Sentenze recenti Tribunale Velletri

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  • La mancata partecipazione senza giustificato motivo della parte onerata al procedimento di mediazione obbligatoria, previamente attivato, comporta l'improcedibilità della domanda giudiziale, in quanto la condizione di procedibilità si considera avverata solo se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l'accordo. La parte che intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio ha l'onere di attivarsi per il corretto esperimento della mediazione, non essendo sufficiente la mera attivazione del procedimento senza la partecipazione effettiva. Inoltre, il tentativo di mediazione deve svolgersi presso un organismo ubicato nella circoscrizione del tribunale competente per la controversia, a pena di inammissibilità, non essendo sufficiente un accordo unilaterale delle parti per derogare a tale requisito territoriale. Il giudice, rilevata l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, non è tenuto a esaminare il merito della controversia, essendo tale profilo assorbito dal vizio di procedura. Le spese di lite sono poste a carico della parte soccombente, con condanna al rimborso anche delle spese sostenute per la fase di mediazione.

  • La polizza assicurativa di responsabilità civile verso terzi stipulata dall'impresa copre i danni, anche mortali, cagionati a soggetti terzi in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi inerenti la proprietà e conduzione dei fabbricati e dei relativi impianti, ivi inclusi i lavori di manutenzione e riparazione svolti da appaltatori autonomi, salvo che la causa del danno non sia imputabile al danneggiato stesso. L'obbligo di denuncia del sinistro entro tre giorni non comporta la decadenza dalla garanzia assicurativa ove non sia provato il dolo dell'assicurato, essendo sufficiente la prova della sua colpa, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito.

  • Il comproprietario di un immobile, ancorché non ne usufruisca direttamente in virtù di provvedimenti di assegnazione a favore dell'altro comproprietario, è comunque tenuto a concorrere al pagamento delle spese condominiali straordinarie relative all'immobile in comproprietà, in proporzione alla propria quota di titolarità. L'obbligo di contribuzione alle spese condominiali straordinarie grava sul comproprietario in quanto tale, a prescindere dalla circostanza che egli non possa godere materialmente dell'immobile, essendo questo assegnato all'altro comproprietario. Inoltre, l'eventuale mancata partecipazione del comproprietario alle assemblee condominiali, pur potendo rilevare nei rapporti tra lo stesso e il condominio, non lo esonera dall'obbligo di concorrere al pagamento delle spese condominiali straordinarie nei confronti dell'altro comproprietario, titolare del credito per il rimborso di tali spese. Pertanto, il comproprietario di un immobile è tenuto a rimborsare all'altro comproprietario la quota di spese condominiali straordinarie da questi sostenute, in proporzione alla propria quota di titolarità sull'immobile, indipendentemente dalla circostanza che egli non possa godere materialmente dell'immobile stesso.

  • La delibera assembleare di condominio relativa alla nomina dell'amministratore è nulla qualora non sia stata approvata dalla maggioranza degli intervenuti, anche se raggiunta la maggioranza del valore dell'edificio, in quanto il quorum deliberativo richiesto dalla legge non è stato rispettato. Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è che la delibera assembleare di condominio relativa alla nomina dell'amministratore è nulla se non è stata approvata dalla maggioranza degli intervenuti, a prescindere dal fatto che sia stata raggiunta la maggioranza del valore dell'edificio. Ciò in quanto il quorum deliberativo previsto dalla legge, costituito dalla maggioranza degli intervenuti e dalla metà del valore dell'edificio, non è stato rispettato. La massima giuridica può essere così formulata: La delibera assembleare di condominio relativa alla nomina dell'amministratore è nulla qualora non sia stata approvata dalla maggioranza degli intervenuti, anche se raggiunta la maggioranza del valore dell'edificio, in quanto il quorum deliberativo richiesto dalla legge, costituito dalla maggioranza degli intervenuti e dalla metà del valore dell'edificio, non è stato rispettato. L'annullamento della delibera è dovuto al mancato raggiungimento della maggioranza degli intervenuti, a prescindere dal fatto che sia stata raggiunta la maggioranza del valore dell'edificio, in quanto entrambi i requisiti sono necessari per la validità della delibera assembleare di condominio avente ad oggetto la nomina dell'amministratore. La mancanza di uno dei due quorum previsti dalla legge comporta l'annullabilità della delibera, a tutela del principio di democraticità e partecipazione nell'adozione delle decisioni condominiali.

