Il giudice, nel valutare la sussistenza del dolo di tentato omicidio, deve compiere una complessa e articolata valutazione non solo sull'idoneità e univocità degli atti posti in essere dall'agente a realizzare la morte della vittima, ma anche sull'effettivo atteggiamento psicologico dell'agente, desumibile da elementi oggettivi quali la natura del mezzo utilizzato, la parte del corpo presa di mira e le caratteristiche delle lesioni inflitte. Tali elementi devono essere valutati ex ante, ponendosi nella situazione concreta in cui l'agente ha operato, senza attribuire rilevanza decisiva agli effetti realmente raggiunti, che possono dipendere da fattori indipendenti dalla sua volontà. Pertanto, il giudice può escludere il dolo di tentato omicidio e ritenere sussistente il solo reato di lesioni personali quando, sulla base di elementi oggettivi come il tipo di arma utilizzata, il numero di colpi inferti, la limitata profondità e localizzazione delle ferite, nonché le concrete modalità dell'azione, emerga che l'agente non fosse animato dall'intenzione di uccidere, ma abbia posto in essere una condotta connotata da una ridotta potenzialità lesiva, tale da non integrare il tentativo di omicidio. In tali casi, il giudice non è obbligato a disporre una perizia medico-legale, essendo sufficiente il ricorso a massime di esperienza e a informazioni scientifiche già desumibili dagli atti processuali.