Il ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna del Giudice di Pace, che preveda anche una statuizione di condanna generica al risarcimento del danno, deve essere convertito in appello, in applicazione dell'art. 37, comma 1, del D.Lgs. n. 274/2000, in vigore dal 2 gennaio 2002. Tale disposizione, in deroga all'art. 593 c.p.p., prevede la legittimazione dell'imputato a proporre appello, anziché ricorso per cassazione, in caso di condanna alla sola pena pecuniaria, anche se la sanzione irrogata sia l'ammenda, al fine di compensare la maggiore semplicità e speditezza del rito con la garanzia offerta da un doppio grado di merito. La Corte di Cassazione ha affermato che la appellabilità della sentenza è una diretta conseguenza della condanna al risarcimento del danno, anche in forma generica, in virtù del principio di carattere generale espresso dall'art. 574, comma 4, c.p.p., che non vi è ragione per contraddire quando si tratti dell'impugnazione delle sentenze del Giudice di Pace. Ciò in quanto vi è una stretta connessione tra condanna penale e condanna al risarcimento del danno, e la Corte ha posto solo limiti diretti ad impedire che, una volta impugnata la sentenza con riferimento alla affermazione della responsabilità penale per un suo capo, si pretenda di far valere vizi interni riguardanti le statuizioni civili non denunciati con l'impugnazione. Pertanto, anche qualora il ricorso per cassazione fosse stato proposto per saltum ai sensi dell'art. 569 c.p.p., esso dovrebbe comunque essere convertito in appello, in quanto è stato dedotto anche il vizio di motivazione di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. in ordine alla valutazione delle prove.