Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 4829 del 9 febbraio 1996
ECLI:IT:CASS:1996:4829PEN
Massima
Massima ufficiale
La disposizione di cui al comma 3 dell'art. 275 c.p.p. — laddove impone l'applicazione della custodia cautelare nel caso di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato previsto dall'art. 416 bis c.p. — è stata modificata dall'art. 5 L. 8 agosto 1995 n. 332 solo nel senso che la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari è divenuta — ammettendo prova contraria — iuris tantum da che era iuris et de iure. Ne consegue che l'obbligo di motivazione nel provvedimento relativo alla misura cautelare sussiste solo qualora debba negarsene la necessità, ovvero — in caso di deduzioni di parte che tale necessità contestino — qualora le deduzioni medesime indichino le singole, specifiche ragioni della contestazione, essendo sufficiente un mero asserto negativo della parte. In tema di misure cautelari personali, le tre esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e di reiterazione del reato, non devono necessariamente concorrere, bastando anche l'esistenza di una sola di esse per fondare la misura. Ne consegue che, ove sussistessero elementi positivi per escludere la presunzione di esigenza cautelare nell'ipotesi di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p. - a seguito della modifica apportata dall'art. 5 L. 8 agosto 1995 n. 332 - relativamente anche a due delle esigenze indicate dall'art. 274 c.p.p., ma non a tutte e tre le esigenze stesse, ugualmente legittima sarebbe l'applicazione o la conservazione della misura cautelare in carcere. Ciò in quanto il principio fissato dall'art. 275 comma 3 c.p.p., attiene all'aspetto probatorio delle esigenze cautelari, ma non ne modifica la caratteristica dell'alternatività delle stesse.
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