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Il contratto di appalto impone all'appaltatore l'onere di provare l'esatto adempimento delle proprie obbligazioni, ove il committente ne eccepisca l'inadempimento. Tuttavia, non ogni violazione contrattuale da parte dell'appaltatore giustifica l'omesso pagamento del corrispettivo, essendo necessaria una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti, alla luce del principio di proporzionalità e della incidenza degli inadempimenti sulla funzione economico-sociale del contratto. In particolare, l'omessa comunicazione del numero di manufatti puliti in una sola mensilità, ove non accompagnata dalla prova di un mancato o inesatto svolgimento delle prestazioni principali, non può ritenersi inadempimento grave tale da legittimare il rifiuto del pagamento, specie se il committente non ha contestato tempestivamente l'operato dell'appaltatore. Analogamente, la mancata trasmissione dei formulari di identificazione dei rifiuti, pur costituendo un inadempimento, non assume rilevanza decisiva ove non sia necessaria per lo svolgimento del servizio pubblico affidato. Pertanto, in presenza di un adempimento sostanziale delle obbligazioni contrattuali da parte dell'appaltatore, il committente è tenuto al pagamento del corrispettivo pattuito, salvo il diritto di ottenere il risarcimento di eventuali danni specificamente provati.
Il contratto di servizi socio-assistenziali tra un ente locale e un soggetto privato, ai fini della debenza del relativo corrispettivo, è soggetto al rispetto delle norme di contabilità pubblica, con la necessità di un previo impegno di spesa e di attestazione della copertura finanziaria, a pena di nullità del contratto stesso. L'obbligo di assistenza del comune di residenza, previsto dalla legge, non è incondizionato ma presuppone il rispetto delle disposizioni sui contratti della pubblica amministrazione, con il bilanciamento tra il diritto costituzionalmente protetto dell'assistito e gli altri interessi pubblici, quali la trasparenza, l'imparzialità e il buon andamento dell'azione amministrativa. Pertanto, in assenza della documentazione comprovante l'impegno di spesa e la copertura finanziaria, il comune non è tenuto al pagamento del corrispettivo richiesto dal soggetto privato erogatore del servizio, il quale è onerato di attivarsi diligentemente presso l'ente locale per ottenere il riconoscimento del debito assunto in assenza dei prescritti requisiti di legge.
Il contratto di mutuo a tasso variabile, assistito da garanzia ipotecaria e fideiussoria, non è da considerarsi usurario qualora il tasso annuo effettivo globale (T.A.E.G.) risulti inferiore al tasso soglia antiusura previsto per la specifica categoria di finanziamento, anche in assenza dell'indicazione del T.A.E.G. nello schema contrattuale, atteso che tale indicatore svolge una mera funzione informativa e la sua omissione non incide sulla validità del contratto, ma può al più rilevare sotto il profilo della responsabilità contrattuale o precontrattuale della banca. Inoltre, la commissione di estinzione anticipata non può essere cumulata con gli interessi moratori ai fini della verifica di usurarietà, in quanto costituisce una clausola penale di recesso e non una remunerazione dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi. Infine, l'omessa comunicazione della possibilità di ridurre la penale di estinzione anticipata, in attuazione di un accordo interbancario, è irrilevante ove il mutuatario non abbia esercitato la facoltà di recesso anticipato.
Il Tribunale, accertata la responsabilità esclusiva della società costruttrice He. S.R.L. in liquidazione per i gravi vizi di costruzione dell'edificio condominiale, consistenti nell'assenza o nel malfunzionamento di un adeguato sistema di drenaggio e impermeabilizzazione, che hanno causato infiltrazioni e danni alle parti comuni, condanna la società costruttrice al risarcimento dei danni in forma specifica, quantificati in base alla relazione del consulente tecnico d'ufficio, oltre al rimborso di ulteriori spese accessorie. La sentenza esclude la responsabilità della compagnia assicuratrice, in quanto i vizi accertati rientrano tra le esclusioni previste dalla polizza assicurativa. Le spese di lite seguono la soccombenza, con condanna della società costruttrice al pagamento delle spese in favore del condominio attore e delle terze chiamate in causa. Massima: La società costruttrice è responsabile per i gravi vizi di costruzione, consistenti nell'assenza o nel malfunzionamento di un adeguato sistema di drenaggio e impermeabilizzazione, che hanno causato infiltrazioni e danni alle parti comuni dell'edificio condominiale, ed è tenuta al risarcimento dei danni in forma specifica, quantificati sulla base della relazione del consulente tecnico d'ufficio, nonché al pagamento delle spese di lite. La compagnia assicuratrice non è responsabile in quanto i vizi accertati rientrano tra le esclusioni previste dalla polizza.
La responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, per cui è sufficiente accertare l'esistenza del nesso causale tra il bene in custodia e il danno, senza che assuma rilevanza la condotta del custode e l'osservanza o meno di uno specifico obbligo di vigilanza, essendo la stessa esclusa solo in caso di verificazione del caso fortuito, ricollegabile all'incidenza di un elemento esterno contraddistinto dai requisiti dell'imprevedibilità e inevitabilità. Il fatto colposo della vittima può escludere il nesso di causa tra la cosa e il danno, in misura tanto maggiore, quanto più il pericolo era prevedibile ed evitabile, ma tale esclusione richiede un duplice accertamento: che la vittima abbia tenuto una condotta negligente e che tale condotta non fosse prevedibile dal custode. In assenza di tali requisiti, il comportamento della vittima integra un concorso di colpa ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all'incidenza causale del comportamento stesso.
Il contratto di permuta immobiliare, avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un'area edificabile in cambio di unità immobiliari da costruire, deve rivestire la forma scritta ad substantiam, a pena di nullità, in applicazione dell'art. 1350 c.c. e dell'art. 1555 c.c. che richiama le norme sulla vendita. In mancanza della forma scritta, il contratto di permuta verbale è nullo e non può essere provato per testimoni, salvo il caso in cui il contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli offriva la prova. Nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore che agisce per il pagamento del corrispettivo ha l'onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione, mentre la fattura e l'estratto delle scritture contabili, pur idonei per l'emissione del decreto, non costituiscono prova in suo favore, degradando a mero indizio. Tuttavia, ove l'opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente può opporre le difformità e i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimplenti non est adimplendum", anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta. In tal caso, il danno subito dal committente per la riduzione in pristino dello stato dei luoghi non può essere superiore al costo delle demolizioni operate, potendosi compensare il credito vantato dall'appaltatore per le lavorazioni eseguite con il controcredito del committente a titolo di risarcimento.
La nullità di un contratto di compravendita immobiliare è sancita dall'art. 46 del D.P.R. 380/2001 qualora manchi la dichiarazione dell'alienante circa gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria, a prescindere dall'effettiva esistenza di un valido titolo edilizio, essendo tale nullità di tipo formale e non sanabile se non nei modi tipici previsti dalla legge. Tale nullità può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non essendo soggetta a preclusioni o decadenze, e comporta il rigetto delle domande di esecuzione del contratto nullo, nonché di ogni azione di impugnativa negoziale, in quanto presuppongono l'esistenza di un contratto valido ed efficace.
Il diritto all'assegno divorzile presuppone l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive da parte del coniuge richiedente, valutata alla stregua di una comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto. Il coniuge richiedente ha l'onere di dedurre e dimostrare tali presupposti, non potendo il giudice supplire d'ufficio all'omissione di tale attività processuale. In assenza di tale prova, il diritto all'assegno non può essere riconosciuto, anche in presenza di una disparità economica tra gli ex coniugi, ove questa non sia causalmente riconducibile alle scelte adottate in costanza di matrimonio dal coniuge richiedente, che lo abbiano portato a sacrificare le proprie aspettative reddituali e professionali. L'obbligo di mantenimento dei figli minori, invece, permane in capo ad entrambi i genitori fino al raggiungimento dell'indipendenza economica dei figli, salvo il caso di atteggiamento di inerzia o rifiuto ingiustificato degli stessi, senza che il peggioramento delle condizioni economiche di uno dei genitori possa determinare una riduzione dell'assegno di mantenimento, ove non adeguatamente provato.
