Il contratto di appalto può essere risolto ai sensi dell'art. 1668, comma 2, c.c. qualora l'opera realizzata dall'appaltatore risulti totalmente inidonea all'uso cui è destinata, anche in assenza di una specifica previsione contrattuale in tal senso. In tal caso, la domanda di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno è logicamente subordinata all'accertamento dell'impossibilità di procedere alla riduzione del prezzo o all'eliminazione dei vizi, in quanto la risoluzione rappresenta l'extrema ratio a fronte dell'accertata inidoneità dell'opera. L'interpretazione della domanda giudiziale, volta a verificare l'intenzione della parte, rientra nell'ambito degli accertamenti di fatto riservati al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che per violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. o per vizi di motivazione. Il giudice di merito, nel valutare le risultanze istruttorie, gode di ampio potere discrezionale nella ricostruzione e nell'apprezzamento dei fatti, censurabile in sede di legittimità solo per vizi logici o giuridici della motivazione, non per una diversa valutazione delle prove.