Il superamento del periodo di comporto per malattia, debitamente comunicato dal datore di lavoro, legittima il licenziamento del lavoratore, senza che rilevi la mancata concessione di un'ulteriore aspettativa non retribuita, ove il lavoratore non abbia fornito prova concreta e specifica delle gravi esigenze personali e familiari che ne giustificassero la concessione, né dimostrato l'impedimento incolpevole alla conoscenza del recesso. Il datore di lavoro non è tenuto a dimostrare le proprie esigenze organizzative per negare l'aspettativa, essendo onere del lavoratore provare la sussistenza dei presupposti per il suo riconoscimento. Ai fini del computo del periodo di comporto, devono essere computati anche i giorni festivi ricadenti nell'arco temporale dell'episodio morboso, in assenza di prova contraria del lavoratore circa la discontinuità dello stesso. La valutazione delle risultanze istruttorie e la ricostruzione della fattispecie concreta sono rimesse alla esclusiva competenza del giudice di merito, sindacabili in sede di legittimità solo per vizi di motivazione nei ristretti limiti del novellato art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.