Il concorso nel reato di corruzione si configura quando il soggetto, pur non essendo pubblico ufficiale, partecipa attivamente all'accordo corruttivo, ponendosi come intermediario tra il privato e il pubblico agente e percependo direttamente una parte del prezzo della corruzione, anche se non l'intero importo. In tali casi, la condotta non può essere ricondotta al meno grave reato di traffico di influenze illecite, in quanto il prezzo percepito dal concorrente non è finalizzato esclusivamente a remunerare l'attività di mediazione, ma è causalmente dipendente dall'ottenimento dell'atto amministrativo da parte del pubblico ufficiale corrotto. Inoltre, il mero fatto che il contributo offerto dall'imputato concorrente non abbia aggiunto elementi significativi all'impianto accusatorio non è sufficiente a giustificare il riconoscimento dell'attenuante della particolare tenuità del fatto, atteso che tale circostanza attenua la pena a prescindere dalla valutazione della offensività della condotta. Infine, la quantificazione del profitto del reato, basata sulla pluralità di episodi corruttivi accertati, non può essere messa in discussione attraverso mere ricostruzioni alternative del fatto, non supportate dalla motivazione della sentenza impugnata.