Il diritto di critica professionale, anche se esercitato in modo erroneo per un fraintendimento del comportamento altrui, non integra il reato di diffamazione quando l'agente abbia agito nella ragionevole convinzione della sussistenza dei presupposti per l'esercizio di tale diritto, in assenza di intenti diffamatori. Il diritto di critica, infatti, scrimina la condotta quando l'agente, pur in presenza di un errore sul fatto, abbia agito con l'intento di segnalare comportamenti professionali ritenuti non conformi ai doveri deontologici, rivolgendosi agli organi competenti per l'esercizio del potere disciplinare. In tali casi, la condotta, pur essendo obiettivamente lesiva della reputazione altrui, non è punibile in quanto espressione di un diritto costituzionalmente garantito, purché esercitato senza eccedere i limiti della continenza e della verità putativa. Il riconoscimento della scriminante dell'esercizio del diritto di critica in forma putativa esclude la configurabilità del reato di diffamazione, in quanto il fatto non costituisce reato.