Il comportamento di chi, con violenza e minaccia, impedisce ad altri di esercitare liberamente la propria volontà, al fine di ottenere la restituzione di un bene o di una somma di denaro, integra il reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p. e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p., salvo che l'azione non ecceda macroscopicamente i limiti dell'esercizio di un preteso diritto, assumendo una gravità tale da configurare una condotta costrittiva dell'altrui libertà di determinazione. Sussiste il concorso tra i due reati quando, nel medesimo contesto, l'agente ponga in essere distinte condotte minacciose volte, l'una, ad ottenere l'estinzione di un debito e l'altra il ritiro di una denuncia. La condotta violenta e minacciosa, diretta a costringere la vittima a subire la propria volontà, integra gli elementi costitutivi del reato di violenza privata, anche quando sia motivata dalla pretesa di ottenere la restituzione di un bene o di una somma di denaro, purché non ecceda macroscopicamente i limiti dell'esercizio di un preteso diritto.