Il datore di lavoro ha l'onere di provare la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il trasferimento del lavoratore, dovendo dimostrare l'effettività del nesso causale tra il trasferimento e tali ragioni. Il controllo giurisdizionale non può limitarsi alla situazione esistente nella sede di provenienza, ma deve estendersi anche alla sede di destinazione, restando a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di dette ragioni. Inoltre, il datore di lavoro, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede, è tenuto a preferire la soluzione organizzativa meno gravosa per il dipendente, soprattutto quando questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni ostative al trasferimento. L'abuso del diritto di trasferimento è configurabile quando il datore di lavoro eserciti tale potere con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando un sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale. Pertanto, il rifiuto del lavoratore di adempiere al provvedimento di trasferimento illegittimo non può essere automaticamente considerato inadempimento, dovendo il giudice valutare, ai sensi dell'art. 1460, comma 2, c.c., se tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, risulti contrario alla buona fede.