Cassazione penale Sez. V sentenza n. 8678 del 6 marzo 2002

ECLI:IT:CASS:2002:8678PEN

Massima

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Il diritto di cronaca, quale aspetto essenziale del più ampio diritto di libertà di manifestazione del pensiero garantito dalla Costituzione, si configura come causa di giustificazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, quando l'esercizio di tale diritto avviene nel rispetto dei limiti della verità del fatto narrato, dell'interesse pubblico alla sua conoscenza (pertinenza) e della correttezza (continenza) con cui il fatto viene riferito. Ai fini dell'applicabilità della causa di giustificazione del diritto di cronaca, è necessario che vi sia una correlazione oggettiva tra il narrato e l'accaduto, con un assoluto rispetto della verità di quanto riferito, senza introdurre elementi aggiuntivi o deformanti la realtà dei fatti. Il giornalista, nell'esercizio del diritto di cronaca in ambito giudiziario, si pone come semplice intermediario tra il fatto e l'opinione pubblica, avendo il dovere di informare correttamente i cittadini. Pertanto, il rifiuto di ammettere la prova richiesta dalla difesa, ai sensi dell'art. 495, comma 2, c.p.p., volta ad acquisire documentazione rilevante ai fini dell'accertamento della verità dei fatti narrati, costituisce violazione del diritto alla prova riconosciuto dall'art. 190 c.p.p. e può incidere sulla decisione finale, determinando l'annullamento della sentenza con rinvio per un nuovo esame.

Sentenza completa

FATTO
M. M., articolista e A. G., quale direttore responsabile, venivano dichiarati colpevoli, rispettivamente, del delitto di diffamazione a mezzo stampa e di quello previsto dall'art. 57 c.p., avendo pubblicato in data 31.1.1996 sul quotidiano "Il Messaggero", dal titolo "A Roma scompare la cimice trovata nel bar - la microspia rubata da una spia", con il quale offendevano la reputazione del funzionario della Polizia di Stato M. I.
Il tribunale di Roma, in data 20.1.1999, condannava gli imputati alle pene di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Contemporaneamente, il tribunale proscioglieva i predetti imputati e M. C., in ordine ad altra ipotesi di diffamazione sempre in danno dell'l. con riguardo ad altro articolo del 1.2.1996.
La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata del 16.1.2001, confermava la decisione, condannando gli imputati alle ulteriori spese del procedimento e al rimborso di quelle …

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