione d'opera, anche qualora le condotte distrattive siano reiterate nel tempo in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. In tali casi, il giudice, nel determinare la pena, deve tenere conto della gravità complessiva delle condotte, del danno cagionato alla persona offesa e della posizione di affidamento rivestita dall'agente, bilanciando tali elementi con le circostanze attenuanti generiche, ove sussistenti. Ove ricorrano i presupposti di legge, il giudice può inoltre disporre la sospensione condizionale della pena e la non menzione della stessa nel certificato del casellario giudiziale.

  • Il reato di truffa si configura quando l'agente, con artifici e raggiri, induce in errore la persona offesa e la induce a compiere un atto di disposizione patrimoniale, conseguendo così un ingiusto profitto con altrui danno. Integra altresì il reato di ricettazione il fatto di chi, consapevole della provenienza delittuosa del bene, lo acquista, riceve o occulta, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto. Tali condotte, se poste in essere in un medesimo contesto spazio-temporale e animate da un unico intento, danno luogo al vincolo della continuazione. Nella determinazione della pena, il giudice deve tenere conto delle circostanze attenuanti generiche, della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, nonché del valore del bene oggetto della ricettazione, senza che possa riconoscersi l'attenuante di cui all'art. 648, comma 4, c.p. Infine, i precedenti penali ostativi precludono la concessione di qualsivoglia beneficio di legge.

  • Il genitore separato che, pur avendo l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento per i figli minori, omette di versare tale contributo per un periodo prolungato, facendo così mancare ai figli i mezzi di sussistenza necessari, integra il reato di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, c.p. Tale condotta, che dimostra un grave disinteresse e inadempimento dei doveri di assistenza familiare, è penalmente rilevante anche quando l'altro genitore provveda in via sussidiaria al mantenimento dei figli, in quanto la legge impone a entrambi i genitori l'obbligo di contribuire al sostentamento della prole. L'incapacità economica dell'obbligato, per essere rilevante, deve essere assoluta e duratura, non potendo giustificare l'inadempimento il mero ritardo o la discontinuità nei pagamenti. Inoltre, il reato di cui all'art. 570 bis c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare) è integrato dalla mera omissione del versamento delle somme stabilite in sede civile, a prescindere dall'effettiva mancanza di mezzi di sussistenza per i figli. La particolare tenuità del fatto, che escluderebbe la punibilità, non ricorre quando l'omesso adempimento si protrae per un periodo significativo e il comportamento dell'imputato risulta abituale. In tali casi, la pena deve essere commisurata alla gravità della condotta, alla durata dell'inadempimento e all'età dei figli minori, potendo essere riconosciuti i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della sentenza solo ove l'imputato abbia successivamente adempiuto agli obblighi di mantenimento.

  • Il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio si configura per il semplice inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento nella misura disposta dal giudice civile, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto e viene integrato anche in presenza di un inadempimento parziale dell'obbligo. Tale reato può essere escluso solo nel caso in cui l'imputato provi che la mancata corresponsione di quanto dovuto è da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta e incolpevole da parte sua, presupposto che deve essere dimostrato. Pertanto, in caso di reiterate omissioni nel versamento del contributo al mantenimento, l'abitualità del comportamento è ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, essendo irrilevante la particolare tenuità di ogni singola azione od omissione. Ai fini della determinazione della pena, rilevano la durata complessiva del periodo di inadempimento, l'età del figlio minore e il fatto che l'imputato abbia deliberatamente scelto di non corrispondere le somme dovute, nonostante avesse la disponibilità economica per farlo. Il danno risarcibile è principalmente quello morale derivante dalla sofferenza e dal patema d'animo scaturente dal fatto di essere rimasti privi del necessario sostegno economico.

