Il diniego del rilascio della patente di guida fondato sui rilievi ostativi di cui all'art. 120, comma 1, del Codice della Strada, non costituisce esercizio di discrezionalità amministrativa, ma atto vincolato sia nel presupposto (esistenza della situazione richiamata) sia nel contenuto (impossibilità del rilascio della patente), sicché la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la posizione del privato interessato è qualificabile in termini di diritto soggettivo, anche qualora venga in rilievo un provvedimento di revoca della patente. Tale orientamento giurisprudenziale è conforme alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, cui spetta pronunciarsi sulle questioni di giurisdizione, la quale ha più volte affermato che sussiste la giurisdizione del giudice civile in ordine alla contestazione degli atti con cui l'Amministrazione rileva la insussistenza dei "requisiti morali" previsti dall'art. 120 del d.lgs. n. 285 del 1992. Né la situazione può dirsi mutata a seguito dell'adozione ad opera della Corte Costituzionale della recente sentenza n. 22 del 2018, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del Codice della Strada, in quanto detta declaratoria di illegittimità costituzionale è relativa soltanto all'ipotesi di revoca della patente di guida fondata sulla condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, e non anche all'ipotesi di diniego di rilascio della patente per le ragioni ostative di cui all'art. 120, comma 1, del Codice della Strada, che viene in considerazione nel presente caso, a prescindere dall'individuazione della concreta ragione ostativa fra quelle menzionate dal medesimo disposto normativo. Pertanto, il Tribunale Amministrativo Regionale, privo di giurisdizione sulla controversia, non è legittimato a sollevare questione di costituzionalità in riferimento al disposto dell'art. 120, comma 1, del Codice della Strada.