Il diritto di critica sindacale, anche se espresso con termini potenzialmente offensivi, non integra il reato di diffamazione quando si riferisce a una prassi consolidata e nota nell'ambiente sindacale, senza tramodare in una gratuita ed ingiustificata aggressione alla sfera morale altrui. L'uso della locuzione "in cambio", nel contesto di una critica sindacale, non evoca necessariamente un mercimonio della carica ricoperta, ma può riferirsi legittimamente all'avvicendamento o sostituzione nelle funzioni, qualora tale prassi risulti consolidata e nota nell'ambiente di riferimento. Il giudice di merito, nel valutare la portata diffamatoria di una frase, deve ancorare l'esegesi allo specifico contesto in cui le espressioni sono state pronunciate, declinando la propria opzione semantica in maniera logica e coerente con tutte le circostanze della vicenda, senza appigliarsi a mere congetture. L'esercizio del diritto di critica, specie in ambito sindacale, è legittimo e non integra il reato di diffamazione, a meno che le espressioni utilizzate non travalicano i limiti della continenza e si risolvano in una gratuita ed ingiustificata aggressione alla sfera morale altrui.