  • La delibera assembleare condominiale che revoca una precedente delibera, pur essendo formalmente conforme a legge e regolamento, può essere annullata solo in presenza di vizi specifici, quali l'eccesso di potere o il conflitto di interessi del condomino che ha determinato la formazione della volontà assembleare. Tuttavia, l'interesse ad agire per l'annullamento di tale delibera viene meno qualora l'intervento edilizio autorizzato dalla precedente delibera non possa essere comunque realizzato per mancanza dell'assenso dell'autorità amministrativa competente, essendo necessario un interesse concreto ed attuale all'impugnazione. Inoltre, la delibera assembleare che revoca una precedente delibera consolida i propri effetti e determina la cessazione della materia del contendere relativamente all'azione di mero accertamento della validità della delibera revocata, in applicazione del principio per cui l'annullamento di una delibera non può aver luogo se essa è stata sostituita da altra delibera conforme a legge o regolamento.

  • Le parti esterne dei balconi aggettanti, quali frontalini, sottopoggioli e parapetti, sono da considerarsi parti comuni dell'edificio condominiale, in quanto incidono sul decoro estetico e architettonico della facciata, a prescindere dalla loro visibilità dalla pubblica via o dalla presenza di particolari elementi decorativi. Di conseguenza, le spese per la manutenzione e il rifacimento di tali elementi devono essere ripartite tra tutti i condomini in proporzione ai rispettivi millesimi di proprietà, anche qualora i balconi si affaccino su una corte interna e non presentino rivestimenti o decorazioni di particolare pregio. Il decoro dell'edificio, infatti, rileva non solo nei confronti della collettività esterna, ma anche per tutti i condomini che accedono o si affacciano sulle parti comuni, incidendo sul valore complessivo dell'immobile e delle singole unità immobiliari.

  • Il conducente che, in stato di ebbrezza alcolica accertato mediante etilometro con tasso superiore a 1,5 g/l, cagioni un incidente stradale mediante l'autonoma fuoriuscita del veicolo dalla sede stradale, risponde del reato di guida in stato di ebbrezza aggravato dall'aver provocato il sinistro. In tali casi, il maggior disvalore della condotta risiede nella condizione di alterata reattività del conducente rispetto alla situazione di pericolo in cui si viene a trovare, direttamente ricollegabile al suo stato di alterazione psicofisica, che gli ha impedito di percepire tempestivamente il pericolo e di porre in essere le manovre necessarie per evitare l'urto. Pur non essendo necessario l'accertamento del nesso eziologico tra l'incidente e la guida in stato di ebbrezza, deve ritenersi provata la responsabilità del conducente nella causazione del sinistro, in ragione dell'elevato tasso alcolemico accertato, che ne ha compromesso la capacità di guida. Pertanto, in presenza di tali circostanze, il giudice deve condannare l'imputato alla pena dell'arresto e dell'ammenda, disponendo altresì la revoca della patente di guida e la confisca del veicolo, salvo che questo non sia stato già demolito. Tali sanzioni, tenuto conto dell'elevata pericolosità della condotta e dell'incensuratezza dell'imputato, possono essere sospese condizionalmente, al fine di produrre un sufficiente effetto dissuasivo sulla futura astensione dalla commissione di ulteriori reati.