  • L'atto di divisione ereditaria, anche se concluso a titolo transattivo nell'ambito di un procedimento giurisdizionale, ha natura costitutiva e traslativa, determinando il passaggio della proprietà dei beni ereditari dai condividenti al singolo erede assegnatario. Tale efficacia traslativa retroagisce al momento dell'apertura della successione, in virtù del principio di cui all'art. 757 c.c., senza che ciò incida sulla natura costitutiva dell'atto divisorio. Pertanto, l'atto di transazione che definisce il procedimento di divisione ereditaria deve essere trascritto ai fini della pubblicità immobiliare, in quanto negozio giuridico avente efficacia reale e non meramente dichiarativa.

  • Il riconoscimento dell'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicando i criteri equiordinati di cui all'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970. Il giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto. Lo squilibrio economico tra le parti e l'alto livello reddituale dell'altro ex coniuge, da soli, non giustificano l'attribuzione di un assegno in proporzione alle sostanze di quest'ultimo, essendo invece necessario accertare se tale squilibrio sia riconducibile eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari. Ove sussista uno squilibrio economico-reddituale tra le parti, la determinazione dell'assegno divorzile deve essere effettuata tenendo conto di tutti i criteri stabiliti dall'art. 5, co. 6 L. Div., con particolare riguardo all'oggettiva impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte del coniuge più debole dal punto di vista economico. Analogamente, il mantenimento del figlio maggiorenne deve essere riconosciuto ove non sia raggiunta la prova della sua completa autosufficienza economica, senza che assumano rilievo, da sole, le prime esperienze lavorative di carattere precario o occasionale.

  • Il comportamento del locatore che, pur essendo titolare del credito rappresentato dai canoni locatizi, non abbia mai preteso il pagamento sin dall'origine del rapporto, può generare un affidamento nella rinuncia del credito sino ad allora maturato nei confronti del conduttore. In tal caso, la repentina richiesta di adempimento dell'obbligazione di pagamento potrebbe costituire un abuso del diritto, in violazione del principio di buona fede e dei doveri di solidarietà sociale previsti dalla Costituzione. Pertanto, il mancato pagamento dei canoni non richiesti non può fondare l'inadempimento che giustifichi la risoluzione del contratto di locazione. Inoltre, la prova della simulazione di un contratto deve essere fornita mediante la c.d. contro scrittura dalla quale risulti la diversa volontà delle parti, non essendo sufficiente il solo comportamento del locatore di non aver sollecitato il pagamento dei canoni.

  • La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: Il titolo esecutivo per l'esecuzione forzata di rilascio di un immobile deve essere costituito da un atto che contenga l'accordo raggiunto tra le parti in sede di mediazione, regolarmente sottoscritto dagli avvocati che le assistono, ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 28/2010. Il verbale di mediazione che recepisce tale accordo costituisce titolo esecutivo, essendo irrilevante la distinzione tra verbale e accordo, in quanto il verbale di mediazione contiene l'accordo raggiunto tra le parti. Tuttavia, il titolo esecutivo derivante dal verbale di mediazione è opponibile alla procedura di liquidazione coatta amministrativa solo nei confronti del soggetto che ha stipulato il contratto di comodato d'uso gratuito con la cooperativa in bonis, essendo inopponibili alla procedura concorsuale i successivi contratti di locazione stipulati dal comodatario con terzi. Pertanto, il Tribunale competente a conoscere delle controversie relative alla procedura di liquidazione coatta amministrativa è il Tribunale Fallimentare, ai sensi degli artt. 24 e 52 della Legge Fallimentare, mentre il Tribunale ordinario è competente a conoscere dell'accertamento dell'opponibilità del contratto di locazione alla procedura concorsuale, in applicazione del principio di continenza e pregiudizialità tra i giudizi pendenti.

  • Il contratto di lavoro a tempo determinato può essere liberamente stipulato per un periodo non superiore a 12 mesi, senza necessità di indicare le causali giustificatrici. Superato tale termine, in assenza delle causali di cui all'art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, il contratto si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, la durata complessiva dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra le stesse parti, anche in caso di successione di contratti, non può superare i 24 mesi, salvo il ricorso alla procedura di cui all'art. 19, comma 3, del medesimo decreto. Il lavoratore che deduce la nullità/inefficacia del licenziamento per mancanza della forma scritta ha l'onere di provare che la cessazione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale. In materia retributiva, il lavoratore che chiede il riconoscimento di compensi per lavoro straordinario o indennità sostitutive di ferie e permessi non goduti ha l'onere di provare l'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa oltre l'orario contrattuale, non essendo sufficiente una generica testimonianza. Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore la retribuzione dovuta secondo il CCNL applicato, con l'obbligo di rilasciare regolari buste paga che costituiscono prova dei dati in esse indicati.