Il creditore che agisce in giudizio affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ha l'onere di provare l'inclusione del credito specifico oggetto della domanda nell'operazione di cartolarizzazione. Tale prova può essere fornita attraverso la produzione del contratto di cessione, ovvero, in subordine, dimostrando che il credito azionato soddisfa tutti i requisiti e rientra in tutti i criteri indicati nell'estratto della cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. In assenza di tale prova, il giudice è tenuto ad accogliere l'eccezione di difetto di titolarità del credito sollevata dal debitore convenuto, rigettando la domanda attorea. La circostanza del possesso, da parte del cessionario, della documentazione relativa al contratto di finanziamento tra il debitore e il cedente non è di per sé sufficiente a dimostrare l'avvenuta cessione del credito specifico, potendo tale documentazione essere giustificata da altri titoli, come il mandato. Inoltre, l'intervenuta omologa del piano del consumatore non determina la cessazione della materia del contendere, non precludendo che il giudizio di cognizione relativo al credito ricompreso nel piano addivenga a sentenza.
Il mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria, disposta dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1 e 4, lett. a), del D.Lgs. n. 28 del 2010, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari e finanziari, determina la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, con condanna della parte convenuta opposta al pagamento delle spese processuali, calcolate secondo i parametri tabellari di cui al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, in ragione della soccombenza. La mancata attivazione della procedura di mediazione obbligatoria da parte della parte convenuta opposta, nonostante l'espressa disposizione del giudice in tal senso, integra una sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda monitoria, che assume valore pregiudiziale rispetto all'esame nel merito delle argomentazioni difensive delle parti. Ciò in applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, secondo cui, nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, introdotte con decreto ingiuntivo, l'onere di promuovere la procedura di mediazione grava sulla parte opposta, la cui inerzia determina la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale e la revoca del decreto ingiuntivo.
L'attivazione di una procedura di mediazione obbligatoria, ai sensi dell'art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 28/2010, interrompe la prescrizione acquisitiva dell'usucapione, impedendo il perfezionamento del termine ventennale necessario per l'acquisto della proprietà per usucapione, anche qualora il possesso sia stato esercitato in modo pacifico, pubblico e ininterrotto per un periodo superiore a venti anni. Il possesso "uti condominus" e non "uti dominus" non consente il cumulo del possesso del dante causa ai fini dell'usucapione, in quanto il requisito dell'esclusività del possesso non risulta integrato fino al momento in cui il comproprietario deceduto ha cessato di abitare nell'immobile. La compensazione delle spese processuali tra l'attore e i convenuti che hanno aderito sostanzialmente alla domanda principale è giustificata dal principio di soccombenza, mentre non vi sono spese di lite da ripetere a favore della parte rimasta contumace.
La servitù di passaggio può essere acquistata per usucapione ventennale, purché sussistano i requisiti di possesso continuato, non violento, non clandestino e con animus di esercitare la servitù, nonché la presenza di opere visibili e permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio. Tuttavia, per le servitù discontinue come quella di passaggio, l'acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia è possibile solo se la cessazione dell'appartenenza dei fondi allo stesso proprietario è avvenuta dopo l'entrata in vigore del codice civile del 1942, in applicazione del principio di irretroattività delle norme innovative introdotte dal nuovo codice. La domanda giudiziale o la domanda di mediazione, se tempestivamente proposte, interrompono il decorso del termine per l'usucapione. Il risarcimento del danno per molestie o interferenze illecite nella vita privata e la condanna per lite temeraria richiedono la prova dell'elemento soggettivo e di quello oggettivo del danno subito, non essendo sufficienti la mera soccombenza o l'esito favorevole di un precedente giudizio possessorio.
L'ente proprietario o gestore di una strada aperta al pubblico transito è responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dimostri che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile. Il danneggiato deve provare l'esistenza del rapporto di custodia e il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore causale estraneo, imprevedibile ed eccezionale, idoneo ad interrompere il nesso di causalità. Nell'ipotesi di sinistri stradali, il giudice, accertata la responsabilità dell'ente, deve liquidare il danno non patrimoniale alla persona secondo i parametri tabellari elaborati dalla giurisprudenza, salvo eventuali aumenti per specifiche condizioni soggettive del danneggiato.