  • Il patto di non concorrenza post-contrattuale stipulato tra agente e preponente è nullo qualora preveda la facoltà unilaterale della preponente di liberare l'agente dall'obbligo di non concorrenza e dal relativo corrispettivo, in quanto tale clausola contrasta con il principio di cui all'art. 1225 c.c., che impone la determinazione ex ante di limiti oggettivi, temporali e spaziali al vincolo di non concorrenza, nonché la corresponsione di un adeguato corrispettivo. Pertanto, la preponente non può esercitare tale facoltà in modo discrezionale, neppure in un momento successivo alla cessazione del rapporto, in quanto ciò vanificherebbe la stabilità del vincolo e la certezza del corrispettivo pattuito, compromettendo la possibilità per l'agente di programmare consapevolmente il proprio futuro professionale. Il collocamento in pensione dell'agente non rappresenta di per sé un impedimento all'eventuale prosecuzione, anche limitata o sporadica, di attività lavorativa in favore di potenziali concorrenti, né è incompatibile con il diritto al corrispettivo del patto di non concorrenza, atteso che tale emolumento ha natura latamente retributiva e non interferisce con l'erogazione delle indennità di fine rapporto, le quali presuppongono la cessazione dell'attività per pensionamento.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così formulato: Il danneggiamento di un bene altrui commesso con violenza o minaccia alla persona integra il reato di danneggiamento aggravato, anche qualora il bene danneggiato non sia esposto alla pubblica fede, purché la condotta violenta o minacciosa sia contestuale e funzionale all'atto di danneggiamento. Tuttavia, il reato di lesioni personali non può essere affermato in assenza di una chiara e univoca prova della dinamica dell'aggressione e della causazione delle lesioni. Inoltre, il reato di minaccia è assorbito nel più grave reato di danneggiamento aggravato dalla violenza, quando le minacce siano contestuali e funzionali all'atto di danneggiamento. Infine, qualora le condotte aggressive cessino a seguito del raggiungimento di un accordo transattivo, possono essere riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche.

  • Il mancato esperimento della mediazione obbligatoria entro il termine assegnato dal giudice, anche se non perentorio, comporta la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo e al fine di non pregiudicare il tempestivo e corretto svolgimento della procedura di mediazione. L'onere di promuovere la mediazione obbligatoria, nelle controversie introdotte con richiesta di decreto ingiuntivo, grava sulla parte opposta, sicché il suo mancato adempimento determina la declaratoria di improcedibilità e la revoca del decreto ingiuntivo, senza possibilità di concessione di un nuovo termine per l'instaurazione della procedura, in quanto ciò contrasterebbe con l'esigenza di celerità e ragionevole durata del processo. La declaratoria di improcedibilità per mancato esperimento della mediazione obbligatoria comporta la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese di lite, liquidate secondo valori inferiori ai medi, in ragione della definizione in rito, della scarsa complessità della causa e dell'assenza di attività istruttoria.

  • La dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in assenza di circostanze idonee ad escludere in modo assolutamente incontestabile l'esistenza del fatto, la commissione dello stesso da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale, non consente al giudice di pronunciare una sentenza di assoluzione nel merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., dovendosi in tal caso emettere una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Il giudice, in presenza di una causa di estinzione del reato, può pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, c.p.p. soltanto quando le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, in modo tale che la valutazione del giudice appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento", essendo quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Nella fattispecie, non emergendo in modo assolutamente incontestabile tali circostanze, il giudice è legittimato a pronunciare unicamente una declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non potendo adottare una pronuncia assolutoria nel merito.

  • La condotta truffaldina si configura quando l'agente, mediante artifici e raggiri, induce in errore la persona offesa circa la serietà dell'impegno assunto, inducendola così a compiere un atto di disposizione patrimoniale da cui deriva un ingiusto profitto per sé o per altri e un correlativo danno per la vittima. Ciò si verifica sia nella fase delle trattative, quando il consenso negoziale è viziato dalla condotta fraudolenta, sia nella fase esecutiva, quando l'inadempimento degli obblighi contrattuali è determinato dal dolo iniziale di non voler dare seguito agli accordi. L'elemento soggettivo del reato di truffa è integrato dal dolo specifico di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno, desumibile dalle stesse modalità della condotta. La serialità e la recidiva specifica infraquinquennale denotano una spiccata insensibilità al precetto penale e una maggiore pericolosità sociale dell'agente, giustificando l'applicazione di un trattamento sanzionatorio più severo. Il risarcimento del danno deve essere commisurato all'effettivo pregiudizio patrimoniale e morale subito dalla persona offesa.