  • Il giudice del lavoro, nell'ambito di un'opposizione a intimazione di pagamento di contributi previdenziali e assicurativi, accerta che l'azione promossa dal contribuente ha natura di azione di accertamento negativo del credito, con conseguente legittimazione passiva esclusiva dell'ente creditore (INPS e INAIL) e non del concessionario della riscossione. Pertanto, in caso di omessa notifica delle cartelle di pagamento o degli avvisi di addebito, ovvero di prescrizione del credito antecedente la notifica, il giudice dichiara l'annullamento dell'intimazione di pagamento e l'estinzione del credito per prescrizione, condannando l'ente creditore al rimborso delle spese processuali. Ciò in quanto, nel sistema previdenziale, non trova applicazione la disciplina del D.Lgs. n. 112 del 1999 relativa alla legittimazione passiva del concessionario della riscossione, ma si applica il solo disposto dell'art. 24 del D.Lgs. n. 46 del 1999, con conseguente legittimazione passiva esclusiva dell'ente impositore. Inoltre, l'opposizione all'intimazione di pagamento è soggetta a termini di decadenza, con la conseguenza che, ove proposta tardivamente per far valere vizi di forma o di merito, deve essere dichiarata inammissibile, fatta salva la possibilità di opporsi alla prescrizione del credito sopravvenuta alla notifica.

  • Il diritto alle prestazioni assistenziali, come l'assegno sociale, nasce al verificarsi dei requisiti previsti dalla legge e non per effetto di atti di "concessione". Pertanto, i procedimenti amministrativi volti ad accertare l'esistenza o l'inesistenza di tali requisiti hanno natura meramente ricognitiva, senza configurare poteri discrezionali di autotutela. Tuttavia, il regime dell'indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti peculiari rispetto alla regola generale della ripetibilità dell'indebito di cui all'art. 2033 c.c. In particolare, la giurisprudenza ha affermato che la ripetizione non è dovuta quando l'erogazione indebita non sia addebitabile al percipiente e sia idonea a generare un affidamento, in considerazione della finalità di tali prestazioni di soddisfare bisogni alimentari propri e della famiglia, in attuazione del principio di solidarietà sociale sancito dall'art. 38 Cost. Pertanto, nel caso di accertata insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti reddituali per il godimento dell'assegno sociale, l'Istituto previdenziale può procedere alla ripetizione dell'indebito solo entro il termine di prescrizione decennale, e non può pretendere la restituzione integrale delle somme erogate quando il beneficiario le abbia percepite in buona fede, senza che gli sia addebitabile alcuna condotta illecita o negligente.

  • Il soggetto che presenta domanda per l'indennità di disoccupazione è tenuto a comunicare all'INPS, entro un mese dalla presentazione della domanda, il reddito presunto derivante da attività lavorativa autonoma o di impresa individuale svolta, anche se tale attività risulti inattiva o di fatto non produttiva di reddito. L'omissione di tale comunicazione comporta la decadenza dalla prestazione, a prescindere dalla concreta incidenza del reddito omesso sulla spettanza o sulla quantificazione dell'indennità, in quanto tale obbligo informativo è funzionale a consentire all'Istituto previdenziale di verificare il rispetto dei limiti reddituali previsti per la conservazione dello stato di disoccupazione. La ratio della normativa è infatti quella di escludere o ridurre l'erogazione dell'indennità nei confronti di soggetti che, pur in possesso degli altri requisiti amministrativi, siano titolari di redditi superiori a determinati limiti-soglia, a tutela della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Pertanto, la sanzione della decadenza opera per il solo fatto dell'omissione della comunicazione, senza che rilevi se dall'omissione sia derivato un evento lesivo.

  • La massima giuridica che può essere estratta dalla sentenza è la seguente: La società cessionaria di un credito in blocco, a fronte della contestazione da parte del debitore della titolarità del credito, ha l'onere di provare documentalmente l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione, non essendo sufficiente la mera pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'avviso di cessione ai sensi dell'art. 58 TUB. In assenza di tale prova documentale, deve essere dichiarata la carenza di legittimazione attiva della società cessionaria e conseguentemente revocato il decreto ingiuntivo opposto. Inoltre, qualora emerga la manifesta infondatezza della pretesa creditoria della società opposta, il giudice può condannarla, anche d'ufficio, al risarcimento dei danni ex art. 96, comma 3, c.p.c. per aver abusato dello strumento processuale, appesantendo inutilmente il corso della giustizia.

