Cassazione penale Sez. V sentenza n. 9711 del 3 marzo 2009

ECLI:IT:CASS:2009:9711PEN

Massima

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Il delitto di violenza privata si differenzia dal reato di minaccia non per la materialità del fatto, che può essere identica in entrambe le fattispecie, ma per l'elemento intenzionale: mentre per la minaccia è sufficiente l'esercizio di un'azione intimidatoria generica, la violenza privata richiede un "quid pluris" soggettivo, consistente nella finalità di costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa. Pertanto, la pronuncia di frasi minacciose immediatamente dopo un'aggressione, in stretta concatenazione con gli eventi, deve essere ritenuta come finalizzata a costringere la vittima ad un comportamento diverso da quello che avrebbe voluto, integrando così il delitto di violenza privata e non il meno grave reato di minaccia.

Sentenza completa

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSINI Giangiulio - Presidente

Dott. CALABRESE ((omissis)) - Consigliere

Dott. BEVERE Antonio - Consigliere

Dott. OLDI Paolo - Consigliere

Dott. SAVANI Piero - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) MA. AR. N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 28/04/2008 CORTE APPELLO di BARI;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. CALABRESE ((omissis));

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per l'annullamento s.r. perche' il fatto ex articolo 610 c.p. non sussiste; Rigetto nel resto.

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