  • Il consulente finanziario che, con artifici e raggiri, induce il cliente a sottoscrivere un prodotto finanziario speculativo prospettandone falsamente la sicurezza e la redditività, realizza il reato di truffa contrattuale, procurandosi l'ingiusto profitto delle provvigioni corrisposte dalla società mandante. Tale condotta fraudolenta, perpetrata anche nei confronti della società di investimento attraverso la diffusione di informazioni mendaci circa le modalità di promozione e stipula del contratto, integra altresì il reato di truffa aggravata dall'abuso della prestazione d'opera. Il danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato alla società mandante, quantificabile nelle provvigioni indebitamente percepite e negli esborsi sostenuti per risarcire i clienti truffati, deve essere risarcito, con possibilità di ottenere una provvisionale in sede penale. Sussiste il vincolo della continuazione tra i due reati, in ragione dell'unicità del disegno criminoso sotteso alle condotte fraudolente poste in essere dall'agente finanziario. Pur in presenza di circostanze attenuanti generiche, la gravità delle condotte e l'entità dei danni impongono una pena detentiva significativa, sospendibile condizionalmente solo previo integrale pagamento della provvisionale in favore della parte civile.

  • Il datore di lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori e il preposto hanno l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dei lavoratori nel cantiere edile, anche in presenza di più imprese operanti. In particolare, il preposto ha il dovere di sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei lavoratori degli obblighi di legge e delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza, nonché di impedire l'accesso a zone di pericolo non adeguatamente segnalate e protette contro il rischio di caduta dall'alto. La responsabilità del preposto non è esclusa dalla condotta imprudente del lavoratore infortunato, salvo che questa non assuma i caratteri dell'abnormità, risultando eccezionale ed imprevedibile. Pertanto, il nesso causale tra la violazione degli obblighi di vigilanza e coordinamento da parte del preposto e l'evento lesivo sussiste qualora l'infortunio sia la concretizzazione del rischio che le norme cautelari violate miravano a scongiurare.

  • La condotta violenta e aggressiva posta in essere da più persone riunite, con l'utilizzo di oggetti contundenti come bottiglie di vetro, che cagiona lesioni personali alla vittima, integra il reato di lesioni personali aggravate dalla circostanza della pluralità di persone e dell'uso di armi. Tale condotta, caratterizzata da modalità violente e prevaricatrici, non consente il riconoscimento di attenuanti generiche, in ragione della gravità del fatto e dell'assenza di elementi favorevoli alla personalità degli imputati. La pena detentiva inflitta, tenuto conto della gravità del fatto e dell'esigenza di prevenzione speciale, non può essere sospesa condizionalmente, né sostituita con misure alternative, in considerazione della condizione di irregolarità sul territorio italiano e di assenza di occupazione e dimora stabile degli imputati. La revoca della misura cautelare in atto è giustificata dall'esito parzialmente assolutorio del giudizio e dalla verosimile efficacia deterrente della custodia cautelare già subita.

  • La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "Facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., in quanto la condotta realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o quantitativamente apprezzabile di persone. Perché ricorra la fattispecie di diffamazione, è sufficiente il dolo generico, ovvero l'uso consapevole di espressioni socialmente interpretabili come offensive, senza che sia necessario l'accertamento di un intento specifico di ledere l'altrui reputazione. La scriminante del diritto di critica non opera quando le espressioni utilizzate si risolvono in un attacco personale e in un puro e semplice insulto pubblicamente diretto nei confronti della persona offesa, anziché in una legittima critica di contenuto in merito all'esercizio delle funzioni pubbliche. Analogamente, l'esimente della provocazione di cui all'art. 599 c.p. non è applicabile quando il fatto ingiusto altrui, ancorché erroneamente ritenuto, sia diretto verso un gruppo indeterminato e indistinto di persone, non essendo in tal caso idoneo a suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente. Ai fini della determinazione della pena, possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche in presenza di un peculiare contesto situazionale "a monte" della commissione del reato, che consenta di valutare in termini di soggettiva meritevolezza i moventi sottesi all'azione dell'imputato, pur senza escludere la correttezza della contestazione dell'aggravante. Il risarcimento del danno morale derivante dal reato di diffamazione va liquidato in via equitativa, tenendo conto della gravità del fatto, dell'entità del dolore o patema d'animo inflitto alla vittima e delle condizioni personali del soggetto danneggiato.