  • Il diritto all'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, della L. n. 335 del 1995 spetta al cittadino italiano residente in Italia che abbia compiuto 65 anni e si trovi in condizioni reddituali tali da determinare uno stato di bisogno economico, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia o meno richiesto l'assegno di mantenimento al coniuge separato o divorziato. Il requisito reddituale rilevante ai fini del diritto all'assegno sociale è costituito dall'ammontare dei redditi effettivamente conseguiti nell'anno solare di riferimento, senza che possa rilevare un reddito potenziale mai attribuito e/o percepito dal soggetto richiedente. Pertanto, il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento da parte del coniuge separato o divorziato non può essere considerato un comportamento colposo del richiedente l'assegno sociale tale da limitare o escludere il diritto alla prestazione assistenziale, in quanto lo stato di bisogno economico deve essere valutato esclusivamente sulla base dei redditi effettivamente percepiti e non di quelli potenzialmente esigibili. L'obbligo dello Stato di assicurare l'assistenza ai cittadini bisognosi, sancito dall'art. 38 della Costituzione, non può essere subordinato alla preventiva attivazione di azioni esecutive da parte del richiedente nei confronti del coniuge inadempiente, in quanto ciò finirebbe per lasciare tali soggetti alla mercé delle vischiosità dei rapporti familiari, impedendo alla collettività di garantirne la personalità, l'autonomia e la stessa dignità.

  • Il rapporto di lavoro subordinato si caratterizza per l'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, nonché per la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore. Ove tali elementi siano accertati, il lavoratore ha diritto alla corresponsione della retribuzione ordinaria, della tredicesima mensilità, della quattordicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto, nonché alla regolarizzazione contributiva del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro, anche in assenza della prova del versamento dei contributi dovuti. Il datore di lavoro che non contesti l'inadempimento retributivo o contributivo è tenuto a provare l'avvenuto pagamento delle somme dovute, in difetto della quale il lavoratore ha diritto al riconoscimento dei crediti vantati.

  • Il conduttore può sospendere parzialmente il pagamento del canone di locazione in proporzione all'inesatto adempimento del locatore, qualora i vizi dell'immobile siano in prevalenza imputabili alla natura del costruito, nel rispetto del canone di buona fede oggettiva e dell'equilibrio sinallagmatico del contratto. La riduzione del canone deve essere commisurata all'entità dell'inadempimento del locatore, valutata anche in relazione ai costi necessari per il ripristino dell'immobile, senza che ciò comporti la restituzione del deposito cauzionale, il quale assolve alla funzione di tenere indenne il proprietario da eventuali danni provocati dal conduttore. L'accertamento della sussistenza e dell'entità dei danni alla salute del conduttore, derivanti dallo stato dell'immobile, richiede idonea documentazione probatoria.

  • Il lavoratore subordinato ha diritto all'inquadramento nella qualifica superiore prevista dal contratto collettivo applicato, qualora svolga effettivamente mansioni rientranti in tale qualifica, con autonomia decisionale di particolare ampiezza e importanza, nei limiti delle sole direttive generali impartite. Tale accertamento deve essere compiuto dal giudice attraverso un procedimento logico-giuridico articolato in tre fasi successive: l'accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, l'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, e il raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale. Il riconoscimento del diritto all'inquadramento nella qualifica superiore comporta il diritto alle relative differenze retributive, fermo restando il principio dell'assorbimento del superminimo individualmente pattuito, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva o diverso accordo tra le parti. Il mancato pagamento della retribuzione, quale corrispettivo fondamentale della prestazione di lavoro subordinato, integra la giusta causa di dimissioni in tronco del lavoratore per colpa del datore di lavoro, con diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, a meno che il lavoratore non abbia continuato a fornire la prestazione nonostante la situazione di crisi aziendale a lui nota.

