Il giudice dell'esecuzione penale ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per finalità esecutive e, in particolare, per l'applicazione di cause estintive e per la revoca dei benefici condizionati. Tuttavia, tale attività interpretativa è inevitabilmente segnata dagli esiti del procedimento di cognizione, come compendiati nella sentenza che lo ha definito. Pertanto, il giudice dell'esecuzione non può fondare la retrodatazione della condotta, ai fini dell'esclusione dell'effetto estintivo, su meri elementi indiziari, come la ripartizione della sostanza stupefacente in diversi luoghi e il rinvenimento di appunti relativi ad attività di acquisto e cessione, senza un'adeguata motivazione che dimostri la ragionevole certezza che la detenzione abbia avuto inizio prima del termine previsto per l'estinzione del reato. In caso contrario, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio.