Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale si configura quando l'autore del fatto sia consapevole che il soggetto contro il quale è diretta la violenza o la minaccia rivesta la qualità di pubblico ufficiale e stia svolgendo un'attività del proprio ufficio. La condotta integrativa del reato può consistere anche nell'espressione di una minaccia astrattamente idonea ad incutere timore nell'agente pubblico, purché sussista il nesso funzionale tra tale condotta e l'attività svolta dal pubblico ufficiale. Il giudice di merito, nel valutare la sussistenza del delitto, deve accertare se la condotta dell'imputato fosse diretta a sottrarsi all'atto del pubblico ufficiale ovvero a manifestare un mero intento oltraggioso, essendo quest'ultima ipotesi penalmente irrilevante. Tuttavia, ove il giudice di merito abbia motivato in modo logico ed esaustivo l'esistenza del nesso causale psicologico tra la condotta dell'imputato e l'attività del pubblico ufficiale, escludendo che la condotta fosse espressione di un mero sfogo di sentimenti ostili, tale valutazione non può essere sindacata in sede di legittimità se non in caso di manifesta illogicità o contrasto con le risultanze processuali.