  • Il lavoratore che agisce per ottenere il corretto inquadramento professionale ai sensi dell'art. 2103 c.c. ha l'onere di provare l'effettivo svolgimento di mansioni diverse e superiori rispetto a quelle contrattualmente concordate. A tal fine, il giudice deve seguire un iter logico articolato in tre fasi successive: a) accertare le mansioni concretamente svolte dal lavoratore; b) verificare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; c) raffrontare i risultati delle due indagini ed individuare la categoria in cui deve essere inquadrato il lavoratore in base alle mansioni svolte. Ove il lavoratore non descriva e provi le mansioni effettivamente svolte, al giudice è precluso il giudizio, non potendo operare il raffronto tra le mansioni in concreto svolte e quelle descritte nel contratto collettivo di categoria in relazione all'inquadramento professionale. Inoltre, ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in due distinte qualifiche, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o in maniera più complessa, l'onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, anche sull'espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento. Tuttavia, qualora il lavoratore abbia assolto all'onere probatorio, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio formale del datore di lavoro contumace, valutando ogni altro elemento di prova, senza che ciò possa essere censurato in sede di legittimità. Infine, la liquidazione delle differenze retributive deve essere effettuata al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore), mentre le ritenute fiscali ineriscono ad un momento successivo all'accertamento e alla liquidazione delle spettanze retributive.

  • Il lavoratore che svolge in modo prevalente e continuativo mansioni superiori a quelle contrattualmente previste per il suo inquadramento professionale, dimostrando di possedere specifiche competenze tecniche e pratiche, nonché capacità di coordinamento e autonomia operativa, ha diritto al riconoscimento di un inquadramento superiore, anche in assenza di formali titoli professionali, purché sia in grado di provare l'effettivo svolgimento delle mansioni superiori. Ove il lavoratore dimostri di aver svolto, in modo pieno e continuativo, mansioni riconducibili al livello 4S del CCNL applicato, con compiti di esecuzione di impianti elettrici sulla base di disegni o schemi, con autonomia esecutiva e anche con l'aiuto di altri lavoratori, egli ha diritto al corrispondente inquadramento, anche in assenza di specifici titoli professionali, in applicazione del principio di corrispondenza tra mansioni effettivamente svolte e qualifica rivestita. Inoltre, il lavoratore che abbia svolto lavoro straordinario oltre l'orario contrattuale, anche se non espressamente autorizzato, ha diritto al relativo compenso, salvo che il datore di lavoro non dimostri di averlo retribuito o di non essere a conoscenza dello svolgimento di tale attività. Infine, il credito retributivo del lavoratore, comprensivo di differenze retributive e compensi per lavoro straordinario, deve essere liquidato al lordo delle ritenute fiscali e contributive, con successiva detrazione delle somme nette effettivamente percepite, in applicazione del principio di corrispondenza tra retribuzione dovuta e retribuzione effettivamente corrisposta.

  • Il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento di mansioni superiori e il relativo inquadramento professionale, nonché il pagamento di differenze retributive e di altre voci accessorie, ha l'onere di provare in modo specifico e dettagliato le mansioni effettivamente svolte, dimostrando che esse erano diverse e superiori rispetto a quelle contrattualmente previste per la qualifica rivestita. In assenza di tale prova, il giudice non può procedere al raffronto tra le mansioni concretamente eseguite e la declaratoria di inquadramento prevista dal contratto collettivo, né può riconoscere il diritto del lavoratore al pagamento di differenze retributive e di altre voci accessorie. Inoltre, le rinunce e transazioni aventi ad oggetto diritti del lavoratore, se sottoscritte in sedi protette quali le commissioni di conciliazione o in sede sindacale con l'assistenza effettiva del rappresentante dei lavoratori, sono valide ed efficaci sin dal momento della loro sottoscrizione, non essendo più impugnabili dal lavoratore. L'assistenza sindacale è da ritenersi effettiva quando il rappresentante dei lavoratori illustra compiutamente al dipendente ogni effetto e conseguenza discendente dalla sottoscrizione del verbale di conciliazione, in modo che il lavoratore abbia piena consapevolezza dei diritti a cui sta rinunciando e della misura della rinuncia. Pertanto, il lavoratore che abbia sottoscritto un verbale di conciliazione in sede sindacale non può successivamente agire in giudizio per ottenere il riconoscimento di diritti già oggetto di rinuncia o transazione.

