Il pubblico ufficiale che autentica le firme per la presentazione di una lista elettorale, attestando falsamente di avere accertato personalmente l'identità dei sottoscrittori e di avere presenziato all'apposizione delle firme, commette il reato di falsa attestazione previsto dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 90, comma 2, anche se la lista non raggiunge il numero minimo di sottoscrizioni necessarie per l'ammissione alla competizione elettorale. Tuttavia, ai fini della configurabilità del dolo del reato, il giudice deve valutare le specifiche circostanze del caso concreto, come l'eventuale consolidata prassi di autentica in blocco delle firme, la mancanza di preparazione professionale specifica dell'imputato sull'attività svolta, il suo convincimento che la lista non avrebbe raggiunto il numero di firme necessario, nonché le difficoltà interpretative della normativa elettorale. La testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria che riferisce il contenuto delle dichiarazioni rese dai presunti sottoscrittori circa il mancato riconoscimento delle firme è inutilizzabile ai sensi dell'art. 195, comma 4, c.p.p., in quanto acquisita in violazione del divieto di testimonianza indiretta, essendo i testi primari non esaminati nel dibattimento.