Il giudice di legittimità, nell'esaminare i ricorsi proposti avverso la sentenza di patteggiamento, può dichiararne l'inammissibilità qualora non siano dedotti motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto o all'illegalità della pena o della misura di sicurezza, come previsto dall'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., introdotto dalla L. n. 103 del 2017. In tali casi, la sentenza di patteggiamento, che recepisce l'accordo tra le parti, risulta sufficientemente motivata con la descrizione del fatto, l'affermazione della correttezza della qualificazione giuridica, il richiamo all'art. 129 c.p.p. per escludere cause di immediato proscioglimento e l'affermazione della congruità della pena patteggiata. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità, ai sensi dell'art. 616 c.p.p.