Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Le dichiarazioni rese da un soggetto al pubblico ministero, anche se non pienamente corrispondenti alla realtà dei fatti, non integrano necessariamente il reato di calunnia o di false informazioni al pubblico ministero, qualora risulti che il soggetto non abbia agito con dolo, ma al più con negligenza o imprecisione. Affinché possa configurarsi il reato di calunnia o di false informazioni, è necessario che le dichiarazioni siano state rese con la consapevolezza della loro falsità e con l'intento di nuocere all'altrui reputazione. La mera inesattezza o imprecisione delle dichiarazioni, anche se rilevanti, non è sufficiente a integrare tali fattispecie delittuose, in assenza della prova del dolo specifico. Pertanto, il risarcimento del danno non può essere riconosciuto sulla base della sola dimostrazione dell'inesattezza delle dichiarazioni, essendo necessario accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di calunnia o diffamazione, in particolare il dolo specifico dell'agente.