Corte d'appello civile Milano sentenza n. 5 del 5 aprile 2023

Massima

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Il mobbing lavorativo, quale complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo, richiede, ai fini della sua configurabilità, la ricorrenza di molteplici elementi: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano stati posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le condotte descritte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. Alla base della responsabilità per mobbing si pone l'art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, per garantirne la salute, la dignità e i diritti fondamentali di cui agli artt. 2, 3 e 32 Cost. Ai fini dell'ammissibilità delle prove testimoniali richieste dal lavoratore, non è necessaria una indicazione specifica e formalistica dei fatti da provare, essendo sufficiente che la natura del comportamento o dell'attività sia precisata in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova, spettando al difensore e al giudice l'eventuale individuazione dei dettagli durante l'esperimento del mezzo istruttorio. Tuttavia, ove le istanze istruttorie risultino generiche quanto alla collocazione temporale degli episodi e le condotte addebitate al datore di lavoro appaiano apparentemente neutre e non assistite da intento persecutorio, il giudice può legittimamente negare l'ammissione delle prove testimoniali. Inoltre, il datore di lavoro che, a seguito dell'accertamento sanitario di inidoneità parziale del lavoratore, lo adibisca a mansioni diverse, previo inquadramento nel parametro corrispondente alle nuove mansioni, non pone in essere una condotta mobbizzante, in quanto tale provvedimento risulta adottato in applicazione della specifica disciplina contrattuale che regola il trattamento del lavoratore divenuto inidoneo alle proprie mansioni.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI MILANO
SEZIONE LAVORO
nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa Silvia Marina Ravazzoni - Presidente est.
dott.ssa Benedetta Pattumelli - Consigliere
dott.ssa Giulia Dossi - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano (est. dr.ssa GIGLI) n. 229/2022 nella causa RG 479/2021 pubblicata il 4.2.2022 promossa da:
(...) con l'avv. GI.VE. e l'avv. ES.CA., elettivamente domiciliata in MILANO via (...)
parte appellante
contro
AZIENDA (...) S.P.A., con l'avv. DO.LI. e l'avv. CH.CR., elettivamente domiciliata in MILANO Foro (...)
parte appellata
MOTIVI DELLA DECISIONE
in fatto e in diritto
Con sentenza depositata il 4.02.2022, il Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nella causa n. 479/2021 RG, promossa da (..…

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