Il disturbo della personalità, anche se non inquadrabile in una specifica malattia mentale, può integrare il concetto di "infermità" ai fini dell'imputabilità penale, purché sia di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa. Pertanto, il giudice è tenuto a valutare attentamente la rilevanza di tali disturbi della personalità, anche se compensati da trattamento farmacologico, con riferimento al momento di commissione del fatto, al fine di accertare l'eventuale sussistenza di un vizio totale o parziale di mente, ai sensi degli articoli 88 e 89 del codice penale. Tale valutazione non può limitarsi alla mera constatazione della presenza di una patologia conclamata, ma deve considerare anche le anomalie caratteriali o le alterazioni e disarmonie della personalità che, pur non inquadrabili in una specifica malattia mentale, possano incidere in modo significativo sulla capacità di intendere e di volere dell'imputato.