Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, afferma che l'interesse ad agire è contraddistinto dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità, di carattere materiale o morale, che potrebbe derivare dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. Nel caso di specie, non sono ravvisabili in capo al ricorrente né un effettivo pregiudizio né una concreta utilità conseguenti all'annullamento del provvedimento impugnato, volto a sospendere gli effetti di un precedente provvedimento già di per sé inefficace per il venir meno del suo oggetto, ossia la convenzione originaria che si è certamente risolta per inadempimento di una delle parti, come affermato dalla stessa società ricorrente. Pertanto, l'interesse ad agire non sussiste nemmeno in relazione alle esigenze di difesa nell'ambito del contenzioso civile pendente, in quanto la sospensione della delibera di revisione è vicenda successiva e ulteriore rispetto alla dichiarazione di avvenuta risoluzione ipso iure della convenzione in data antecedente, e quindi priva di rilievo per il periodo temporale in cui la convenzione ha avuto esecuzione e del tutto ininfluente sulla relativa vicenda contenziosa sia in relazione agli effetti restitutori che a quelli risarcitori discendenti dall'avvenuta risoluzione di diritto.