Il silenzio serbato dalla pubblica amministrazione sull'istanza-diffida del privato volta alla definizione di una procedura espropriativa di un bene culturale, in assenza di una valida transazione traslativa della proprietà, integra un illecito permanente che legittima il privato a esperire i rimedi di tutela, compreso quello restitutorio. In tale ipotesi, l'amministrazione è tenuta a valutare, in via discrezionale, se procedere all'acquisizione coattiva del bene ai sensi dell'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 ovvero alla restituzione dello stesso, senza che il giudice amministrativo possa sostituire le proprie valutazioni a quelle dell'autorità competente. L'applicabilità dell'art. 42-bis non è esclusa dalla natura di "bene culturale" del cespite, atteso che tale norma costituisce una disposizione di chiusura volta a ricondurre nell'alveo legale tutte le situazioni in cui l'amministrazione abbia utilizzato la proprietà privata per ragioni di pubblico interesse, in difetto di un valido titolo legittimante. Inoltre, la responsabilità per l'illecita occupazione del bene grava in solido sull'amministrazione che ha emanato la dichiarazione di pubblica utilità e sul soggetto al quale sia stata affidata, anche in via delegata, la gestione del procedimento espropriativo.