Il reato di falsità materiale in atto pubblico o privato (art. 485 c.p.) sussiste quando l'agente, con qualsiasi mezzo, altera la verità di un documento, introducendovi aggiunte o modifiche, al fine di far apparire come vero ciò che non lo è. A tal fine, è irrilevante che l'alterazione sia stata effettuata contestualmente alla redazione dell'atto o successivamente, essendo sufficiente che l'imputato abbia materialmente apposto le modifiche, anche se non ne sia l'autore originario. Inoltre, la mancanza di certezza circa il momento esatto dell'alterazione non esclude la responsabilità penale, qualora sia provato che l'intero documento sia stato redatto dall'imputato. Infatti, l'interesse dell'imputato a far risultare un pagamento di importo superiore a quello effettivamente eseguito costituisce un elemento logico a sostegno dell'ipotesi accusatoria, anche in assenza di prove dirette sull'alterazione. Pertanto, la valutazione della prova non può fondarsi esclusivamente sulla mancata attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e dei suoi congiunti, quando vi siano altri elementi probatori, anche di natura logica, che depongano a favore della tesi accusatoria.