Cassazione penale Sez. II sentenza n. 18251 del 2 maggio 2023

ECLI:IT:CASS:2023:18251PEN

Massima

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Il metodo mafioso, quale aggravante oggettiva, ricorre quando l'agente, pur senza essere partecipe o concorrere in reati associativi, pone in essere una condotta idonea ad esercitare una particolare coartazione psicologica, non necessariamente su persone determinate, ma anche su un numero indeterminato di soggetti, conculcati nella loro libertà e tranquillità con i caratteri propri dell'intimidazione derivante dall'organizzazione criminale di tipo mafioso. In tal caso, non è necessario che l'associazione mafiosa, quale logico presupposto della più grave condotta dell'agente, sia in concreto precisamente delineata come entità ontologicamente presente nella realtà fenomenica; essa può essere anche semplicemente presumibile, nel senso che la condotta stessa, per le modalità che la distinguono, sia già di per sé tale da evocare nel soggetto passivo l'esistenza di consorterie e sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso. Pertanto, la superiorità numerica, la presenza di guardaspalle, l'ostentazione della disponibilità di armi, la rivendicazione della pretesa di controllare un territorio, anche dei Carabinieri, e di imporre la propria volontà, l'evocazione dell'intervento di terzi al proprio soldo, sono elementi sufficienti a configurare l'aggravante del metodo mafioso, senza che sia necessaria la prova dell'esistenza di un'associazione di tipo mafioso o dell'appartenenza dell'autore dei fatti a tale associazione. Ai fini dell'integrazione del delitto di minaccia o di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista l'idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale, sì che la pubblica funzione ne risulti impedita o ostacolata. Inoltre, il tenore delle minacce pronunciate, il momento in cui le stesse sono state proferite e il contesto in cui la condotta illecita si è realizzata, possono correttamente portare il giudice di merito a ritenere la piena coscienza e volontarietà della condotta. Infine, il reato di detenzione di armi può essere contestato a titolo di concorso morale, qualora le armi siano state rinvenute nel corso di perquisizioni effettuate nei confronti di altri soggetti, ma l'imputato abbia comunque esercitato una signoria piena sulle stesse e abbia dato disposizioni per il loro spostamento e occultamento.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni - Presidente

Dott. VERGA Giovanna - rel. Consigliere

Dott. DE SANTIS Anna Maria - Consigliere

Dott. NICASTRO Giuseppe - Consigliere

Dott. CERSOSIMO Emanuele - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/04/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VERGA GIOVANNA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COCOMELLO ASSUNTA;
Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' del ricorso.
udito il difensore:
L'avvocato (OMISSIS) in difesa di REGIONE VENETO IN PERSONA DEL PRESIDENTE P.T. dopo il …

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