  • Il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore quando omette di adottare le idonee misure di prevenzione e protezione e non esercita un'adeguata vigilanza sull'effettivo utilizzo di tali misure da parte del dipendente, non potendo l'eventuale concorso di colpa del lavoratore esimere il datore di lavoro dalla responsabilità. L'unico caso in cui la responsabilità datoriale viene meno è quello del "rischio elettivo", configurabile solo quando il lavoratore ponga in essere un comportamento abnorme, estraneo ed esorbitante rispetto all'attività lavorativa, creando egli stesso condizioni di rischio estranee a quelle connesse alle normali modalità del lavoro da svolgere. Il datore di lavoro è inoltre responsabile anche per i rischi specifici propri dell'attività svolta dall'impresa sub-appaltatrice, essendosi assunto la disponibilità giuridica dei luoghi in cui erano in esecuzione le opere. Nell'ambito della responsabilità contrattuale, il lavoratore deve allegare e provare l'esistenza del fatto materiale e il nesso di causalità, mentre al datore di lavoro spetta provare di avere adottato tutte le misure di sicurezza per prevenire il danno.

  • Il custode di una cosa, quale la pavimentazione stradale, è responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni cagionati dalla cosa in custodia, salvo che dimostri il caso fortuito, ossia un fatto estraneo alla sua sfera di controllo, avente carattere di imprevedibilità ed eccezionalità. Grava sul custode l'onere di provare l'assenza di colpa, attraverso la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, come la vigilanza, la manutenzione e la segnalazione di eventuali pericoli. In caso di persistente incertezza sulla causa del danno, il fatto ignoto è imputato al custode. La responsabilità del custode sussiste anche ai sensi dell'art. 2043 c.c. quando l'insidia o la cosa in custodia presentino caratteri di non visibilità e non prevedibilità per l'utente, in violazione del dovere di diligenza e di prevenzione dei pericoli. Il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non è idoneo a interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso. Qualora il convenuto abbia resistito in giudizio in modo pretestuoso, privo di plausibili ragioni giuridiche e fattuali, il giudice può condannarlo, anche d'ufficio, al risarcimento dei danni ex art. 96, comma 3, c.p.c., quale sanzione per l'abuso dello strumento processuale e l'inutile aggravio del contenzioso, in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

  • La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'avviso di cessione di crediti in blocco, ai sensi dell'art. 58 TUB, esonera il cessionario dall'obbligo di notificare la cessione al debitore ceduto, ma non è sufficiente a provare la titolarità del credito in capo al cessionario, il quale ha l'onere di produrre il contratto di cessione o altra documentazione idonea a individuare in modo certo i crediti oggetto della cessione. In mancanza di tale prova, il cessionario difetta di legittimazione attiva e il titolo esecutivo emesso a suo favore deve essere revocato. Inoltre, qualora la condotta processuale del cessionario risulti manifestamente temeraria e abusiva, il giudice può condannarlo, anche d'ufficio, al risarcimento dei danni in favore della controparte ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

  • L'invalidità in misura non inferiore all'80% costituisce requisito per il riconoscimento della pensione di vecchiaia anticipata ai sensi dell'art. 1, comma 8, del D.Lgs. n. 503 del 1992, a prescindere dal raggiungimento dei limiti di età ordinari, purché siano altresì integrati i presupposti contributivi e di cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, l'accesso a tale trattamento pensionistico è soggetto al regime delle c.d. "finestre", per cui il diritto alla liquidazione della pensione decorre dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di maturazione dei requisiti. Pertanto, l'invalido in misura non inferiore all'80% che soddisfi i requisiti di legge ha diritto alla pensione di vecchiaia anticipata a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di accertamento della sussistenza dei presupposti, con applicazione del regime delle finestre mobili. Le spese di lite, in caso di parziale accoglimento della domanda per la sola decorrenza, sono compensate tra le parti, mentre le spese per la consulenza tecnica d'ufficio finalizzata all'accertamento del requisito sanitario sono poste a carico dell'INPS, in quanto competente in via amministrativa per tale verifica.

  • Il servizio prestato dal personale docente presso scuole statali e pareggiate, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo, ai sensi dell'art. 485 del D.Lgs. n. 297 del 1994. Tale riconoscimento non si estende al servizio prestato presso scuole paritarie non pareggiate, in quanto la normativa vigente non prevede l'equiparazione di tale servizio a quello prestato presso le scuole statali o pareggiate, fatta eccezione per alcune tipologie di scuole paritarie espressamente indicate. Pertanto, le disposizioni contrattuali che escludono la valutazione del servizio prestato presso scuole paritarie ai fini della mobilità del personale docente sono legittime, non configurando una discriminazione vietata, in quanto la diversità di trattamento è giustificata dalla diversità del datore di lavoro e delle modalità di accesso. Tuttavia, il servizio effettivamente prestato presso le scuole statali o pareggiate deve essere integralmente riconosciuto ai fini della ricostruzione di carriera e della progressione stipendiale, in applicazione dei principi di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato.

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