Il comportamento coercitivo e intimidatorio posto in essere dall'imputato, consistente nell'aver arrestato la marcia dell'autovettura sulla quale si trovavano la persona offesa e il suo figlio minore, ponendosi al centro della carreggiata e costringendo la donna ad ascoltarlo aggrappandosi allo sportello del veicolo, integra il reato di violenza privata, nonostante la persona offesa abbia optato per un atteggiamento volto a non aggravare la tensione del momento e il marito si sia allontanato per evitare un peggioramento della situazione, in considerazione della presenza del figlio minore. Le dichiarazioni della persona offesa, intrinsecamente coerenti e riscontrate da quelle del marito, costituiscono prova sufficiente dell'illecito, non essendo irragionevole il comportamento tenuto dalla donna e dal marito in tale frangente. Tuttavia, in sede di determinazione della pena, deve essere esclusa l'applicazione dell'aggravante della minorata difesa, già implicitamente esclusa in primo grado e non impugnata dal pubblico ministero, con conseguente riduzione della pena-base in misura corrispondente alle attenuanti generiche riconosciute.