Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: La condanna per i reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone non può essere esclusa sulla base della mera consapevolezza o accettazione da parte delle vittime di esercitare la prostituzione, in quanto tali reati tutelano la libertà e l'autodeterminazione della persona, a prescindere dalla sua condotta. Pertanto, la circostanza che le vittime fossero consapevoli di esercitare il meretricio o condividessero le medesime condizioni di vita delle imputate non esclude la responsabilità penale per i reati di riduzione in schiavitù e tratta di persone, in quanto tali reati mirano a tutelare la dignità e l'integrità della persona, anche quando questa versi in condizioni di sfruttamento e disagio. Inoltre, nel giudizio di appello, non è consentito aumentare l'entità dell'aumento di pena per un reato rispetto a quanto stabilito in primo grado, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, in quanto ciò costituirebbe una reformatio in peius vietata dall'art. 597 c.p.p.