Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 1518 del 27 maggio 1997

ECLI:IT:CASS:1997:1518PEN

Massima

Massima ufficiale
Ai fini dell'applicazione di una misura coercitiva i "gravi indizi di colpevolezza" vanno individuali in quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che - contenendo "in nuce" tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono di per sé a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dello indagato, e tuttavia consentono per la loro consistenza di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza. Anche la chiamata in correità, in questo contesto, può costituire indizio, quando sia scrupolosamente valutata l'attendibilità dell'accusatore sia sotto il profilo intrinseco che sotto quello estrinseco. Sotto il primo profilo occorre apprezzarne precisione, coerenza interna, ragionevolezza, sotto il secondo è necessario appurare se sussistano o meno elementi esterni che smentiscono l'accusa e se questa sia confortata da riscontri esterni. Questi ultimi, tuttavia, devono essere ricercati e valutati nella prospettiva della verifica del grado di affidabilità della chiamata e non ai fini specifici previsti dall'art. 192 comma 3 e 4 cod. proc. pen. , che non è applicabile alla fase delle indagini preliminari. Per fondare il ragionevole convincimento che il chiamante non abbia mentito è sufficiente che i riscontri siano idonei a confermare la credibilità della chiamata nel suo complesso, ad esempio con riferimento alle modalità del fatto, e non è necessario che attengano alla posizione soggettiva del chiamato.

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