La mancata o tardiva impugnazione dell'atto presupposto, che costituisce il fondamento giuridico di un successivo provvedimento, rende inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto contro quest'ultimo, salvo che non emergano vizi propri che possano connotare l'autonoma illegittimità della singola fase procedimentale di attuazione. Infatti, qualora sussista un rapporto di presupposizione tra atti amministrativi, l'omessa o tardiva impugnazione dell'atto presupposto determina la carenza di interesse alla decisione del ricorso avverso l'atto consequenziale, in quanto quest'ultimo non può essere valutato autonomamente senza l'annullamento del provvedimento che ne costituisce il presupposto logico e giuridico. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui il ricorrente, nel proporre gravame contro l'atto consequenziale, non abbia censurato quest'ultimo per vizi propri ma abbia riproposto le medesime censure già formulate avverso l'atto presupposto, il quale sia stato definitivamente dichiarato perento. In tali ipotesi, il ricorso avverso l'atto consequenziale deve essere dichiarato improcedibile, in quanto l'interesse alla sua decisione risulta venuto meno per effetto della definitiva estinzione del giudizio relativo all'atto presupposto.