Il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. "patteggiamento") è inammissibile, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, in quanto tale procedimento speciale esclude la possibilità di dedurre vizi diversi dalla violazione di legge espressamente indicati nell'art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Pertanto, non è consentito proporre ricorso per cassazione deducendo, ad esempio, la mancata verifica dell'insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., atteso che tale motivo di impugnazione non rientra tra quelli tassativamente previsti per il rito del patteggiamento. La Corte di cassazione, in tali casi, è tenuta a dichiarare l'inammissibilità del ricorso con procedura de plano, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, in considerazione del carattere manifestamente infondato del gravame. Tale principio, volto a garantire la certezza e la stabilità del giudicato formatosi a seguito del patteggiamento, si fonda sull'esigenza di assicurare l'effettività e la speditezza del rito speciale, il quale presuppone la rinuncia del condannato a qualsivoglia impugnazione, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Esso, pertanto, si applica a tutti i casi in cui il ricorrente deduca motivi di ricorso non consentiti avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta, indipendentemente dalla natura e dalla gravità del reato oggetto di patteggiamento.