Il ruolo subalterno e non continuativo di un indagato nell'ambito di un'associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti, unitamente all'assenza di precedenti penali, all'intervenuto scioglimento dell'associazione e all'esiguo lasso di tempo trascorso dalla commissione dei fatti, possono escludere il concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato, rendendo pertanto non obbligatoria l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, nonostante la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Il giudice, nel valutare la sussistenza delle esigenze cautelari, deve effettuare un bilanciamento tra la gravità del fatto e le circostanze concrete che attenuano il pericolo di recidiva, tenendo conto della posizione ricoperta dall'indagato all'interno dell'associazione, della sua incensuratezza, della durata e continuità della sua partecipazione all'attività illecita, nonché dell'eventuale scioglimento del sodalizio criminoso. Tali elementi, opportunamente ponderati, possono giustificare l'esclusione della misura cautelare più afflittiva, pur in presenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo.