Cassazione penale Sez. V sentenza n. 19461 del 10 maggio 2016

ECLI:IT:CASS:2016:19461PEN

Massima

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Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della propria qualifica e posizione, induce in errore i privati circa la doverosità oggettiva di somme o utilità da corrispondere all'amministrazione pubblica di cui è dipendente, appropriandosi indebitamente di tali somme o utilità, commette il delitto di truffa aggravata ai danni dell'ente pubblico, e non il delitto di peculato, in quanto non aveva già la disponibilità o il possesso di tali somme o utilità per ragioni del proprio ufficio o servizio, ma se le è procurate fraudolentemente mediante artifici e raggiri. Ciò anche nel caso in cui il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio abbia utilizzato, per l'attività professionale privata svolta in danno dell'ente pubblico, strutture, attrezzature e materiali di quest'ultimo, cagionando così un danno patrimoniale all'amministrazione. L'elemento psicologico del dolo generico, diretto o indiretto, è integrato dalla consapevolezza e volontà dell'agente di porre in essere gli artifici e raggiri idonei a indurre in errore i privati circa la doverosità oggettiva delle somme o utilità da corrispondere all'ente pubblico, accettando il rischio del verificarsi dell'ingiusto profitto e del correlativo danno per l'amministrazione. Non rileva, ai fini della configurabilità del delitto di truffa aggravata, la circostanza che l'attività lavorativa non svolta presso l'ente pubblico durante le ore di permesso sia stata successivamente recuperata, né la mancata fruizione da parte dell'agente della totalità dei permessi concessi, né la sua informazione presso l'ufficio competente circa le modalità di funzionamento dei permessi retribuiti, atteso il carattere seriale e reiterato della condotta fraudolenta. Parimenti, il falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nella redazione di atti pubblici, come la cartella clinica, mediante l'annotazione di dati non corrispondenti al vero, integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico, a prescindere dall'intento specifico dell'agente e dalla rilevanza dell'informazione falsa rispetto alla funzione dell'atto, essendo sufficiente la divergenza, anche parziale, tra quanto attestato e la realtà dei fatti. La concessione delle circostanze attenuanti generiche può essere esclusa sulla base della sola condizione di incensuratezza dell'imputato, in assenza di altri elementi positivi idonei a giustificare un giudizio di particolare favorevolezza sulla sua personalità.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello - Presidente

Dott. SAVANI Piero - Consigliere

Dott. MORELLI Francesca - Consigliere

Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di L'Aquila emessa in data 09/10/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico ministero, in persona del Dott. Birritteri Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv.to (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte …

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