Il conduttore non può sospendere o ritardare il pagamento del canone di locazione per pretese o eccezioni, qualunque ne sia il titolo, essendo tenuto al puntuale adempimento di tale obbligazione contrattuale. L'onere di provare l'avvenuto pagamento dei canoni grava sul conduttore, il quale non può opporre l'inadempimento del locatore a obblighi accessori, come la manutenzione dell'immobile o la risoluzione di problematiche condominiali, per giustificare la propria morosità. Il locatore non è responsabile delle molestie di fatto provenienti da terzi, verso i quali il conduttore ha azione diretta. Pertanto, la morosità del conduttore legittima la risoluzione del contratto di locazione e il rilascio dell'immobile, con condanna al pagamento dei canoni arretrati, salvo il risarcimento del danno ulteriore subito dal locatore.
La cessazione della materia del contendere può essere dichiarata dal giudice in ogni fase e grado del giudizio ordinario, ogniqualvolta non si possa far luogo alla definizione del giudizio per rinuncia alla pretesa sostanziale o per il venir meno dell'interesse delle parti alla naturale definizione del giudizio stesso. La conciliazione intervenuta nel corso del giudizio di merito tra le parti determina la cessazione della materia del contendere, che può essere rilevata di ufficio dal giudice e non è soggetta alle preclusioni previste per detto tipo di eccezioni. L'accordo amichevole di definizione della controversia raggiunto nel corso della mediazione obbligatoria, sottoscritto dalle parti e dai loro avvocati, costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. n. 28/2010. Il successivo inadempimento di una parte agli obblighi assunti con l'accordo amichevole raggiunto in mediazione non può costituire causa di invalidità o inefficacia degli accordi negoziali intercorsi tra le parti, i quali restano consacrati all'interno di un atto avente ex lege efficacia esecutiva. In presenza di un accordo amichevole di definizione della controversia raggiunto nel corso della mediazione, il giudice deve dichiarare la cessazione della materia del contendere, compensando integralmente le spese processuali in conformità all'intesa raggiunta dalle parti.
L'occupazione abusiva di un immobile pubblico non può essere giustificata dallo stato di necessità derivante da difficoltà economiche e condizioni di salute del nucleo familiare, in assenza di un pericolo imminente e grave per la persona. L'ordinamento prevede altri strumenti di assistenza e tutela per far fronte a situazioni di disagio abitativo, quali l'attivazione di servizi sociali, sussidi economici o l'assegnazione di alloggi popolari, senza che ciò legittimi l'occupazione illegale. Il mancato pagamento del canone di locazione dovuto per l'immobile occupato determina un danno patrimoniale per l'ente proprietario, che ha diritto al risarcimento, fermo restando la possibilità di compensare le spese di lite in considerazione delle difficoltà economiche del nucleo familiare.
Il depositario di un bene, quale l'autoriparatore che custodisce un veicolo affidatogli per interventi di manutenzione, è tenuto a provare di aver adottato tutte le misure di sicurezza ragionevolmente esigibili per impedire il furto del bene, non essendo sufficiente la mera dimostrazione di aver agito con la diligenza del buon padre di famiglia. Pertanto, il depositario può essere esonerato da responsabilità per il furto del bene affidatogli solo qualora dimostri che l'evento dannoso è dipeso da causa a lui non imputabile, ovvero che ha adottato tutte le cautele e i presidi di sicurezza normalmente idonei ad impedire il verificarsi del furto, senza che gli fossero esigibili ulteriori e più gravose misure di protezione, anche in considerazione dei costi e dello sforzo richiesto. In particolare, la presenza di un'adeguata recinzione, di un sistema di allarme funzionante e di altri accorgimenti di sicurezza, unitamente alla tempestiva segnalazione dell'allarme e all'intervento della vigilanza privata, possono integrare gli estremi della causa non imputabile, escludendo la responsabilità del depositario per il furto subito.
Il diritto di accesso ex art. 843 c.c. del proprietario di un immobile ai fondi confinanti di proprietà altrui, per l'esecuzione di lavori di manutenzione e riparazione delle facciate del proprio edificio, sussiste quando sia accertata la necessità di tale accesso e non vi siano soluzioni alternative meno gravose per il proprietario del fondo da attraversare, con diritto di quest'ultimo a una congrua indennità per il temporaneo disagio subito, da liquidarsi in via equitativa in relazione alle circostanze del caso concreto, senza che possa configurarsi un danno in re ipsa in assenza di prova di un effettivo pregiudizio patrimoniale.
Il contratto di buono postale fruttifero, concluso tra il sottoscrittore e l'ente emittente, è regolato dalle condizioni espressamente indicate sul titolo, anche qualora esse risultino difformi rispetto alle previsioni del decreto ministeriale che ne ha disposto l'emissione. Ciò in quanto il vincolo contrattuale si forma sulla base dei dati risultanti dal testo del buono sottoscritto, in ossequio al principio di tutela dell'affidamento riposto dal cliente sulle risultanze letterali del titolo. La discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e le condizioni apposte sul buono può rilevare esclusivamente per eventuali profili di responsabilità interna all'amministrazione, ma non può far ritenere che l'accordo negoziale abbia avuto ad oggetto un contenuto divergente da quello enunciato dal buono, essendo quest'ultimo vincolante tra le parti. Pertanto, il sottoscrittore ha diritto al rimborso del buono postale fruttifero secondo le condizioni indicate sul titolo, anche ove esse risultino più favorevoli rispetto a quelle successivamente stabilite dal decreto ministeriale.
Il divieto di eseguire costruzioni in prossimità della linea doganale senza preventiva autorizzazione, di cui all'art. 19 del D.Lgs. n. 374 del 1990, non trova applicazione quando l'amministrazione non abbia adeguatamente motivato, sulla base di un'istruttoria approfondita e di specifici elementi di fatto, la sussistenza di una situazione di effettiva prossimità dei manufatti alla linea doganale tale da pregiudicare l'accessibilità, la visibilità e l'attività di vigilanza, prevenzione e repressione svolta dall'autorità doganale. Incombe, pertanto, sull'amministrazione l'onere di dimostrare, attraverso un'accurata analisi dello stato dei luoghi, che il posizionamento della costruzione, in ragione della sua distanza dalla linea doganale e delle caratteristiche morfologiche dell'area, possa determinare concreti intralci o limitazioni allo svolgimento delle attività d'istituto, così da giustificare la necessità del previo rilascio dell'autorizzazione. In difetto di tale dimostrazione, la pretesa sanzionatoria dell'amministrazione non può considerarsi fondata, con la conseguente annullabilità del provvedimento irrogativo della sanzione.
La clausola di salvaguardia inserita nei contratti tra strutture sanitarie private e amministrazioni pubbliche, con cui l'erogatore rinuncia alle azioni e/o impugnazioni già intraprese o attivabili in relazione al contenuto dispositivo delle clausole contrattuali, è legittima e vincolante. Tale clausola, approvata e sottoscritta ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., comporta l'accettazione incondizionata da parte della struttura privata dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe e di ogni altro atto ad essi collegato o presupposto, con conseguente preclusione all'iniziativa impugnatoria. Ciò vale in particolare nelle Regioni sottoposte a Piani di rientro dal disavanzo sanitario, dove l'accettazione della clausola di salvaguardia equivale all'assunzione di un impegno al rispetto dei vincoli di programmazione economico-finanziaria e di spesa imposti dallo Stato. L'erogatore privato accreditato, una volta conosciuto il budget assegnato, non può pretendere il pagamento di prestazioni sanitarie rese oltre tale limite, in quanto il tetto di spesa rappresenta un vincolo ineludibile che costituisce la misura delle prestazioni che il Servizio sanitario nazionale può acquistare da ciascun erogatore. Pertanto, l'eventuale arricchimento conseguito dalla pubblica amministrazione in ragione di prestazioni extra-budget deve considerarsi "imposto" e non suscettibile di indennizzo ex art. 2041 c.c., in quanto l'amministrazione ha manifestato implicitamente, ma inequivocabilmente, il suo diniego di una spesa superiore al budget comunicato.
