Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La condotta di detenzione, acquisto e cessione di sostanze stupefacenti, anche se realizzata in un contesto di continuità e sistematicità, non esclude necessariamente la configurabilità del reato di cui all'art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990 (c.d. "fatto di lieve entità"), qualora non emergano elementi indicativi di un inserimento dell'agente in una rete organizzata di distribuzione, come il controllo di una zona del territorio, l'impiego di mezzi funzionali allo spaccio, la disponibilità di diverse tipologie di sostanze anche in quantitativi non rilevanti. La mera continuità e reiterazione delle condotte di cessione, pur essendo sintomatica di un certo grado di inserimento in un contesto di spaccio, non è di per sé sufficiente ad escludere la fattispecie attenuata, dovendosi valutare complessivamente le modalità, i mezzi e le circostanze della condotta. Inoltre, la diversità delle sostanze stupefacenti detenute non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui al comma 5, potendo comunque ricorrere i presupposti per l'applicazione di tale ipotesi attenuata. Infine, il giudice di merito gode di ampio potere discrezionale nella valutazione delle circostanze attenuanti generiche, potendo legittimamente ritenere prevalenti, rispetto all'incensuratezza, elementi indicativi di un radicato inserimento in una rete di spaccio, come la disponibilità di cospicue quantità di droga.