Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La valutazione delle offerte tecniche ed economiche presentate in una gara pubblica, effettuata dalla commissione giudicatrice sulla base dei criteri stabiliti nel bando, costituisce espressione di discrezionalità tecnica non sindacabile dal giudice amministrativo se non per manifesta illogicità o irragionevolezza. Il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella della commissione, essendo tenuto a verificare soltanto la correttezza formale e logica del procedimento di gara, nonché la conformità delle offerte ai requisiti e alle prescrizioni del bando. Pertanto, le censure mosse dal concorrente soccombente avverso i punteggi attribuiti dalla commissione giudicatrice sono infondate, salvo che non denuncino palesi vizi di illogicità o irragionevolezza. Inoltre, la mancata effettuazione della verifica dei requisiti ex art. 48 del Codice dei contratti pubblici non determina l'illegittimità della gara, qualora la documentazione richiesta sia già stata presentata dal concorrente in sede di offerta. Parimenti, la dichiarazione resa dal concorrente in ordine all'assenza delle cause di esclusione di cui all'art. 38 del Codice, conforme al contenuto del bando, non può essere considerata carente o irregolare. Infine, la tempistica e la durata delle operazioni di gara non costituiscono di per sé vizi di legittimità, in assenza di una specifica previsione del bando che imponga termini perentori, essendo rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante l'organizzazione e la gestione della procedura di selezione.