L'omessa notifica del verbale di accertamento della violazione amministrativa o dell'ordinanza-ingiunzione di pagamento della relativa sanzione comporta la nullità derivata della cartella esattoriale emessa per il recupero coattivo della pretesa sanzionatoria, in quanto la correttezza del procedimento di formazione della pretesa sanzionatoria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo sia di fare emergere e portare nella sfera di conoscenza del destinatario la violazione amministrativa, sia di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa di quest'ultimo. Pertanto, l'omissione o la nullità della notifica di un atto presupposto costituiscono un vizio procedurale che comporta la nullità dell'atto consequenziale notificato. In tali ipotesi, l'agente della riscossione, in quanto legittimato passivo nel giudizio di opposizione, è tenuto a rispondere delle spese processuali nei confronti dell'opponente vittorioso, anche quando l'impugnazione sia riconducibile ad un vizio dell'atto presupposto dell'ente impositore, in applicazione del principio di causalità che informa quello di soccombenza, dal momento che la lite trae origine dalla notificazione della cartella di pagamento, atto posto in essere proprio dall'esattore, anche se in esecuzione del rapporto che ha ad oggetto il servizio di riscossione. Ove l'agente della riscossione non abbia chiamato in causa l'ente creditore, non potrà che dolersi della condanna solidale alle spese processuali, dovendo far valere la propria pretesa di manleva nei confronti dell'ente impositore nell'ambito del rapporto interno tra le parti.
La nullità della notifica del verbale di accertamento di una violazione amministrativa comporta la nullità derivata dell'ordinanza-ingiunzione di pagamento della relativa sanzione pecuniaria, in quanto la regolare notificazione del verbale di accertamento è essenziale per consentire al destinatario l'esercizio del diritto di difesa, attraverso la produzione di scritti difensivi e documenti ovvero la formulazione della richiesta di essere sentito dall'autorità amministrativa competente. La pretermissione della regolare notificazione dell'atto di accertamento presupposto, pregiudicando i diritti e le facoltà riservate per legge al contravventore, si riverbera sulla legittimità di tutta la sequenza procedimentale e comporta la nullità derivata degli atti consequenziali collegati, primo tra i quali l'ordinanza-ingiunzione di pagamento. Pertanto, l'omissione o la nullità della notifica di un atto presupposto costituiscono un vizio procedurale che determina la nullità dell'atto consequenziale notificato, in quanto la correttezza del procedimento di formazione della pretesa sanzionatoria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo sia di fare emergere e portare nella sfera di conoscenza del destinatario la violazione amministrativa, sia di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa di quest'ultimo.
Il Tribunale, in virtù del consolidato principio secondo il quale il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto l'intera situazione giuridica controversa, accerta che la Croce Rossa Italiana, Comitato Locale di Vasto, è tenuta a corrispondere alla professionista La.El. la somma di Euro 2.400,00, oltre interessi di mora, per le attività professionali di tenuta della contabilità svolte nell'anno 2014 in favore dell'associazione di promozione sociale, in quanto la mancata contestazione dell'effettivo svolgimento di tali attività e la prova documentale e testimoniale fornita dalla professionista ne comprovano l'esecuzione, pur in assenza di una convenzione scritta, essendo tale forma richiesta per i contratti della pubblica amministrazione ma non per quelli di diritto privato. Tuttavia, il Tribunale revoca il decreto ingiuntivo per la parte relativa agli anni 2012 e 2013, in quanto il Comitato Locale non può essere ritenuto legittimato passivo per le attività professionali svolte in favore dell'ente pubblico Croce Rossa Italiana, in assenza di un accordo scritto. Pertanto, il Tribunale, in parziale accoglimento dell'opposizione, condanna l'opponente al pagamento della sola somma dovuta per l'anno 2014, compensando parzialmente le spese di lite in ragione della reciproca soccombenza.
L'ente proprietario della strada pubblica è responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni cagionati dalla cattiva manutenzione o dalla presenza di situazioni di pericolo sulla strada, anche quando i lavori di manutenzione siano stati affidati in appalto ad un terzo, salvo il diritto di regresso nei confronti dell'appaltatore. Tale responsabilità sussiste in quanto l'ente proprietario ha il dovere di garantire la sicurezza della circolazione stradale, non potendo consentire la circolazione su tratti di strada in cui siano presenti fattori di rischio conosciuti o conoscibili. L'inerzia dell'impresa appaltatrice nell'effettuare gli interventi necessari a eliminare le situazioni di pericolo non esclude la responsabilità dell'ente proprietario, il quale mantiene il dovere di vigilanza e di adozione dei provvedimenti necessari a tutelare la sicurezza della circolazione. Il risarcimento del danno subito dal danneggiato deve essere commisurato al valore residuo del bene al momento del sinistro, tenuto conto del naturale deprezzamento del veicolo, senza che possano essere riconosciute spese di riparazione qualora il veicolo sia stato rottamato per antieconomicità dell'intervento.
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