Il divieto di concorrenza del socio di società, di cui all'art. 2301 c.c., è violato non solo quando l'attività concorrenziale sia remunerata, ma anche quando essa sia svolta gratuitamente o non procuri un immediato pregiudizio patrimoniale alla società, essendo sufficiente che il socio abbia agito nell'interesse di terzi concorrenti, destinando le proprie risorse personali, professionali e patrimoniali al di fuori della società di cui è partecipe. Tuttavia, ai fini dell'esclusione del socio ai sensi dell'art. 2286 c.c., la violazione del divieto di concorrenza deve rivestire carattere di gravità, non essendo sufficiente la mera sussistenza della condotta concorrenziale. Nel valutare la gravità della condotta, il giudice deve tenere conto di tutti gli elementi emersi, come l'effettiva coincidenza dell'attività svolta dal socio con l'oggetto sociale, l'eventuale consenso degli altri soci, il pregiudizio arrecato alla società e il grado di compromissione del rapporto fiduciario. Inoltre, il socio può essere escluso anche per altre gravi inadempienze dei doveri sociali, come la sottrazione di beni sociali o il disinteresse per l'andamento della società, purché tali comportamenti siano adeguatamente provati e valutati nella loro complessiva rilevanza. In ogni caso, la valutazione della gravità dell'inadempimento del socio è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui decisione è sindacabile in cassazione solo per vizi logici o giuridici.