Il medico che assiste una paziente in travaglio di parto è tenuto ad un costante monitoraggio delle condizioni del feto, in particolare della frequenza cardiaca e dei segni di sofferenza fetale, al fine di adottare tempestivamente le opportune misure di intervento, come il ricorso al parto cesareo, laddove emergano elementi che facciano ragionevolmente prevedere un esito infausto per il nascituro. L'omissione di tale doveroso controllo e la conseguente mancata adozione di un intervento chirurgico urgente, in presenza di evidenti segnali di sofferenza fetale, integra una condotta colposa del sanitario, idonea a cagionare l'evento letale del feto, ove questo si verifichi. Il nesso causale tra la condotta omissiva del medico e l'evento morte del nascituro non viene meno per il solo fatto che siano prospettabili ipotesi eziologiche alternative, in assenza di elementi probatori che ne dimostrino in modo certo la prevalenza o l'esclusività. Incombe pertanto sul medico l'onere di dimostrare che l'evento infausto non sia stato determinato dalla propria condotta negligente, omissiva o imperita, ma da fattori causali diversi e indipendenti dalla sua azione o inazione.