  • Il tentativo di furto in un esercizio commerciale, realizzato mediante l'occultamento di merce all'interno di una borsa, integra il reato di tentato furto, anche qualora l'azione criminosa sia stata interrotta dal pronto intervento del personale addetto alla sorveglianza, impedendo il conseguimento dell'autonoma disponibilità della refurtiva da parte dell'agente. Tuttavia, la mera presenza del coniuge, in assenza di elementi che ne comprovino la consapevolezza e la partecipazione all'azione delittuosa, non è sufficiente a configurare il concorso nel reato, essendo necessaria la prova della sua effettiva e cosciente collaborazione. Pertanto, il giudice può riconoscere la responsabilità penale del solo autore materiale del tentativo di furto, concedendogli le attenuanti di legge, e assolvere il coniuge per mancanza di prova della sua partecipazione al fatto.

  • Il reato di frode assicurativa, previsto dall'art. 642 comma 2 c.p., si configura non solo quando viene denunciato un sinistro mai accaduto, ma anche quando vengono distrutti, falsificati, alterati o precostituiti elementi di prova o documentazione relativi ad un sinistro effettivamente verificatosi. Tuttavia, la mera comunicazione di un guasto da parte dell'assicurato alla società di leasing con cui ha stipulato il contratto di locazione finanziaria, senza alcun contatto diretto con la compagnia assicurativa, non integra gli estremi della frode assicurativa, in assenza di prove certe circa il coinvolgimento dell'assicurato in condotte fraudolente. Inoltre, qualora emergano elementi di incertezza circa l'origine del guasto e l'operatività della garanzia del produttore, tali da giustificare il rifiuto dell'indennizzo da parte della compagnia assicurativa, non può ritenersi integrato il reato di frode assicurativa, in mancanza di una prova rigorosa della volontà fraudolenta dell'assicurato.

  • Il maltrattamento in famiglia, caratterizzato da condotte reiterate di minacce, violenze fisiche e psicologiche, ingiurie e richieste ossessive di denaro, che sottopongono i genitori conviventi a un regime di vita penoso e intollerabile, integra il delitto di cui all'art. 572 c.p. La capacità di intendere e di volere dell'autore, gravemente scemata per disturbo della personalità, comporta l'applicazione della diminuente di cui all'art. 89 c.p., bilanciata in prevalenza sulle aggravanti e la recidiva. La pericolosità sociale dell'imputato impone l'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata. Il risarcimento del danno e la rifusione delle spese di costituzione e patrocinio delle parti civili costituiscono conseguenze accessorie della condanna.

  • Il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) si configura quando la condotta reiterata di minacce, molestie e aggressioni fisiche cagiona alla vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura, oppure un fondato timore per la propria incolumità o di una persona a lei legata da relazione affettiva, ovvero la costringe ad alterare le proprie abitudini di vita. Tali condotte, caratterizzate da una progressiva intensità e da un unitario disegno criminoso, devono essere poste in essere con dolo generico, ossia nella consapevolezza della loro idoneità a produrre gli eventi previsti dalla norma incriminatrice. Quando le condotte persecutorie sono accompagnate da lesioni personali, queste devono essere valutate nel vincolo della continuazione, in quanto espressione del medesimo programma criminoso. Ai fini della determinazione della pena, possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, equivalenti all'aggravante di cui all'art. 612-bis, comma 2, c.p., tenuto conto del contesto di elevata conflittualità in cui sono maturati i fatti. La sospensione condizionale della pena può essere subordinata alla partecipazione dell'imputato ad un percorso di recupero presso enti o associazioni specializzati nella prevenzione e nel trattamento dei reati di stalking, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile.

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