Il giudice di legittimità, nel valutare la capacità di intendere e di volere dell'imputato affetto da disturbi psichici, deve tenere conto della perizia psichiatrica già espletata in altro procedimento, la quale costituisce elemento di prova rilevante ai fini dell'accertamento del vizio parziale di mente, consentendo la concessione dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p. Tuttavia, in assenza di nuovi elementi clinici che comprovino un aggravamento delle condizioni psichiche dell'imputato, il giudice non è tenuto a disporre una nuova perizia, potendo fondare la propria decisione sulla precedente valutazione peritale. Ciò in quanto il giudice di merito gode di ampia discrezionalità nella valutazione della prova, la quale non può essere sindacata in sede di legittimità se sorretta da una motivazione congrua e logica. Inoltre, una volta accertata la sussistenza del vizio parziale di mente, il giudice deve procedere a una adeguata riduzione della pena, tenendo conto anche delle condizioni socio-economiche dell'imputato, ai sensi dell'art. 133 c.p. La motivazione sulla determinazione della pena, se congruamente e logicamente argomentata, non è sindacabile in sede di legittimità.