Il giudice di legittimità, nell'esercizio del controllo sulla motivazione della sentenza di merito, non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella effettuata dai giudici di merito, purché questa sia sorretta da una motivazione logica e coerente con le risultanze processuali. Il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della congruità e logicità della motivazione, senza poter entrare nel merito delle scelte valutative compiute dal giudice di appello in ordine all'attendibilità dei testimoni, all'interpretazione degli elementi di prova e alla ricostruzione dei fatti, salvo che non emergano vizi logici o giuridici macroscopici. Inoltre, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., è rimessa alla discrezionalità del giudice, il quale deve motivare adeguatamente il mancato accoglimento di specifiche richieste istruttorie, ove non le ritenga assolutamente necessarie ai fini della decisione. Infine, la determinazione della pena, se contenuta entro i limiti edittali e adeguatamente motivata in relazione ai criteri di cui all'art. 133 c.p., non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che non risulti manifestamente illogica o sproporzionata.