Il reato di maltrattamenti in famiglia richiede che il soggetto agente infligga abitualmente vessazioni e sofferenze fisiche o morali in danno di un altro, il quale ne rimanga succube. Ove invece le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità ed intensità equivalenti, non può dirsi che vi sia un soggetto che maltratta e uno che è maltrattato, né che l'agire dell'uno sia teso - anche dal punto di vista soggettivo - ad imporre all'altro un regime di vita persecutorio ed umiliante. Pertanto, ai fini della configurazione del delitto di maltrattamenti in famiglia, è necessario valutare attentamente la reciprocità dei comportamenti e l'effettiva sussistenza di un rapporto di soggezione e di prevaricazione di un soggetto sull'altro. Inoltre, la circostanza aggravante prevista dall'art. 61, n. 11-quinquies, c.p. per il caso in cui il reato sia commesso in presenza di un minore, deve essere accertata con riferimento all'età della vittima al momento della commissione dei fatti, senza che rilevi l'eventuale raggiungimento della maggiore età in un momento successivo.