Il disturbo della personalità, anche se non inquadrabile nel ristretto novero delle malattie mentali, può integrare il concetto di "infermità" ai fini dell'imputabilità, purché sia di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa. Tuttavia, non ogni anomalia caratteriale o alterazione e disarmonia della personalità rileva ai fini dell'imputabilità, essendo necessario che il disturbo presenti i suddetti caratteri di gravità e incidenza sulla capacità di intendere e di volere. Inoltre, l'obbligo di motivazione sulla determinazione della pena è assolto dal giudice di merito quando, pur senza una analitica esplicitazione dei singoli criteri di cui all'art. 133 c.p., dia conto dell'impiego di tali criteri con espressioni del tipo "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", ovvero con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale. Infine, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse.