Il peculato si consuma nel momento in cui ha luogo l'appropriazione della "res" o del denaro pubblico da parte dell'agente, la quale, anche quando non arreca danno patrimoniale alla P.A., è comunque lesiva dell'ulteriore interesse tutelato dall'art. 314 c.p., che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato. Il pubblico ufficiale non può farsi accreditare somme dal "fondo riservato", nemmeno sotto forma di asseriti rimborsi per spese anticipate, in quanto tali spese, se non destinate alla realizzazione di un fine istituzionale dell'ente e funzionali a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dello stesso, integrano la fattispecie di peculato. L'errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione di un bene pubblico per fini diversi da quelli istituzionali non configura un errore di fatto su legge diversa da quella penale, atto ad escludere il dolo, ma costituisce errore o ignoranza della legge penale il cui contenuto è integrato dalla norma amministrativa che disciplina la destinazione del bene pubblico. Nella determinazione della pena, il giudice di merito gode di ampia discrezionalità, nel rispetto dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 c.p., senza necessità di una specifica e dettagliata motivazione, salvo che la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale.